» no longer the person you were, no longer the person they adored

- Che hai?

- Lasciami in pace.

Silenzio.
Mikey, gli occhiali che scivolano sul naso, soppesa ad una ad una quelle parole.
Sono nuove, sono dure.
Lo feriscono, implacabili.

- Non sei sceso per pranzo... - tenta di dire qualcosa, ma si ferma dopo un po', senza sapere cosa aggiungere.
Non vuole infastidirlo troppo.
Dopotutto Gerard ha i suoi giorni no.
E sono giorni no.
Anche quando sono in fila l'uno dietro l'altro, implacabili.
Anche quando sembrano più no del solito.
Anche quando comportano no alle cose più semplici, come mangiare, bere, uscire per andare in qualche luogo che non sia la palestra più vicina. No alle cose che amava, disegnare, leggere. No.
No a tutto.
Tranne che a ballare.
Ma ballare è la sua vita, ballare è un suo bisogno inestinguibile.
Ballare deve farlo.
Se smette di ballare, è morto.
Se smette di ballare, è cadavere, sangue marcio.
Se smette di ballare, è nulla.
Mikey lo sa.
Quasi si aggrappa a questo, quando ci pensa.
Suo fratello smetterà di mangiare, di dormire, di parlare, ma di ballare no, e finché ballerà sarà vivo.
Ma questo non dura per sempre.
E anche il ballo comincia a consumarlo.
Si allena sempre di più, solo per non sentire la fame.
Ore e ore di sfinimento.
Sudore, fatica, non sente più i piedi, ma continua.
E continua.
Ballare, non mangiare.
Ballare, per non sentire la fame.
Ballare, per sentirsi sempre più leggeri. Sta già cominciando a dimagrire! Che bellezza. 
Ballare, non mangiare. 
Ovviamente, però, nessuno lo sa.
Che bravo il piccolo Gee, vuole andare in fondo alla sua passione!
Fa molto esercizio per diventare il più bravo!
Per diventare... campione!
Una stella del balletto classico!
Oh, guardalo, come danza bene!
Già, come danza bene, il piccolo Gee, mentre muore lentamente, mentre si divora, si rovina.

- Lasciami in pace - ripete Gerard, senza dare al più piccolo altro tempo per pensare.
Sembra assente, guarda il soffitto.
La sua pelle pallida che lentamente si strappa dalle ossa.
Non è più la persona che era.
La persona che Mikey adorava. 
È solo un cumulo di carne sbattuto sulle coperte, forzato a vivere.
Ma chi se ne accorgerà, ora?
Sa bene la risposta.
Nessuno.

- Non vuoi mangiare? 

Nessuno, nemmeno Mikey.
Mikey non capisce, Mikey è troppo piccolo - sette anni, cosa dovrebbe saperne della vita, del non mangiare, del dolore, della merda del mondo? 
Mikey è innocente, Mikey merita un fratello bellissimo che lo difenda da ogni pericolo.
Mikey forse un giorno avrà finalmente qualcuno di cui essere orgoglioso.
Certo.
Quando sarà finalmente magro.
E bello.
Bello.
Sorride, morbosamente attaccato a quel binomio di bello e magro.
Magro.
Bello.
Bello e magro.
Bello...

- Lasciami in pace.

Lasciami in pace.
Lasciami in pace.
Quante volte lo deve dire perché gli altri lo capiscano?
Quante volte lo deve dire perché rimanga solo come vuole stare?

- Domani è il nostro primo giorno nella nuova scuola, dovresti... 

- Mangiare qualcosa? - si lecca le labbra secche e screpolate, la voce che gratta nella gola asciutta - Non ho fame.

Tutto si ferma alla fatidica frase.
Da giorni è sempre la stessa.

- Ho un peso sullo stomaco, non mi sento bene, ecco perché non ho fame.

L'ennesima scusa.
L'ennesima bugia.
Quando la smetterai di mentire?
Lo chiede a se stesso, ma non trova risposta.
Anzi, forse sì.
Quando diventerà bello.
E magro.
Allora sì che potrà mangiare di più. 

- Miks, ora vattene, ti prego.

Di fronte a quella disperata implorazione, Mikey non sa cosa fare.
Guarda il fratello, steso sul letto, inerte. Paralizzato, sempre più esile. 
Mikey vorrebbe dire "mamma ha detto che devi venire a mangiare". Mikey vorrebbe dire "alzati e basta". Vorrebbe dire "devi fare qualcosa". Vorrebbe insistere. Mikey vorrebbe dire qualsiasi cosa che serva per far alzare Gerard dal letto. 
Ma non ci riesce.
E' impotente. 
Forse, nemmeno sospetta che Gerard non stia mangiando perché non vuole. 
Perché si vede brutto.
Perché è grasso. Perché il suo corpo merita solo le più terribili torture.
Perché vuole sentirsi bello.
Vuole sentirsi all'altezza.

Mikey se ne va e basta.
Dopotutto sono solo giorni no.
Passeranno, giusto?

Giusto?

Presto di lui rimane solo l'eco dei passi sulle scale. 
Gerard rimane solo.
Lascia trascorrere i minuti, in silenzio.
Dal piano di sotto arrivano i rumori delle posate che tintinnano sul piatto, sente il suo stomaco reclamare cibo, ma lo zittisce serrando i pugni. E' grasso, è orribile, non deve mangiare.
Per distrarsi guarda l'orologio.
Le due. 
Le due, le due... 
Chissà cosa penseranno domani di lui i suoi nuovi compagni.
Non ha avuto nemmeno il tempo per dimagrire.
Non ha avuto nemmeno il tempo per essere bello. 
Guarda i minuti dell'orologio.
Due e trentaquattro.
Non sa più se è vivo o morto.
E' da questa mattina che è a letto, e non sa se vuole alzarsi.
Allunga una mano e accende lo stereo con i cd di musica classica. Chiude gli occhi e ripercorre ogni passo nella sua mente. Ogni coreografia, ogni movimento. 
Sente le note.
Così per meno di trenta secondi, perché all'improvviso gli viene un'idea.

- Io esco - lo dice qualche secondo dopo, senza quasi rendersene conto, solo a se stesso, a bassissima voce.
Lui esce.
Se lo ripete nella mente per trovare la forza di muoversi.
A colazione ha mangiato pochissimo, un bicchiere d'acqua e tre biscotti integrali, e a cena, la sera prima, a malapena ha toccato una fetta di pizza.
Inspira, espira.
La testa gli gira un po'.

Deve alzarsi.

Sente il sangue ronzare nelle sue vene e il suo corpo supplicare cibo.
Cibo.
Ha fame.
Dio, se ha fame.
No.
Stasera, stasera mangerai qualcosa.
Ma ora no, non devi mangiare.
Vuoi guardarti allo specchio per vedere perchè non devi?

Alzati.
E così si tira a sedere.
Una volta in piedi, prende la giacca di jeans, l'mp3 e il suo pacchetto di cicche preferito.
Deve uscire.
Vuole correre e arrivare nel suo posto, e sdraiarsi lì e pretendere di morire per qualche ora, nel silenzio.
Ne ha abbastanza di consumarsi sul suo letto e di stare a rimuginare su quanto abbia fame.
Deve distrarsi.
Meglio spegnersi in un prato pieno di margherite che sulla coperta del suo letto.
Scende le scale a salti, saluta sua madre e Mikey in sala da pranzo, seduti al tavolo con i loro piatti fumanti davanti.

- Io esco - dice, questa volta ad alta voce, con le cuffie già nelle orecchie, guardandoli di sbieco, i capelli lunghi e neri che incorniciano delicatamente il suo viso.
È bello, bellissimo.
Ha i lineamenti dolci, parecchio femminili, il naso alla francese, le labbra sottili ma piene.
È bello, è bellissimo.
Ma com'è che non lo ha mai visto?
La sua bellezza ora si sta sciupando.
E' stropicciata, sfatta.
Ma è ancora lì, insita in ogni sua piega degli occhi. 
Com'è che nessuno lo ha mai visto, quanto sia bello?

- Io esco - ripete, perché non ha sentito alcuna voce rispondergli.

Per la seconda volta, nessuno dice niente. Suo fratello lo guarda con la bocca piena, sua madre nemmeno sembra sentirlo. E' al telefono e si guarda le unghie appena ritoccate dall'estetista, accigliata perché quella stupida probabilmente ha sbagliato ancora qualcosa.
Gerard la fissa. Sa che darebbe via lui e suo fratello come degli oggetti, se solo potesse.
Donna Way non è mai stata madre. I suoi unici figli sono i suoi gioielli, i suoi trucchi e i suoi vestiti.
Almeno loro non devono mangiare e non vanno cresciuti, curati, giusto?
I bambini le hanno sempre fatto ribrezzo, chissà come ha fatto Donald a convincerla a metterne al mondo addirittura due. Facile per lui, non deve tenerseli appresso, lavora tutto il giorno nel suo ufficio, e quando torna a casa è troppo stanco per fare qualsiasi cosa che non sia cenare, sdraiarsi sul divano con la televisione accesa, e dormire.
Forse quando sarà bello, bellissimo, sua madre lo accetterà come figlio.
Lo ammirerà non solo come ballerino, ma anche come sangue del suo sangue.
Quando sarà magro e perfetto, allora sì che non potrà fare a meno di guardarlo. 
E' colpa sua, è orribile, come potrebbe una madre volere un figlio del genere? E l'incura che ha avuto per lui, l'ha avuta anche per Mikey, solo perché sono fratelli, solo perché pensa che siano uguali.
Oh, deve diventare bello.
Per Mikey, per sua madre, per suo padre.
Per se stesso.

Si chiude la porta alle spalle, con un sospiro, comincia a camminare ed esce dal suo quartiere, dalla zona che considera sicura. 
A volte pensa che sia orribile che non nessuno si accorge di niente. Che nessuno si accorge che non mangia perché si sente un mostro. Vorrebbe che sua madre lo spronasse a mettere qualcosa tra i denti e gli dicesse che è bello, invece.
Ma poi si riprende e dice meglio così.
Sua madre cambierà quando sarà bello davvero.
E almeno lui può dimagrire in santa pace.
Ne ha proprio bisogno.
Guarda questa pancia.
Che schifo.
Quando si vede allo specchio, quando con le dita sfiora la sua pelle, il solo istinto che gli viene è quello di strapparsi la carne di dosso.

Fa partire la riproduzione casuale dell'mp3, e le delicate note di Chopin invadono le sue orecchie in un attimo. Cammina sempre più veloce, fino a che non sente il vento soffiare sul suo corpo e spingerlo sempre più avanti.
Attraversa la città, deserta.
Non c'è sole, solo nuvole grigie.
Forse pioverà, più tardi.
A Belleville piove sempre.
E' lì da meno di una settimana e ogni giorno il temporale è arrivato, puntuale. 
Una notte è rimasto sveglio a sentirlo, guardando i lampi fuori dalla finestra, e il cielo livido di nero.
Non ha mai visto stelle, lì. Solo una luna pallida e smunta, un bieco riflesso, quasi una proiezione sbiadita. 
Cammina.
Gli piace quando piove.
Ma a volte gli mette malinconia.
Quando piove beve il caffè e guarda fuori.
Quando piove esce e se ne sta per strada da solo.
Ore e ore passate fuori a vagare senza meta.
L'unico amico che aveva, Bert, lo ha lasciato a New York, e sa per certo che non si metterà più in contatto con lui.
Bert non è fatto per questo genere di cose.
Bert vuole le persone presenti.
Già quando Gerard gli aveva annunciato del suo trasferimento, le cose tra loro erano bruscamente cambiate. Avevano cominciato ad uscire insieme sempre meno, e così lui era rimasto tagliato fuori da qualsiasi cosa.
Bert era sempre stato l'unica cosa che lo aveva connesso al mondo.
Anche se non era esattamente una persona con cui aveva confidenza, almeno poteva parlare con qualcuno durante il pranzo in mensa.
Bert è sempre stato una briciola, anche se gli è sembrato tutto.
E ora che quella briciola è svanita, non è rimasto più niente.

Gli edifici diventano alberi, i marciapiedi sentieri.
Gerard si inoltra nel bosco.
Fa più freddo qui, così si stringe nella giacca mentre ancora corre, calpestando le foglie secche e guardando i rami delle piante, che, intersecandosi, creano una scenografia perfetta.
Gli piacerebbe danzare lì, nella sua solitudine.
Togliersi tutti i vestiti e mettersi a ballare, lentamente, l'aria sulla pelle e i piedi che scricchiolano in quel modo soffice sul suolo ricoperto di foglie, aghi di pino e briciole di terra scurissima.
Gli piacerebbe cantare e muoversi solo per la luna.
Diventare solo un'ombra scura, un fantasma, nella notte.
Addormentarsi al mattino, con il sole che accarezza la sua pelle.
E svegliarsi... Quando?
Mai?
Un giorno?
Forse svegliarsi bello.
Svegliarsi nuovo.

Continua, la nebbia che gli si attorciglia attorno alle caviglie, bassa ma densa, bianchissima.
Sa perfettamente dove andare.
Non c'è nessuno lì, solo il rumore del vento e dei suoi piedi che calpestano il terreno. Tutto profuma di terra umida, foglie bagnate e bruma.
Dal sentiero principale, fa una svolta in una piccolissima fessura.
Avvolto in un turbinio di colori caldi e dai toni arancioni, presto arriva nel suo letto di fiori.

Guarda il lago davanti a sé. È abbastanza piccolo, eppure così calmo.
Si abbandona sull'erba, in pochi secondi si ritrova sdraiato.
Chiude gli occhi.
Sente la testa pulsare.
È stanco, ha fame.
Apre gli occhi, ma tutto è sfocato.
Li chiude.

Vuole solo dormire.

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