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Sasuke si lanciò sul letto dopo essersi fatto una doccia bollente che gli aveva allentato i nervi e i muscoli, rilassandolo; finalmente era a casa, tranquillo, nel silenzio.
Si mise a osservare il soffitto, appena illuminato dal camino accesso, mettendosi le mani dietro alla testa ancora umida.
Gli occhi continuavano a fargli dannatamente male: guardandosi allo specchio si era accorto che si erano arrossati parecchio rispetto al solito e così aveva deciso di prendere la medicina che Orochimaru gli aveva prescritto in caso di dolore.
Avrebbe preferito evitare, non si fidava molto di quelle pillole, ma era sicuro che se non le avesse prese non sarebbe riuscito a dormire per il dolore lancinante alla testa.
Aveva ormai da alcuni anni quel problema agli occhi, come tutti quelli del clan Uchiha.
Era una sorta di malattia genetica passatagli dal loro avo, Madara, che nonostante il susseguirsi delle generazioni aveva continuato ad affliggere ogni membro della sua famiglia, senza saltare nessuna generazione.
Era una malattia degenerativa che con il passare degli anni, nei casi più gravi, portava alla cecità completa.
La vista degli Uchiha era molto acuta e buona nei primi anni di vita, ma con il passare del tempo, soprattutto se sollecitata dall'affaticamento continuo e dalle luci forti, l'occhio iniziava a perdere decimi e a provocare forti dolori alla testa, seguiti da giramenti di capo, svenimenti, affaticamento, perdita di equilibrio.
Dal punto di vista visivo, l'occhio appare inizialmente arrossato nella sclera e con i capillari dilatati, più la malattia avanza, più l'occhio si colora di rosso, iniziando a mutarne il colore dell'iride.
Alla fine si perde la vista, continuando però a soffrire di dolori insopportabili alla testa.
A volte il dolore diviene talmente insopportabile tanto che porta alla morte.
Itachi, suo fratello, aveva quasi rischiato di rimanere cieco, se non fosse stato per l'intervento subito, che gli aveva permesso di vedere ancora per qualche tempo prima di morire ucciso dal tumore al cervello che lo aveva colpito pochi mesi dopo.
Era stato il primo a provare a guarire da quel flagello che gli Uchiha si portavano appresso, rimettendoci la pelle nel tentativo di curarsi.
Sasuke strinse i pugni al ricordo del maggiore, che aveva abbandonato il clan e l'azienda, seguendo Obito nella fondazione dell'ALBA, una società multinazionale nella ricerca e nello sviluppo delle malattie, che aveva fatto grandi progressi nel campo medico, grazie all'unione delle forze dei dieci soci, di cui una volta faceva parte anche Orochimaru, cacciato in seguito per le sue idee troppo pericolose e inverosimili.
Aveva voluto un gran bene al fratello quando era piccolo, lo aveva considerato un punto di riferimento, un traguardo da superare.
Poi, dopo la morte dei genitori, deceduti per colpa sua, aveva iniziato ad odiarlo intensamente.
Era per colpa sua se ora era solo e aveva tutti quelle pressioni sulle spalle; se non lo avesse abbandonato, con chissà quale ambizione, andando a lavorare da Obito, morendo sotto le "cure" che sembravano aver trovato per la loro malattia, adesso avrebbero potuto essere insieme a dirigere l'azienda di famiglia, dividendosi in modo adeguato gli incarichi e allora si sarebbe potuto permettere di avere una vita meno impegnativa.

I suoi pensieri vennero interrotti nel sentire cantare una canzone di Natale a volume molto alto.
Si mise seduto, tenendosi la testa tra le mani, mentre i denti digrignavano dal dolore e dalla rabbia.
Le voci del coro si fecero più alte, vicine, rimbombandogli nelle orecchie, che tentò di chiudersi con le mani per attutire il rumore.
"Basta! Basta! Basta!"
Urlò, scuotendo il capo mentre la testa pulsava.
D'un tratto, come erano arrivate, le voci sparirono, facendo ridominare di nuovo il silenzio nella casa.
Sasuke, con il respiro accellerato e gli occhi spalancati, si tolse le mani dalle orecchie, percependo un lieve fischio continuo.
Calmatosi, si mise seduto sul bordo del letto, con i piedi a penzoloni verso il pavimento, chiedendosi come fosse possibile ciò che era appena accaduto.
Prese in mano la scatola delle pillole che aveva appena ingerito: di sicuro dovevano contenere qualche sostanza allucinogena.
Tentò di leggere i piccoli caratteri scritti sul bugiardino, ma gli fu impossibile perchè gli apparivano sfuocati e illeggibili.
Lanciò la scatola a terra, in un angolo, facendone uscire tutto il contenuto che si sparse in ogni parte della stanza.
Di nuovo ringhiò, toccandosi gli occhi stanchi e dolenti; cercava solo un po' di pace, di tranquillità e, se possibile, un po' di sonno ristoratore.
Il campanello suonò, facendo sobbalzare Sasuke dal letto, con il cuore in gola per lo spavento.

Ore 23.45

Chi poteva essere a quest'ora della Vigilia di Natale a bussare alla sua porta?
Sasuke si chiese se non fosse solo un'altra allucinazione dovuto alle pastiglie.
Un'altra volta sentì il campanello suonare, seguito da una bussata.
Si convinse che dovesse essere tutto vero a quel punto, ma rimaneva il dubbio su chi potesse essere la persona che lo stava cercando.
Si alzò dal letto, traballante per via dei giramenti di capo e raggiunse la porta di ingresso una volta percorso il corridoio lentamente, facendo poco rumore, attendendo un altro squillo, per avere una maggior certezza che fosse tutto reale.
Ciò che si aspettava non tardò molto ad arrivare, facendolo trasalire un'altra volta.
Allungò la mano, tremante, ancora scossò da ciò che aveva vissuto poco prima, verso la maniglia della porta.
Si avvicinò poi con il corpo, appoggiando l'orecchio contro il materiale freddo che divideva lui da chi aveva bussato.
Sentiva il suo cuore battere a una velocità esagerata e il respiro ritornato affannato.
Si insultò di nuovo per aver preso le medicine di Orochimaru, la causa dell'aumento del suo malessere.
Fece un respiro profondo, per calmarsi, allontanando la testa dalla porta.
Doveva tornare il Sasuke Uchiha di sempre, non poteva mostrarsi così debole.

Sakura e Naruto, di sicuro dovevano essere loro due fuori dalla porta, dovevano essere loro che lo stavano cercando per convincerlo ad andare a festeggiare insieme agli altri.
Chi altro poteva essere tanto insistente e avere voglia di farsi tutta quella strada, a quell'ora di sera, mentre nevicava, per cercarlo, se non loro due.
Ripreso il controllo del suo corpo, avvicinò l'occhio destro allo spioncino al centro della porta, guardando se i suoi sospetti fossero fondati: apparì tutto sfuocato; i suoi occhi erano troppo stressati per riusire a distinguere i contorni da una fessura tanto piccola.
Sbuffò, irritato, iniziando ad girare le chiavi nella serratura.
S

enza pensarci due volte aprì la porta di scatto, venendo investito da una vampata di aria gelida mista ad alcuni fiocchi di neve.
Un brivido gli percose tutta la schiena, facendolo tremare.
Aprì e chiuse gli occhi più volte, vedendo che, sul pianerottolo, non c'era nessuno.
Ignorò il freddo e si sporse al di fuori della casa, guardandosi intorno nel giardino, illuminato dalle decorazioni natalizie dei vicini, che, per una volta, potevano essere utili a qualcosa.
"Chi c'è?" Disse piano, rimanendo poi immobile e in silenzio, aspettando una risposta.
"Chi c'è? Se è uno scherzo non è divertente." Ringhiò, questa volta, stringendo i pugni lungo le gambe.
Non ottenuta nessuna risposta rientrò in casa, riscaldandosi immediatamente strofinandosi le braccia con le mani.
Starnutì un paio di volte rumorosamente tanto che l'eco rimbombò in tutta la casa.
"Maledizione!" Imprecò, mentre si dirigeva verso camera sua, volendo cercare conforto nel camino, in cui, in quel momento, si sarebbe gettato pur di riscaldarsi.
Entrò nella stanza, completamente buia, camminando a stento verso le ceneri del fuoco che si era spento.
"Ma che cazzo sta succedendo stasera!?" Parlò ad alta voce, mentre cercava i fiammiferi per accendere di nuovo il caminetto.
Oggi tutti ce l'avevano con lui, non volevano proprio lasciarlo tranquillo.
Riacceso il camino, si lasciò cadere con il sedere a terra, sul pavimento di legno scuro.
Le fiamme ardenti gli illuminavano il viso pallido, riscaldandolo.
"Ecciù!" Starnutì, passandosi il retro della mano sotto il naso, sospirando irato per il raffreddore imminente.
"Salute."
"Grazie." Rispose, instintivamente, tirando su con il naso.
Si irrigidì, mentre un altro brivido freddo gli percorreva la schiena, facendogli venire la pelle d'oca.
"Prego." Si sentì rispondere, da una voce maschile, pacata e appena udibile.
Si alzò in piedi di scatto, afferrando l'attizzatoio saldamente, portandoselo davanti al corpo, ancora scosso dai tremiti.
I suoi occhi si mossero da un lato all'altro della stanza, dove le ombre dei mobili si muovevano seguendo i ritmi delle fiamme, cercando ti trovare colui che si era introdotto in casa sua e che stava parlando.
"Non temere Sasuke, non ti voglio fare del male." Parlò di nuovo, con un tono calmo e una voce profonda.
Camminò piano, verso la porta aperta della camera, affacciandosi sul corridoio, dove credeva che la persona si stesse nascondendo, trovandolo vuoto.
La voce gli era familiare, ma in quel momento non riuscì a darle un volto.
"Ti chiedo scusa, non volevo entrare in casa tua senza il tuo permesso, ma non mi hai aperto nonostante avessi suonato e bussato diverse volte."
Questa volta la voce sembrava provenire dall'interno della sua camera, così subito, appena la sentì si voltò, dando un'altra occhiata dalla parte opposta.
Quel modo di parlare, così tranquillo e garbato, gli ricordava qualcuno molto vicino a lui.
"Kakashi-sensei?" Chiese, quasi sollevato di aver scoperto chi fosse chi si era introdotto in casa sua.
Subito dopo però la rabbia lo assalì: gli era quasi venuto un attacco di cuore per colpa sua.
"Non proprio Sasuke, ma ci sei andato vicino."
Disse, prima che il corvino potesse aprire bocca per invenire contro di lui.

Dopo qualche istante di silenzio, in cui Sasuke rimase immobile, davanti all'entrata della sua stanza, sentii una folata di vento freddo investirlo, facendo tremolare la fiamma del camino che si spense.
"Merda!" Imprecò il ragazzo, annaspando con le mani nel buio, cercando di non cadere a terra o di andare a sbattere contro qualche mobilio.
Il fuoco si riaccese, più fievole e pallido di prima, illuminando appena intorno al caminetto.
Un rumore metallico, ruppe il silenzio creatasi, facendo sussultare il giovane, sempre più scosso da ciò che stava succedendo.
Il suono si faceva sempre più concreto, forte e vicino.
D'un tratto una figura si materializzò, davanti al fuoco, circondata da un velo di nebbia rado e grigiastro.
L'Uchiha aguzzò la vista, allungando appena il collo in avanti, cercando una spiegazione logica a quello che stava vedendo.
I tratti della sagoma si fecero più nitidi, rivelando la forma di un uomo piuttosto alto e magro, vestito in giacca e cravatta, con grandi catene avvolte intorno al corpo; egli però non aveva forma fisica, Sasuke poteva benissimo vedere attraverso al suo corpo, del medesimo colore della nebbia ormai diradata, il fuoco che ardeva dietro di lui.
Un giramento di testa improvvisso lo colpì, facendolo barcollare contro la scrivania alla sua destra, a cui si appoggiò, riprendendo stabilità.
"Quelle... fottute pastiglie. Ci mancavano solo le allucinazioni." Ringhiò ad alta voce, rimettendosi in piedi, convinto che l'apparizione fosse frutto della sua immaginazione.
"Ti senti bene, ragazzo?" Disse, l'uomo, trascinando le catene a terra, andandogli in contro con andatura scostante.
Quando Sasuke si rese conto che era tutto reale, per poco non svenne di nuovo.
"Chi cazzo sei tu?!" Si lasciò sfuggire un'altra imprecazione, mentre si spingeva sempre più contro l'oggetto e di nuovo l'aria fredda lo travolgeva.
"Non avere paura, non ti farò del male." Ripetè, di nuovo, la figura effimera fermandosi a debita distanza.
Sasuke sgranò gli occhi, osservando il viso ora più nitido dell'uomo che gli sorrideva, tenendo gli occhi chiusi.
"Il mio nome è Sakumo Hatake." Si presentò, mantenendo un sorriso malinconico e leggermente triste.
"C-che cosa? Ma lei è-" il corvino non riuscì a finire la frase, colpito da un'altra fitta agli occhi.
"Si, sono il padre di Kakashi.
A proposito... come sta mio figlio?" Disse, con aria triste.
"Volevo dire che lei dovrebbe essere morto." Lo corresse Sasuke, ripresosi, avvicinandosi alla figura, ormai convintosi che fosse benigna.
Allungò la mano verso il suo corpo, tentennando per un istante, prima di trapassarlo più volte con la mano tastando la consistenza inesistente e fredda.
"Quindi mi conosci." Rispose l'Hatake, guardando il ragazzo giocare con quello che era il suo spirito.
"E sai il motivo per cui sono morto." Continuò, attirando l'attenzione di Sasuke, che ritrasse la mano, strofinandosela con l'altra per scaldarsela.

L'Uchiha rimase in silenzio e ripensò al momento in cui Kakashi gli aveva raccontato della sua infanzia, di quanto fosse stato difficile per lui crescere senza suo padre, l'unica figura d'esempio che aveva mai avuto, non avendo mai conosciuto sua madre morta durante il parto.
Si era rivisto molto, nel racconto del suo sensei, in come il suo carattere era cambiato, nei rapporti con gli altri, per questo si trovava bene e si fidava di lui, perchè lo comprendeva fino infondo.
Lui sapeva cosa voleva dire perdere tutto e dover ricominciare da capo, da solo, senza il sostegno di nessuno e, forse, era proprio per quello che Kakashi lo aveva cresciuto e ora stava cercando di spingerlo a comportarsi in modo diverso da come aveva fatto lui, perdendo tutto i legami che si era creato con fatica.
Eppure lui continuava a fare di testa sua, convinto di essere sulla strada giusta per ottenere ciò che desiderava: il riscatto della sua famiglia.
Quello era importante, l'unica cosa che contava, nient'altro aveva senso per lui.
"Si è suicidato dopo una delusione di lavoro.
Perchè ha fatto un gesto simile? Non ha pensato a come potesse sentirsi suo figlio senza di lei?" Rispose Sasuke, senza troppi giri di parole, iniziando ad alterarsi.
"Ero considerato uno dei migliori avvocati di Tokyo, ogni causa che mi veniva affidata la vincevo senza troppi problemi; ero rispettato da ogni mio collega, nessuno si augurava di finire contro di me in tribunale." Iniziò a dire, in un sospiro malinconico.
"Kakashi ha seguito le sue orme, anche lui ha studiato per diventare avvocato, prima che mio padre gli offrisse di lavorare per la nostra azienda." Tentò di rassicurarlo Sasuke, vedendo l'espressione dell'uomo incupirsi.
Sakumo abbozzò un sorriso compiaciuto, continuando poi a parlare.
"Lo so bene, l'ho chiesto io a tuo padre... sono lieto che abbia assecondato la mia richiesta." Rispose gentilmente, tornando poi serio.
"Tutti si chiedevano come riuscissi ad incastrare la famiglia e gli amici tra tutto il lavoro che mi occupava la maggior parte della vita. La loro era invida non ammirazione, ma l'ho capito troppo tardi...
Avevo una causa importante tra le mani, complicata, ma fattibile.
Se l'avessi vinta la mia cariera sarebbe arrivata alle stelle.
Quel giorno non mi presentai in tribunale: un mio caro amico aveva avuto un incidente e io ero andato in ospedale a trovarlo.
Era quasi sul punto di morte, ma per fortuna riuscì a riprendersi e tornare a casa dalla sua famiglia.
Persi la causa, persi il lavoro, persi il finto rispetto che tutti mi avevano portato fino al giorno prima.
Resistetti alla depressione per alcuni mesi, ma alla fine cedetti e mi uccisi."
Ad ogni parola, la sua voce si faceva più tremante, ma tentantava comunque di mantenere il sorriso, proprio come Kakashi, che cercava di mostrarsi forte nonostante soffrisse nel profondo.
"Non avrebbe dovuto far passare il lavoro in secondo piano." Commentò il ragazzo, sbuffando contrariato, continuando a credere fermamente nei suoi ideali.
"Dimmi Sasuke: secondo te perchè sono qui?" Chiese poi, Sakumo, cambiando discorso.
Il ragazzo sembrò pensarci su un istante, osservando la figura incatenata dell'uomo.
"La mia anima è condannata a vagare in eterno nel mondo degli umani, fino a quando non verrò assolto da mio figlio." Rispose al suo posto Sakumo, trascinando le catene lungo la stanza, verso il camino.
"Perchè non va a far visita a lui allora.
Cosa centro io?"
Sasuke non comprendeva tutto quello che stava accadendo: perchè il padre di Kakashi era venuto da lui, se doveva essere perdonato dal figlio?
"Perchè sarai tu a permettere che lui mi perdoni." Si spiegò, nonostante l'Uchiha continuasse a non comprendere.
"Io non ho intezioni di aiutarla affatto.
Si tirerà da solo fuori dai suoi problemi, è quello che si merita per non aver svolto il suo lavoro e di conseguenza abbandonato suo figlio." Lo criticò di nuovo, convinto che se Sakumo avesse partecipato alla causa, invece di soccorrere l'amico, ora sarebbe ancora in vita e avrebbe risparmiato a Kakashi tanta sofferenza.
"A partire dall'una, riceverai la visita di tre spiriti.
Seguili e ti mostreranno la tua vita." Furono le ultime parole dette dall'Hatake, prima che sparì, così come era apparso, spegnendo il fuoco nel camino, lasciando solo Sasuke che cadde a terra, svenuto, per un altro improvviso mancamento prima di poter comprendere le parole dette dall'uomo.

[2639 parole] - 24 Dicembre 2017

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