9. (𝕱𝖆𝖜𝖓)

«Se vuoi elaborare un piano per ucciderlo sono con te. Dovremo farlo a mani nude, però: quel maledetto non risponde ancora ai miei poteri».

Era già un'ora o più che tentava di comunicare con lui: da quando avevano assistito a quella scena nella sala dei banchetti Lyam era rimasto zitto e inebetito, come un cadavere ambulante. Finché la cena non era terminata aveva tentato di parlargli mentalmente, ma aveva ricevuto solo silenzio. Lui non aveva più guardato nella direzione di Idalia: si era limitato a mangiare con un'espressione imperscrutabile addosso. Fawn aveva occhieggiato ancora il comandante attardarsi vicino alla principessa e al Re per un po', prima di alzarsi e tornarsene vicino agli altri cavalieri.

Che Idalia si riveli peggiore di quanto temessi? Che sia lui a corteggiarla mentre lei non sa come respingerlo, impossibilitata a rivelare i suoi sentimenti per Lyam? O forse quel farabutto vuole soltanto la corona, d'altronde farebbe gola a chiunque...

Mentre si arrovellava aveva sentito quel suo abituale calore bruciarle dentro, forsennato.

Si era trattenuta dall'aggredire qualcosa o qualcuno o dal dare in escandescenze: colpire il Re o la principessa le avrebbe solo causato la decapitazione istantanea, e quel diavolo di un comandante continuava a esserle insensibile. Odiava la sua immunità.

Non avendo trovato pace nell'azione si era lanciata sul suo amico e lo aveva subissato di messaggi mentali: avrebbe voluto portarlo a reagire, a dire qualsiasi cosa, ad arrabbiarsi, come minimo, se non ad alzarsi in piedi e sfidare seduta stante quell'uomo che attentava alla virtù della sua dama. Ancora più della supponenza di Devon trovava irritante da morire la mancanza di replica di Lyam.

Quando tornarono nella piccola e spoglia stanza che era stata concessa loro, agli appartamenti inferiori, attese che le guardie li rinchiudessero dentro prima di parlare ad alta voce: come se, così facendo, Lyam avesse potuto ascoltarla meglio.

Alle sue parole, lui si girò appena e con voce piatta le rispose: «Ti sembra il momento per dire sciocchezze del genere?»

«Non sono sciocchezze! Io sono oltremodo seria! Che cosa pensi di fare? Lasciare che tutto ti scorra davanti così? Combatti! Siamo venuti fin qui solo per lei. Le hai parlato, almeno?»

«No, non le ho detto niente. Non c'è niente da dire, in fondo. Con che coraggio mi sono presentato qui? Sono stato uno stupido, scusami per averti coinvolto...» replicò lui, lo sguardo sempre più basso e il tono di voce sempre più flebile.

Nel dire ciò Lyam si accasciò. Si sedette affranto su una delle due minuscole brande posizionate per loro, sistemata contro uno dei lati di quella camera quadrata: la luce flebile di una pallida luna emetteva qualche debole bagliore, che penetrava appena attraverso le grate dell'unica finestrella presente.

«Ascoltami!»

Gli prese a forza il viso e lo costrinse a guardarla, posizionata in piedi davanti a lui: «Non posso vederti reagire in questo modo. Abbiamo affrontato battaglie ben peggiori, non puoi darti per vinto proprio ora».

«Quali speranze dovrei covare, ancora? Quelle di un pazzo? Lui è un cavaliere, il preferito del Re. Io non sono niente, Fawn. Non sono un bel niente...» continuò Lyam, con un tono così disperato da indurla a credere che sarebbe scoppiato in lacrime da un momento all'altro.

Cercò di giocare le ultime carte che aveva e puntò sul suo vittimismo personale. Almeno quello poteva smuoverlo: «Lei è viva! Lei è viva, va bene? E fintanto che questo sarà vero, non ti permetto di rinunciare a quello che desideri, solo perché sei troppo codardo per volerlo davvero!»

«Io...» provò a replicare lui. Parve riflettere per un po' e guardò nel vuoto. Dopo un lungo attimo sembrò riprendere forza: «Hai ragione, Fawn... Io ci devo provare» disse. Si sfilò dalle mani di lei per coricarsi lungo disteso sulla branda, gli occhi che pian piano assumevano una sfumatura decisa, mentre li volgeva verso il soffitto.

«Ci devo provare».

Lei parve rinfrancarsi nel vedere quel barlume di convinzione. Si decise a lasciarlo in pace e si diresse verso la sua branda, sicura di riprendere l'argomento il giorno successivo.

Quel Devon pare un osso duro, ma non può essere un avversario invincibile. Va solo formulato un buono schema, ci rifletteremo insieme.

*

La mattina successiva, dopo essere stati destati dalle guardie e aver mangiato insieme alla servitù, furono portati al cospetto del sovrano, in una sala diversa da quella in cui erano stati accolti il primo giorno: meno imponente e di dimensioni ridotte, ma altrettanto sontuosa.

Il Re sedeva su un trono più piccolo del precedente e indossava una tunica verde bottiglia, su cui rilucevano intricati decori in oro. Fawn intuì che quella dovesse essere una sala del consiglio, a giudicare dal grande tavolo posto dinanzi al Re: era ricoperto da una serie di pergamene, alcune delle quali raffiguranti mappe ben disegnate, e da quello che capì essere il sigillo reale. Alle pareti scendevano grandi stendardi su cui erano raffigurate le iniziali e i simboli della casata. Poche librerie, riempite da volumi spessi e ben tenuti, occupavano qualche lato di quella stanza elegante.

Ai lati e leggermente più indietro rispetto al Re sedevano sui propri seggi una serie di personalità che non aveva ancora avuto modo di incontrare. Immaginò si trattasse dei suoi consiglieri: un uomo minuto e basso da un lato, dai capelli scuri e il mento appuntito, vestito in viola e dall'aria semplice, che li guardava con fare apparentemente divertito, forse curioso. Dall'altro un uomo più anziano, esile e inserito in una tunica blu notte: una lunga barba argentea gli ricopriva parte del petto e le sue lunghe mani affusolate rimanevano incrociate dinanzi a lui. Aveva un'aria saggia ma allo stesso tempo indagatoria, che le ispirò una certa soggezione.

Poco più a lato vide Idalia, insieme a quella che doveva essere sua sorella, in piedi vicino a suo padre. Fawn non le risparmiò un'occhiata rapida e feroce. Forse lei non aveva colpa, ma non riuscì a trattenersi, la scena della sera prima e il dolore di Lyam erano ancora vividi nella sua mente.

Insieme a loro fu convocato anche sir Devon: rimase in piedi di fronte al Re, scostato rispetto a loro che fronteggiavano il sovrano.

«Direi che possiamo cominciare: dunque, Devon... Come riferito l'altro giorno, ritieni questi Misteri due servitori della mia autorità, non inclini ad arrecare alcun danno. Eppure, siamo qui per decidere della loro sorte rispetto agli atti di ribellione che ci sono ben noti. Che cosa proporresti di farne? Ricevere la grazia è un onore non da poco».

Devon si rivolse al suo Re, con quel fare educato che Fawn ormai aveva decretato essere mellifluo e falso.

«Vostra Altezza, non mi ritengo nella posizione di poter deliberare alcunché, riferisco solamente quanto ho potuto osservare, in totale onestà. Sono sicuro che la vostra scelta sarà la migliore pos...»

«Questo lo so già, Devon, non ti ho chiesto cosa pensi della mia capacità di giudizio. Ti sto chiedendo cosa faresti tu».

Fawn sorrise gelida. Leccapiedi.

«Vostra Altezza, se posso parlare schiettamente, penso darei la libertà a questi due individui, ma li legherei alla vostra regione».

«Suggerisci di concedere loro la residenza di Asporya...?»

«Non come concessione, sire, ma come debito. Sono sicuro che potrebbero dimostrare la loro lealtà alla Corona rendendosi utili in qualche modo, anche in virtù dei poteri che possono mettere a disposizione. Sarebbe un buon investimento alla luce della vostra politica di riconciliazione con la loro razza. Dareste prova di grande magnanimità e lungimiranza».

Il Re rimase a riflettere: scambiò qualche parola a bassa voce con i due uomini che lei aveva identificato come consiglieri. Sembrava ritenere quell'idea una buona proposta, a giudicare dal brillio negli occhi e dal tono mite con cui annuiva.

Certo che quel damerino è proprio bravo a ingannare con le parole.

Se pensava di poterla costringere in quella città a fare da fuochista per le cucine reali, per dimostrare quale brava e leale cittadina lei fosse, si sbagliava di grosso. Glielo avrebbe lasciato credere, l'importante era venire rilasciata. Non capiva perché quell'uomo nutrisse tali intenzioni nei suoi confronti, ma non le importava.

Fu mentre se ne stava lì, a pregustare nella sua mente il momento in cui lo avrebbe finalmente affrontato e sarebbe fuggita, che Lyam, sotto lo sconcerto generale, fece un passo in avanti verso il sovrano.

Si inginocchiò di fronte a lui.

Fawn lo osservò senza rendersi conto, in quel breve lasso di tempo, di cosa stesse accadendo. Non gli aveva prestato attenzione fino a quel momento, non aveva notato l'agitazione che permeava il suo amico, probabilmente da quando avevano varcato quella soglia. Lui alzò il capo per guardare il Re ed esclamò con voce tremante:

«Vostra Altezza Reale, permettetemi di presentarmi come si deve. Sono Lyam Wyndbourn, nato nella regione di Agonos, in una contea che non conosco e di cui non ho memoria. Sono cresciuto a Rikbourough, presso l'istituto per gli orfani della Purga che fu intestato a vostro nome. Non ho nobiltà o antenati illustri da vantare... Ma ho dalla mia un potere e la lealtà verso questo regno, nonché la condivisione di un ideale di un mondo migliore, in connubio tra le nostre due razze. Sono qui a offrirvi umilmente la mia spada e chiedervi di unirmi alla vostra cavalleria nella lotta al nemico».

Ci fu un silenzio assordante.

Fawn ci mise un attimo a capire di cosa Lyam stesse parlando: rimase esterrefatta a fissarlo, prima di volgere lo sguardo intorno a sé. Notò che lo stesso sbigottimento risaltava anche sul volto del Re, di Idalia e di Devon. Più che sbigottimento, quello di Devon sembrava puro orrore. Fu strano: oltre a quel momento nelle camere della servitù, quando era riuscita a provocarlo, Fawn non aveva mai visto spuntare su quella pelle bruna alcuna ruga di emozione o sentimento. Ora persino lui non poteva fare a meno di fissare Lyam, che rimaneva ancora a terra, lasciando trapelare ciò che provava davvero: teneva gli occhi incollati su quel pugno di capelli rossi, con uno sguardo sbarrato e intriso di repulsione.

Fu il consigliere più minuto a parlare per primo: «State forse chiedendo a Sua Maestà, il Re, di concedervi l'onore di rendervi cavaliere? Avete la minima idea della richiesta che avete appena osato fare, giovane...?»

Lyam guardò di rimando quell'uomo. Tradì una punta di incertezza e paura, nel sentire quelle parole. Rimase zitto, ma fece un piccolo cenno di assenso col capo.

«Incredibile. Non sono noti casi di Misteri tra gli uomini armati del regno, non è mai successo! Cosa vi fa pensare che potreste ottenere tale permesso?»

«Non è mai successo, no». Si levò un'altra voce, molto più bassa e profonda, dal secondo consigliere alla sinistra del Re. «Ma non è detto che sia una follia: lo potremmo far succedere, in effetti...» aggiunse. Scrutò Lyam di fronte a sé, che non accennava ad alzarsi o a retrocedere, seppure visibilmente in difficoltà.

L'altro uomo lo guardò di rimando, sempre più sconvolto, prima di irrompere con ulteriori proteste circa quella proposta inammissibile. Fu il Re a interromperlo: gli ordinò di calmarsi e volle sapere dal consigliere più anziano perché ritenesse valida quell'idea.

«Sire, la vostra politica di pacificazione finora ha portato solo deboli bagliori di successo e grandi sfide, non ultimi i nemici che ci minacciano. Serve un gesto forte, che lasci un'impronta circa la questione annosa della convivenza tra le due razze: fare di questo ragazzo un primo caso significherebbe aprire le nostre porte ai Misteri, dare un chiaro segno. Al contempo, se il suo ruolo dovesse dimostrarsi valido e l'impresa avere successo, porrebbe delle forti basi per ispirare fiducia in quest'unione, anche in chi è ancora scettico».

«Ma potrebbero ribellarsi in qualunque momento! Addestrare gente come loro, dotata dei poteri che hanno, significherebbe condannarci tutti alla possibile rovina!» riprese il consigliere più minuto.

«O alla pace definitiva...» asserì il Re, pensieroso.

«Consideratelo un esperimento, Sire: in fondo un singolo uomo, in caso di problemi, verrebbe facilmente controllato o sedato dai vostri corpi armati e dal vostro comandante. Ma in caso di successo avremmo silenziato le rivolte, consegnato ai Misteri un nuovo eroe in cui riconoscersi, nuove aspirazioni e motivi per essere più fedeli alla vostra figura. E dalla nostra avremmo dimostrato al popolo che non sono pericolosi come si teme».

A quelle parole, il Re lanciò uno sguardo a sua figlia e indugiò a lungo su di lei.

«Molto bene, mio caro giovane...» disse, accompagnando le sue parole con un leggero sospiro: «Sono disposto a concedere uno spiraglio alla tua richiesta. Non verrai investito subito. Da domani ti verrà concesso di seguire il mio ordine: ripartirai da zero e verrai posto sotto la tutela e l'addestramento del mio fidato sir Devon. Potrai seguire la sua cavalleria in battaglia, se giurerai fedeltà e lealtà assolute. Ti avverto, non sarà semplice: sei certo di volerlo?»

Lyam, liberato dal timore che lo aveva scosso fino a quel momento, rispose con un sonoro sì, Vostra Altezza all'indirizzo di Reimen, lo sguardo fiero e convinto.

Fawn era rimasta in silenzio fino a quel momento, totalmente in balia degli eventi che le stavano accadendo davanti, senza la forza o la capacità di reagire e formulare alcun pensiero dotato di senso. Lyam non l'aveva guardata nemmeno per un istante: un senso di vuoto imminente la colpì all'improvviso. Non riuscì a dargli un nome, ma si sentì come se un'estesa voragine le si fosse aperta nel petto. Come se un'enorme solitudine, rimasta sopita fino ad allora, fosse tornata a reclamare la sua esistenza a gran voce. Non aveva la forza di provare né rabbia né sconcerto, solo di osservare il suo fragile e insignificante mondo andare in pezzi.

Più in difficoltà di lei c'era solo Devon che, chiamato in causa dal Re, non sapeva come comportarsi o cosa rispondere. Riuscì giusto a fare un cenno con la testa, all'indirizzo del sovrano.

«Oggi è una mattinata importante. Ebbene, quanto a te, ragazza?»

Solo allora Fawn ricordò dove si trovava, chi avesse davanti e cosa fosse venuta a fare. Alzò gli occhi sul Re, che continuò:

«Intendi forse fare la stessa richiesta del tuo compagno e unirti alla causa, ragazza?»


🦌🤎⚔️🔥

In barba a tutti, Lyam tira fuori carattere.

Pensate che sia un progetto suicida? O che abbia fatto bene?

Ma soprattutto: che scelta farà Fawn, secondo voi?;)

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