Capitolo 1
La Rossa
"In origine, quando la religione era forte e la scienza debole, gli uomini confondevano la magia con la medicina; ora che la scienza è forte e la religione debole, gli uomini confondono la medicina con la magia."
-Thomas Stephen Szasz-
Compagnia dei trasporti di Caicos.
Anno 1698
Mar dei Caraibi.
La vista del sangue non l'aveva mai disgustata.
A dire il vero, fin da piccola aveva sempre trovato affascinante come il sistema umano o animale potesse vantare un apparato circolatorio magnifico in grado di distribuire sostanze e nutrienti in tutto il corpo.
Morsicò il filo con i denti così da strapparlo, per poi spingerlo nella piccola fessura dell'ago uncinato che teneva saldamente tra le dita. Magnifico era come il sistema respiratorio e muscolare di un essere vivente fosse in grado di far vivere e muovere un fantoccio di carne che altrimenti sarebbe stato inerme.
Piano appuntò la pelle aperta sulla ferita fresca, forandola e tirando, in modo da far congiungere i lembi del derma orribilmente separati. Sempre lentamente e con la precisione maniacale che la rappresentava, trattenne il respiro, facendo scattare l'indice sulla lente del monocolo che portava all'occhio destro.
Amava alla follia anche quell'invenzione recente: una serie di vetrini alti quanto fondi di bottiglia, aggrappati ad una montatura leggera a forma di occhiali, comoda da utilizzare a differenza della normale lente d'ingrandimento e in grado di farle vedere da vicino ogni dettaglio della sua passione.
La donna, soddisfatta, incastrò la lingua rosa tra le labbra, tirando il filo scuro prima di forare nuovamente la carne.
«Ahi! Signorina Erika, mi ha fatto male!» si lamentò il giovanotto, sfuggendo alla presa ferrea della donna sul suo braccio ma lei velocemente lo riacciuffò per non farlo muovere ulteriormente.
«La prego non si muova, ho quasi fatto, messer Pinkley» Il ragazzo la guardò poco convinto, ma poi si rilassò lasciandola nuovamente libera di svolgere il suo lavoro. Rimase incantato ed esterrefatto da quella giovane dai morbidi e ricci capelli rossi acconciati in una coda frettolosa, gli occhi verdi come un prato primaverile, assorti dietro un monocolo e l'aria sveglia di una ragazza che sapeva perfettamente cosa stesse facendo.
Il ragazzo distolse lo sguardo arrossendo e si guardò un po' intorno, o meglio, sbirciò in quella piccola cabina che la donna aveva adibito a studio sulla nave della Compagnia dei Trasporti, o così come lei pensava, e..sbiancò.
La signorina Erika era bella quanto raccapricciante. Tutti gli uomini e marinai della nave non avevano resistito alla peculiare bellezza della rossa in viaggio con loro, spesso fingevano di farsi male solo per poter parlare con lei e farsi visitare, ma stranamente ogni volta che finivano nel suo studio, poi non vi tornavano più anche per ragioni più serie.
Pinkley deglutì, ingoiando un abbondante groppo di saliva che cercava in tutti i modi di soffocarlo. Ogni parete era invasa da schizzi in carboncino e disegni anatomici ben realistici di organi e muscoli umani. Statuette, calchi in gesso di ossa e tendini, ma quello era il meno: strumenti chirurgici in ottone e ferro arrugginito dall'aria tutt'altro che rassicurante erano in bella vista sui mobili e nelle teche in vetro erano esposti numerosi barattoli contenenti organi veri e cervelli umani, che galleggiavano in un liquido sconosciuto dal colore verdastro.
«Non..non capisco perché una comune farmacista abbia tutta questa roba con sé» Disse Pinkley, con la pelle d'oca e i peli ritti per il disgusto. Erika non si scompose troppo per quella che era una reazione naturale da parte di un corpo dalla mente debole: era il riflesso incondizionato che il cervello imponeva al derma in una situazione di disagio o piacere. Lo sapeva, lo dicevano i suoi studi. Ma non le piacque per niente il termine comune che aveva usato.
Si spostò una ciocca ramata che le offuscava la visuale e tirò il filo prima di stroncarlo a lavoro ultimato. Una fitta dolorosa fece mugugnare Pinkley quando Erika con sguardo di fuoco gli cotonò la cucitura appena fatta con del disinfettante dall'odore pungente.
«Sono una donna di scienza messer Pinkley, non una comune farmacista» Cambiò tono Erika, gettando nella pattumiera il cotone sporco.
«Ma la sua licenza dice altro» Rispose il giovane, indicando l'attestato che la donna aveva appeso alla parete. Lei nemmeno seguì la direzione dei suoi occhi e si alzò dalla sedia pulendosi le mani con un canovaccio intonso.
«Per quel che vale quel pezzo di carta, sono solo quello che una società governata dagli uomini vuole che io sia, almeno all'apparenza: un'infermiera o una farmacista. Ma io so cosa sono e quali sono le mie capacità da chirurgo e dottore, messere»
Pinkley storse il naso alzandosi di scatto.
«Una donna non può essere un medico, è fuori discussione signorina O'Connor. Cucire qualche taglio e steccare le ossa rotte non fa di voi un chirurgo né un uomo di scienza!» Erika alzò le spalle, facendosi scivolare addosso tutte quelle ottuse e stupide parole.
«Lo so, me lo hanno già detto» Rispose lei, sedendosi alla sua scrivania.
«Solo perché sono vagino-munita non sono in grado di fare un trapianto, asportare un rene o curare le peggiori malattie che affliggono il reame.» Disse appoggiando il mento sulle mani giunte. «Ma allora perché gli stessi uomini di scienza che si rifiutano di rendermi parte della loro collettività, mi hanno affidato questo incarico? Perché ad una donna che è solo in grado di steccare ossa e cucire ferite?» Domandò con un sorrisetto divertito. Pinkley, seccato ma incapace di rispondere, assottigliò lo sguardo in attesa che la giovane continuasse «Non lo sa? Glielo dico io»
Erika si alzò e raggiunse la porta della sua cabina, l'aprì e il rumore del vento e dei cavalloni investì immediatamente entrambi.
«Perché nonostante non vogliano ammetterlo, sanno che sono meglio di loro, e hanno bisogno dei miei intrugli più di quanto sembri, e..vede quel pezzo di carta signor Pinkley?» Domandò, indicando nuovamente l'attestato affisso.
«Come ho detto, è solo un pezzo di carta» Sottolineò facendogli spazio verso l'uscita.
Il ragazzo sembrò voler ribattere, ma Erika non gli permise di farlo. Così giovane, eppure già così ottuso e perso nella sua mentalità, ma sapeva che non fosse colpa sua ma di quel male che era una società patriarcale in cui vivevano, che aveva plagiato gli uomini e piegato le donne
«Spero che lei in questo viaggio non abbia mai bisogno di un chirurgo che le tappi un'arteria e le salvi la vita messere, perché su questa nave non ne vedo uno» Concluse, prima di sbattergli la porta in faccia.
Erika sospirò, tornandosene alla sua scrivania piena zeppa di roba. Aprì un cassettino in legno e tirò fuori un piccolo diario in pelle che poggiò sul tavolo. Scelse con cura un pennino e appuntò con la mano sinistra, come ogni singola volta, il materiale consumato per quella piccola medicazione: cotone, disinfettante e una manciata di filo. «Niente di nuovo nemmeno oggi, su questa nave sono abbastanza noiosi, solo tagli e qualche abrasione» scrisse. Sfogliò le pagine consumate, dove precedentemente aveva riportato i suoi studi e lesse attentamente:
"2gr d'aglio e 15 gr di biancospino, aggiungere tre foglie di tè verde e mescolare con dell'olio di semi di lino. Rimedio in parte efficace per le regolazione del flusso e il controllo dei lipidi nel sangue. Da testare per malattie cardiovascolari e ischemiche"
Alzò il naso appuntito verso lo scaffale al disopra della scrivania, afferrando il libro d'erbe medicinali che l'aveva accompagnata negli anni di studio. Lo aprì e lo spulciò avidamente. Soddisfatta, con l'inchiostro aggiunse una piccola voce sul lato destro del foglio del suo diario: "aggiungere e sperimentare del mughetto fresco" Dalle pagine ingiallite tirò fuori la busta di una lettera dalla liscia consistenza. Era già stata aperta: a dimostrarlo, la rovinata cera lacca rossa del sigillo reale di St. Barthélemy.
Guardò la lettera un' ultima volta, incredula come alla prima lettura, il destino per una volta le aveva riservato una gioia per il futuro che avrebbe zittito tutta la comunità scientifica. Sospirò e rimise la busta al suo posto, chiuse il diario e sbadigliò sonoramente. Si stiracchiò le braccia indolenzite prima di controllare al di fuori della finestrella della sua cabina. Mancava ancora si e no un mese per arrivare a destinazione e la nave viaggiava ancora su acque torbide e scure per quella notte. L'aspettava ancora un lungo viaggio per la colonia straniera e l'intera situazione continuava a sembrarle una barzelletta: lei un'irlandese di sangue, nata e cresciuta a Turks, un regno inglese, pronta a svolgere il lavoro più importante per la sua carriera in una colonia francese.
Erano stati duri i suoi anni da bambina, quando i suoi genitori emigrati avevano messo le tende a Turks in cerca di fortuna. Suo padre era un abile farmacista, tuttavia, nonostante la sua devozione al lavoro, le sue origini e la meschinità della maggior parte degli abitanti inglesi e razzisti che vivevano nella colonia, non avevano permesso al suo piccolo emporio speziale di spiccare appieno tra i borghi della città. Erano irlandesi purtroppo, e mal visti, e solo alcuni stranieri e disperati andavano a farsi prescrivere ricette e comperare lozioni, così a stento lei e la sua famiglia erano riusciti ad avere il pane in tavola.
Gli anni più duri per Erika però erano arrivati con l'adolescenza, quando non riusciva proprio ad avere rapporti umani con i suoi coetanei.
Non aveva amici.
Le ragazzine non parlavano con lei nel collegio dove l'avevano mandata per avere istruzione, e l'unica cosa che ricevette furono le percosse e le legnate dalle suore, che poi tanto donne di chiesa non erano. Tutti lì dentro la ritenevano strana per il colore dei suoi capelli e le sue lentiggini marcate, per il suo essere mancina e soprattutto per la smisurata passione per la scienza e la medicina che aveva ereditato dai suoi genitori.
Dio ha creato le donne per assistere l'uomo, plasmandole da una delle loro costole, ecco perché quello che le insegnarono le spose do Dio era circoscritto nella cerchia della buona moglie e limitato nel rassettare il letto, pulire i piatti e a cucinare e lavorare all'uncinetto. Solo quest'ultima cosa le era tornata utile negli anni, Erika era un abile cucitrice, ma non di abiti.
Uscita dal collegio non aveva atteso oltre, si era dedicata in tutto e per tutto all'emporio, facendo da assistente a suo padre, e si era completamente distaccata dai rapporti esterni che non includessero il suo lavoro. Ma Erika nel suo, era finalmente felice di poter vivere come voleva e fare ciò per cui era nata. Passava giornate intere sui libri di anatomia e botanica, e con i pochi soldi che aveva racimolato nel tempo, era riuscita a pagarsi delle lezioni private da degli illuminati e dottori, fanatici del loro mestiere. Non li sopportava, spesso erano solo uomini panciuti e di scarsa conoscenza che avevano delle lacune enormi per la loro etichetta importante. Alle volte durante le lezioni di alcuni, era costretta a riprenderli e correggerli su palesi errori che in realtà nessuno nella classe notava. E loro automaticamente odiavano lei, ma non potevano ignorare la sua mente brillante. Così con il passare degli anni Erika si era guadagnata quell'attestato da farmacista a cui ambiva, il primo dei suoi obbiettivi.
Li avrebbe raggiunti tutti, uno per uno, e anche se l'accademia non l'avrebbe mai riconosciuta come medico a tutti gli effetti, lei sotto quella finta veste da farmacista, sapeva già di esserlo.
Completamente assorta nei suoi pensieri, sobbalzò quando una forte folata di vento fece sbattere la piccola persiana in legno dell'oblò. Erika aprì la finestrella in vetro e si sporse per agguantare e chiedere una volta per tutte quel pezzo di legno indisciplinato che continuava a sfuggirle di mano. Sotto di lei il mare ruggiva nella notte. Con la coda dell'occhio, non le sfuggì l'ombra di una sagoma che si proiettò per una frazione di secondo sullo scafo della nave, lì dove, dagli oblò delle cabine dell'equipaggio al piano inferiore era visibile una tenue luce.
Scosse il capo, chiuse la finestrella e si sedette sul letto.
La sua mente da scienziata le rendeva impossibile cadere nella suggestione e non le permise di spaventarsi per così poco. Ed era incredibile come non le facesse paura un corpo privo di vita da dissezionare, o lavorare al buio e da sola in un macabro obitorio. Lei non credeva ai fantasmi o alle leggende, credeva solo a quello che i suoi occhi da medico potevano smembrare e ricomporre, o leggere sulle enciclopedie da cui era sommersa, per questo, Erika non si era mai considerata una fifona.
Dette per scontato che si trattasse di un fenomeno visivo dovuto dal riflesso della luce sull'acqua, altrimenti se così non fosse, quella doveva essere la sagoma di una persona aggrappata alla chiglia della nave e che si stava arrampicando sulle sporgenze delle tavole, e sinceramente trovò ridicola tale deduzione.
Nessun essere sano di mente avrebbe azzardato un'azione simile, di notte, sulle tavole zuppe e scivolose e ad un passo dal cadere tra le fauci dei cavalloni affamati.
E se fosse uno spettro? Erika scoppiò a ridere da sola a quel pensiero.
«I fantasmi non esistono, sono solo eventi incondizionati creati nelle menti deboli e facilmente suggestive, tutto a causa della regione neurale dell'amigdala che gestisce la paura» Mormorò, slacciandosi il corpetto e sfilandosi il vestito. Alzò il cuscino e prese la vestaglia color crema che vi aveva riposto sotto per la notte. Una volta indossata si infilò sotto le coperte calde.
«Niente più, niente meno..» sbadigliò prima di chiudere gli occhi. Accoccolata sul materasso si voltò verso il muro di legno, e mentre le palpebre si facevano più pesanti e la mente più sgombra, un inusuale scricchiolio al di fuori della porta le fece aprire di scatto gli occhi.
«Niente più niente meno ho detto!» Ripeté, osservando quella che sembrava l'ombra di qualcuno: due paia di stivali erano immobili al di là dell'anta di legno e Erika poté ben vederle grazie alla luce che da fuori filtrava al disotto della porta.
Immobile con il sangue gelato nelle vene, rimase a guardare la maniglia in ottone che iniziò a roteare a vuoto, fortuna che aveva preventivamente chiuso a chiave la porta per evitare fastidiosi incontri con i meno affidabili membri dell'equipaggio.
Qualcuno di loro evidentemente, aveva deciso di farle visita nel cuore della notte, ma lei era ben disposta a combattere pur di mantenere il suo orgoglio ancora intanto. Si alzò di scatto agguantando un bisturi ben disinfettato che aveva lasciato in precedenza sul tavolinetto operatorio.
«Chi c'è?! Sappi che sono armata e abile nell'usare il bisturi, ti consiglio di andare via se non vuoi ritrovartelo ficcato nel cervello!» Minacciò a voce alta, ricevendo però solo una strozzata risatina dall'altro capo. Erika trattenne lo smisurato impulso che ebbe di aprire la porta e mettere in atto ciò che aveva detto, solo per paura di dover veramente affrontare un assalitore ben più armato di lei.
«Shh..» Rispose lo sconosciuto passandole un foglietto da sotto l'anta.
Erika anche se titubante raccolse quel pezzetto di carta dove sopra vi era scritto qualcosa in una calligrafia orripilante.
"Non urlare, non farmi scoprire e non ti farò del male. Apri la porta e questa nave rimarrà intatta. Ignora invece questo mesaggio e faremo saltare in aria te e tutto il veliero. Ho una nave che è assetata di sangue e dipende tutto da cosa risponderai"
Erika sollevò un sopracciglio, ma involontariamente la pelle le si ricoprì di brividi e rimase alcuni secondi interdetta sul da farsi.
«Messaggio si scrive con due S» Disse, spaventandosi quando un forte colpo arrivò contro l'uscio. Non era quello il momento di scherzare con un possibile maniaco.
Poi un'illuminante rivelazione la investì. Per evitare di farlo arrabbiare e parlare nuovamente ad alta voce, strappò dalla sua agenda un foglio e vi scrisse velocemente qualcosa sopra in un perfetto corsivo. Lo chiuse e lo passò allo sconosciuto che impaziente, lo acciuffò facendolo scivolare velocemente sul pavimento dall'altro capo.
"Eri tu la persona che stava risalendo la chiglia della nave a mani nude?"
Attese la risposta, che dopo qualche secondo arrivò.
"Si, hai buon occhio dottoressa"
Erika sgranò gli occhi chiari, finendo con il boccheggiare prima di riprendere il pennino in mano. Quel tipo sapeva chi era e oltretutto l'aveva chiamata dottoressa, cosa che non le era mai capitata e questo la fece perdere il suo innato autocontrollo per un instante. Attese qualche secondo con la piuma ancora in mano, non sapendo bene cosa rispondere. Non capiva chi fosse, cosa volesse e oltretutto era stato capace di arrampicarsi su una nave in piena notte.
Poteva, anzi no, era sicuramente un potenziale tipo pericoloso, ma la cosa a maggior ragione la spingeva ad aprire, perché qualcosa le diceva che se non avesse fatto come richiesto si sarebbe trovata con centinaia di cadaveri sulla coscienza.
Scrisse velocemente e richiuse il foglietto.
"Se apro, promettetemi che non mi farete del male e che non toccherete un singolo membro dell'equipaggio"
Erika sentì il tipo oltre la soglia brontolare qualcosa,ma dopo una breve attesa finalmente ricevette una secca risposta.
"Lo prometto"
Nascose dietro la schiena il bisturi e lentamente girò la maniglia. Non doveva fidarsi, lo sapeva bene, poteva tranquillamente essere un bluff, eppure si sentì costretta ad assecondare quella richiesta. Non poteva permettere assolutamente che quel tipo minacciasse delle vite innocenti o la sua etica da medico ne avrebbe risentito.
Sentì la tensione scorrerle nelle vene e curiosa ma spaventata allo stesso tempo dalla misteriosa identità del suo aguzzino, fece scattare la serratura.
Aprì piano la porticina in legno che cigolò aprendosi sul corridoio buio del sotto coperta, rimase sorpresa nel trovarsi di fronte ad un ragazzo dai lineamenti giovanili ed esotici.
Con le dita le fece cenno distare zitta e proprio in quell'istante al suo occhio attento non sfuggì una peculiare unghia nera.
Ad Erika in quel preciso momento non fregò più un fico secco della vita dell'equipaggio e si pentì di ogni singola buona ragione che le aveva imposto di schiavare quella serratura arrugginita. Doveva diventare molto più egoista e di questa mancanza non poté che farsene una colpa. La sua curiosità, il suo buon cuore, le avevano fatto spalancare le porte ad un pirata del Cigno Nero.
Provò ad urlare con scarso successo e le cinque dita della mano del ragazzo le tapparono la bocca prima che potesse farlo scoprire, costringendola ad arretrare nella camera.
«State ferma e non gridate o giuro che v'ammazzo!» ringhiò lo sconosciuto, cacciando via con uno schiaffo il bisturi che aveva inutilmente cercato di piantargli nel braccio. Strinse le dita sulle sue guancie finendo faccia a faccia con lei, Erika spaventata da quegli occhi affilati, acconsentì con il capo facendogli intendere di aver ricevuto forte e chiaro la minaccia.
Il pirata lasciò andare la presa e sembrò rendersi conto di un peculiare dettaglio che nella penombra gli era sfuggito.
«Ma..sei roscia?» Erika rimase interdetta a quel dispregiativo, si aspettava che il suo: stupratore? Assassino? sinceramente non sapeva cosa volesse, ma a quanto sembrava non aveva la minima idea di quale fosse il suo aspetto fisico.
«Ma non mi dire, siete perspicace e ora mi date anche del tu, pirata?» rispose, marcando con disgusto l'ultima parola . Non gli erano mai piaciuti quei tipi, troppo spietati e crudeli. In realtà Erika non amava nessuno che fosse in grado di vivere a discapito degli altri.
Lei che solitamente le vite le salvava.
«Ecco il perché di quelle visioni..» Il ragazzo si portò due dita sotto al mento con fare pensieroso e non rispose alla futile domanda. Erika osservò con la coda dell'occhio la porta semi aperta alle sue spalle. Se solo fosse riuscita a cogliere l'occasione di prenderlo alla sprovvista avrebbe potuto svignarsela e farla franca.
«Di cosa stai parlando? E cosa vuoi da me, sei venuto fin qui solo per insultare il mio colore di capelli?!» Disse, facendo qualche passo avanti. Se quel tipo mancava di buone maniere, non aveva senso neanche per lei mantenerle con linguaggio rispettoso.
«No affatto, sinceramente non m'interessa, è solo che non sapevo fossi..straniera» Rispose il moro, ghignando appena. Erika scorse in quel frangente il bianco dente leggermente scheggiato che in realtà non gli gustava affatto l'aspetto. Un'imperfezione carina a dire il vero e sinceramente parlando quel tipo poteva anche averla insultata ed essere pericoloso, ma come poteva mentire a sé stessa?
Era veramente un bel tipo.
«Sono irlandese e francamente parlando credo che neanche tu sia inglese o francese» il pirata si grattò il mento, quella conversazione stava prendendo anche più tempo del dovuto. Non era di certo finito fin lì per parlare delle loro radici.
«No infatti, sono corean-» Smise di parlare non appena la ragazza sfuggì al suo campo visivo per svignarsela, ma la riacciuffò velocemente per il polso in modo da riportarla davanti a sé con uno strattone. «Non amo essere interrotto» Soffiò tra i denti, facendo appello a tutta la sua buona volontà per non farle troppo male.
«Ma hai ragione roscia, non sono qui per parlare di me e te, piuttosto ho da farti un offerta!» Disse pretenzioso. «Prendi carta e penna, scrivi in fretta qualche cavolata o giù di lì e poi..verrai con me!»
Erika infastidita, contrasse la mascella. Non poteva accettare una sorte simile. Lei che aveva dedicato tutta la sua vita fino a quel momento tanto importante per la sua carriera e adesso un pirata da quattro soldi voleva portarla chissà dove facendole perdere quell'occasione d'oro?
«Rifiuto» Rispose secca.
Gli occhi del pirata s'infiammarono a quella sfrontatezza. Forse, quella ragazzina non sapeva bene con chi stesse avendo a che fare. Tirò fuori dalla manica un rettangolo di stoffa, un foulard, o una bandana, Erika non capì al volo cosa fosse, e lo allisciò con le dita.
«Scusa la mia mancanza, devo aver omesso il dettaglio più importante; non. puoi. rifiutare.»
¤¤¤
Il vento sembrava non volergli dare tregua. Ogni secondo pensava di poter impazzire a causa delle frustate sulle guancie inferte dalle sue stesse ciocche rosso fuoco. Non vedeva bene nell'oscurità eppure il ragazzo che l'aveva presa in ostaggio sembrava muoversi perfettamente a suo agio nella notte.
«Laffsami!» sbiascicò, a causa dello straccio con cui il pirata le aveva tappato la bocca. Tirò i legacci che le stringevano i polsi dietro la schiena, ma non riuscì a fare granché mentre quel tipo sembrava non calcolarla di pezzo, troppo impegnato a guardarsi attorno come un segugio.
Erika iniziava ad avere paura. Non solo perché non sapeva dove diavolo la stesse portando, ma piuttosto perché la lettera che precedentemente l'aveva costretta a scrivere le fece presagire che fosse una questione abbastanza importante e dalla quale non sarebbe uscita tanto facilmente.
«Scrivi a caratteri cubitali che hai intenzione di ucciderti stanotte, fallo sembrare vero»
Le aveva detto poco prima di sbattere una penna sulla suo scrittoio.
«e..porta con te la lettera con il sigillo reale per entrare al porto di St. Barthélemy»
Aveva aggiunto, con tono pretenzioso.
Lei per fortuna era riuscita ad accaparrarsi sia la lettera, il suo amato taccuino pieno zeppo dei suoi studi e una tracolla dove aveva riposto alcuni strumenti, ma fingere la sua morte per annegamento in mare non era stato poi così elettrizzante.
Si chiedeva in cuor suo se lui non avesse veramente intenzione di ammazzarla così, facendo credere a tutti che il medico di bordo si fosse per sua spontanea suicidata di sua volontà, rifiutato di adempiere al suo futuro lavoro.
Ora che si trovavano sulla prua, nascosti dietro alcuni barili d'acqua piovana, pensò veramente che fosse un bluff tutta la storia che le aveva raccontato sull'eventuale arrembaggio della nave, quella che le aveva promesso avrebbe sbaragliato la sua per un suo dissenso. Lei in mare aperto, anche se ricoperto di nebbia fitta e cavalloni imbizzarriti, non vide l'anima di un vascello nemico.
Quando la strattonò ancora e con poca grazia per procedere, Erika decise di odiare veramente il pirata dallo stravagante caschetto scuro, se fosse stato per lei, quel giorno avrebbe volentieri mietuto la sua prima vittima.
Finirono poco più in là, sopra il parapetto che dava sull'oceano, e sorpresa, lo osservò tirare la cima di una corda legata al bordo di esso. La ragazza si scorse sotto di sé, e sgranò le iridi chiare quando vide la piccola e insignificante imbarcazione che a stento galleggiava sull'acqua, visibile solo grazie alla lanterna fioca che fungeva da faro per il suo proprietario.
«Èff quefta la tufa navef?!» il pirata sembrò trattenersi dallo scoppiare al ridere, nonostante il bavaglio aveva perfettamente capito cosa avesse detto.
«No, quella è più bella e grande, ma questa più pratica e silenziosa» rispose, non smorzandole la tensione. Era sicura che se avesse messo piede su quella bagnarola questa sarebbe affondata sotto al suo misero peso.
Il pirata tutto sorridente, tirò ancora la fune facendo avvicinare la barchetta allo scafo della nave, ma improvvisamente la corda si spezzò sotto il suo naso.
Era stato veloce però il bastardo, nel rendersi conto della sciabola che stava per mozzargli la mano, ma che aveva reciso la fune.
«Dove credi di andare, pirata?!» Erika si sorprese nel vedere messer Pinkley ad un passo dal ragazzo e ironia della sorte odiò il fatto che fosse proprio lui il suo salvatore.
Non sapeva chi dei due in effetti, trovasse più irritante.
«Merda» Imprecò il pirata, guardando avvilito la sua via di fuga allontanarsi tra le onde.
«Non era necessario arrivare a tanto! Cazzo Namjoon mi ucciderà se perdo la scialuppa!» Pinkley sembrò turbato da quell'importanza che il pirata stava dando più al suo misero mezzo di trasporto che alla sua persona e irato, gli puntò la sciabola affilata alla gola.
«Non sai chi siamo noi vero? Cosa ha mandato uno sporco pirata a rapire una donna dalla nostra nave?!» Domandò.
Erika vide il moro cambiare atteggiamento e gli occhi divenire fuoco per quello sporco che non doveva aver gradito molto.
«Per chi mi hai preso? So chi siete voi corsari, ex pirati ora maiali che hanno tradito il mare per il denaro di qualche ricco e avido sovrano per il quale scodinzolate. E lei..» disse puntando l'indice contro Erika. «..la roscia, non è una semplice donna che vi portate a presso per vostro diletto, serve al vostro padrone, o sbaglio?»
Erika rimase di stucco, nemmeno sapeva di star viaggiando con dei corsari, ma era convinta che quella nave fosse affollata solo da gente con la puzza sotto il naso. Forse il denaro di cui parlava quel pirata, aveva permesso loro di vivere e apparire come persone più agiate di un tempo.
«Cambia qualcosa? io e te agiamo per lo stesso motivo, i soldi» ringhiò infastidito Pinkley, nella sua sgargiante uniforme blu dai bottoncini color oro. Erika guardò entrambi, Pinkley, letteralmente con il coltello dalla parte del manico e il pirata, che cautamente aveva adagiato le mani sotto ai fianchi.
«Sai, hai ragione» Rispose quest'ultimo, sfilando velocemente un pugnale dal suo cinturone. Fu così veloce che Erika non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse accadendo. L'attimo prima Pinkley era bello che vittorioso davanti a lei con il suo sorrisetto strafottente in volto e quello dopo, rantolava a terra, sorreggendosi la gola con le mani, dalla quale usciva una quantità di sangue letale.
Non c'era nulla che potesse fare, nulla che avrebbe salvato un uomo da un taglio tanto profondo e netto sotto il mento.
«Ma non paragonarmi mai più ad un corsaro del cazzo!» Sputò a terra il pirata, che una volta mirato il punto vitale, aveva ucciso una persona con una macabra spensieratezza.
Per Erika non fu una bella scena, si rattristò di quella visione, ma se ne avesse avuto l'opportunità, avrebbe salvato Pinkley dopo quello che le aveva detto?
«Chiudi gli occhi, non è mai un bello spettacolo» Sentì la voce del pirata più cauta e lo vide rinfilare nella tasca il pugnale ancora sporco di sangue fresco.
Ma alla dottoressa non spaventava la morte, per nulla.
Aveva visto più sangue lei che quel tipo nella sua vita, ci avrebbe scommesso.
Ma a sconvolgerla era stata la freddezza con cui l'aveva fatto fuori e la stessa che gli aveva avuto l'attimo dopo nel gettare in mare aperto il cadavere di Pinkley.
Fu in quell'istante, quando le si avvicinò per toglierle il bavaglio, che Erika riprese coscienza del suo turbine di emozioni.
«Mi ucciderai?» chiese con voce fioca, ad un passo da lui.
«No, avrei fatto tutta questo casino solo per ucciderti?» Rispose, appoggiandole delicatamente una mano sul fianco. «Ma da adesso, spetta a te sopravvivere» concluse slegandole i polsi.
«Cos-aaah!!?» L'urlo di Erika si disperse in aria, quando il pirata come un pazzo, si gettò disotto portandola con sé in mare aperto. Capì che le aveva tolto il bavaglio e le corde solo per aiutarla a non annegare, cosa alquanto inutile dato che affondò comunque come un sasso nell'acqua gelida.
Aprì gli occhi, che bruciarono per il sale e le saltò il cuore in gola quando al disotto di sé non vide praticamente nulla se non nero. L'acqua era ovviamente alta e la corrente rischiava di trascinarla verso il fondo e per quanto tentasse di riemergere, ogni boccata d'ossigeno diventava un ingozzata di sale e acqua a causa delle onde alte.
Provò a nuotare ancora, di quel pirata assassino non vi era più nessuna traccia.
Che fosse annegato ben prima di lei?
Tossì sentendo la gola pizzicare e i piedi gelati a causa della fredda temperatura.
Si ripromise che, se fosse morta in mare, avrebbe perseguitato quel mascalzone come il fantasma di una donna in veste da notte.
Erika respirò ancora, prima di venire sopraffatta da un'oda a dir poco furiosa che trascinò il suo debole corpo lontano dalla nave e nuovamente sotto la superficie dell'acqua. Stava per perdere del tutto la speranza, se non fosse stato per l'adrenalina che la paura le infuse quando si sentì sfiorare sulla pancia e sui fianchi da qualcosa. Riemerse da sotto la superficie grazie all'aiuto di due braccia che la spinsero via da quella corrente e calciò il suo salvatore scambiandolo per qualche creatura marina a lei sconosciuta. Fortunatamente si rese conto appena in tempo che si trattasse solo di quel pirata che aveva deciso di salvarla e al contempo rovinarle la vita.
Qualche bracciata dopo, il moro raggiunse la piccola imbarcazione che si era prematuramente occupato di recuperare prima di lei. Ovviamente la barchetta aveva ben più valore per quel tipo, che una fastidiosa sconosciuta.
Erika si aggrappò allo scafo della bagnarola e con le sue ultime forze si tirò su, anche grazie all'aiuto del ragazzo che la spinse da dietro per farla salire a bordo.
Riprese aria nei polmoni e accortasi che quel tipo le stava praticamente toccando il sedere, rotolò sopra la barca ben poco elegantemente.
Tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto, per sua sorpresa, che la piccola imbarcazione restasse ancora a galla nonostante entrambi vi fossero saliti a bordo. Erika trattenne la lingua in bocca, perché le parole in quel preciso momento, contenevano solo una marea di insulti che avrebbero rischiato di farla nuovamente finire in mare e ripetere quell'esperienza era l'ultima cosa che volava.
«Prendi!» Non ebbe nemmeno il tempo di riprendere fiato che un remo di legno le finì in faccia. Erika furiosa, pensò a come colpire quel tipo direttamente in testa per farlo capitolare al di fuori della loro imbarcazione precaria.
«Vedi un po' di renderti utile e dammi una mano» Continuò lo spocchioso pirata, facendole stridere i denti per la rabbia. Avrebbe voluto discutere con lui, sull'assenza di buone maniere e di molte altre cose, ma onestamente, faceva troppo freddo per mettersi a perdere tempo in litigi che le avrebbero solamente assicurato una polmonite. Così, con i capelli zuppi ormai diventati color rame e i vestiti ancora gocciolanti, Erika seguì i precisi movimenti del ragazzo nel remare verso una destinazione ignota. Starnutì quando una folata di vento le gelò le ossa infreddolite e tirò su con il naso, un raffreddore se lo era assicurato, di quello era certa.
Cacciando quel pensiero dalla mente, si prese qualche secondo per osservare quel tipo, mentre con movimenti energici colpiva l'acqua per remare controcorrente. Anche lui era bagnato fradicio e i capelli zuppi gli si erano appiccicati sulla fronte, eppure non sembrava per nulla infastidito dall'aria gelida, merito forse del pesante giaccone che indossava.
«Muoio di freddo..» Disse lei, scrutandolo con la coda dell'occhio. Ovviamente non ricevette risposta. «se solo avessi qualcosa più pesante da indossare, sono solo in vestaglia..» Provò ancora, ma quel rozzo sembrava più concentrato nel remare e fissare un punto indefinito dell'orizzonte. «Ehi pirata!» Alzò il tono, riuscendo così ad ottenere la sua attenzione. «Ho detto che ho freddo. Perché non mi presti la tua giacca?!» più chiara di così non poteva essere, e se almeno un briciolo di buon animo risiedeva in quella canaglia, beh, Erika sperava di giovarne proprio in quel momento.
«Scordatelo, dovrei congelare per il freddo io? Non è colpa mia se sei vestita in quel modo così..così provocante!»
La mascella quasi le cadde a terra e rischiò veramente di tirargli una remata in fronte.
«Ah scusami, la prossima volta che vengo rapita chiederò al mio aguzzino di farmi scegliere il vestiario» rispose acida, coprendosi d'istinto il petto con le braccia. Fece finta di non averlo sentito, ma in realtà non le era sfuggito l'aggettivo con cui aveva definito il suo modo di vestire.
«Ma al tuo aguzzino va bene così» rise spocchioso, fissandola per qualche istante.
La miccia di Erika prese letteralmente fuoco e come una bomba, esplose rischiando di far ribaltare l'imbarcazione.
«Ehi, razza di porco! Non ho intenzione di farmi prendere in giro dal primo che passa, sappi che sono una donna che pretende rispetto!» Alzò il tono, puntandogli il remo in faccia. Lo sguardo tagliente del tipo a quella minaccia, la fece tornare a remare immediatamente.
Rispetto si, ma la vita prima di tutto.
«Il rispetto và meritato roscia, tu comportati come si deve e vedrai che te ne darò quanto vuoi, ma adesso..» Disse, portandosi a pochi centimetri dalla sua faccia. «Datti da fare e rema» Ordinò pretenzioso, e lei anche se titubante, non aggiunse altro riguardo quell'argomento.
«Smettila di chiamarmi così, il mio nome è Erika, Erika O'Conner, ma questo penso che tu già lo sappia..» Cambiò discorso.
Il pirata, dopo una lunga attesta si decise a troncare quel terrificante contatto visivo.
«Esattamente, lo sapevo..» Rispose secco.
«E tu..come ti chiami? Chi diavolo sei si può sapere?! Quel tatuaggio, conosco la tua flotta il Cigno Nero, ma non ho abbastanza informazioni per sapere il tuo nome!» Domandò lei dopo qualche minuto, ovviamente l'attesa fu così lunga che Erika rinunciò ad avere una concreta risposta a quella domanda e anche se fremeva dalla voglia di conoscere il nome della persona che avrebbe maledetto in eterno, sospirò prima di tornare a remare.
«Cosa c'è? Sei già così impaziente d'invocarlo? Sta tranquilla dottoressa, avrai tutto il tempo necessario per conoscere l'uomo che ti ha rovinato la vita, il mio nome sarà la tua ossessione. Questa è una premonizione» le sorrise il bastardo, con un predatorio ghigno che andò ad alzargli gli estremi delle labbra carnose.
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🏴☠️Angolo della ciurma:
Sono tornata! Dopo secoli ecco il primo capitolo del secondo volume!!🎉
Quanto mi erano mancati i nostri pirati, non sapete l'emozione che sto provando nel portarvi nuovamente con me in questa nuova avventura🖤
Allora cosa ne pensate del nuovo personaggio di Erika? Vi piace? Perché è stata rapita dai Cigni? A cosa gli servirà? E penso che tutti voi abbiate capito chi è questo pirata fin troppo spavaldo. A voi le teorie e i commenti 🔥
La settimana prossima pubblicherò il secondo capitolo e così via finché non avrò il tempo necessario per concludere e ricontrollare privatamente il volume e darvi così anche due capitoli a settimana!
Spero vi sia piaciuto questo piccolo assaggio e che si sia notato il leggero cambio di stile che ho apportato nel tempo🤔
Ora vi lascio ai commenti, fate i bagagli e mi raccomando, portate con voi i popcorn e qualche fazzoletto, ne vedremo delle belle! Baci 🖤
-ChZzz-
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