39. (𝕱𝖆𝖜𝖓)
Gli incubi si susseguirono uno dopo l'altro, senza smettere. La sensazione di soffocare, i passi dei suoi aguzzini che le esplodevano nelle orecchie a un certo punto, la casa di suo padre in fiamme e le urla disperate di Bryanna. La scena di Darragh che si contorceva prima di morire. Dylam che le sorrideva. Dylam a terra, pallido e privo di vita, lo sguardo vuoto. Dylam con indosso un'armatura nera, la pelle segnata da piaghe e gli occhi intrisi di follia.
Si svegliò così tante volte da perdere il conto: di colpo, bramando l'ossigeno che sentiva venirle tolto. Ogni sogno finiva allo stesso modo, con lei che iniziava ad ansimare alla ricerca disperata di aria.
L'ennesimo risveglio brusco la riportò alla lucidità e la spinse a muoversi, prima di accorgersi che era bloccata contro il letto. Voltò appena il viso e incontrò un leggero solletico, dato da capelli sottili che le sfiorarono la guancia. Mosse le mani a tastare quelle due braccia che l'avevano avvolta per intero. Quando era successo? Era sicura di essersi addormentata prendendolo solo per mano. Che l'avesse abbracciata mentre si dimenava nel sonno...
Si fece strada una sensazione anomala e appuntita, come un vago sentore di colpa: forse non avrebbe dovuto lasciare che certe cose succedessero. Ma non fece nulla, approfittò di quell'appiglio senza ritrarsi. Era troppo stanca per pensare di reagire, troppo debole per sottrarsi a un qualcosa che avrebbe dovuto avere il coraggio di fermare.
Lasciò che l'incredibile morbidezza di quel corpo massiccio la circondasse del tutto: era saldo, sicuro come un'ancora di pietra lanciata nel mare più profondo, capace di riportarla a galla in qualsiasi momento. La pelle di lui emanava un calore che non si sarebbe mai aspettata di veder uscire da un uomo fatto di ghiaccio. Non era poi così gelido, a giudicare da quanto era accaduto ore prima... l'improvvisa consapevolezza di quel ricordo la portò ad avvampare e districarsi come un piccolo lombrico, in preda all'imbarazzo.
No, non avrebbe decisamente dovuto lasciare che succedesse.
Lui però non diede cenno di essersi accorto della sua agitazione: Fawn provò a fermarsi e tendere l'orecchio più esposto. Il respiro di Devon sembrava calmo, il petto premuto contro di lei si muoveva lento. Per la prima volta non si sarebbe accorto di nulla, era ancora addormentato. Forse anche lui era parecchio stanco. Svegliarlo sarebbe stato poco carino, in fondo, no?
Scelse di fare finta di niente e cedere alle palpebre che la richiamavano ancora una volta a sé, chiudendosi e trascinandola verso la dolcezza del riposo. Ci avrebbe pensato il giorno dopo, alla fine non era accaduto nulla di grave. Niente di cui non avrebbero potuto parlare civilmente.
*
Prima della luce ci fu la percezione di qualcosa che le sfiorava lo zigomo, la guancia, l'orecchio. Dei polpastrelli invisibili le stavano accarezzando il viso, forse per sistemarle i capelli. Fece una piccola smorfia, ma non aprì gli occhi.
Il solletico si intensificò, scese al collo e sì, qualcuno le stava proprio spostando i capelli via dalla faccia. Avvertì un leggero prurito, come una piuma che la stesse toccando con calma. Arricciò il naso...
Strabuzzò gli occhi nell'istante esatto dello starnuto. Il comandante era lì, il viso sdraiato di fronte al suo e l'espressione tra lo schifato e il divertito. Lui chiuse e riaprì subito gli occhi. Si passò una mano sulla faccia, come per pulirsi, e abbozzò una specie di sorriso.
«Buongiorno...?»
Oh, ma certo. Prima lo baciava senza nessun motivo, in preda alla scemenza che le aveva agguantato il cervello, e ora gli sputava praticamente addosso. Come se non bastasse, avvertì la propria pelle farsi incandescente per via della pessima figura. Ormai era mattina e tutto era più che visibile. Perché non farsi vedere mentre virava verso lo stesso colore di un pomodoro maturo...
Fu tentata di girarsi e nascondersi, ma qualcosa nel cambio di espressione di Devon la tenne inchiodata per un secondo di troppo. Il sorriso gli era sparito, gli occhi intensi la stavano fissando, coperti da qualche ciuffo disordinato. Li vide spostarsi appena più in basso, lenti, prima che lui allungasse una mano per prenderle il mento e annullare la distanza minima che c'era tra loro. Non ebbe il tempo di pensarci. Era bello come lo ricordava, e servì soltanto a convincerla di non aver affatto sognato. Solo che lui si mosse con molta più calma, insistendo con quelle labbra che aveva scoperto essere così morbide. Giocarono con delicatezza sulle sue, prima di spingerla a socchiuderle.
Una voce provò a urlarle dentro che era sbagliato, che non avrebbe dovuto lasciarsi prendere di nuovo, staccarsi e mettere le cose in chiaro subito. Il volume però andò a scemare man mano che la lingua di lui si intrecciava alla sua, lenta, a tracciare cerchi graziosi. Erano così coordinati, non si ricordava nemmeno che baciare un ragazzo potesse suscitarle quel calore al basso ventre. Lui non usò la stessa foga che aveva già conosciuto. Si limitò a passarle le dita tra i capelli, con tenerezza, tenendosi staccato col resto del corpo. Ciò che aveva percepito la prima volta era sicura di non averlo immaginato, ma non ci fu niente del genere. Devon le stuzzicò la bocca ancora, prima di allontanarsi e tornare a guardarla. Tra di loro, i respiri che erano diventati un po' più veloci.
«Non l'avevo programmato, è che continui a fare questa cosa...»
«Quale cosa?»
Assunse un'espressione confusa, che lui forse notò, ma non rispose. Devon guardò da un'altra parte prima di tornare su di lei: «Niente. Sono riuscito a essere più gentile, almeno».
Più gentile? Per tutti gli dèi...
Fawn non replicò. Ebbe il pensiero fulmineo e salvifico di dover stare zitta a tutti i costi. Farsi uscire di bocca una delle sue stupidaggini era davvero l'ultima cosa utile.
«So che potresti non essere ancora in piene forze, ma se ce la fai dovremmo iniziare a incamminarci. Andremo piano, stavolta».
Piano per strada o dove? Piano in tutti i sensi?
Rispose solo a quello che gli aveva chiesto: «Sto bene, non ho problemi. Possiamo partire subito».
Per il resto era meglio non farsi scappare ancora niente. Doveva pensare, quell'azione benedetta che tutti riuscivano a fare e lei no. Pensare a come cazzo uscirne e a cosa dirgli. Solo che Devon, intanto, si era alzato a sedere e la continuava a guardare. Pareva sul punto di parlare ancora o, peggio, fare qualcosa. Tentennava. Di nuovo. Diamine, era in difficoltà? Lui?
Si alzò anche lei, doveva allontanarsi da lui. Impedirgli di ricominciare a mandarle la testa in confusione, più di quanto non fosse normalmente.
Cosa credeva che stesse succedendo? Voleva andarci piano.
Ma loro non dovevano andare proprio da nessuna parte insieme. No, no, no. Aveva combinato un casino. L'ennesimo, irrimediabile pasticcio, fatto senza neanche ragionare un secondo di più. Non era solo una dannata questione di attrazione fisica, per lui? Aveva intenzione di trattarla da fanciulla delicata, per la miseria. Era serio!
«Ti lascio vestire, ci vediamo giù».
Fawn annuì con la testa, forse con eccessiva energia. Doveva andarsene, lasciarla da sola. Smetterla di puntarle addosso quegli occhi pieni di un qualcosa che all'improvviso le faceva una paura fottuta.
Non si mosse finché non sentì la porta chiudersi con uno scatto. Si portò sul bordo del letto, i piedi a terra. A distanza dalla frenesia della fuga, un po' di dolore si accorse di provarlo. Parecchio. Aveva fatto la gradassa e sostenuto che ce l'avrebbe fatta, però, ormai non poteva tirarsi indietro. Fissò un punto nel vuoto davanti a sé e l'aria roteò su sé stessa. Si addensò e fece comparire una minuscola fiammella volante. Una fitta alla testa, piccola ma tagliente.
La spense subito: non si era ancora ripresa, ma era meglio non dirlo al comandante. Aveva già dato abbastanza problemi così, e presagiva che fosse solo l'inizio.
*
La scena avrebbe potuto essere la stessa di quando si erano risvegliati a Kyma, dopo che lei lo aveva curato. La sala da pranzo era più grande, ma non tanto diversa. C'era qualche avventore in più e il cibo era uguale, un po' meno invitante.
Solo che lei non aveva la stessa energia addosso di quando si era risvegliata felice di averlo aiutato, presa dallo slancio di poterlo conoscere un minimo, forse diventare sua amica. L'aria che li separava le sembrava pesante, e forse le occhiate malevole che le cameriere le lanciavano non aiutavano la situazione. Doveva essersi sparsa la voce sulla sua natura, dopo l'intervento di quel curatore burbero. I giorni nelle regioni esterne del regno erano stati una parentesi troppo serena, era ora di tornare alla realtà a cui era abituata.
Non aveva neanche la forza di reagire o farsi rispettare da loro. Se ne rimase in silenzio, la faccia puntata verso il piatto, mangiando lenta. Aveva fame da giorni, ma era come se il corpo non fosse in grado di ritornare alla normalità e farsi nutrire come si deve. Si portò la forchetta alla bocca e iniziò a masticare controvoglia.
Si riscosse nel vedere la solita pelle abbronzata che veniva verso di lei. Devon le aveva posato una mano sulla sua, quella che aveva lasciato sul tavolo a lato del piatto. Eccolo lì, ciò che non aveva la capacità di affrontare.
Sospirò e si costrinse ad alzare gli occhi su di lui. Sembrava triste, o forse preoccupato, non avrebbe saputo dirlo. Capì soltanto che stava per lanciarsi ad aiutarla ancora una volta. Basta, doveva smetterla.
Sfilò la mano da quella di Devon per portarsela in grembo, via da quel tavolo che li avvicinava troppo. Lui non sembrò stupito, si limitò ad alzare appena il sopracciglio, come in attesa di una spiegazione.
Fawn prese un altro grosso respiro. Pensare non era servito a niente, non aveva ancora la più pallida idea di cosa dire e come dirla. «Senti, non credi che dovremmo... che ne so, parlare di quello che è successo?»
Arrossì, ma si costrinse a non cedere e non distogliere lo sguardo da lui. Il vero problema era che Devon sembrava più in imbarazzo di lei: o almeno, ciò che Fawn recepì essere la maniera strana di un uomo simile di esprimere un sentimento del genere. Di solito aveva la capacità di rimanersene immobile, a sovrastare chiunque senza spostarsi di un millimetro. Invece gli occhi si mossero in fretta e in più direzioni. Si portò le mani alla testa, poi le rimise giù, lo vide muoverle come se le stesse passando sulle gambe, nervoso. Beh, allora era davvero vivo.
«Sì, hai ragione. Vuoi che inizi io o...»
Ah, c'era un ordine? Provò la breve curiosità di sapere cosa pensasse lui, di dirgli di sì, di farlo parlare. Si trattenne.
«No». Troppo diretta, forse. Lui sembrò un po' interdetto.
«D'accordo, ti ascolto».
L'ennesimo respiro profondo col naso. «Ho sbagliato, ti chiedo scusa».
Beh, di solito non era in grado di pronunciare una simile frase con nessuno. Era partita bene, ritenne. Provò a guardarlo: gli occhi di Devon avevano smesso di brillare appena, lui era tornato fermo. Quindi lui non credeva si trattasse di uno sbaglio...
Continuò: «Non ti so dire cosa mi sia preso, forse ero solo sopraffatta da tutto. Ero lì con te che mi consolavi, e ci sei riuscito, te lo giuro, ho iniziato a sentirmi meglio. Non so perché sia successo, ma volevo fare qualcosa e ho agito a casaccio... volevo ringraziarti, credo».
L'immobilità del comandante lasciò lo spazio a un cipiglio che non faceva presagire nulla di buono. Dentro la sala da pranzo sembrò essere calata una mano di velluto nero che soffocava tutto. Lui si lasciò sfuggire un: «Volevi ringraziarmi?» dal tono duro.
Gelido come una folata di vento in pieno inverno, caduta dalle cime innevate.
Fawn si pentì subito dell'ennesima parola sbagliata che aveva scelto di usare. Cosa stava capendo, lui? Che l'avesse accontentato, o... ma che aveva detto di male? Per tutti i continenti, la testa le iniziò a vorticare.
«No! Non era quello che volevo dire. Cioè, l'ho detto, sì, l'ho pensato... volevo ringraziarti e mi è uscito così, spontaneo. Però...»
«Però?». Un'altra stilettata di ghiaccio.
Però io non so cosa voglio. Non so come mi sento e spesso non mi fido di me stessa o delle mie emozioni. E tu sei troppo onesto, troppo chiaro e troppo limpido, finiresti per perdere il tuo tempo dietro a una testa calda che viaggia impazzita senza un destino. Non so dove sia Dylam, non capisco più che ruolo abbia nella mia vita e forse non so neanche più spiegarmi cosa sia l'amore. Come sia fatto, se era vero, se è esistito solo nei sogni... se ho ancora voglia di permettergli di ferirmi. Non so cosa farmene di questa testa che funziona male, e non la darei mai a qualcuno che non si merita un secondo di questo incendio chiassoso che mi porto addosso.
«Però credo che dovremmo prenderci del tempo, non trovi?»
«Del tempo per far cosa?», sempre più cupo.
Pensare? No, tanto non ne sono capace. Capire? Nemmeno.
«Non lo so, scusa... Non lo so. Io non so che mi è preso, ti chiedo perdono e basta».
Silenzio. Lui sembrava una statua di pietra, qualsiasi scintilla quelle giornate gli avessero infuso dentro si era spenta. Fawn continuò, il peso di quel vuoto non era in grado di reggerlo: «Sei arrabbiato? Mi dispiace...»
«Non sono arrabbiato, non ho tre anni e ho capito perfettamente. Va bene così».
Rimase zitta. Forse aveva appena fatto più di danno di quanto si aspettasse. Incredibile, non ci era riuscita nemmeno stavolta.
Fu lui ad avere l'ultima parola. Lei non aveva il coraggio di fare più niente. Si alzò dalla sedia e le intimò un breve: «Muoviamoci, siamo in ritardo», che suonava così familiare e così doloroso.
Si sarebbe dimenticato anche della promessa che le aveva fatto? Forse sì.
🦌🤎⚔️🔥
Sono in ritardo, lo so.
Cos'è successo? Niente, crisi artistiche, tutto normale. Capitoli 40 che diventano capitoli 39, e capitoli 39 che forse saranno capitoli 40. Scalette che ballano la samba e cambiano nella notte, tutto ordinaria amministrazione ❤️.
Aggiungiamoci mr. Wattpad che crasha da tutto il giorno, ed eccoci qui...
Insomma, l'autrice ogni tanto è esaurita.
Ma vi giuro che penso a questi scemi più spesso di quanto pensi a me stessa, quindi se mi vedete sparire non temete... all'alba, di un qualche giorno post-delirio creativo, tornerò.
Insomma, alla fine il capitolo è breve e perlopiù introspettivo. Chi odia la piccola Fawn, a questo punto, alzi la mano. Chi non la odia e la capisce un pochino lasci un cuore. Chi pensa che lui sia un tantinello troppo orgoglioso e precipitoso... scegliete voi cosa lasciare 😂. Anche le grida vanno bene 😂.
Ci Vediamo martedì, cerbiattini, a meno di altre crisi mistiche.
Baci e buona domenica ❤️.
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