42.1 (𝕱𝖆𝖜𝖓)

L'incedere frettoloso dell'animale sotto di lei la portò ad alternare momenti diversi: fasi di totale scomodità ad attimi in cui sentiva di essere sul punto di addormentarsi. Non si lasciò mai andare, però, nonostante l'istinto a chiudere gli occhi in certi punti del tragitto si fosse fatto più forte. Doveva rimanere sveglia e cosciente, in grado di reagire e non dare ulteriori grane a Devon.

La consapevolezza di averlo lì ad avvolgerla non se ne andò mai, a prescindere da quanto alcuni tratti la potessero far sentire sull'orlo di liberarsi ancora e vomitargli addosso. Non lo fece, si limitò ad appigliarsi a quella presa senza dubitare. Lui non ebbe più il tempo di darle attenzioni: Fawn capì come avesse spinto il cavallo sotto di loro a una velocità folle e fosse preso solo da quello. Era incredibile, cavalcava persino meglio di quanto aveva visto fino a quel giorno: non si era nemmeno accorta di essere quasi in volo.

Percepì che il viaggio stava per finire quando la vista si diradò un minimo, le figure confuse di sagome verdi e legnose intorno a loro diventarono più definite, il vento che le sferzava il viso si placò. Rallentarono, finalmente. Tentò di tenersi dritta e di aprire per bene gli occhi, nell'istinto di scrutare al meglio ciò che la aspettava, trovare gli altri, riconoscere ciò che avrebbe incontrato. Nello sforzo di spingere la testa molle a non cedere, si accorse solo delle braccia intorno a lei che la stringevano ancora di più. Una bocca le si era appoggiata sul retro della testa, piano, un fiato leggero le accarezzava i capelli. Lo avvertì spostarsi verso il suo orecchio con calma: «Siamo arrivati, ce l'abbiamo fatta. Ora andrà meglio». La stessa voce profonda di sempre, che si rendeva bassa per farsi sentire solo da lei. Quando aveva acquisito la forza di apparirle così confortante...

No, smettila.

Era vissuta fino a quel momento senza che un uomo la aiutasse, non era davvero il caso di abituarsi ai suoi modi da genitore apprensivo. O peggio, farseli piacere.

Non reagì, però, il suo io più segreto non si oppose alla stretta che non accennava a dissolversi. In fondo era troppo debole e stanca, non ci sarebbe comunque riuscita, no? Rimase lì a godersela ancora, fino a quando non distinse le prime sagome umane delinearsi al suo sguardo. Un paio di soldati, cavalieri alti e massicci di cui non ricordava il nome, fattezze note. Sullo sfondo le sagome di basse tende color ocra, già montate per accogliere la compagnia da chissà quanti giorni. Una terza figura più minuta si affiancò ai due uomini, la mise a fuoco man mano che la distanza venne accorciata: una nuvola scura intorno alla testa, una massa di ricci inconfondibili, due occhi color del cielo.

Nilde, no, aspetta...

La preoccupazione arrivò prima della gioia di saperla sana e salva: cosa avrebbe pensato, vedendoli così? Tutto ciò che non avrebbe dovuto.

Fawn si agitò un pochino, in un tentativo inutile e maldestro, per impedire che lui continuasse a tenerla in quel modo. Non servì a niente, Devon neanche si accorse di ciò che cercava di fare, o la ignorò. Sentì che la presa su di lei si chiuse di più e salì, a circondarle il busto e tirarla.

Lasciò che la aiutasse a scendere da cavallo e atterrò coi piedi incerti sul terreno. Si spostò di scatto, con le poche energie rimaste, quando lui tentò di alzarla di peso e prenderla in braccio.

Davanti a tutti, persino? È impazzito totalmente.

«Ce la faccio, mi reggo in piedi da sola!»

Devon non replicò, la lasciò fare senza allontanarsi, quella dannata mano che non si spostava dal suo fianco. Come se avesse paura che potesse cadere da un momento all'altro.

Non era impossibile, in effetti, scoprì che il suolo davanti a lei oscillava in maniera pericolosa...

Si fece forza, inspirò a fondo e si obbligò a premere i piedi con forza contro la terra umida.

Chiuse gli occhi per un paio di secondi, li riaprì e li puntò davanti a sé, cercando di rimanere dritta. Nilde era lì, la figura appena sbiadita che a tratti si sdoppiava, ma era lei. E quell'espressione piena di tormento e tristezza la riconobbe nonostante l'annebbiamento. Ebbe il potere di trafiggerle il cuore seduta stante. Gli occhi lucidi, il respiro un po' affannato mentre cercava di fingersi calma, la sua amica era sul punto di piangere.

Avrebbe voluto pigolare qualsiasi cosa, salutarla, esalare un «ciao» senza senso, ma le parole non uscirono. Notò solo le labbra di Nilde tremolare appena e rispondere al comandante. Doveva averle chiesto qualcosa, ma Fawn non ci aveva fatto caso: «V-vi chiedo perdono, signore, potete chiamare un'altra ragazza? Non sono in forze, davvero, non vi sarei di nessun aiuto».

«Che significa, Nilde? Mi servi tu perché sei la migliore, non ti ho messo a capo del gruppo per toglierti dagli incarichi quando ti pare».

«M-mi dispiace, davvero, scusate...»

«Ascolta, devi capire che razza di intruglio c'era qui dentro, e alla svelta. Non so cosa sia né che effetto abbia, ha iniziato a stare male appena dopo averlo bevuto».

Un movimento che spostò l'aria intorno a loro, Devon stava di certo cercando la boccetta con il tonico in qualche tasca. Ma possibile che non si accorgesse di niente? Nilde era in difficoltà, cazzo, doveva lasciarla stare.

«M-mio signore, non so davvero che dire, posso assentarmi un attimo? Vi chiamo Lily, arriva subito, lei—»

«No, al diavolo! Mi devi ascoltare, ti sto dicendo che è urgente».

«Lasciala stare».

La testa le girò, non riuscì a mettere a fuoco il viso di Nilde con abbastanza chiarezza, ma doveva intervenire. Prima che quell'idiota le facesse davvero perdere ogni briciolo di orgoglio rimasto. La sua amica era sul punto di scoppiare in lacrime.

Fawn riprese prima che lui potesse ribattere: «Nilde, chiama Lily, per favore, non mi sento molto bene...».

Un singhiozzo inconfondibile: «M-mi dispiace, Fawn. Scusami, mi dispiace...».

«Chiama Lily, per favore». Riuscì a sussurrare.

Poteva evitare alla sua amica quella scena vergognosa e permetterle di mettersi in salvo, ma la forza di resistere ancora e parlare non ce l'aveva. Un fruscio e la sagoma di Nilde che si allontanava in fretta da loro.

Si aggrappò con la mano sinistra al mantello del comandante vicino a lei: un pò per tenersi, ma soprattutto per impedirgli di seguire la ragazza e di agire ancora come una catapulta priva di sentimenti.

Come faceva a rimediare? Cosa era successo a Nilde, cosa aveva capito o visto? Non stavano facendo niente, in fondo.

Non ebbe il tempo di darsi delle risposte, le macchie di colore che riusciva a guardare si fecero più confuse e le gambe tremarono. La vertigine fu interrotta da un paio di braccia che la afferrarono dietro la schiena e le ginocchia, impedendole di crollare a terra. Fu sollevata di peso, al suono della stessa voce scocciata e dura che conosceva bene: «Oggi stiamo tutti perdendo il lume della ragione, che cazzo!»

Si rilassò e chiuse gli occhi. Per riflettere su come risolvere le cose c'era ancora fin troppo tempo. Non oppose resistenza e non mentì più a sé stessa: venire sorretta da lui le infuse una strana sensazione rassicurante, come una serenità sconosciuta.

*

Un tocco particolare: era saldo e deciso, per quanto non violento. Non le faceva male, eppure non aveva il garbo caloroso delle mani che l'avevano già curata in passato. Aprì gli occhi, sbatté le palpebre un paio di volte, inspirò. Capì che la vista era tornata al suo posto, il telo a qualche metro di distanza dal suo viso appariva finalmente nitido. Osò girare la testa di lato, nella direzione da cui aveva avvertito un corpo che la sfiorava. Vide solo un grembiule bianco poggiato sopra agli abiti da viaggio, su una figura molto più longilinea di Nilde. Arrivò prima la voce, e solo dopo ne scrutò il viso: «Eccoti, finalmente. Chi ti ha fatto bere quella roba era un vero stronzo, lasciatelo dire».

Lily non rilassava mai le sopracciglia, sembravano esserle state disegnate con una punta aguzza, che le aveva impresse sul suo viso come linee tese per l'eternità. Una piccolissima ruga le separava, ormai non spariva nemmeno quando l'espressione le si faceva neutra. Fawn si disse che prima o poi avrebbe dovuto cercare di conoscerla meglio: chissà quanti e quali eventi l'avevano portata a non fidarsi mai di nessuno.

Anche io ho un cipiglio del genere, di solito?

Non le dava fastidio, però. Ormai aveva imparato a capirla. Tentò di tirarsi su, appoggiandosi sugli avambracci con calma. Era tutto a posto, l'ambiente intorno a lei aveva davvero smesso di girare. Tirò un sospiro di sollievo: «Guarda, ti assicuro che in questi giorni ho passato tanto di quel tempo svenuta da averne abbastanza».

Lily accennò un sorrisetto storto, privo di pietà o di apprensione, e si voltò per prendere qualcosa da terra con modi bruschi. Sì, avrebbe potuto andarci d'accordo davvero. La bionda si rialzò e le mostrò la boccetta piena di quel liquido verdognolo che aveva buttato giù solo poche ore prima. Sedò la voglia di vomitare, al solo ricordo.

«Questa robaccia contiene ipocacuana e radici di viola, si usa per far vomitare anche l'anima in caso di avvelenamento accidentale. E ha qualche altro aroma che non riconosco affatto. Niente di letale, credo, ma data la tua condizione suppongo non sia stato un bagno di salute».

La mia condizione?

Lily abbassò la mano con la boccetta e fece correre gli occhi su di lei, sulle braccia sotto le maniche arrotolate e sul suo collo. Li rialzò per scrutarle anche il viso, si soffermò sull'occhio di destra. Le faceva male da giorni, in effetti. Forse non aveva un colorito sanissimo, ma non si era ancora vista. Il breve silenzio fu interrotto solo dalla voce di Lily che si era fatta più cupa: «Non avresti dovuto fare ciò che hai fatto».

Un piccolo tuffo al cuore. Lo aveva fatto per loro, e per quanto capì che le parole della curatrice fossero dettate dalla preoccupazione, provò una punta di risentimento. Era uno dei pochi gesti della sua vita di cui riuscisse a sentirsi soddisfatta.

Lily continuò: «Io non capisco la situazione che vivi da sempre, so che essere considerata alla stregua di un rifiuto non deve essere facile. Ma non puoi lasciare che anche la tua mente si convinca di queste cazzate».

Rimase zitta e stupefatta. Il tono era duro, le parole rudi, ma dentro covava... affetto, in qualche modo?

«Che intendi dire?»

La giovane curatrice esalò un respiro più forte col naso, prima di rivolgersi decisa verso di lei e guardarla dritto negli occhi: «Tu non ti vuoi bene e te ne freghi della tua incolumità sempre e comunque, ma guardati attorno, diamine. Hai idea di quanto quei poveracci fossero in pena? Stavano per dare di matto, tutti e due».

Lyam? ...Devon?

Non rispose, non sapeva cosa dire. Possibile che persino un gesto fatto per gli altri alla fine riuscisse a farle calare addosso l'ennesima colpa. Non c'era modo, in quella vita, di fare qualcosa di giusto una buona volta.

La voce della sua amica si addolcì un minimo: «Ti siamo tutte grate per averci salvato, anche Nilde, non dare retta alle sue reazioni spropositate. Le passerà. Ma abbi un minimo di amor proprio in più, in futuro, ti prego. Ci pensano già gli abitanti di questa terra infernale...»

Si riferiva al tonico. Quindi credeva che quel curatore l'avesse fatto apposta.

«Non è detto che fosse voluto, forse quel guaritore si è solo sbagliato...»

«A detta del mago, intrugli simili sono già stati usati. Soprattutto in passato. Sai, diavolerie inventate per cercare di estirpare ciò che vi portate dentro. Lui e il comandante hanno parlato, mentre dormivi».

Ecco perché. Ciò che si portava dentro erano le fiamme e quel curatore aveva cercato di spegnerle, di cancellarle in un tentativo illusorio di porre fine a ciò che la perseguitava da sempre. Si era dimenticata con troppa facilità del sentimento che la sua regione natale non faticava a dimostrarle.

«Tu non credi sia una maledizione, allora?». Aveva sussurrato, guardandosi il corpo disteso e senza riuscire a sostenere gli occhi forti di Lily. Fawn sentiva di averla persa tutta, la forza. Tutta la rabbia che la aiutava a combattere il mondo esterno appariva ormai risicata, logorata da giorni e giorni di confusione e dolore. Era così stanca.

«Credo sia solo un caso. Io sono nata stronza, Nilde è nata melodrammatica, tu sei nata con la capacità di farci arrosto. Ciò che ne fai è una tua scelta, ma è inutile continuare a fare così. Non devi morire per chiedere scusa di una cosa che non hai chiesto».

Sembrava così facile e lineare, mentre usciva dalla sua bocca tagliente. Volersi bene: la stessa cosa che anche Devon aveva cercato di inculcarle, prima che lei rovinasse tutto con quel gesto idiota.

Difficile farlo, quando aveva il talento di combinare un guaio dopo l'altro. Il cuore iniziò a battere più veloce e Fawn si alzò col busto, per rimanere seduta sul giaciglio su cui l'avevano distesa. Volse gli occhi verso il resto della tenda, che aveva un aspetto così familiare e al tempo stesso distante. Una scena del genere l'aveva già vissuta, ormai mesi prima. Lei ferita e legata, Nilde che si era presentata come l'unica mano amica e gentile a prendersi cura di lei. Terribile rendersi conto di come l'unica persona che all'epoca l'aveva confortata ora stesse piangendo chissà dove. Lily l'aveva appena tacciata di essere egoista e non tenere conto dei sentimenti altrui, era così perfida. Anche nella volontà di confidarsi che la prese all'improvviso.

Si sentì animata dall'ennesimo desiderio egocentrico. Voleva liberarsi, doveva. Togliersi di dosso quel peso. Si accorse che i palmi delle mani avevano iniziato a sudare, ma prese coraggio: «Ti devo dire una cosa, promettimi di non farne parola con le altre».

Lily alzò gli occhi al cielo e sbottò: «Perché proprio a me, per carità? Scegliti un'altr—»

«Ti prego».

Appiattì le labbra in un'espressione scocciata: «Dimmi».

«Io e il comandante, ecco...»

«Non mi dire che vi siete svegliati, una buona volta».

«Come sarebbe a dire?»

Che cazzo significa.

Lily tirò fuori un altro lungo sospiro, il petto che si gonfiò in un moto di visibile esasperazione: «Cosa mi devi raccontare? Te lo sei sbaciucchiato, tenuto per mano sotto la luna piena o almeno ti sei decisa ad andarci a let—»

«Lily!»

Si agitò. Sentiva la pelle del viso bruciare di vergogna e si guardò attorno, più e più volte, per assicurarsi che non ci fosse davvero nessuno nei dintorni di quel pezzo di tela che le copriva.

«Beh? Ti prego, non abbiamo tutto il giorno, sono già abbastanza tediata dai problemi di cuore di Nilde e dai libri di quell'altra».

Pigolò soltanto: «C'è stato qualcosa, ecco. Non quello che pensi tu! Ma non andrà oltre, ho già chiarito questo punto con lui. Voglio che siamo solo amici, il fatto è che Nilde non deve venirlo a sapere, e la reazione che ha avuto poco fa...»

Il tonfo di un qualcosa. Lily aveva afferrato la sacca da lavoro da un punto più distante e l'aveva fatta cadere dinanzi a sé. La aprì e iniziò a slacciarsi il grembiule che le copriva gli abiti. Fece lo stesso con la cuffietta legata sul capo e agitò la testa, i lunghi capelli lisci e sottili rotearono nell'aria: «Non la considera da quattro anni, Fawn, questo giorno sarebbe arrivato lo stesso, e a essere sincera ringrazio gli dèi che sia finalmente successo».

Bastava davvero una considerazione così sbrigativa, a definire il dolore che le aveva notato negli occhi? No, Nilde non se lo meritava.

Lily continuò, mentre si alzava da terra, richiudeva la sacca e se la poggiava in spalla: «Quanto a te, fai un po' come credi. Amica, non amica, credo dovresti farti meno problemi. Abbiamo già una vita piena di rogne, nessuno ti condannerà se ti fai un giro sul comandante, tranne te stessa».

Si diresse verso l'uscita rivolgendole un ultimo: «Ora scusami, ma ti lascio alle tue considerazioni. Sento parlare di lui da anni e non ne posso più, vuoi che ti mandi Yulia per cinguettare insieme a lei sulla beltà del capo?»

Fawn si accorse di avere la bocca aperta da minuti interminabili. La chiuse prima di un balbettare un incerto: «No, no, grazie. Va bene così».

«Ottimo. A dopo».

Rimase sul giaciglio a fissare il vuoto, le orbite spalancate. Era diventata una ragazzina scema che si perdeva dietro a questioni del genere. C'era una guerra in corso, morti all'orizzonte, la vendetta che la aspettava fuori da quel telo ruvido, la brughiera che era sempre stata casa sua che le chiedeva di darsi un contegno. Doveva darsi una svegliata, una buona volta.

Doveva andare a parlare con Devon, e stavolta non per puerili questioni sentimentali.








🦌🤎⚔️🔥

E come biasimarla, povera Fawn? Difficile pensare alla guerra e allo scontro imminente, con un Devon che viaggia a un palmo da te e un'amica in lacrime per colpa di quel brutto desiderio che ti sei accorta di provare.

Ma cosa vorrà chiedere a lui?

Il capitolo è breve e un po' veloce, perché contiene molto dialogo. Ma caricarlo tutto subito l'avrebbe reso troppo lungo, quindi ci vediamo molto presto con la seconda parte.

Nel 43 torneremo da Lyam e avremo l'azione, oltre alla resa dei conti ❤️


Ps: quanti voti positivi per la cara Lily? 😂 è un po' un personaggino, ma secondo me ha dato voce ai pensieri di mezzo mondo...

A presto con la parte 2, cerbiattini, conto di prepararla già domani.

Ci provo, ma non prometto nulla❤️.

Bacini ❤️

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