42.2 (𝕱𝖆𝖜𝖓)

Lo strato di tela giallastra era l'unico guscio che la proteggeva da ciò che non avrebbe mai voluto affrontare.

Gli sguardi o le opinioni degli altri cavalieri, la papabile reazione che potevano avere all'idea di saperla ancora viva, l'astio che forse covavano verso Devon per averli abbandonati ed essere venuto a inseguirla. Devon stesso, il cui risentimento nei suoi confronti forse era stato solo messo in pausa, grazie a quell'infantile scena che lei aveva architettato ore prima. Le altre ragazze, Nilde e le sue lacrime silenziose.

Troppe persone e troppi pasticci a cui dover porre rimedio, senza neanche sapere come farlo. Lily era uscita dalla tenda da tempo, ma Fawn non si era mossa dal proprio giaciglio né aveva osato fare un passo fuori dall'esigua copertura.

Poteva usare la scusa dell'essere debole ancora per un po', almeno per quella sera. Prima di dover davvero mettere il naso all'esterno e scoprire che la brughiera fredda le voleva rivolgere solo ulteriori rimproveri. Rimase distesa a lungo, accucciata dentro a una coperta di lana ruvida, ad aspettare che il suo corpo si riprendesse. In quei momenti di quiete si accorse finalmente di ogni livido e taglio che aveva addosso: bruciavano e le facevano male a ogni movimento. Si alzò solo ore dopo per mettersi a sedere e fissare il vuoto, rimanendo avvolta. Avrebbe potuto tentare di accendere un fuoco e riscaldarsi così, ma non voleva rischiare. Orgoglio o meno, esalare quell'unica fiammella davanti a Devon l'aveva davvero fatta sentire sul punto di lasciarci le penne.

Quanto ci avrebbe impiegato il suo potere, a tornare completo e saldo?

Una simile esperienza non l'aveva mai vissuta, solo l'incendio nella rocca era arrivato al punto di farla svenire. All'epoca era bastato un giorno perché la situazione si ristabilisse senza conseguenze, ma ora...

Sospirò e si rese conto di essere praticamente al buio. Ogni lieve raggio di luce che aveva attraversato la tela per l'intero pomeriggio ormai era svanito. Avrebbe dovuto almeno accendere una candela, usarla come esperimento e capire la condizione in cui la sua energia riversava.

Portò le mani ad appoggiarsi sul terreno, le ginocchia puntate contro lo stesso. Avanzò a gattoni verso il punto in cui prima aveva scorto una candela tozza. Meglio usare un oggetto esterno e dargli un'unica scintilla, sentiva di non essere in grado nemmeno di reggere il peso di una fiammella levitante.

Tastò con le mani davanti a sé alla ricerca del cero. Lo avvertì, era lui. Strinse le dita per capire dove si trovasse lo stoppino e lo individuò. Guardò il punto indicato dall'ombra della sua mano e fece un piccolo sforzo. Aggrottò appena la fronte, nell'atto di concentrarsi per un secondo soltanto, e un baluginio luminoso prese vita davanti a lei. Persino un gesto del genere la indeboliva, cazzo.

Si fermò a contemplarlo senza fare più alcun movimento, ma il silenzio venne interrotto da un borbottio che proveniva dalla pancia.

Ho fame, cavoli. Davvero un sacco di fame.

Ed eccolo, il motivo che la voleva spingere a uscire dal suo nascondiglio sicuro e fronteggiare ciò che non aveva alcuna voglia di incontrare. Sbuffò, un suono gracile e lieve dedicato solo all'aria dinanzi a sé. Si arrotolò con le braccia intorno alle proprie gambe, seduta, la testa inclinata e poggiata sulle ginocchia. Guardava quella minuscola lingua di fuoco che si contorceva in una danza sinuosa, sforzandosi di non pensare a niente e ignorare la voglia di cibo.

«Fawn, stai bene?»

Si voltò di scatto, rimanendo accucciata a terra. La voce era esistita solo nella sua testa, ma ne poteva percepire la vicinanza. I colori non li riusciva a scorgere, ma lo sguardo di Lyam avrebbe brillato anche immerso dentro alla notte più pesta. Il suo viso familiare sbucava dall'ingresso della tenda.

«Non volevo disturbarti, ma iniziavamo a preoccuparci. Non sei uscita neanche per mangiare... ti ho portato qualcosa io, speravo di trovarti sveglia».

Aveva parlato a voce alta: la voce dolce e dall'inflessione un po' acuta di Lyam. La stessa di cui si rese conto di avere disperatamente bisogno.

«Sì, sto bene! Vieni dentro».

Perché lui aveva parlato al plurale? Che fosse stato ancora Devon a crucciarsi per la sua salute, come una madre apprensiva?

Tentennò un po' prima di trovare il coraggio di parlare, mentre Lyam le si avvicinava. Aveva un piatto con della carne appoggiata sopra, selvaggina che avevano probabilmente trovato nei dintorni. Non fumava, sembrava a malapena tiepida.

Attese che il suo amico si chinasse e si sedesse vicino a lei per porgerle il cibo, prima di prendere fiato e sussurrare: «Ti ha mandato il comandante?»

La luce fioca e vibrante della candela fu sufficiente a farle distinguere un'occhiata corrucciata di Lyam, che rimase posata su di lei per più tempo del normale. Lui le mormorò con un tono basso: «Non è l'unico a tenere a te, Fawn. A queste cose ci arrivo da solo».

Non rispose. Ancora una parola e avrebbe fatto offendere anche l'ultimo dei personaggi di quella compagnia: Devon, Nilde, ora persino Lyam. Gli dèi l'avevano davvero graziata con il dono di riuscire a esprimersi male, sempre e comunque.

Fu Lyam a spezzare il breve silenzio, di nuovo: «E comunque, saresti stupita di sapere che c'è una preoccupazione collettiva nei tuoi confronti. Gli altri cavalieri hanno saputo cosa è successo e, beh... credo che ora ti stimino, o qualcosa del genere».

Lyam aveva accompagnato il vocabolo con una smorfia incredula della bocca.

Lei non si risparmiò una risatina priva di allegria: «Mi stai prendendo in giro? Quale parte stimano? Quella del rogo nella foresta o le torture che ho ricevuto da quei tizi?»

«Entrambe, in un certo senso. Il fatto che tu ti sia sacrificata per aiutare le donne della compagnia ti ha elevata ai loro occhi, credo».

Il tono beffardo di Lyam non aveva bisogno di spiegazioni, e lei neanche ne voleva. Non c'era la necessità di parlarne o di dirsi concordi: con grande probabilità li considerava degli ipocriti. Ma era ciò che lui andava cercando, no? dal primo giorno. Il rispetto necessario a ottenere un posto tra loro.

Parlò ancora Lyam: «Non credo di doverti far presente come il comandante li abbia rimbrottati. Osannare il fatto che ti sei quasi fatta uccidere, non sia mai».

Un ghigno sul viso del suo amico, che continuò: «A dirla tutta, anche lui mi sembra sollevato dal clima generale con gli altri soldati. Penso avesse davvero paura che l'avrebbero biasimato troppo. Ha praticamente mollato tutto e se ne è scappato per venirti a cercare, lo sai?».

Ignorò il riferimento e si limitò a un minuscolo cenno di assenso con la testa. Lyam aveva davvero intuito che ci fosse qualcosa di strano tra loro? Quanto aveva capito? Si scoprì una terribile codarda, ma il coraggio di parlarne con lui sentiva di non riuscire a cacciarlo fuori. Incredibile, ci era riuscita con Lily, che conosceva a malapena da poche settimane.

Forse perché lei non era con noi un anno fa, non ha mai incontrato Dylam e non era sua amica.

Sollevò la piccola coscia di volatile che aveva nel piatto e diede un morso.

La strategia migliore era ignorare il tutto e virare su altre questioni: «Che cosa sta succedendo? Ci sono sviluppi sullo scontro futuro? Non so nulla».

«Non ti ha detto niente, da quando vi ho lasciati?»

Abbiamo fatto altro.

No, non poteva dirlo.

«Ero molto stanca e non stavo bene, non abbiamo parlato molto».

Non alzò e non girò neanche la faccia, la tenne puntata contro la carne che riprese ad addentare e masticare. Non seppe cosa Lyam stesse pensando o che espressione avesse, lui parlò dopo qualche attimo: «Sai almeno dove ci troviamo?»

«Non proprio, no...»

«Alle porte di Mavrita. A quanto pare, Proteo si nasconde dentro alla residenza del duca».

Il duca. Lo stesso duca di cui lui dice di essere figlio?

Continuò a sbocconcellare la coscia, mentre Lyam riprendeva: «Sono venuto qui anche per questo. Domattina devo partire, ho un compito molto importante da portare a termine».

Lo aveva detto con una certa nota di orgoglio, riuscì ad accorgersene. Prima che un'agghiacciante preoccupazione le crollasse addosso.

«Partire per dove? Dimmi che non sei solo!»

«Abbiamo bisogno di rinforzi, prima di poter attaccare: l'esercito che Proteo ha tirato su è con tutta probabilità più numeroso del nostro. Il re ha un unico sicuro alleato, dentro a questa regione infernale. Devo trovarlo e chiedere il suo aiuto, nessuno può farlo più in fretta di me».

Lyam mandato a fare da messaggero, completamente da solo, disperso dentro alla loro crudele terra natale e senza nessuno a proteggerlo?

«Sì, d'accordo, ma perché da solo? Vengo io con te, lo chiederò a Dev—»

«Sarebbe inutile, Fawn, chiunque finirebbe per rallentarmi. Va bene così, me lo sono scelto io e ho intenzione di farcela».

Simili indicazioni potevano venire solo da quel pazzo incosciente.

«Lyam, è un'idea di quel folle del comandante? Guarda che posso discuterci io».

Il suo amico si voltò verso di lei con un gesto più secco, la voce si alzò e assunse una sfumatura arrabbiata: «Fawn, non sono un bambino e non ho bisogno della balia! Ha fatto solo il suo lavoro, smettila di dargli addosso. Posso farcela, ti ho detto».

Ecco un altro errore. Un'altra cosa sbagliata da dire. Non ce la faceva proprio, assurdo.

Rimase zitta. Sì, Devon non era il vero responsabile. Era consapevole di tutto dal primo momento in cui Lyam si era gettato dentro a quel proposito: il giorno in cui si sarebbe dovuto finalmente far valere senza alcun aiuto era lì, dietro l'angolo. Solo che lei aveva finto di non vederlo, presa dall'illusione di poterlo sul serio proteggere fino alla fine, in qualsiasi modo...

Portò giù la mano che reggeva la carne mangiata per metà, che posò nel piatto. Si girò verso Lyam con circospezione: lui guardava davanti a sé, gli occhi bassi e pensierosi, l'intero viso ricoperto da un velo di convinzione insolito. Qualcosa era successo di sicuro, mentre lei non c'era. Qualcosa che non sapeva classificare o riconoscere: lo poteva scorgere nelle parole più affilate del suo amico, nel tono che si era indurito, nei gesti del corpo che avevano perso una briciola quasi impercettibile del loro consueto impaccio, di solito mascherato dalla tenerezza. Lui non era lo stesso Lyam che aveva lasciato partire verso la reggia del conte di Dunham, ne era sicura.

Magari era solo il primo passo verso quella risolutezza che lui cercava con così tanta foga. Avrebbe dovuto essere contenta, lasciarlo andare e spronarlo.

Capì che era sul punto di commuoversi, senza nemmeno avere idea del perché. Una stretta intorno al cuore la portò ad avvicinarsi a lui, cingerlo con le braccia e non dire una parola. Lo strinse, posandogli la testa sulla spalla. Lyam non si sottrasse e non rispose, non usò il solito slancio di affetto a cui era abituata. Si limitò a metterle una mano sul braccio con cui lo avvolgeva e a lasciarsi confortare in silenzio. Rimasero lì per un tempo che a Fawn non sembrò durare abbastanza, cullati soltanto dal suono dei loro respiri e dalla luce tremolante di quella pallida candela: tanto piccola, ma in grado di fare strada alle loro esistenze.

«Io sono sempre qui, qualsiasi cosa succeda. Lo sai, vero?» gli mormorò.

«Sì, lo so».

Lo sapeva davvero, lui? Scelse di credergli. Si distolse quando Lyam la portò con garbo a staccarsi e le accennò un sorriso titubante, mentre la rassicurava: «Andrà tutto bene, vedrai. Deve andare bene».

Sì, doveva. Non poteva essere utile al suo amico, ma c'era ancora qualcosa a cui non aveva alcuna intenzione di sottrarsi di nuovo.

*

Lyam l'aveva già salutata e se ne era andato, quando le sagome familiari di Ciara e Yulia fecero irruzione nella tenda. Le due ragazze la abbracciarono e la tempestarono di parole, dimostrandole un affetto e una premura che non credeva nemmeno di voler ricevere. Sistemarono lì dentro i propri giacigli e risposero alle sue domande circa il fatto che Devon si trovasse ancora in piedi. La compagnia si stava ritirando per la notte, ma lui era sempre l'ultimo a farlo. Lo sapeva.

Di Nilde non ci fu traccia, e nessuna di loro la nominò. Fawn ebbe l'impressione che gli sguardi e i modi delle due ragazze covassero qualcosa di nascosto, un non detto che aleggiava nella distanza tra loro, ma non osò tirarla fuori. Si limitò a prendere coscienza del fatto che non sembravano avercela con lei, qualsiasi cosa Nilde avesse potuto raccontare. Forse non era stata in grado di parlarne...

Disse che sarebbe tornata a breve, e ignorò il fatto che avevano posato le proprie coperte a entrambi i lati del suo giaciglio personale. Lei era solita dormire di fianco a Nilde, dal primo giorno. I posti non erano mai cambiati.

Il cuore venne strizzato da una leggera compressione, ma si sforzò di non darci peso e uscì. Il pizzicare dell'aria gelida notturna fu la prima sensazione che provò, poi arrivò la morbidezza del terreno umido sotto i piedi. Non pioveva, ma Agonos sembrava vivere in un eterno momento sospeso tra il solido e il liquido. Di fatto, il sole non era mai stato in grado di asciugare la sua terra natia. Le mancava? Non avrebbe saputo rispondere, ma si fece strada un'emozione che assomigliava tanto alla malinconia. Forse poteva esistere il conforto dell'abitudine, persino in quella regione che le aveva sempre dimostrato ostilità.

Neanche il nero della notte riusciva mai a essere pieno e completo, la nebbia sempre perenne offuscava le forme degli alberi intorno all'accampamento. Notò una luce rossastra che spiccava poco più in là, tremula e incerta a causa del leggero vento che soffiava anche sotto il suo mantello. Di fronte al fuoco, una sagoma seduta che aveva un'aria molto familiare. Devon osservava il falò, da solo e senza accennare a muoversi.

Si fece strada un pensiero ingenuo.

Forse sta aspettando me.

Se ne pentì subito e si diede della stupida.

Sta solo aspettando che tutti si siano ritirati per controllare che la zona sia sicura, come ogni volta.

Si mosse nella sua direzione, a passi lenti e misurati. Doveva riuscire a intavolare una conversazione tranquilla, non era davvero il momento per farsi prendere dai soliti modi bruschi.

Lui la notò in fretta e alzò la testa per guardarla, ma non disse niente, mentre Fawn percorreva gli ultimi metri e si portava vicino. Non aveva voglia di sporcarsi il mantello di fango: si sedette vicino a lui, sullo stesso tronco. Si guardarono, il viso di Devon attraversato da lingue di luce rossa. Fawn provò sollievo nel constatare che gli occhi scuri sembravano calmi e non covavano scintille di rabbia, anche se i capelli che gli ricadevano sulla fronte erano più scompigliati del solito.

Che sia per via dell'umidità? Dovrebbe davvero imparare a usare un pettine.

Le apparve l'immagine fulminea e improvvisa di un comandante in ghingheri, i capelli tirati all'indietro come un vero nobile, i vestiti formali che avrebbe potuto indossare se lo sposalizio con Idalia fosse mai diventato realtà. L'aria impettita e ridicola, a contrasto con tutto ciò che aveva conosciuto di lui.

Si sforzò con ogni fibra di non ridere, non dire nessuna delle sue solite stupidaggini e starsene zitta. Calma, pacata, ragionevole.

Possibile che questa testa riesca sempre ad avere pensieri tanto idioti e nei momenti meno opportuni.

Fu Devon a spezzare il silenzio: «Stai meglio?»

La malinconia che provava fu accesa ancora. Che strano, era il tono profondo e risoluto di sempre, ma aveva una sfumatura così triste.

«Sì, sto bene... grazie».

«Bene. Meno male».

«Già, meno male».

Altro silenzio.

Lasciò passare alcuni secondi, colmati solo dall'imbarazzante rendersi conto che non erano mai stati in grado di portare avanti una conversazione normale. Ma cosa c'era di tanto difficile, perbacco? Doveva solo comunicare, come faceva con tutte le altre persone. Senza urla, senza battute irriverenti e soprattutto senza saltargli addosso come una cretina.

Ebbe un brivido di freddo e si strinse di più nel mantello. Devon parve notarlo, perché accennò un movimento verso di lei, prima di bloccarsi e tornare a guardare il fuoco: «Andiamo, dai. Il clima sarà sempre peggio ed è meglio non accumulare troppo gelo nelle oss—»

«Ti devo chiedere una cosa».

Non c'erano variabili alternative. Doveva provare a essere diretta e ricordarsi di non dare di matto, per nessunissima ragione.

Lui sospirò con una certa vena rassegnata: «Di nuovo? Com'è che hai sempre qualcosa da chiedermi, per un motivo o per un altro?»

Ecco la ragione. Ci aveva messo davvero poco.

«Magari perché il capo di questa illustre e allegra compagnia sei tu».

Troppo acida, contieniti.

Ci riprovò, dopo aver preso un piccolo respiro profondo: «Questa è l'ultima richiesta che ho, te lo giuro. Una volta tornati non mi avrai più tra i piedi, ma devo fartela...»

Altro silenzio, rotto solo da un «Dimmi» più cupo del normale.

«Credo che tu lo sappia già».

Lo vide chinarsi di poco col busto e passarsi una mano sul viso e sui capelli. Sì, lui lo sapeva benissimo. Doveva solo convincerlo ad accettare la cosa, una buona volta.

Il volume gli si era abbassato e Devon continuò a guardare il fuoco: «Di che stai parlando? Sii più chiara».

«So che lo scontro decisivo è vicino e che Proteo si trova qui, nel palazzo del duca...»

Di tuo padre, se tutto quello che mi hai rivelato è vero. Ma tu stai bene? Che pensi? Immagino che stavolta non me lo diresti...

«È così».

Sussurrò, senza più avere il coraggio di dimostrarsi forte: «Io voglio venire con voi, non impedirmelo. Ti prego».

L'ennesimo momento di vuoto, nell'aria solo lo sfrigolare delle fiamme sul punto di morire.

Non arrivò nessuna risposta e Fawn riprese, la voce che si era fatta più dolce e mite senza che lei avesse dovuto sforzarsi: «Sai che ci proverò comunque, a che serve montare su la stessa scena dell'altra volta... Lasciami andare. È quello che voglio, dico sul serio».

Altri respiri pesanti e lui tornò con la testa tra le mani, questa volta entrambe.

«Esiste la vaga ipotesi di farti cambiare idea?».

«No».

«Quindi è questo che vuoi, morire per dimostrare qualcosa?».

No, aveva riflettuto sulle parole di Lily. Non si trattava di ciò, e forse se avesse trovato il modo di migliorare e spingerlo a fidarsi...

«Non voglio morire. Quello che è successo è servito ad aprirmi gli occhi. Avevi ragione nel dire che mi comporto da incosciente...».

Lui abbassò le mani, girò la testa e la guardò, finalmente. Gli occhi si erano accesi appena e lei forse era riuscita a stupirlo. Esisteva uno spiraglio di speranza.

Continuò: «Voglio solo dare un senso a quello che ho fatto fino a oggi. Contribuire a qualcosa, alla stessa maniera di Lyam, di te e del resto del gruppo. Ho più motivi di loro per voler incontrare quell'uomo e fare la mia parte».

«Chi mi dice che non te ne uscirai con qualche gesto folle?».

Nessuno, devi solo lasciarmi andare.

Ma non lo disse, si limitò a cercare un appiglio che potesse rassicurarlo un minimo. Iniziava a intuire cosa gli passasse per la testa, in qualche modo. Devon aveva la stessa aria afflitta e protettiva di quando lei aveva accettato che Lyam partisse da solo: «Farò quello che dici, stavolta. Rimango dove mi dici di stare, combatto con chi mi ordini di combattere e non mi getto in imprese assurde».

Lui tentennava, fissandola. Ebbe l'istinto a sottrarsi dal suo sguardo, che sembrava volerle scavare dentro per cogliere qualsiasi segno di incertezza. Fawn si ripeté di mostrarsi sicura, non doveva rendersi ancora una volta inaffidabile.

Non era davvero in grado di promettere niente, e Devon forse lo sapeva. Non le chiese di giurare nulla, parlò solo dopo averla scrutata per un unico, intenso momento: «Non posso vietartelo, immagino. D'accordo, tu starai di fianco a me. Facciamo finta che possa bastare a qualcosa».

Voleva sorridere e forse persino abbracciarlo, ma non lo fece. Il contesto non era adatto, sarebbe solo sembrata una sciocca ragazzina. Nascose dentro sé stessa quell'improvviso calore: le aveva dato retta. Per un singolo, minuscolo istante qualcosa aveva trovato il proprio incastro perfetto e loro si erano capiti. Assurdo, pensare di essere felice con la prospettiva di una battaglia futura colma di disperazione ad attenderli.

Eppure, rimase lì. Dentro il suo petto, protetto dalle folate gelide della notte di Agonos: un tenue, esile e trascurabile sorriso.











🦌🤎⚔️🔥

La fatica di produrre questo capitolo non ve la sto a spiegare, penso sia chiara dal ritardo immenso 💔. Non saprei nemmeno spiegarmi il motivo, in fondo è abbastanza semplice e privo di azioni. Chi lo sa! Forse le cose sottili sono più complicate da trasmettere di quelle esplicite 💔.

E quindi, cosa ci è giunto da questa seconda parte?

Spero che vi sia arrivata la piccolissima scintilla che io ho visto succedere tra loro, anche se fatta soltanto di parole ❤️.

Siamo vicini alla fine di un ciclo, ma non della loro storia.

Qui altri minuscoli mattoncini sono stati posati.

Spero di essere più produttiva coi prossimi capitoli, che rappresenteranno la chiusura del primo arco narrativo. Ci provo, e ne approfitto per ricordare a tutti che da sabato prossimo (l'1 febbraio) inizierò a pubblicare una nuova storia, e quindi...

Momento pubblicità

La mia nuova storia si chiamerà Contact e sarà uno sport romance dalle note dark: scrittura molto più leggera, trama molto più semplice. Non garantisco per i temi, nel senso che io rimango io e se qualcuno mi sta leggendo intuirà come coi traumi e le introspezioni ormai vado a braccetto 🖤. Ma secondo me ne uscirà una cosa carina, per chi avesse voglia di seguirmi anche lì... siete i benvenuti.

A presto ❤️.

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