» maybe I need a little company
- Cazzo Ray, no, non la voglio la tua merda okay? - grugnisce Frank, già ubriaco, guardando il riccio mentre prepara una siringa.
Non sa bene cosa sia - eroina? Forse.
- Peggio per te, questa roba ti fa fottutamente volare, roba mai vista, prova a scoparti qualche bella troia mentre sei sotto l'effetto di questa, vedrai, una merda meravigliosa, roba, roba meravigliosa - continua a imprecare e a ripetere "roba", sorridendo come un ebete. Anche lui ha bevuto. Si è anche fumato due canne, ha preso una pasticca, ecstasy, ma è evidente che quello non è più abbastanza.
Per un attimo Frank è tentato di tornare indietro e dire di sì.
Che ha cambiato idea e la vuole quella roba.
Cosa cazzo ha da perdere lo sa solo Dio, potrebbe semplicemente stordirsi e poi farsi una ragazza facile imbottita di coca, quelle con la pelle di plastica e il trucco che a fine serata cola via rivelando l'orrore e la tristezza dipinti sui loro bei visi da bamboline.
Si trattiene per sua madre.
Forse per Gerard.
Ma Gerard, dov'è Gerard?
Da quanti giorni lo chiama, nel suo silenzio, nella sua stanza, nel suo dolore, senza che lui risponda?
E' venuto a questa stupida festa solo per avere da bere gratis - distrazione assicurata dalle sue notti in bianco passate ad ascoltare sua madre che fa la puttana con qualcuno.
- Vaffanculo - borbotta, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
Poi va via perché non ce la fa a vedere Ray che si fa di quello schifo.
Non ce la fa a stare lì e guardarlo mentre si sballa e poi prende anche altra roba.
Non ce la fa a pensare che forse anche lui dovrebbe fare in quel modo e farla finita a vent'anni, un corpo straziato dalla droga semplicemente sdraiato sul pavimento con un'ultima mortale dose ancora al suo fianco.
Torna indietro verso il corridoio, lasciandosi alle spalle quella stanza infernale, la testa gli gira e barcolla un pochino.
Dovrebbe essere il compleanno di Woody Goldman, il brillante giocatore di football, ma Woody ormai è in una camera appartata per uno spogliarello, e ognuno fa quel cazzo che gli pare. Ha invitato mezza scuola, e chi non era invitato è venuto comunque.
Frank è disorientato, non sa che fare.
Entra in una stanza ma si accorge che ci sono solo ragazze seminude e tentatrici.
Non dicono niente, lo guardano e basta, qualcuna è già schiacciata sotto il corpo di qualche ragazzo e sta gemendo in modo plateale.
- Vaffanculo - ripete, andandosene senza nemmeno degnarle di uno sguardo.
Non le vuole.
Non lo eccitano, piuttosto lo infastidiscono.
Frank non ha mai fatto sesso vero e proprio. Gli è capitato solo di farsi una sega mentre guardava i porno o di pagare due, tre volte una troia della sua classe per farsi fare un pompino.
Succede quando si sente solo.
È triste.
Quelle ragazze le ricordano sua madre.
Usate, di una bellezza sbattuta e ostentata in modi raccapriccianti.
Tutto quello non ha niente di piacevole.
Serve solo per scaricare tutto.
Ancora una volta, per distrarsi.
Va nella stanza dove ci sono gli alcolici.
Guarda le bottiglie, le persone ubriache sparse ovunque, un po' sole un po' insieme, ma sempre isolate nel loro deserto interiore. Ci sono bicchieri di carta dappertutto, e una puzza di sudore e birra incredibile.
Per un attimo deve cercare di trattenersi dal vomitare tutto quello che ha bevuto sul pavimento. Non gli è mai successo.
Dio.
Deve essere messo male - non così tanto, comunque, riesce a camminare in modo più o meno lineare e sa come si chiama e cosa sta facendo, sa dov'è e dove deve tornare quando lo sbatteranno fuori dalla villa.
Potrebbe andare peggio.
Se esagera un altro po' andrà molto peggio.
Ma questo non lo ferma dal prendere un nuovo bicchiere. Sceglie la vodka, se la versa, riempie il bicchiere, poi fa dietrofront.
Vuole cercare un posto dove stare solo, dove ubriacarsi finché non riesce nemmeno a formulare pensieri concreti e addormentarsi senza nessuno accanto.
Ad un certo punto si chiede se non deve tornare a casa.
Tornare e dire a sua madre che gli dispiace.
Gli dispiace per tutto e anche per la loro miserabile vita, gli dispiace e appena potrà andarsene da scuola lavorerà al suo posto, le comprerà i più bei vestiti e la porterà in vacanza.
Magari al mare.
Non hanno mai visto al mare.
Non hanno mai visto niente di diverso da Belleville, in realtà.
Tornare e dire a sua madre che gli dispiace.
Dormire e accarezzarla e tenerla al sicuro, perché lui sa che è come una bambina fragile.
Ma poi si dice che sarà sicuramente con un uomo sconosciuto.
Non vuole sentirla scopare con qualcuno senza volto.
Da piccolo era abituato a sentire i suoi gemiti e i suoi risolini e le voci possenti di altre persone che per lui non erano nessuno.
Lo spaventavano.
Stava sveglio tutta la notte col batticuore, sudando, desiderando solo di tapparsi le orecchie e non sentire più niente.
Si rannicchiava su se stesso e cercava di estraniarsi da tutto.
A volte piangeva.
Tutto quello lo disgustava.
A dodici anni un giorno aveva aperto la porta della sua camera da letto e aveva gridato all'uomo nudo che la stava penetrando di andarsene.
Teneva in mano un coltello e gli sembrava di essere invincibile.
- A letto marmocchio, domani hai scuola - gli aveva detto quello, inarcando un sopracciglio, senza nemmeno avere la decenza di coprirsi.
Sua madre aveva gli occhi pieni di terrore.
Di vergogna.
Il suo bambino.
Il suo bambino l'aveva vista nuda.
Il suo bambino.
L'aveva vista nuda, mentre scopava con un nessuno.
Nuda, sudata, ansimante.
Rossa.
I seni e il pube coperto di peli.
- A letto, non hai sentito? - l'uomo aveva stretto le lenzuola digrignando i denti.
Frank si era solo irritato di più.
- VAI VIA! - aveva urlato di nuovo, rosso.
Sua madre aveva mormorato di fare come gli diceva quel nuovo usurpatore del suo letto.
Come se fosse il suo nuovo padre.
Almeno per quella notte.
Dio.
Aveva cominciato a piangere ed era corso fuori.
Aveva dormito sul prato.
Sua madre non era mai tornata a prenderlo.
Era rientrato a casa solo e l'aveva trovata addormentata.
Quella sera, però, l'aveva sentita piangere.
Da quel giorno piange sempre, Linda.
O quasi.
Frank si perde tra i ricordi.
L'alcol li altera, sogna di aver accoltellato quel pezzo di stronzo e aver macchiato le lenzuola di rosso.
Sogna di aver portato via sua madre da quell'inferno.
Si ritrova in un altro corridoio, è più buio.
Dove cazzo sta andando?
Non gli importa, basta che stia da solo.
Fa una curva deciso, ancora perso in quell'universo alternativo della sua memoria, ma si scontra con qualcuno.
Quel qualcuno è Gerard.
Gli manca il fiato.
Sono... vicini.
E' stato uno scontro dolce ma li ha lasciati sorpresi.
Si guardano a lungo.
La prima cosa che Frank pensa è:
Cazzo sono ubriaco.
Non vorrebbe farsi vedere in quel modo da lui.
La seconda cosa che pensa è:
Forse lo sto solo immaginando.
- Frank - solo la sua voce gli prova il contrario.
È rotta in mille pezzi.
Mille schegge che lo denudano, lo spogliano, finché non è nient'altro che se stesso.
- Gerard - pronuncia il suo nome in un soffio, con il cuore che batte forte per l'emozione di averlo lì, vicinissimo, a pochi centimetri dal suo viso.
Pensa di dirgli "mi sei mancato" ma alla fine non dice proprio niente.
Si guardano ancora.
Lo vede doppio, a un certo punto ride e si avvicina di un altro centimetro senza un motivo preciso.
Potrebbe dirgli un sacco di cose di cui si pentirebbe.
Potrebbe anche baciarlo.
Gustare per un attimo il paradiso e il sapore delle nuvole, luce pura, ambrosia, quel miele e oro.
Baciarlo.
Di questo si pentirebbe il triplo.
Perché poi ricadrebbe giù. Come un dannato. Ricadrebbe giù. Avendo macchiato la sola cosa pura della terra.
Non vuole fargli un terribile regalo come quello delle labbra di un peccatore sulle sue.
- Sei mancato un bordello di giorni a... A scuola, uh - mormora, cercando di riempire il silenzio.
Che cazzo? Bordello?
Dio, Frank, a Gerard non puoi dire "bordello".
Gerard è troppo delicato per questo genere di cose.
Gerard è troppo puro.
Il moro si sente in colpa e si tortura per un bel po'.
Si sente sporco.
Sbagliato.
- Immagino che tu sappia il perché. Perché sono mancato.
Il tono è risentito.
Sembra che stia per mettersi a piangere - no, sta correndo via.
In un secondo Frank lo vede voltarsi per andarsene, e adesso ha paura, ha paura di ripiombare nell'oscurità ora che ha visto un bagliore.
- Aspetta - dice, prendendolo per un braccio prima che possa andarsene.
L'angelo si gira e lo osserva.
Che belle labbra, che candide carni, che perfezione.
Quasi lo rende ancora più ebbro di quello che già è.
- Vuoi venire fuori? Ho un bicchiere di vodka.
Gerard lo guarda per un po', poi mormora, timidamente:
- Non voglio ubriacarmi.
- Allora lo bevo solo io.
Silenzio.
- No, lo butti.
- Che cosa? È vodka. Non si butta.
- Non voglio che ti addormenti perché hai bevuto troppo e mi lasci solo.
A quest'ultima frase Frank sorride.
Se non c'è lui Gerard è solo.
Per la prima volta si sente responsabile di qualcosa.
Per la prima volta si sente importante.
- Hai voglia di fare una minchiata?
Vuole farlo sorridere, spera di essere abbastanza stupido da riuscirci.
- Del tipo?
- Versare la vodka sulla moquette.
Fa ondeggiare il bicchiere di carta per aria, e finalmente sente una piccola e breve risata.
Lo guarda.
Pensa che è bello.
- Anche io a casa ho la moquette in corridoio, non mi piacerebbe molto avere della vodka sulla mia moquette.
- Ma questa non è la tua moquette, è la moquette di Woody, e ammettilo, versare vodka sulla moquette di Woody sarebbe parecchio divertente.
Gerard esita.
- Non saprei...
- Avanti, quanto ti sta sul cazzo Woody da uno a dieci?
Gerard pensa a Woody in generale, Woody che lo prende per il culo con i suoi amici, lo chiama "secchione" e "anoressico del cazzo", ci pensa, increspa i lati delle labbra:
- Nove.
- Sciocchezze. Dieci.
E poi Frank inclina il bicchiere fino a farlo arrivare a novanta gradi e tutto accade come per magia.
La vodka crea un'enorme macchia sulla moquette.
Gerard la guarda incredulo, mordendosi le labbra per trattenere le risate:
- Lo hai fatto veramente! - esclama, con la bocca spalancata a "o".
- Ma certo.
- Sei davvero incredibile.
E Gerard ride.
Ride.
Frank si sente orgoglioso, adesso Gerard ride ed è per una delle sue cazzate.
E ha detto che lui è incredibile.
Dio, Frank Iero, ubriaco fradicio, è incredibile.
Pazzo di gioia, lo prende per mano, lanciando il bicchiere nel bel mezzo della macchia di alcol:
- Andiamo fuori - lo conduce per corridoi e stanze senza sapere dove sta andando, mentre cerca una porta che dia sul giardino.
Vorrebbe stringerlo e baciarlo, ma sa che non può farlo.
Sarebbe strano.
È strano già tutto quello.
Strano che lo ha imboccato, strano che gli è mancato, strano che è felice se lui sorride, strano che adesso stanno parlando come se fosse niente.
- Hai bevuto tanto? - chiede Gerard a un certo punto, mentre si trovano di fronte all'ennesima porta sbagliata.
Da lì dentro provengono gemiti e grida.
Frank non ci pensa due volte a portare l'angelo via da lì. Che pattume devono essere per lui queste cose. Lui fa l'amore, non scopa, questo è certo.
- Un po'. Hai paura?
- Non so, non sono mai stato solo con un ubriaco.
Non è vero.
Leroy.
Ma adesso non vuole pensarci.
- Penso di essere il più sobrio della festa.
- Non vorrei che avessi bevuto. Voglio parlare col vero Frank.
- L'ho fatto per distrarmi.
- Da cosa?
- Dalla mia vita - Frank taglia corto.
Sta già dicendo troppo.
Eppure è così semplice, confidarsi con lui.
Ma non vuole pesargli - non vuole vergognarsi, non vuole pentirsi e straparlare.
- Questo è il vero Frank - aggiunge, lentamente.
Il vero Frank è quello che si brucia con le canne e con la birra scadente, cosa cazzo pretende di saperne lui?
- Il vero Frank è quello che mi dice ciao alla mattina e sorride.
Il moro rimane zitto.
Gerard sta dicendo tante cose pensando che il giorno dopo lui nemmeno se le ricorderà più.
Arrivano nell'atrio dopo aver sceso chissà quante scale, per miracolo.
Quando escono non gli sembra vero di respirare aria pulita.
Gli altri sono tutti dentro a sniffare, trombare o stordirsi con gli alcolici.
- Grazie per aver buttato la vodka.
- Mi stai dicendo grazie per aver annaffiato la moquette di Woody?
- No, ti sto dicendo grazie perché hai deciso di non bere e... stare con me.
- Non ti piacciono le feste?
- Mia madre mi ha obbligato a venire qui. Pensa che se mi faccio amici comincio a mangiare.
Frank si morde il labbro.
- Perché non mangi, Gerard? - sussurra, sedendosi sul prato.
Quell'esile fonte di vita inestinguibile lo accompagna in ogni movimento.
Sono così vicini che potrebbe appoggiarsi sulla sua spalla.
- Non saprei. Perché ti ubriachi?
- Ho una vita di merda.
- Penso anche io, allora.
Silenzio.
- Balli benissimo lo sai?
Ha trovato il coraggio di sputarlo fuori, finalmente.
Lo guarda per decifrare la sua reazione, deve mettere a fuoco ma alla fine vede la sua pallida carnagione accendersi di un tenerissimo imbarazzo e le sue dita cominciare a strappare fili d'erba, così.
Angelo, angelo.
Che bellezza, che dolcezza.
- Davvero?
- Eri... Wow. Cioè.
- Cosa?
- Balli benissimo - ripete, perché altrimenti dice "sei perfetto" e forse questo non va bene.
Ma se Gerard non mangia vuol dire che si sente grasso e brutto quindi forse ha bisogno di qualcuno che glielo dica per davvero.
Frank si chiede se quel qualcuno debba essere lui o meno.
- Sei stato splendido - si decide infine, mordendosi la guancia.
Gerard sorride, è un sorriso annacquato, Dio, quanto vorrebbe non aver bevuto, ora, per vederlo chiaramente:
- Perché sei scappato?
- Perché non mi hai rincorso?
- Uno a zero per Frank.
- Hai cenato oggi?
- Ho mangiato degli spinaci - si difende debolmente.
- Vorrei portarti a mangiare una pizza.
- Sono le undici.
- Conosco un ristorante italiano che fa una pizza a cinque dollari spaziale. Vieni?
Frank si alza in piedi e barcolla, poi gli tende la mano.
Gerard ride, ancora:
- Un ragazzo ubriaco mi chiede di andare in una pizzeria italiana alle undici. Dovrei accettare?
- Non hai mai fatto questo genere di cose?
- In realtà no.
- Allora le facciamo insieme. Abbiamo già versato della vodka sulla moquette. Peggio di così non può andare.
- Forse hai ragione, lo sai?
Silenzio.
Escono dal cancello della villa, ancora aperto. C'è un sacco di gente che sta entrando, magari già sballata e fatta.
Loro, invece, stanno andando via da quell'inferno.
- La puoi mangiare la pizza vero? Cioè non è che hai una dieta da ballerino o cosa?
A questa domanda Gerard ha una fitta allo stomaco.
Leroy.
- N-no, posso mangiarla.
Ma comincia già a dubitare.
Pizza?
No.
No, non può.
Finirà per ingrassare.
Deve essere magro, per piacere agli altri e per rendere orgogliosi i suoi genitori. Magari si interesseranno più a lui, quando sarà magro e bello, perché a quale genitore interessa un figlio grasso e brutto?
- Okay, perfetto.
- Frank, non so se ho fame.
Pronuncia la frase ancora prima che possa fermarsi.
La sua lingua corre e tutto d'un tratto quello che gli sembrava meraviglia è incubo.
Sente il suo cuore battere come se avesse corso chilometri.
E' così strano l'animo dell'uomo.
Ha cento e mille emozioni e cambiano così in fretta e sembra che si divertano a mutare in questo modo assurdo e repentino - Gerard all'improvviso sente il mondo capovolgersi e si sente in colpa persino per quelle cinque forchettate di spinaci.
Gerard all'improvviso pensa a Leroy e che forse tutto quello è solo colpa sua e sprofonda.
- Ti imbocco io... - Frank gli stringe ancora la mano, non la lascia, ma il suo tono è meno esaltato e più dolce.
Ha capito.
Ha capito cosa gira nella sua testa.
Lo ha capito?
- Non voglio essere brutto.
Si stringe nelle spalle, vorrebbe sparire, vorrebbe mangiare la pizza con Frank, vorrebbe tornare indietro, vorrebbe...
- Non lo sei.
- Non mi va di mangiare Frank. Se mangio sto male. E ingrasso e faccio schifo.
Soffocando, sta soffocando - tutto dentro di lui affonda dolcemente e lui si lascia naufragare ancora e la vocina che ha dentro lo tormenta e lo tortura, indica ogni sua bruttura, ogni sua nefandezza ogni suo angolo pieno di merda fino al midollo e si sente male, si sente male e adesso Gerard vuole farlo, vuole ficcarsi quella dannata pizza in bocca e mangiare e non vomitare ma sa che vomita, vomita, e che vomiti allora, vomiterebbe per tutta la sera, ne varrebbe la pena forse, o forse non vomiterebbe?
Nausea.
Gli viene da piangere, ma non riesce nemmeno a produrre lacrime.
Vuole essere normale, e accettare una pizza alle undici e ridere ed essere abbastanza disinvolto da risultare carino per Frank.
Ma non può mangiare.
Non può.
- Ma andiamo, non...
- Frank! - adesso Gerard urla, ansimando, si divincola e si allontana velocemente di qualche passo, dall'altro lato della strada, girato di schiena.
Improvvisamente ha freddo.
I pensieri ronzano nella sua testa e gli fanno male, tutto gli fa male.
Quello lo guarda, si accorge che sta tremando e ha gli occhi lucidi.
Tutto si ferma in un attimo solo.
- Ti accompagno a casa - mormora, prendendogli la mano. Non vuole spaventarlo, non vuole trascinarlo dentro qualcosa che non vuole fare.
Forse si sta lasciando trascinare.
Dal momento.
Trascinare dal momento.
Sì, forse è proprio così.
Forse.
- Scusami.
Gerard è sicuro che adesso lo sta odiando.
Lo deve odiare.
Come potrebbe mai amare uno come lui?
E perché si sta ponendo quell'inutile problema, se Frank potrebbe amarlo o no, a lui dovrebbero piacere le ragazze punto e basta.
Tutti si aspettano che gli piacciano le ragazze. A lui piacciono le ragazze. Punto e basta.
Gli sono sempre piaciute le ragazze.
Che cazzo di senso ha ora voler baciare, amare Frank.
Vorrebbe prendersi la testa a pugni.
- Non importa, solo, pensavo...
- Scusami - lo ripete, come un automa.
Non sente più nemmeno il cuore.
- Prima sembrava non ti dispiacesse. Ma è okay. Anzi, scusa io che ti ho proposto una cosa del genere e ho insistito, sono ubriaco e... Non so nemmeno quello che sto dicendo. E' okay. E' okay.
Silenzio.
- È okay davvero?
Non faccio cagare vero?
- Certo. Stai tranquillo. È normale io... Non posso pretendere di... Curarti.
Silenzio.
Gerard pensa.
Curarmi.
Se non ci sono riusciti i medici a curarlo chi potrebbe farlo?
- Domani vieni a pranzo? - Frank tiene la sua mano, gli trasmette calore.
- Dovrei?
- Senza di te sto sempre solo in mensa.
Mezza verità e mezza bugia.
A volte viene Ray.
Ma stare con lui è come stare soli, forse peggio.
- Ti ho dato fastidio quando ti sono caduto addosso? - Gerard ricorda la sensazione di abbandonarsi al vuoto e le sue mani e le polpette con il purè e loro due che camminavano insieme per prendere un altro vassoio.
- No...
Mi sei sembrato bellissimo.
- No, certo che no - sorride.
- Non lo so.
- Che cosa?
- Se voglio venire a pranzo. Non so se ci riesco.
È ubriaco fradicio, cosa potrebbe ricordare di tutto questo?
Niente.
Forse non sa nemmeno che sta parlando con Gerard.
Forse non si rende conto di quello che sta facendo.
- Dov'è la tua casa? Ti accompagno - un sorriso enorme, pieno d'alcol, ma almeno è sincero.
- Sei ubriaco... Dovrei accompagnarti io.
- Non preoccuparti per me, va bene così - Frank pensa al suo condominio pieno di muffa, pensa alla puzza di piscio di gatto sul pianerottolo e alle bottiglie di birra e alle siringhe vuote sugli scalini, pensa al suo quartiere pericoloso e alle persone che girano lì a notte fonda con le pistole e la cerniera dei pantaloni slacciata per sbattersi le puttane nigeriane nascoste al buio. Potrebbero fare del male a Gerard. Gerard così immacolato, fragile, tenero - una preda perfetta.
Al solo pensiero gli vengono i brividi.
No, no, deve portarlo al riparo.
Dove sa che sarà custodito.
- Sei sicuro di voler tornare a casa solo?
- Ma certo - sorride.
Anche Gerard si preoccupa per lui.
- Ti accompagno - ripete poi, carezzando la sua mano. Si sente bene mentre lo fa. Calore. Sente calore.
Il ragazzo di giglio arrossisce ancora, poi comincia a camminare, e il moro lo segue.
- È lontano da qui?
- In realtà no, cinque minuti.
E così anche lui abita nel quartiere dei figli di papà, pensa Frank.
Ma chi lo ha mai visto un figlio di papà che non mangia ed è così debole e bisognoso?
Chi ha mai visto un figlio di papà che danza in quel modo?
Chi ha mai visto un figlio di papà triste?
Chi ha mai visto un figlio di papà su un lettino d'ospedale, solo?
È un miraggio.
- Tu dove abiti? - Gerard lo chiede con naturalezza, come si chiedono tante cose.
E adesso cosa dovrebbe dire? Non vuole mentirgli.
Ma si vergogna.
- Uhm - esita, indeciso se dire la verità o no, indeciso se svelarsi del tutto o nascondersi ancora per un po' - Non... Non so, non penso tu conosca la zona, ti sei trasferito da poco. Comunque non ci si mette tanto da qua.
Già, non ci si mette tanto a passare dalle ville profumate di soldi alle catapecchie dei disperati.
Per un po' camminano in silenzio.
Mano nella mano.
Frank vorrebbe solo fermarlo e baciarlo contro il muro, dirgli quanto lo ha amato, quanto gli è sembrato bello e struggente.
- È stata dura andarsene da New York?
- Non tanto, in realtà. Avevo un solo amico, ed è sparito in fretta.
- Mi dispiace.
- Non è niente. Non ci ero nemmeno così affezionato - si morde il labbro pensando a Bert.
Sì, si era affezionato.
Ma, come al solito, Bert aveva trovato di meglio.
Come al solito.
Come sempre.
A nessuno Gerard Way era mai bastato.
Nessuno aveva mai guardato le sue fragilità e poi lo aveva preso per mano.
- Hai lasciato qualche bella ragazza per venire qui?
Gerard ride:
- Non sono il tipo.
- Non sei il tipo?
- No.
È gay? Se lo chiede, Frank, osservando il suo passo femmineo e i suoi lineamenti dolci.
- Mi ricordi un elfo - dice, piano.
- Quelli di Babbo Natale?
Un risolino delizioso, le mani nelle tasche mentre di sottecchi guarda Frank camminare.
- No, no, quelli tipo... Ne Il Signore degli Anelli.
- Lo hai letto?
- In realtà no, cioè, qualche pagina - Frank pensa a quando era seduto a gambe incrociate sul pavimento della libreria ad ammirare l'unico libro che aveva visto in vita sua, a leggerlo quasi fosse un sacro mistero, e ad un certo punto la libraia gli aveva detto che per leggere bisogna comprare.
Ventidue dollari? Non se lo sarebbe potuto permettere mai.
Aveva lasciato il libro nel suo scaffale tristemente.
- Io l'ho a casa, mi piace molto. Se vuoi te lo posso prestare. Così lo finisci.
- Non so. Non sono il tipo.
Entrambi ridono.
- Cioè?
- Mi piace più ascoltare qualcuno che legge che farlo da me. Anche se nessuno mi ha mai letto niente tranne la mia maestra delle elementari.
- Potrei farlo io.
- E quando?
- Quando non abbiamo le lezioni del pomeriggio puoi venire a casa mia.
Gerard si ferma davanti a quella che deve essere la sua casa, esitante.
In un secondo si chiede mille cose, tra cui cosa diamine stai facendo e chissà che dirà ora.
Frank guarda l'edificio, rapito, a suo malgrado.
Villa enorme, chiara, giardino curatissimo, una siepe ordinata dietro al cancelletto.
Un bel posto.
Non sa che dire.
Vuole sì, andare a casa di Gerard, avere la sua voce per sé.
Ma cosa gli dà il diritto di avere tutto questo?
Lui?
Non se lo merita.
- Beh, va bene - accetta solo perché non saprebbe fare altro.
- Però prima studiamo.
- Che? Stai scherzando spero.
- Assolutamente no.
Ridono ancora, silenzio.
Sei fottutamente bello, Gerard.
- Buonanotte, allora - Frank si inchina con un gesto teatrale.
Gerard sorride.
- Grazie - dice.
- E di cosa?
- Tutto.
Fa per andarsene, con un sorriso, apre il cancello, poi sembra ripensarci.
Voltandosi di nuovo verso il moro e si sporge per sussurrare al suo orecchio:
- Grazie - ripete.
Poi corre via, dentro la sua enorme casa.
Frank lo guarda attraversare il giardino e aprire la porta.
L'angelo lo saluta da lontano, poi sparisce.
Frank rimane in contemplazione per qualche secondo.
Spera di non aver immaginato tutto.
Sta lì, non sa per quanto tempo.
Si siede sulla strada e rimane a fissare il buio, i lampioni, le stelle, l'infinito, e pensa che anche Gerard viene da quella massa di corpi celesti, creato apposta per lui, per essere con lui, anche solo quella sera e poi mai più.
Fa mille pensieri, forse dice anche "ti amo" ad alta voce.
Infine si alza in piedi, guarda le finestre, ne sceglie una e decide che è quella della sua stanza. Sente il cuore scoppiargli, non resiste e gli manda un bacio.
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