Capitolo 7

La promessa di un capitano


«Prima che tu me lo chieda, sta bene» Erika non aveva alcun dubbio sul trovare Taehyung fuori dalla cabina di Jimin e lo aveva interrotto prima che potesse porle qualsiasi domanda. Il capitano o "presunto" se ne stava con le braccia conserte appoggiato di schiena alla parete del corridoio e le sue parole gli riportarono il sorriso in faccia.
«Siete stata brava» si complimentò, appoggiando le mani sui fianchi. «Brava? Non dire sciocchezze, occuparmi di un influenza anche se grave, richiede la minima parte delle mie capacità, non sminuirmi per cortesia» Rispose la donna pulendosi le mani con un panno. «Tuttavia dovrete assicurarvi che quel tipo mangi a dovere e prenda i rimedi del cuoco, che stia al caldo e non faccia sforzi inutili almeno per qualche giorno, ma conoscendo il soggetto credo sarà più facile a dirsi che a farsi» Sbuffò in direzione della camera di Jimin «Legarlo potrebbe essere un'ottima idea» Propose facendo ridacchiare il ragazzo.
«E' accanimento quello che vedo sul nostro trafficante?» La rossa storse il naso, fino ad ora quei tipi avevano letteralmente acconsentito ad ogni suo consiglio, sperava di aver convito il capitano che fosse necessario anche quell'ultima richiesta. Sarebbe stato così bello vedere Jimin legato nel suo stesso letto dalla testa ai piedi come un salame.
«No, assolutamente» Schioccò la lingua sul palato la donna. Passarono alcuni minuti in silenzio a scrutarsi, ma Taehyung non si smosse da lì per controllare se effettivamente Jimin fosse ancora vivo, quella fiducia risposta, dovette ammetterlo, le mise il buon umore.
«Ora cosa mi aspetta?» Quella di Erika poteva in realtà essere una domanda dalle innumerevoli risposte.
«Non dovrete tornare in cella» Alzò le spalle Taehyung.

«Basta così?»

«Vi daremo una cabina, dei vestiti e i pasti necessari per sopravvivere»

«E poi?»

«E poi, potrete gironzolare per la nave, ma ovviamente sotto sorveglianza di qualcuno» Erika sospirò amareggiata per quel tergiversare che non l'avrebbe portata da nessuna parte, Taehyung non sembrava voler collaborare
«Lo sapete cosa intendo, cosa volete da me? Perché mi avete rapita? Ho salvato un vostro compagno mi merito delle spiegazioni!» Erika non si scompose e rimase fissa con lo sguardo in quello del ragazzo, anche se dal silenzio che piombò tra loro, capì che non avrebbe cavato un ragno dal buco «Non ho più intenzione di aiutarvi se non mi darete almeno qualche risposta, potete tenervi il cibo o i vestiti. Per favore riaccompagnatemi in cella» Ringhiò voltandogli le spalle, si ripromise che se uno solo di loro avesse avuto bisogno d'aiuto, anche sotto tortura si sarebbe rifiutata di collaborare.

«Venite con me» Quando Taehyung parlò, Erika si fermò e tornò a guardarlo e il ragazzo senza aggiungere altro fece strada verso le stanze interne della nave. Lo seguì a passetto, facendo ticchettare le suole degli stivaletti sul legno del pavimento. Non si sarebbe mai abituata ai cigolii e agli scricchiolii del legno vecchio, fortuna che il mare sembrava essersi calmato e l'oscillazione le permise di camminare almeno con dignità. «Dove mi porti?» Ovviamente Taehyung non rispose e continuò imperterrito verso la sua destinazione, finché una porticina simile a tutte le altre dove arrestò il suo cammino. L'aprì facendo cenno alla ragazza di entrare e anche se titubante Erika si addentrò in quella nuova stanza. Rimase incantata da ciò che le si parò davanti: tomi, fogli, manifesti, mappamondi, la stanza ne era satura. Alle pareti file di libri erano accatastati su mobili e mensole tanto che sembravano doversi spezzare da un momento all'altro per il peso eccessivo. Negli spazi vuoti tra una libreria e l'altra vi erano attaccate delle cartine geografiche e navali raffiguranti i venti e mari che stavano salpando e infine al centro della stanza, vi era un vasto tavolo di legno quasi interamente coperto da fogli scarabocchiati e strumenti di cancelleria. Erika scorse solo dopo la figura di uno dei sette ripiegata verso di esso, era quello dai capelli scoloriti e dal sonno pesante che l'aveva presa in giro quando stava per spogliare Jimin davanti a tutti. Aveva delle tremende occhiaie che gli scavavano il volto latteo e non si sorprese di scoprire perché fosse così bianco rispetto a tutti gli altri, quel posto sembrava la sua tana e l'assenza di sole non aveva sicuramente nutrito a sufficienza la melanina della sua pelle. Il fischio d'approvazione da parte di Erika gli fece sollevare il naso dalla mappa che stava studiando, Suga sembrò infastidito da quella interruzione.
«Non pensavo che i pirati si dilettassero in letture e..» ficcanasò tra i libri, sfogliandone uno dalla copertina lillà e le scritte oro, alcune rose erano incise sulla pelle della rilegatura «..Romanzi rosa» Inarcò un sopracciglio e chiuse il tomo rimettendolo al suo posto.
«No quelle cianfrusaglie sono di Rebeca, sinceramente parlando, sono sicuro che prendendo personalmente in mano uno di quei cosi..questo prenderebbe a fuoco» Rispose Taehyung disgustato. Jungkook aveva preso molto a cuore la passione di Rebeca per la lettura, tanto da appesantire il carico della nave con una libreria intera.
«Ha invaso il mio regno con le sue ossessioni da donna, ormai i miei libri di nautica sono sepolti da qualche parte» Si lamentò Suga, tracciando con un compasso una linea ben precisa sul foglio al quale stava lavorando. Taehyung si avvicinò facendo ondeggiare al suo passaggio la fiammella della candelina appoggiata sul tavolo
«Posso?» Domandò al ragazzo, che si fece poco più in là e gli lasciò lo spazio necessario per guardare per bene la mappa che stava studiando. Erika vide il capitano alzare lo sguardo su di lei e farle cenno di avvicinarsi, senza indugio la ragazza si accostò a lui, ma non trovò nulla di strano in quella semplice mappa. «Vedi questo punto?» Le indicò Taehyung con le dita. «Qui è dove siamo ancorati noi, per il momento ci muoveremo su questa linea e..» Disegnò con la punta dell'indice un percorso immaginario che superò le isole di Caicos e Turks, finendo su una piccola isola sperduta a nord di cui sincerante, le sfuggiva il nome «E raggiungeremo l'isola fatiscente» disse, picchiettando con il dito sul foglio ingiallito. Erika non ci capì gran ché ma i nomi delle isole e le loro posizioni li sapeva ben leggere e la sconosciuta isola fatiscente, era completamente opposta alla sua direzione primaria: St. Barthélemy. «Ma perché mi state portando lì?» Taehyung e Suga si scambiarono uno sguardo e lei odiò quell'intesa di cui non era partecipe.
«Vedi, il Cigno Nero ovvero questa nave, ha già un capitano e noi dobbiamo recuperarlo al più presto nel regno di St. Barthélemy » Spiegò Yoongi senza troppi giri di parole, era di nuovo stanco e non vedeva l'ora che quei due se ne andassero per potersi raggomitolare come un gatto sulla poltroncina del suo studio. «Allora perché non andiamo direttamente a St. Barthélemy? E a cosa vi servo io?» Ormai Erika era ad un passo dal dare di matto.

«Ci servi tu per entrare in quel regno, non abbiamo tante informazioni ma sappiamo che hai un lavoro da svolgere alla corte del principe reggente Damien, ma il solo appropriarci del tuo sigillo non basta per passare inosservati ed entrare in un porto tanto sorvegliato» Taehyung sospirò, ormai il danno era fatto, ma rivelare quelle informazioni a Erika non avrebbero di certo compromesso la missione, anzi forse poteva anche andare a suo vantaggio la cosa.
«Per questo andremo sull'isola dell'illusione, perderemo tempo si, ma sappiamo che un potente stregone vive lì e sarà in grado di aiutarci a "mascherare" il Cigno Nero» virgolettò con le dita «Nessuno sospetterà di una nave mercantile occupata da corsari e con a bordo la dottoressa con tanto di sigillo e invito alla corte reale, in poche parole il Cigno Nero diventerà momentaneamente il Paladino» Erika rimase a bocca aperta, non comprendeva bene cosa intendesse Taehyung per "mascherare" o come solo pensassero di poter entrare nel porto di una delle corti francesi con una nave tarocca, non aveva mai sentito niente di così stupido in vita sua, ma a pensarci bene tutto questo non poteva altro che andare a suo vantaggio. Quando la loro copertura sarebbe saltata e una volta arrestati, lei avrebbe potuto semplicemente tornare al suo obbiettivo e spiegare al principe il vero motivo del suo ritardo.
«E non daremo sospetti per il maggior tempo impiegato? Voglio dire, dovrei essere lì tra meno di un mese ormai» Suga sorrise a quella domanda e sembrò felice di avere la risposta già a portata di mano. Si avvicinò ad un cumulo di cianfrusaglie e tolse da sopra di esse un telo bianco che stava a coprirle, scoprendo in realtà alcune gabbiette di legno con all'interno degli uccelli. Non erano semplici pennuti da fare allo spiedo, ma piccioni viaggiatori dal collarino bianco. «Avvertirete la corte di St. Barthélemy del vostro ritardo a causa di un danno alla chiglia della nave..» Le disse Taehyung passandole un pennino e facendo scorrere con le dita un foglietto di carta sul tavolo «Avete fatto una deviazione per l'isola Pomea e partirete non appena le riparazioni saranno ultimate. Prego, in bella grafia e nero su bianco» Con la mano tremante e l'incredulità per quel piano ben congeniato anche se folle, afferrò il pennino e scrisse per filo e per segno ciò che Taehyung le aveva dettato «Non ci crederanno mai, potrebbe esser chiunque a scrivere questa lettera» Ovviamente il ragazzo la sorprese ancora, con un saccente sorrisetto tirò fuori dalla tasca del giaccone un piccolo timbro d'ottone, prese la candela sul tavolo e sciolse sulla fiammella un bastoncino di cera lacca di Yoongi, lasciando così ricadere il viscoso liquido rosso sulla lettera di Erika. «Ma quello è..»

«Il sigillo del Paladino, precedentemente rubato da Jimin direttamente dalla cabina del capitano, questo prima di venire a prelevare te» Sorrise, siglando il foglio con il timbro. Taehyung allungò la mano, chiedendo l'attenzione di quella di Erika. Ovviamente non aveva tralasciato nemmeno quel dettaglio ben inciso sull'anello di lei, l'unica cosa che oltre all'invito e al diario le era rimasto. Erika sospirò e versò dell'altra cera lacca liquida accanto a quella già asciutta, chiuse la mano a pungo e ci premette sopra il castone del suo anello
«Una lettera con il sigillo del Paladino e quello della dottoressa a bordo, sfido chiunque a dubitare della veridicità di questo messaggio» Disse Yoongi, sfilandogli il fogliettino dalle mani. Aprì una delle gabbiette e tirò fuori uno dei piccioni, con un nastrino azzurro gli legò alla zampina la piccola pergamena arrotolata, poi offrì all'animale dei chicchi di granturco, gli accarezzò la testolina e aprì la finestrella che dal suo studio dava all'esterno «So che tornerai da me Priscilla» Disse al volatile, salutandolo un'ultima volta prima di farlo frullare via in uno battito d'ali. «Priscilla?»Domandò curioso Tae al cartografo
«Mi sono affezionato» Scrollò le spalle lui e gli parve giusto non indagare oltre. Erika guardò finché gli fu concesso la sagoma del piccione viaggiatore ora ridotta ad un punto nel celo con tanto di falsa testimonianza appesa alle zampe. Lei con il suo timbro aveva contribuito ad aiutare, anche se sotto costrizione, un branco di pirati a fare irruzione nel regno per suo interesse e se non l'avessero ammazzata loro nel tragitto, nello scoprirlo lo avrebbe fatto il principe stesso, perché quasi sicuramente non le sarebbe stata concesso perdono. Quando il volatile sparì del tutto nell'orizzonte, Erika realizzò che un piccione chiamato Priscilla, portava con sé la sua condanna a morte.

•••

Karen non aveva mai sofferto di claustrofobia. Si era abituata negli anni a passare molto tempo in luoghi stretti e bui, dopotutto il vivere su una nave non aveva un granché di vantaggioso per chi odiasse cabine minuscole e stanze ricavate alla ben in meglio per ottimizzare gli spazi, ma non le dava per nulla fastidio perché le bastava uscire da sotto coperta per ammirare l'immensità di ciò che amava e la vastità dell'oceano che circondava il Cigno Nero. Tuttavia iniziava seriamente dubitare della sua indifferenza a dispetto dei piccoli spazi, prima una cella, poi una carrozza blindata che su quattro ruote viaggiava a tutta velocità su una strada sterrata. L'assenza di finestre non le permise di vedere cosa l'aspettava al di fuori del mezzo di trasporto, le manette ai polsi e le due guardie sedute di fronte a lei, a ricordarle l'impossibilità di fuggire da lì. Si accontentò di passare il resto del lungo viaggio in silenzio e di guardare male i due uomini al servizio di Damien per tutto il tragitto, non si sarebbe dimenticata facilmente dell'occhio nero che le avevano procurato per aver aggredito il loro principe. Ascoltò i rumori al di fuori di quella prigione mobile: lo sbraitare del cocchiere e i colpi di frusta sugli stalloni nero focati che aveva visto prima di salire a spronarli ad aumentare la velocità. Quando il rumore causato dagli zoccoli dei cavalli si arrestò, Karen capì di esser arrivata a destinazione. Una delle due guardie scese aprendo la piccola portiera della carrozza, una fascio di luce le colpì il viso facendole male agli occhi ormai abituati all'oscurità. «Scendi» le ordinò con tono severo l'altro energumeno, spingendola rudemente fuori e lei saltò giù per atterrare sui ciottoli bianchi del vialone. Odiava ammetterlo, ma rimase incantata dalla bellezza di quel luogo in cui l'avevano scortata contro la sua volontà. Non aveva mai visto con i suoi occhi la sfarzosità maestosa di un palazzo reale, i giardini tutt'intorno a lei colmi di roseti, fontane guizzanti e aiuole perfettamente potate. Alla fine del lungo vialone bianco, torreggiava il gigantesco palazzo di Damien, anch'esso dalla facciata bianca ornata di rifiniture color oro e da finestroni valorizzati dalle vetrate variopinte lavorate da chissà quali competenti artigiani «Cammina» Karen obbedì, spintonata ancora dal lacchè del sovrano, ma continuando ad ammirare la perfezione di quel posto incantevole. Al suo passaggio donne e uomini incaricati di mantenere impeccabile i giardini tirarono su il capo dal loro da farsi per guardarla con curiosità in volto. La cosa le diede un leggero fastidio, esser ammirata come un fenomeno da baraccone la fece tremendamente sentire fuori luogo, lei ancora lercia e malridotta sembrava una macchia di sporco a deturpare un calice di vetro raffinato, ma non li biasimò. Cosa ci faceva uno dei pirati più ricercati al mondo in un posto del genere?
Quando arrivarono alle porte, ornate di ghirigori e intagli barocchi, queste si spalancarono come ad inghiottirla. La sensazione che Karen provò sulla sua pelle fu tutt'altro che piacevole e percepì una leggera nausea seguita dall'irrefrenabile desiderio di fuggire da lì al più presto. L'esagerazione di quel posto era palese, l'atrio e la sala d'ingresso erano la più grande ostentazione di ricchezza che avesse mai visto in vita sua, un vero e proprio schiaffo alla povertà e la miseria dei vicoli più remoti e blandi di Tortuga o dei bassifondi della corte stessa. Dai soffitti alti pendevano preziosi lampadari in cristallo, i pavimenti in bianco marmo italiano, ricoperti da tappeti persiani dalla pregiata fattura, le sbatterono in faccia l'influenza degli scambi commerciali della corte con l'Europa e il resto del continente. Sui muri erano appesi innumerevoli quadri di vari artisti, forse francesi, forse italiani o olandesi e altrettante statue dei medesimi, erano posizionate in armonia tra l'una e l'altra ad aprirle la via insieme ai servitori altrettanto ingessati. Questi indossavano completi neri in contrasto con l'ambiente, proprio per farli bene distaccare da esso e dal valore di tale sfarzo, non batterono ciglio al suo passaggio, ma Karen scommise di averne visti alcuni corrucciare le sopracciglia quando lei fischiò sonoramente al suo ingresso.
«Non ho mai visto così tanto pacchiano tutto insieme!» Disse ad alta voce.

«Ti abituerai» La donna alzò il naso quando da sopra la sfavillante scalinata a chiocciola scese Damien in completa armonia cromatica con quel luogo. Indossava un altro abito bianco ma diverso da quello che aveva ore prima nella prigione di stato, fatto sta che anch'esso le diede il disgusto, come tutte le mura di quel palazzo, che sotto quell'apparente bellezza trasudava una marcescente verità. La servitù, i giardini, le opere d'arte, il sovrano stesso, non appartenevano al suo mondo fatto di piccole cose e legami, non avvertiva un minimo di calore in nessuno di essi, ma solo il gelido abbraccio della solitudine celata dall'opulenta ricchezza.
«Spero di no» Rispose con sincerità, non aveva alcuna intenzione di stare in quel luogo un minuto di più, figuriamoci abituarsi ad esso. Karen mise a fuoco la figura minuta che uscì da dietro le spalle di Damien, una donna sulla cinquantina, magra e dai lineamenti freddi e spigolosi come quelli delle streghe narrate nelle filastrocche per far spavento ai bambini. Aveva i capelli castani pettinati e acconciati in un chignon alto perfetto, un vestito nero e lungo fino alle caviglie e dal collo alto. La donna camminò superando Damien e appoggiò la mano alla ringhiera, facendo risuonare il basso tacco delle sue scarpette nere sulle scale in marmo. Karen se la ritrovò a qualche passo, così da poter vedere gli affilati e freddi occhi dei lei e il naso appuntito e dritto. La strana donna la squadrò dalla testa ai piedi, un espressione di disgusto si dipinse immediatamente sul suo volto dalla carnagione pallida.
«E' lei?» domandò al ragazzo che attento continuava a gustarsi la scena da sopra il parapetto della scalinata. «Ha un aspetto tremendo» continuò, girando in tondo con le mani ben serrate dietro la schiena.
«Nulla che tu non possa riparare, Brunettè» Rispose il principe.
Karen si sentì offesa.
«Stai parlando di me? Cammini come se avessi un bastone su per il culo, non vedo perché tu debba definire il mio aspetto tremendo» Ironizzò alzando l'angolo delle labbra in un ghigno, tuttavia il cipiglio impassibile di Brunettè non mutò.
«Prendetela» Tagliò corto la donna, facendo scattare le guardie che accorsero a bloccare Karen per le braccia.
«Cosa volete da me? Sono stanca dei vostri giochetti da spocchios-» Karen rimase senza parole in bocca quando la donna la schiaffeggiò a piena mano, proprio come aveva fatto Damien nelle prigioni, evidentemente quello era il loro miglior modo di tenere a bada un discorso a tavolino. Le pulsò la guancia per l'impatto, Brunettè con le sue scheletriche dita fine, aveva anche fatto più male del principe. «Abiti discutibili, capelli corti, linguaggio da bassifondi e modi a dir poco incivili» Sentenziò la donna, sfiorandole una ciocca di capelli con disgusto «Nulla di irreparabile mio sognore, ma ci sarà da lavorare» a mal in cuore la ragazza comprese cosa volessero farle, la sua tortura si rivelò anche più tremenda di una condanna a morte, quei tipi volevano cambiarla in tutto e per tutto. Non si spaventò, per quanto potessero alzare le mani o minacciarla, sarebbe stata un osso tremendamente duro da dover rompere e plasmare per i loro giochetti, i motivi poi, le erano ancora sconosciuti.
«Impegnati allora, il tanfo del suo puzzo sta rovinando l'ambiente» Liquidò il discorso Damien con un gesto della mano.
«Perché mi hai portata qui?! Perché non mi fai impiccare e basta?!» Urlò l'ex capitano del Cigno Nero al principe facendo stridere i denti a Brunettè.
«Come osi porti così al nostro principe?»

«Sta zitta befana, non sto parlando con te!» Ringhiò la ragazza in un impeto di rabbia.
«Ti sto solo offrendo un pasto decente e una vita agiata e per il momento non ti è dato sapere altro. Dovresti ringraziare il mio buon cuore e la pazienza della tua nuova tutrice, t'insegnerà come diventare una donna di corte» Troncò lì il suo discorso Damien, prima di darle le spalle e sparire dalla sua vista. «Aspetta!»

«Portatela nella sua stanza, non voglio sentir ancora questa donnaccia urlare e sbraitare per le mura di questo palazzo!» Ordinò Brunettè, facendo scattare le guardie. Karen cercò di sfuggire alla presa ferrea dei due, ma si ritrovò presto catapultata in una stanza dei piani superiori. Bruscamente la lanciarono sul pavimento della camera, dove al suo interno alcune donne vestite in nero e con un collarino bianco al collo, sembravano star attendendo il suo arrivo. Brunettè chiuse la porta e lasciò le due guardie a sorvegliare l'uscita, Karen spaesata si guardò attorno alla ricerca di qualsiasi cosa affilata o appuntita da poter usare come arma. Non trovò nulla, se non una sfarzosa camera da letto dal mobilio eccentrico come il resto del palazzo, un letto a baldacchino sorgeva al centro della stanza dalle pareti color pesca, vi era anche un divanetto di velluto color oro, una toiletta per il trucco e un enorme armadio sicuramente carico di vestiti. «Ti risparmio la fatica. Qualsiasi oggetto contundente è stato rimosso per la nostra sicurezza, non troverai nemmeno un taglia carte nei cassetti» Le sue idee sfumarono non appena Brunettè aprì bocca e le risatine divertite delle tre ragazze in nero le fecero impennare l'irritazione alle stelle «Prendila come una prigione ma più raffinata»

«Tu sei il carceriere?» Domandò Karen, finendo però preda delle mani delle ragazze che iniziarono a spogliarla senza alcuna remora.
«Cosa fate? Lasciatemi ho detto!» Le scacciò via. Il colpo di frusta che le arrivò sul fianco le bruciò la pelle, facendola accasciare a terra. Brunettè l'aveva colpita con una stecca di legno prendendola alla sprovvista, soddisfatta l'afferrò per i capelli portandola nel bagno privato della camera da letto insieme all'aiuto delle altre tre. «Per prima cosa ti farai un bagno, il tuo odore da il voltastomaco» le disse, spingendola a carponi ai piedi della vasca in ceramica già colma d'acqua calda e sali da bagno profumati. «Stasera mangerai con il principe in persona, quindi devi avere un aspetto almeno decente» Continuò, mentre le tre donne si occuparono di stapparle i vestiti di dosso. «Un passo alla volta piccola barbara, vedrai che apprezzerai il lavoro che ho in mente per te»

«Crepa, strega del cazzo!» Karen ricevette un altro colpo dietro la schiena nuda, che s'inarcò per il dolore. La sferzata della verga si trasformò presto in una striscia rossa e pulsante sulla pelle.
«Bene così, schiena dritta signorina ma dobbiamo lavorare ancora sul linguaggio» Karen la fulminò con gli occhi, rossi per il vapore e per la rabbia. Nel pieno delle forze avrebbe potuto fare una strage li dentro, e riguadagnarsi il rispetto che le era stato strappato via insieme agli abiti e alla dignità, ma il buon senso le ricordò che fosse in un palazzo strettamente sorvegliato, tutte le attenzioni erano rivolete proprio a lei, l'ospite d'onore e scappando non sarebbe andata molto lontano. Per ora si sarebbe accontentata delle minacce. Se Brunètte pensava minimamente di poterla cambiare, presto avrebbe scoperto che quel bastone che amava tanto usare si sarebbe spezzato ben prima di lei.
«Giuro sulle divinità di ogni mare, che ti strapperò la lingua dalla bocca e ci banchetterò con la mia ciurma. Ricordalo strega..» Soffiò la piaratessa adirata, le tre damigelle lasciarono andare la presa e fecero qualche passo indietro spaventate dalla sua espressione. Karen con le pupille dilatate e gli occhi affilati come lame di un rasoio, ringhiò quelle parole come se stesse lanciando una maledizione
«..Tu morirai per mano mia»
Il prezzo da pagare per quella promessa fu un altro doloroso, ma soddisfacente, colpo di verga.

•••

🌊Angolo della ciurma:
Allora gente!! Eccoci qui con il nuovo capitolo 🥳
Allora cosa mi dite? Vi piace? Che ne pensate del piano di Tae? Funzionerà? Speriamo di sì santo cielo! 😅
La povera Karen invece ha appena scoperto cosa le spetta, Brunettè è un mostro e questo non è nulla, perché Damien è anche peggio 🥲
Speriamo che il cigno nero arrivi presto, anche se dovrà fare una deviazione per l'isola fatiscente 🤔
Bene vi lascio alle speculazioni e ai commenti!!! Alla prossima!!
-ChZzz 🖤

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