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Pian piano Temari iniziò ad affaticarsi: il respiro le si fece pesante, gli arti le iniziavano a far male, in particolare le mani le pulsavano terribilmente nonostante non avesse, in realtà, colpito niente se non le mani di Kiba che, prontamente, era sempre riuscito a bloccare i suoi attacchi.
Ci aveva messo tutta la forza, la rabbia e il chakra che aveva avuto nel corpo in quei colpi, eppure proprio per colpa della foga che ci stava mettendo nel tentativo di colpirlo, non era mai stata in grado di sfiorarlo; Temari era nettamente più forte, intelligente e veloce di Kiba, eppure in quel momento la donna stava lottando in maniera misera, le sue abilita ninja non stavano risaltando per nulla.
Per quanto la sua mente fosse offuscata dalla collera, da kunoichi esperta quale era sapeva di star agendo di impulsività, senza una buona strategia.
Dopo aver sferrato un ultimo attacco nullo, Temari si placò.
Abbandonò le braccia doloranti lungo i fianchi, aprendo e chiudendo con calma le mani, cercando di riavviare la circolazione sanguigna, sperando che il dolore lancinante si alleviasse.
Non aveva smesso di elaborare le ultime parole di Kiba, quegli insulti sputati con irriverenza e cattiveria, ignoranza, che tanto l'avevano fatta alterare a tal punto di non riuscire più a contenersi, più le risuonavano nella testa, più la facevano star male, sentire ferita, offesa, a tal punto che si era domandata se effettivamente le affermazioni del moro non fossero vere: forse era lei il problema, forse era davvero per colpa sua che tutto stava andando male, forse era lei quella nel torto.
Per la prima volta in tutta la sua vita Temari aveva davvero messo in dubbio se stessa e il suo modo di fare, il suo essere, il suo carattere.
Doveva ammettere che le rodeva il fatto di non essere stata in grado di dare una lezione a quel pulcioso ficcanaso dell'Inuzuka che aveva davvero superato il limite con il suo essere invasivo.
Gli occhi dal taglio felino, in totale contrapposizione con l'essere canino di Kiba, seppur lucidi per via dell'alcool, erano ben attenti e limpidi, privi di ogni disagio, di alcuna preoccupazione, al contrario di quelli spenti di Temari.
Seppur scocciato e offeso, per essere stato trattato in malo modo, per l'ennesima volta, dalla moglie di uno dei suoi amici, l'espressione sul volto di Kiba era tornata serena, per quanto fosse seriosa non mostrava più, come fino a pochi secondi fa rabbia.
Ci fu un momento di silenzio e staticità, nessuno dei due si mosse ne parlò, a malapena i due respiravano immersi nel buio nel mezzo di quel vicolo sterrato.
Il fiato alcolico e caldo di Kiba solleticava, pungente, le narici di Temari che, immobile davanti a lui, stava riprendendo fiato.
Al contrario dell'altro, che respirava tranquillamente, con calma e in maniera costante, la bionda stava faticando parecchio a riprendersi: il petto le si alzava e abbassava velocemente, i suoi respiri profondi e scostanti erano gravosi, spezzavano l'agonizzante silenzio.
La collera di Temari sembrava essersi placata, eppure dal suo viso, la sua espressione, i suoi occhi era ben chiaro che non fosse bastato quello ''scontro'' ad alleggerirla, anche se in quel momento il suo corpo immobile sembrava essere stato completamente prosciugato da ogni energia, persino dalla rabbia che l'aveva fatta agire con imprudenza.
I due si fissavano intensamente e nessuno pareva voler rompere quel contatto visivo, nella penombra i loro occhi erano fissi gli uni in quelli dell'altro.
L'Inuzuka cercava di capire che cosa le stesse passando per la testa, che cosa avrebbe fatto ora che pareva essere riuscita a sfogarsi un minimo, ad aver liberato il suo corpo da almeno un po' di quella rabbia repressa che si teneva dentro.
Gli occhi di Temari erano torbi, pareva in uno stato di calma apparente, di trance; stava recuperando le forze e, poi, che cosa avrebbe fatto?
Kiba doveva essere pronto a fermarla qualunque azione avrebbe deciso di compiere, non era in sè, qualsiasi sua decisione sarebbe stata causata dallo stato confusionario in cui si trovava, non le avrebbe lasciato fare nulla di avventato, a costo di doverla trattenere con la forza e riportarla a casa trascinandola.
Forse Temari aveva ragione, non avrebbe dovuto ficcare il naso in una situazione che non lo riguardava, eppure credeva che quello che stava facendo fosse la cosa giusta per far sì che la situazione non peggiorasse: voleva, davvero, in maniera genuina, aiutarla a star meglio.
Gli dispiaceva vederla in quel modo e ancor di più gli dispiaceva il fatto che fosse stato l'unico, nonostante non fosse, di certo, un suo caro amico, a notare la sua immensa tristezza e solitudine.
Sapeva che Shikamaru non era il massimo della perspicacia quando non si trattava di logica, ma quanto bisognava essere cechi per non notare che la propria moglie stesse soffrendo in quel modo?
L'espressione sul volto di Kiba si fece cupa, non potè che rattristarsi e patire per lo stato in cui si trovava Temari.
L'Inuzuka non avrebbe dovuto perdersi in tal modo nella profondità dello sguardo di Temari, la sua distrazione fù fatale.
La bionda aveva colto al balzo l'opportunità di sferrare un colpo con la sicurezza di metterlo a segno quando si era resa conto che l'altro aveva abbassato la guardia, era stata questione di pochi millesimi di secondi, giusto il tempo di un battito di ciglia.
Temari aveva usato le sue ultime forze e aveva sganciato un destro in pieno volto a Kiba, quando lo aveva colpito aveva perfettamente percepito sulle sue nocche lo zigomo dell'uomo collidere.
L'urto fu parecchio rilevante: la testa di Kiba scattò di novanta gradi verso sinistra, seguendo la spinta imposta dal pugno.
Alla fine era riuscita a colpirlo, non gli aveva preso il naso solo perchè, nonostante l'uomo avesse abbassato la guardia per quei pochi effimeri istanti, era riuscito, in qualche modo, a voltare appena il viso prima che il pugno collidesse proprio al centro di esso.
La bionda dovette immediatamente tirare in dietro il braccio appena dopo aver sferrato il pugno che le aveva iniziato a fare parecchio male dopo il colpo: era come se dalle sue nocche fosse partita una scarica elettrica che era risalita lungo il braccio, le aveva preso i nervi, per non parlare del bruciore lancinante dei suoi muscoli.
Nonostante il male, poteva ritenersi un minimo soddisfatta, anche se lo aveva colpito sfruttando il suo momento di distrazione, era fiera di avergli tolto dal volto quell'espressione ebete piena di compassione, pietà nei suoi confronti: quell'atteggiamento da cane bastonato l' aveva fatta adirare ancor di più, Kiba pareva essere in grado di tirare fuori il peggio da lei, anche se aveva fatto di tutto pur di trattenersi e non coinvolgerlo in quella situazione che non lo riguardava.
Akamaru mugulò, ma non si mosse, per quanto fosse dispiaciuto dal fatto che il suo padrone fosse stato colpito, gesto che, in passato, era costato la vita a chi aveva osato compierlo, il cagnolone non intendeva intromettersi in quella situazione già fin troppo complicata e delicata: ci mancava solo che, lui, un cane di una certa età, sempre più vicino alla pensione, si intromettesse per placare uno scontro al di fuori del suo orario lavorativo, anzi, per dirla tutta, a quell'ora il cane avrebbe dovuto già essere a dormire da un pezzo.
Kiba, lentamente, non appena Temari ritirò il braccio, che ora si stava massaggiando, con delicatezza, aveva voltato la testa dal lato opposto in cui era stata spinta qualche istante prima, ritornando a guardare in faccia la donna che lo aveva colpito.
Il moro portò una mano sullo zigomo offeso, sfiorandoselo appena: era bollente, pulsante, faceva male, ma era un dolore sopportabile tutto sommato, nulla di grave, sarebbe stato molto peggio se l'avesse colpito sul naso, lì sì che sarebbe stato un danno di una certa gravità.
Questo non voleva dire che Kiba non si fosse alterato, Temari le aveva comunque tirato un pugno in modo ignobile, vile, se fosse riuscita a colpirlo in maniera onesta, di certo non si sarebbe irato tanto.
Aveva sbagliato ad abbassare la guardia, non aveva problemi ad ammetterlo, ma il fatto che quella stronza irriconoscente si fosse permessa di colpirlo proprio in quel momento era ancor più sbagliato e, soprattutto meschino e sleale e se c'era una cosa che non tollerava era proprio la scorrettezza.
Era vero che in battaglia non c'erano regole, in amore e in guerra tutto è concesso, ma ciò non voleva dire che in qualsiasi caso andasse bene quel tipo di offensiva, soprattutto in questo caso, dove ''il nemico'' in realtà era la sua alleanza, alleanza che con quel gesto ignavo aveva appena perso.
Stupido lui e la sua genuina bontà che non faceva altro che trascinarlo in situazioni scomode, a farsi ferire da persone che non si meritavano nemmeno di essere un suo pensiero; l'uomo ne aveva prese tanti di rifiuti e di trattamenti gretti da ragazzino, eppure non sembrava aver ancora imparato la lezione e si ostinava sempre a voler salvare l'insalvabile, chi non voleva essere salvato, o almeno non da lui.
Era ormai chiaro che Temari non intendeva minimamente cedere, nonostante davvero necessitasse di un aiuto, si rifiutava di accettarlo, piuttosto di mostrare le sue insicurezze e risolvere i suoi problemi, preferiva essere aggressiva e crogiolarsi in tali.
Le labbra della bionda si erano leggermente inarcate verso l'alto, in un sorriso di scherna appena accennato, che, però, durò ben poco: il suo ghigno si tramutò in un'espressione costernata quando i suoi occhi si puntarono, di nuovo, in quelli di Kiba.
Lo sguardo dell'Inuzuka era ostile, carico di avversione, sadismo; i suoi occhi si erano fatti più piccoli, si erano infossati ed erano fissi sulla preda da assaltare.
''Fottuta stronza...'' Aveva ringhiato, a denti stretti, mostrando i canini appuntiti, mentre il sorriso di scherna che aveva lasciato le labbra di Temari si era spostato sulle sue.
Proprio come un cane rabbioso, dalla sua gola era uscito un grugnito prolungato, viscerale.
I polmoni le bruciarono, ma era un bruciore diverso da quello che le era stato provocato dall'affaticamento, dalla mancanza di ossigeno, era una infiammazione interna causata dall'impossibilità dell'aria, che faceva pressione nei suoi polmoni, di espandersi.
Si rese conto di avere difficoltà a respirare, ancor prima di capire il motivo per il quale stesse lentamente soffocando: l'Inuzuka era stato rapido nei movimenti, più di lei quando lo aveva colpito, ma le differenze sostanziali tra i due attacchi erano che quello del secondo era stato leale e molto più doloroso ed efficace del primo.
Successivamente ci fu l'urto contro il muro: la sua schiena, la sua testa, vennero sbattute contro un freddo e ruvido muro di pietra.
Il suo corpo incassò il colpo e rimase schiacciato, dolorante e in debito di ossigeno, tra la parete e Kiba.
Un rantolo sfuggì dalla gola della donna, fu l'unico verso che riuscì a evadere dalla sua trachea stretta in una morsa che la stava facendo agonizzare.
Riusciva appena appena a respirare, se la sua gola fosse stata premuta leggermente più forte sarebbe morta strangolata.
Il fiato alcolico di dell'Inuzuka, a pochi centimetri dal suo volto, la disgustava, se avesse potuto avrebbe trattenuto il fiato pur di non respirare quell'odore pungente che la disturbava, ma in questo caso quell'azione era sconsigliabile, non contemplata.
Temari non si sarebbe mai aspettata che il moro avrebbe agito in maniera simile, l'aveva appena assalita, resa incapace di muoversi e persino di respirare; quali erano le sue intenzioni?
Faticava a tenere gli occhi aperti, ma teneva ben spalancata la bocca con la speranza di incanalare ossigeno o di riuscire ad urlare, ma purtroppo non riusciva a fare nulla di ciò che sperava.
Non aveva mai visto Kiba divenire così aggressivo e violento, ai suoi occhi era ancora il lo sciocco ragazzino insolente e attaccabrighe di anni fa, un piccolo chihuahua che non faceva altro che abbaiare sperando di risultare spaventoso, cercando di compensare la sua minutezza e inutilità; in questo momento, però, più che un chihuahua, sembrava un rottweiler pronto ad azzannarle la giugulare.
I suoi piccoli e affusolati occhi neri si erano rabbuiati, c'era un alone di aggressività che li stava oscurando, la mascella era tesa, spigolosa e i denti, perfettamente bianchi e dritti, erano serrati e venivano digrignati tra di loro con rabbia e il naso era arricciato di conseguenza a quell'espressione cagnesca.
Nemmeno se avesse avuto le forze sarebbe stata in grado di spingerlo via, il corpo muscoloso e solido di Kiba era premuto contro il suo ed era irremovibile.
Dato che non poteva allontanarlo, come riflesso naturale, Temari si aggrappò a lui: strinse le dita intorno ai lembi del collo della sua giacca; il tessuto peloso, di una texture morbida, era confortante al tocco.
Cercò di strattonarlo, ma non aveva abbastanza forze per mantenere salda la presa e per scuoterlo: il suo corpo stava ormai cedendo, in severo debito di ossigeno.
Akamaru abbaiò, tirandosi in piedi, cercando di richiamare il padrone che sembrava essere caduto in uno stato di trance da cui non voleva o non poteva riprendersi.
Il suo verso rimbombò nel buio, echeggiando in quella via sperduta agli estremi di Konoha.
Se non fosse stato per il cagnolone, probabilmente la donna sarebbe morta soffocata a breve.
Il cane ninja puntò il padrone con i suoi grandi occhi stanchi e affaticati dalla vecchiaia, con la sicurezza che il suo richiamo lo avrebbe fatto tornare in sè in men che non si dica.
L'animale aveva lasciato agire il padrone in libertà, nonostante, lui, sin dall'inizio aveva avvertito che la situazione sarebbe presto degenerata, ma non si sarebbe mai aspettato, anche se in realtà avrebbe potuto predirlo, che Kiba avrebbe davvero ricorso alla violenza, accecato da quel raptus di rabbia.
L'Inuzuka era istintivo, lo era sempre stato, e questo suo essere avventato, l'agire senza fermarsi a pensare troppo alle conseguenze gli era costato caro parecchie volte, soprattutto durante le battaglie, se si fosse fatto guidare un po' meno dal suo istinto animale a volte e un po' di più dalla ragione si sarebbe potuto evitare un sacco di grane.
L'istinto animale era dettato da impulsi naturali, mentre la razionalità era basata sull'intelligenza, sulla logica, attributi di cui Kiba era poco dotato.
L'abbaio del cane venne percepito in maniera fioca, ovattata da Temari: l'unica cosa che percepiva in maniera chiara, talmente tanto da essere fastidiosa, era il rimbombare del suo battito cardiaco, le sembrava che il suo cuore, più che nel petto, fosse nella sua testa.
L'uomo percepì, invece, forte e chiaro, il richiamo dell'amico peloso: il suo corpo scattò sull'attenti, ebbe uno spasmo, e gli occhi, rimasti fissi sulla preda fino a quel momento, avevano iniziato a saettare a destra e a sinistra alla ricerca di colui che aveva emesso quel verso.
L'espressione sul suo volto si fece sempre meno aggressiva, i lineamenti del suo viso si rilassarono fino a distendersi completamente, a riposo; ora la confusione più totale regnava sul suo volto e non appena si accorse di quello che stava facendo impallidì, impaurito dalle sue stesse azioni di cui non ricordava l'origine.
Non era la prima volta che la rabbia lo facesse sbottare e compiere gesti carichi di aggressività, ma non si era mai spinto tanto oltre, non aveva mai messo le mani addosso a nessuno, se non per le giuste ragioni e, questa volta, non aveva giustificazioni per la sua rabbia: aveva fatto tutto da solo, si era spinto lui oltre, il fatto che Temari lo avesse colpito era stata la conseguenza del suo continuo e imperterrito ficcanasare, quel pugno, seppur scorretto, se l'era più che meritato.
I sensi di colpa lo assalirono dall'interno, sentiva il suo corpo farsi molle, estenuato dalla pesantezza che gli gravava addosso internamente.
Lasciò velocemente, con uno scatto, la gola di Temari, cercando di indietreggiare il più lontano possibile dalla donna che aveva quasi ucciso involontariamente.
Temari fece un grosso respiro profondo, seguito da altri altrettanto lunghi e affaticati, riprendendosi pian piano dallo shock.
Il sangue ricominciò a confluire nel suo corpo, risalendo alla testa che le pulsava terribilmente per la mancanza di ossigeno al cervello.
Le serviva un istante per riprendersi e per analizzare ciò che era appena successo.
Nonostante Kiba avesse tentato di allontanarsi, impaurito, lei non glielo aveva permesso: le sue mani erano rimaste salde aggrappate alla giacca dell'uomo, come se questa fosse il loro unico appiglio sicuro.
Il suo corpo tentava di cedere verso terra, sfinito, ma grazie a quella presa ferrea, la kunoichi riusciva a reggersi in piedi, gravando, con il suo peso, sul moro.
''T-Temari... mi dispiace. I-io non so cosa mi sia preso! Parlami! Stai bene?'' Balbettò, preoccupato, l'Inuzuka, non avendo la minima idea sul come procedere, ne tantomeno sapeva che cosa aspettarsi, ora, dall'altra.
La sua voce era carica di preoccupazione, non era più cupa e profonda, bensì si era fatta appena più acuta, distorta dall'ansia.
Dato che la donna non pareva avere intenzione di staccarsi da lui, di conseguenza, come gesto di riflesso, Kiba la sorresse per le spalle con una delicatezza e premura, un tocco così gentile e avvolgente, che pareva impossibile che le stesse mani capaci di essere così affabili, fossero le stesse in grado, con la loro forza di uccidere una persona con la loro sola pressione.
Il ninja, normalmente, non avrebbe avuto problemi a sorregge il peso della donna, peso inesistente a confronto al massimo che era in grado di sollevare, ma in quel momento di estrema debolezza emotiva e mentale, gli sembrava che il corpo di Temari pesasse quanto il macigno di sensi di colpa che aveva sul cuore.
Guardò verso il basso, con le labbra tese in una smorfia preoccupata, non sapendo ne cosa dire, ne cosa fare, non sapendo se avesse dovuto semplicemente rimanere in silenzio e non muoversi o se, al contrario, aprire di nuovo bocca e compiere un qualsiasi gesto, spostarsi.
Temari, a sua volta, teneva la testa bassa, gli occhi puntati sul petto dell'uomo, che, a differenza del suo, che si alzava e abbassava ritmicamente e vistosamente, pareva muoversi appena durante il processo respiratorio regolare, che in quel momento a lei sembrava impossibile da eseguire, un'utopia, dato il suo stato.
Il moro lanciò, dubbioso, un'occhiata al suo cagnolone, come se quest'ultimo avesse potuto aiutarlo, come se non avesse già fatto abbastanza evitandogli di commettere un omicidio.
Akamaru si limitò a riaccasciarsi a terra con lentezza, emettendo uno sbuffo seccato, non appena il suo corpo stanco toccò il terreno, non dando più minimamente retta al padrone, non degnandolo nemmeno di uno sguardo: come minimo, dopo questo gesto eroico al di fuori delle sue ore di servizio, si meritava un giorno libero in più quella settimana.
Poi Temari si mosse e compì un gesto che Kiba non si sarebbe mai aspettato da parte sua: tentò di baciarlo, o meglio lo baciò, prima che lui se ne rendesse conto e potesse scostarsi evitando che le loro bocche si unissero.
Temari no Sabaku, moglie di Shikamaru Nara, sposato da anni e con un figlio, che aveva sempre dimostrato un certo sdegno, antipatia, odio, nei suoi confronti l'aveva appena baciato.
Frugale, avventata, aveva collocato le sue labbra su quelle dell'altro, in un bacio veloce e leggero, che se non fosse stato per Kiba, che si era tirato indietro non appena si era reso conto di quello che era appena successo, avrebbe potuto diventare un qualcosa di più impegnativo.
Di nuovo, Kiba tentò di indietreggiare e allontanarsi da lei, più confuso e spaventato di prima, e, ancora, lei non glielo permise: la presa che aveva sull'abito del moro era ferrea, irremovibile, tanto che l'altro non riuscì nemmeno a muovere il proprio corpo quanta era salda la presa di Temari che pareva aver recuperato abbastanza le forze, ma non la ragione.
A questo punto Kiba cercò di staccarsi la donna di dosso una volta per tutte: poggiò le mani su quelle di lei, cercando, sempre con una certa delicatezza, di farle allentare la presa, strattonandola appena, quanto bastava per farle perdere l'appiglio.
''M-ma... Cosa ti è venuto in mente, Tem-''
''Ti prego Kiba, ne ho bisogno...'' Lo interruppe, supplicante, con un tono che non le apparteneva, mai l'aveva sentita parlare in maniera così pacata, flebile, con la voce rotta dalle emozioni.
''Se davvero vuoi aiutarmi... fai sesso con me!'' Concluse, d'un fiato, senza pensare due volte a quello che aveva detto, senza filtri, senza nemmeno dare tempo al suo cervello di analizzare per bene quell'idea malsana; se prima non aveva ragionato per la rabbia, ora stava totalmente delirando per la mancanza di ossigeno al cervello.
Non ci fu un singolo istante, quando Kiba le aveva messo le mani addosso e aveva premuto il suo possente corpo contro il suo più minuto, in cui aveva avuto paura, timore di quello che stava succedendo, nella situazione di semi-pericolo in cui si era trovata, dentro di se, nel momento in cui c'era stato quel contatto fisico, anche se violento, qualcosa si era acceso, aveva preso ad ardere, si era innescata una scintilla che l'aveva fatta sentire viva, nonostante era quasi stata strangolata.
Poi c'erano stati quei tocchi gentili, premurosi, che le avevano dato un senso di protezione, l'avevano fatta sentire al sicuro.
Era da un sacco di tempo che un uomo la sfiorava, non sapeva nemmeno dare un numero ai mesi passati dall'ultima volta che Shikamaru le aveva anche solo accarezzato un braccio, e quando il moro l'aveva toccata, era stato come se fosse stata la sua prima volta da sempre.
Il ninja strabuzzò gli occhi, pietrificato e sempre più confuso, incapace di credere a quello che stava succedendo; non aveva mai visto un'espressione simile sul volto di Temari, in realtà nessuno l'aveva mai guardato in quel modo in tutta la sua vita.
Letteralmente lo stava supplicando con gli occhi: lo guardava dal basso, aggrappata al suo petto come se fosse la sua unica ancora di salvezza, con gli occhi lucidi, ma non per il pianto, la bionda non stava per piangere, non c'era più rabbia e tristezza in quello sguardo, o meglio c'erano ancora tracce di quei sentimenti che risiedevano ancora dentro di lei, ma non erano quelle le emozioni che la stavano sovrastando in quel momento.
I suoi grandi occhi verdi si erano riaccesi, brillavano, non erano più spenti e cupi, erano vividi e carichi di speranza, la speranza che lui la facesse sentire donna: voleva essere posseduta e voleva possedere, voleva essere ammirata, apprezzata, capita, ascoltata.
Temari aveva bisogno di un nuovo stimolo, di una novità, di qualcuno che la distrasse da quella che era la sua noiosa e monotona vita da casalinga, da qualcuno che le desse un motivo per non abbandonare del tutto la sua vita a Konoha, una ragione per non scappare da quella realtà che le stava stretta.
Sapeva, era fin troppo convinta, che, tanto, affrontare Shikamaru era una perdita di tempo, ci aveva provato mille volte a parlargli, ma suo marito non aveva mai tentato di ascoltarla, urlargli addosso per l'ennesima volta, come già sapeva da sè e gli aveva fatto notare Kiba, non avrebbe cambiato la sua situazione di disagio.
E, allora, se Shikamaru era il primo a non dare peso al loro rapporto, ormai in bilico, nemmeno lei si sarebbe più stressata al pensiero: avrebbe continuato a occuparsi della casa come aveva sempre fatto e avrebbe continuato a seguire il figlio, anche se con quest'ultimo, ultimamente non avesse un grandissimo rapporto, avrebbe adempito al suo ruolo di madre e casalinga, niente di più e niente di meno di quello che aveva sempre fatto, con la sola differenza che d'ora in poi, non si sarebbe più fatta pesare la situazione e si sarebbe concentrata su sè stessa e avrebbe fatto fruttare il suo tempo libero, dando sfogo alle sue esigenze primarie represse.
Ovviamente, per soddisfare le sue mancanze, aveva bisogno di qualcuno che fosse disposto a intraprendere con lei una relazione extraconiugale senza impegno e, chi, se non Kiba, sarebbe stato in grado di adempiere in maniera impeccabile al ruolo di amante?
Sì, l'aveva disprezzato fino a qualche minuto fa, ma si era ricreduta nei suoi confronti e non avrebbe avuto problemi a chiedergli scusa, ad ammettere che si era comportata in maniera pessima con lui per anni; se avesse accettato la sua richiesta disperata, si sarebbe fatta perdonare nei migliore dei modi.
L'Inuzuka le sembrava, in quel momento di follia, di totale debolezza, la persona più adatta ad aiutarla, lui stesso aveva offerto, più e più volte, il suo aiuto in maniera insistente: se davvero desiderava aiutarla come aveva detto fino a qualche istante fa, non si sarebbe fatto alcun problema a rifiutare l'offerta di Temari.
La donna sapeva che quello che stava chiedendo a Kiba era tanto, non si era di certo dimenticata che il moro, prima di essere il suo potenziale amante, era in primis uno dei migliori amici di suo marito; sapeva che era egoista, sbagliato da parte sua buttarsi nelle braccia di un altro uomo, alla ricerca del conforto che le mancava da tempo, e sapeva che chiedere a una persona, tanto vicina a Shikamaru, di offrirle quel tipo conforto che lei bramava, la rendeva doppiamente una persona egoista e orribile, ma non le interessava, voleva essere egoista, voleva avere ciò desiderava per una volta, dopo tanto tempo, e non aveva intenzione di dare peso ai problemi che sarebbero sorti di conseguenza alla sua decisione.
Se Kiba avesse accettato di essere il suo amante, quello, nei confronti dell'ignaro Shikamaru, sarebbe stato un doppio tradimento.
Kiba era rimasto immobile, non avendo la minima idea di che cosa dire o fare, la situazione era degenerata ed era anche colpa sua se ciò era accaduto.
Se solo si fosse fatto gli affari suoi una buona volta, si sarebbe evitato di finire in una situazione tanto delicata.
Era davvero dispiaciuto per Temari, percepiva il suo sconforto, quanto si sentisse sola, abbandonata, di quanto necessitasse di qualcuno al suo fianco che le ricordasse che cosa volesse dire essere desiderata e apprezzata; il suo olfatto non sbagliava mai, gli era bastato annusarla una volta per sapere tutto quello che la donna desiderasse e le sue mancanze.
Certo, non si sarebbe mai aspettato che la donna si sarebbe sbilanciata così tanto, si sarebbe arresa ai suoi bisogni, apparentemente più forti della sua forza di volontà, del suo carattere fermo e sicuro, da chiedere, proprio a lui, in maniera così esplicita, di colmare i suoi vuoti.
L'offerta di aiuto del moro, la mano che le aveva offerto, di certo non comprendeva quel tipo di trattamento: era da escludere che lui tradisse il suo amico Shikamaru con sua moglie, anzi, da vero amico sarebbe dovuto correre, immediatamente, dall'uomo a dirgli cosa, Temari, gli aveva appena offerto.
Forse avrebbe dovuto davvero farlo, almeno in quel modo si sarebbe evitato altre grane e, finalmente, il Nara si sarebbe reso conto di quanto il suo matrimonio fosse appeso a un filo.
Ambasciatore non porta pena, eppure l'Inuzuka non credeva nemmeno che fosse giusto che spettasse a lui comunicare all'amico che cosa passasse per la testa a sua moglie, tantomeno voleva mettere nei guai quest'ultima che era già, fin troppo, incasinata.
Sì, si era permesso di fare notare al suo amico, ma sempre e solo in modo scherzoso, che avrebbe dovuto metterci un po' di impegno nella sua relazione, ma, di certo, non si era mai spinto così in là, e non aveva intenzione di farlo ora, non aveva mai preso seriamente l'argomento perchè, appunto, non erano affari suoi.
Eppure aveva offerto a Temari una spalla su cui piangere, le avrebbe dato volentieri dei consigli, per aiutarla a sistemare le cose, anche se il matrimonio suo e di Shikamaru non erano affari suoi.
Che ipocrita e incoerente che era: non voleva intromettersi, ma voleva aiutare, non voleva esporsi, ma non poteva fare a meno di dire la sua; la sua sindrome della crocerossina, la sua sfacciataggine e il suo non volersi prendere responsabilità erano in contrasto.
Era talmente confuso sul da farsi che se non avesse preso le distanze da quella situazione e si fosse dato del tempo per riflettere su come comportarsi da lì in poi, avrebbe continuato a finire in un loop di situazioni analoghe a quella che stava vivendo.
Purtroppo, però, di mezzo c'era anche Temari, in uno stato confusionario peggiore del suo.
Per quanto, in quel momento, l'unica cosa che avrebbe voluto e dovuto fare sarebbe dovuta essere filarsene a casa e farsi una bella dormita ristoratrice, non si sarebbe mai perdonato di aver abbandonato la problematica bionda in mezzo alla strada, di notte, dopo averla aggredita fisicamente.
Una volta ancora il suo spirito da crocerossino, da cane da supporto emotivo, aveva prevalso sulla ragione, sul suo istinto canino che gli stava incitando a fuggire e che, per una volta, sarebbe stato un bene se avesse seguito.
Esattamente Kiba che cosa si aspettava sarebbe successo, dopo quello che Temari gli aveva detto chiaramente, in maniera fin troppo esplicita, una volta varcata la soglia del suo appartamento?
L'Inuzuka aveva ben pensato di portarsi a casa la donna, non sapendo cos'altro fare, di certo non avrebbe mai potuto abbandonarla in mezzo alla strada, a notte fonda, in quello stato confusionale in cui si trovava: si sarebbe sentito in colpa per il resto della sua vita se avesse commesso un gesto tanto vile.
La bionda sembrava aver abbandonato l'idea di andare a cercare suo marito, ormai quello era divenuto il suo ultimo pensiero, ma non intendeva nemmeno volere andare a casa: era stata irremovibile sulla sua decisione e l'uomo non aveva potuto far niente se non assecondarla, non avendo altra scelta, se non quella di darle ciò che voleva.
Stare in mezzo alla strada a discutere non era stata una buona idea sin dal principio e, ora, che la situazione si era fatta ancor più delicata di quanto già non fosse stata prima, ma, soprattutto aveva preso una piega fin troppo intima, era meglio evitare gli spazi pubblici; era notte fonda, ma erano in un villaggio ninja, c'erano occhi e orecchie ovunque, anche nei momenti di totale calma.
Temari si era messa in testa che quella notte l'avrebbe passata con Kiba, ormai aveva del tutto abbandonato l'idea di trovare e sgridare suo marito, quello che un tempo era stato il suo obiettivo principale, ne desiderava più spaccare il naso al quel cane ficcanaso che aveva tentato di affrontarla, tutt'altro, ora era decisa a farci sesso, ovviamente mantenendo, comunque, una certa aggressività durante l'amplesso: d'altronde c'era ancora molta rabbia repressa dentro di lei da far uscire, si doveva ancora sfogare per bene e, l'Inuzuka, pareva essere il candidato perfetto per adempiere al ruolo di amante, dopo aver fallito come sacco da box.
Il cambiamento di indole e di idee della donna era stato così improvviso, inaspettato, assurdo, che Kiba non aveva nemmeno avuto il tempo di pensare a come fuggire da quella scomoda e imbarazzante situazione in cui si era cacciato e da cui, pareva, non avere via di scampo.
La soluzione migliore era stata quella di temporeggiare, darsi del tempo per riflettere sul da farsi, aveva bisogno di trovare un modo, possibilmente non brutale per allontanare Temari; dato che non voleva essere un insensibile e comportarsi da stronzo, soprattutto dopo che si era presentato come un martire e un redentore delle cause perse, doveva cercare di pensare alle parole e avere i modi consoni per una situazione tanto precaria.
D'altro canto sperava che la donna rinsavisse dal suo stato di totale confusione, che tornasse in sè e ricominciasse a ragionare sulle insensatezze che aveva detto: poteva ancora tirarsi indietro ed evitare di dare il via a una serie di conseguenze irrimediabili, fatali, che avrebbero apportato cambiamenti di una certa gravità nella vita di entrambi.
Purtroppo, però, la bionda, pareva aver preso la sua decisione finale ed era irremovibile al riguardo: non dava peso alle conseguenze, non le importava affatto di tradire suo marito e la sua fiducia, tantomeno di mettere nei guai anche l'ingenuo e di buon cuore Kiba che, inconsapevolmente, si era ritrovato ad avere un ruolo di grande rilievo nei piani di Temari.
L'Inuzuka aveva inserito le chiavi nella porta di legno del suo appartamento, situato all'ultimo piano del condominio in cui abitava, facendo scattare il meccanismo arrugginito del lucchetto con uno scatto secco, dettato da un movimento sicuro di polso.
La palazzina si trovava non troppo lontano da dove i due si erano incontrati: Kiba aveva scelto di vivere in quell'appartamento solo per la comodità di essere il più vicino possibile ai locali che frequentava più spesso, in modo da non dover faticare troppo, anche durante le notti più brave, a tornarsene a casa, possibilmente accompagnato da una bella ragazza con cui avrebbe passato la notte.
Di certo quella non era la zona residenziale migliore del villaggio, anzi, era quella più malconcia e vecchia a livello architettonico, avrebbe avuto bisogno di un bel restauro, ma era proprio perchè era così decadente e mal strutturata che gli affitti avevano un costo molto basso.
Kiba era uscito di casa, dall'allevamento in cui era cresciuto, non appena aveva raggiunto la maggiore età, o meglio sua madre l'aveva cacciato di casa non appena aveva potuto farlo, stufa di avere intorno quello scansafatiche del figlio.
Il moro era stato ben contento di abbandonare il branco, non aveva mai sopportato la madre, la capoclan, Tsume gli aveva solo fatto un favore a buttarlo fuori di casa prima che decidesse lui stesso, spontaneamente, di andarsene.
Con i pochi soldi, racimolati dalle missioni portate a termine con successo, che a quei tempi aveva avuto da parte, il massimo del lusso che aveva potuto concedersi era stato quel piccolo e malsano appartamento in cui tutt'ora abitava e non aveva intenzione di abbandonare, nonostante al momento si sarebbe potuto permettere di meglio.
Non era stata una passeggiata cavarsela da solo, per i primi mesi era stato un trauma doversi arrangiare e aggiustare con quello che aveva e guadagnava, passare ai confort di casa e a non badare alle spese, a doversi autogestire in tutto e per tutto con i propri soldi non era stata una passeggiata per un ragazzo pigro, impulsivo e poco sveglio come lui: di certo Kiba non era mai stato riconosciuto per le sue doti da stratega e la sua bravura, inesistente, in matematica.
In qualche modo, però, anche se per i primi mesi aveva vissuto di ramen confezionato e acqua, con il tempo e sacrificio aveva messo da parte abbastanza soldi per vivere una vita abbastanza confortevole, nella quale si concedeva anche parecchi vizi.
Akamaru si intrufolo velocemente in casa, non appena la porta venne aperta quanto bastava per far sì che il suo massiccio corpo peloso passasse, senza perdere altro tempo prezioso, andandosi finalmente, dopo quella lunga giornata, a coricarsi nella sua cuccia, tra i suoi pupazzi di pezza, in un angolo del soggiorno; si era subito accasciato a terra e, dopo aver emesso uno sbuffo di sollievo, aveva subito chiuso gli occhi, se avesse potuto si sarebbe anche tappato le orecchie, per nulla intento ad assistere a quello che sarebbe accaduto da lì a breve: il suo sesto senso canino aveva previsto anni luce come sarebbe andata a concludersi quella vicenda e, lui, vecchio e stanco, non aveva avuto intenzione di metterci naso, aveva già fatto abbastanza, nel corso della sua lunga e impegnativa vita, per quell'idiota del suo padrone; ora che Kiba era adulto se la doveva imparare a sbrigare da solo, senza il suo aiuto che, prima o poi, in qualsiasi caso sarebbe venuto a mancare.
L'appartamento di Kiba, di certo, non era il massimo del lusso, dell'ordine e della pulizia, ma era, in qualche modo, o almeno per lui e il suo cane, vivibile: una cuccia più che confortevole.
Con un po' più di cura e attenzione quel bilocale sarebbe potuto essere meno austero e disordinato, ma purtroppo al padrone di casa non importava abbastanza di come e dove vivesse, d'altronde in quell'appartamento ci stava ben poco e non aveva molte visite, quelle poche che aveva, le sue conquiste di una notte, erano sempre passeggere e la sbronza e l'eccitazione erano talmente gravanti che poco importava l'ambiente circostante.
Non era un totale disastro, un porcile, però ci si avvicinava: c'era in giro di tutto e di più, dai vestiti gettati alla bell'e meglio, per terra o sui mobili, ai patti e bicchieri sporchi, di chissà quanti giorni, nel lavello, per non parlare della quantità esagerata di vuoti delle bottiglie di birra sparse in giro e della polvere e i peli di cane sul mobilio.
L'angolo di Akamaru era più pulito del resto della casa: almeno il cane non lasciava in giro residui di cibo per il locale e aveva tutti suoi possedimenti materiali nella sua cuccia, intorno a sè; l'appartamento sarebbe stato più pulito e in ordine se fosse stato abitato dal solo cane che, in quel macello, aveva la sola colpa di perdere un intingente quantità di lunghi peli bianchi.
Anche quella sera aveva rincasato in compagnia; solitamente l'Inuzuka non si sarebbe fatto problemi a far entrare nella sua disordinata dimora una sua qualsiasi occasionale conquista, ma qui non si stava parlando di una donna qualsiasi, si stava parlando di Temari che era abituata a certi standard di pulizia e ordine, di confort e di lusso: casa Nara era sempre impeccabile, non c'era mai qualcosa fuori posto e profumava sempre di pulito, non c'era stata una singola occasione in cui Kiba aveva notato un futile dettaglio fuori luogo; era chiaro che la padrona di casa spendesse più del dovuto a prendersi cura della sua dimora per renderla il più confortevole possibile per chi ci abitava, era un peccato che nessuno si accorgesse di quanto impegno ed energie implicasse nel mantenimento manicale della casa.
Il moro era molto nervoso all'idea di averla in casa propria, pulizia e ordine a parte, non aveva la minima idea di come da lì a poco la situazione si sarebbe evoluta; il suo fiuto canino percepiva nell'aria le variazioni ormonali e lo allertava che da lì a poco si sarebbe scatenata una violenta perturbazione carica di ormoni: il corpo di Temari stava emanando una intingente quantità di feromoni, più di quanti ne emanasse normalmente, una carica al di sopra della media.
Kiba sapeva già da tempo che la donna avesse bisogno di fare sesso, ma in quel momento, in realtà da quando l'aveva baciato, i suoi bisogni primari si erano manifestati in maniera fisica, non erano più solo una scia di odori, profumi, emanati dal suo corpo esigente.
L'Inuzuka aveva percepito l'odore del pericolo con lungimiranza, eppure non si era tirato indietro per tempo, tutt'altro, aveva deciso di affrontarlo, o meglio, di farsi sovrastare da esso; era stata una decisione stupida da parte sua: da vittima sarebbe divenuto carnefice, alleato Temari, complice del delitto di adulterio.
L'ultima cosa che importava a Temari, in quel momento, era in che stato fosse l'appartamento di Kiba, il suo unico pensiero ormai era quello di fare sesso con l'uomo e non le importava dove e in quali condizioni, l'unica cosa che le interessava era l'atto di per sè.
I due non si erano parlati per tutto il tragitto, erano rimasti in silenzio, immersi nei loro pensieri, senza più guardarsi, ne tantomeno sfiorarsi: l'Inuzuka, dopo la richiesta esasperata della bionda, si era semplicemente incamminato, con le mani in tasca e Akamaru al fianco e, lei, lo aveva semplicemente seguito, proprio come se fosse il suo cane.
La passeggiata era stata breve, la dimora di di Kiba era a pochi isolati da dove si erano incontrati; per l'uomo, per quanto fosse andato con calma per guadagnarsi altro tempo, quei pochi minuti non erano stati abbastanza per trovare una soluzione al problema in cui si era cacciato: ironico come fino a poco prima del suo incontro con la donna, quei pochi metri da percorrere a piedi per raggiungere casa gli erano sembrati infinitesimali.
Temari, invece, non si era nemmeno resa conto di aver camminato, era stato come se si fosse teletrasportata davanti alla porta di casa dell'Inuzuka, talmente si era immersa nei suoi pensieri durante quel breve tragitto che se il moro, che faceva strada, non si fosse fermato davanti a lei impedendole di proseguire, non si sarebbe nemmeno resa conto di essere arrivata a destinazione; Kiba avrebbe potuto tranquillamente fregarla e condurla a casa Nara e lei non se ne sarebbe nemmeno resa conto.
Non aveva prestato attenzione alla strada, i suoi occhi erano rimasti fissi sulla schiena larga e robusta dell'uomo, sulla sua preda, seguendo ogni suo singolo movimento, temendo che da un momento all'altro l'avrebbe potuto perdere di vista: non intendeva farsi sfuggire anche lui, aveva già perso le tracce di Shikamaru, non poteva permettersi di perdere anche Kiba, aveva bisogno di nutrirsi di qualcosa, di sfogare la sua rabbia su qualcuno, e la seconda preda, seppur inizialmente l'aveva schifata, ora l'allettava ancor più della prima, ora ormai del tutto dimenticata.
Bramava con tutta sè stessa il momento in cui si sarebbe potuto avventare su di lui, ingaggiare il combattimento, la continua ed estenuante lotta al potere, l'eterno prevalere l'uno sull'altro, alla fine di quella lotta non ci sarebbe stato ne vincitore ne vinto, ne preda ne predatore, bensì solo due animali stanchi ma soddisfatti, due nemici che avevano trovano l'uno nell'altro un buon rivale, uno sfidante degno della propria forza.
[6735 parole] - 23 Gennaio 2022
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