参 (san)

Abbandono il vicolo nel silenzio più totale, lasciandomi alle spalle uno scenario di morte e sangue.

Il corpo del Pro Hero giace sull'asfalto in una posa scomposta, sembra una bambola di pezza buttata via.
È il terzo che uccido questa settimana, ormai i notiziari non parlando d'altro, il mio nome è conosciuto in tutto il Giappone. Ma, nonostante ciò, ancora nessuno è riuscito ad avere una foto del mio volto. Motivo per cui posso girare indisturbata durante il giorno.

Mi pulisco i palmi insanguinati sul body di pelle. Sospiro di piacere al ricordo dell'espressione terrorizzata dell'uomo: sapeva che era arrivata la sua ora, però sapeva anche di non poterci fare niente.

Shoto è rimasto a casa, non c'era bisogno che mi accompagnasse, visto che l'obiettivo di stanotte era un Eroe poco conosciuto e con un quirk non troppo pericoloso.
Lo scontro era durato una decina di minuti e si era risolto con la mia vittoria inequivocabile. Per fortuna non c'erano passanti, chissà chi avrebbe ritrovato per primo il corpo.

Avevo lasciato il mio segno distintivo - non potevo rischiare che confondessero una delle mie vittime con quella di un criminale qualsiasi -, ovvero un morso ben assestato alla base del collo.

Mi tiro il cappuccio sul volto e continuo a camminare, non vedo l'ora di tornare a casa per farmi una doccia. Spero anche che Shoto mi abbia lasciato degli avanzi della cena.
Non ricordo però cosa aveva intenzione di cucinare...

Mi blocco all'improvviso, i sensi alla massima allerta. Il problema del cibo passa subito in secondo piano.

Capisco di non essere sola, il mio pedinatore è parecchio bravo, dev'essere sui miei passi dalla scena del crimine. L'unica cosa ad averlo tradito è stato il suo battito cardiaco: qualcosa deve averlo spaventato, perché il suo cuore aveva cominciato a battere più forte, e ciò mi ha permesso di scorgere quel suono in mezzo al silenzio della notte.

Riprendo a muovermi con calma, come se non mi fossi accorta di nulla. Ora riesco a percepire persino i suoi passi leggeri, deve trovarsi un paio di isolati dietro di me. Mi passo una mano sul viso per asciugare il sudore che ha cominciato a colarmi fin lungo il collo; non posso farmi scoprire, non oggi che sono da sola.

Svolto un angolo, la fortuna vuole che sopra di me ci sia una di quelle scale d'emergenza fatte di metallo. Salto e mi aggrappo agilmente al corrimano, per poi issami su di essa e accovacciarmi contro il muro. Premo una mano sulla bocca, cercando di regolarizzare il mio respiro.

'Magari non mi vedrà, magari non girerà nemmeno da questa parte.'

Neanche il tempo di formulare questo pensiero che una figura appare sotto di me, le fiamme azzurre che ricoprono il suo costume da Hero rischiarano l'intera strada.

Indossa una maglia scura ricoperta da lingue di fuoco lungo le spalle e parte del petto, le maniche terminano con dei cerchi di metallo contenenti una specie di plasma celeste, lo stesso che scorre nelle polsiere e nella cintura. Da quest'ultima delle bretelle cadono morbide sul tessuto nero del pantalone, infilato in un paio di stivali di pelle rinforzati di metallo.

La chioma candida spicca in mezzo a tutto quel nero e azzurro. Ha le spalle larghe, e parte del collo e del petto sono lasciati scoperti dallo scollo a punta del costume.

Di solito non sono una persona che si spaventa facilmente, ma il crepitio di quelle fiamme infernali mi mette i brividi. Non è il loro colore naturale: so che quel fuoco è talmente caldo da poter carbonizzare qualsiasi cosa, senza possibilità di ritorno; persino la mia capacità di rigenerarmi dopo una ferita non mi permetterebbe di uscirne viva.

Rimango immobile, per fortuna il nero del mantello mi permette di mimetizzarmi perfettamente con l'oscurità circostante.
Il ragazzo si guarda intorno, scrutando con attenzione ogni angolo non illuminato dalle sue fiamme. Poi, dopo qualche tentativo, sembra arrendersi e decide di ritornare sui propri passi.

Sto per tirare un sospiro di sollievo, quando noto con orrore che il metallo sotto i miei piedi è corroso dalla ruggine. Non ho nemmeno il tempo di urlare, precipito verso il basso, gettando la testa all'indietro per guardare sconsolata il buco sulla grata che mi aveva nascosto così bene. Atterro dolorosamente sull'asfalto, una nube di polvere si alza tutta intorno a me.

Tossisco diverse volte, il cappuccio mi è scivolato lungo la schiena.
Cerco di rimettermi in piedi ma la gamba destra non mi regge, deve essersi rotta per colpa della caduta.

"(Nome)...?"

Sollevo la testa di scatto. Un paio di iridi turchesi mi guardano con stupore, sono dello stesso colore delle fiamme che danzano attorno al suo volto affilato. Entrambe le orecchie sono ricoperte di piercing a cerchio, così come il suo naso - su cui spiccano tre palline argentate -, le sue guance e il mento.

A primo impatto non sembra neanche un Eroe.

"Come fai a...?"

Le parole mi muoiono in gola, non appena i ricordi mi colpiscono come uno schiaffo.

"Come ti chiami, piccola?"

Il ragazzo dai capelli di neve mi guarda con i suoi grandi occhi turchesi, il suo sorriso sembra gentile.

"(Nome) (Cognome)" sussurro, abbassando lo sguardo.

"Sei la nuova amica di Shoto, vero?"

Annuisco in risposta. Dev'essere il più grande dei fratelli Todoroki, l'unico che ancora non avevo conosciuto.

"Non è la prima volta che ti vedo sgattaiolare in casa nostra quando papà non c'è... - il mio cuore comincia a battere più forte, spero non si arrabbi - Beh, sappi che sei la benvenuta. Il mio fratellino non ha nessun amico, quindi sono contento che conosca una bambina carina come te."

Mi scompiglia affettuosamente i capelli, le mie guance si tingono di rosso. Non mi aspettavo un trattamento così gentile da parte di qualcuno che non fosse Shoto, di solito la gente mi trova spaventosa.

Mi schiarisco la gola, raccogliendo tutto il mio coraggio.

"Come ti chiami...?"

"Touya" mormoro.

Non posso credere che, tra tutti gli Hero di pattuglia, dovevo incontrare proprio lui. Il suo nome era rimasto sepolto nella mia mente per parecchi anni, ormai il suo ricordo era qualcosa di sbiadito.
Ci eravamo visti pochissime volte, ma il suo sguardo era qualcosa che non potevo dimenticare.

"Ora mi faccio chiamare Dabi."

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