38.2 (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)

Non era tanto villano da imporle la propria presenza dentro lo stesso letto. Senza contare che aveva già dormito su superfici ben più fredde e peggiori. E che di fatto non avrebbe neanche chiuso occhio, se non per brevi istanti. Un po' di sonno sentiva di provarlo, più del solito.

Nonostante ce l'avesse lì, in grado di parlare e di muoversi, la paura che lo aveva avvolto negli ultimi giorni non sembrava ancora essersi dissipata. Anzi, era stata messa a bada dalla foga di agire e di ritrovarla, ma aveva bisogno di essere smaltita. Se ne accorse dall'enorme stanchezza che provò, mentre si sistemava con la schiena contro la parete, semi sdraiato, la testa e le spalle dritte. Aveva tirato fuori una coperta dall'unico e piccolo armadio della stanza e se l'era poggiata addosso.

La candela era ormai un cerino sul punto di morire del tutto, la luce nella stanza sempre più debole. Sì, era davvero stanco.

Girò il viso verso sinistra e verso l'alto, al suono della voce di Fawn che proveniva da sopra il letto su cui lei si era già sistemata: «Ma sei sicuro di volertene stare lì? Guarda che è largo, e non mordo. Non posso neanche incenerirti per sbaglio, lo sai».

Come se il problema potesse essere quello. Lei comunque si era ripresa, aveva quella capacità incredibile di passare dal pianto più disperato all'apparente serenità. Corredata di modi bruschi e scontrosi, certo, ma aveva imparato a considerarla come la sua versione normale.

«Sto bene qui. Davvero»

«Fai come vuoi» borbottò lei.

Ma era già offesa? Per cosa, diamine.

Poco importava, era meglio riposarsi e darle modo di rimettersi in forze sul serio. L'aveva osservata mangiare e il bagno l'aveva fatta apparire un po' più sana. Un po' del sangue che aveva addosso era stato lavato via, ma di fatto esibiva ancora una marea di segni orribili. Non poteva fare a meno di provare un moto di rabbia recondita ogni volta che li vedeva, ma cercava di concentrarsi solo sui suoi occhi e non lasciarsi distrarre. Era finita, basta, e all'orizzonte c'erano questioni ben peggiori. Che non avrebbe mai più affrontato da sola, a prescindere dall'esito con il resto dei cavalieri.

«Beh, allora buonanotte», un tono un po' più acuto.

Devon prese un respiro: «Buonanotte».

La sagoma di Fawn fece capolino dal letto, probabilmente per guardare la candela morente che si spense subito. Un tonfo leggero contro il cuscino, nel buio. Lui si lasciò scivolare un po' di più verso il basso, chiuse gli occhi per concedersi almeno qualche breve ora di sonno.

*

Il suo modo di dormire aveva smesso di essere uguale a quello del resto dell'umanità, da tempo. Ci camminava sopra in punta di piedi, sempre all'erta e pronto a scattare alla minima avvisaglia. Un po' per proteggersi, un po' perché il suo stesso corpo aveva imparato a scappare dalle immagini che avrebbe incontrato se ci si fosse addentrato troppo. Non fu diverso neanche quella sera, e riaprì gli occhi in un momento indefinito della notte, destato da qualche suono più tagliente che gli era arrivato alle orecchie.

Sbatté le palpebre un po' di volte, aspettando di abituare la vista al buio e poter scorgere qualche forma o figura nello spazio che lo circondava. Fece mente locale su dove si trovava, cosa stesse facendo e chi c'era con lui: i muscoli si tesero e appoggiò il palmo della mano contro il pavimento, pronto a intervenire, se necessario.

Si concentrò, ma capì presto che non si trattava di suoni minacciosi. Voltò la testa verso il letto che lo sovrastava di lato, si spostò un pochino per avvicinarsi. Erano gemiti, singhiozzi. Di nuovo?

Aveva controllato che lei si fosse addormentata sul serio, prima di rilassarsi e lasciarsi andare. Si era assicurato che fosse tutto a posto. Doveva aver fatto un brutto sogno, come se non bastasse.

«Ehi». Provò a sussurrarle qualcosa, richiamare la sua attenzione di nuovo.

Fawn non rispose subito, la sentì tirare su col naso e agitarsi un po' tra le lenzuola. Gli arrivò la voce impastata e un po' traballante: «Ma ti accorgi di tutto, tu? Torna a dormire, lasciami stare».

Purtroppo, sì, difficile che gli sfuggisse qualcosa. Ma non doveva sentirsi in colpa, era appena uscita da un covo di aguzzini che le avevano fatto solo gli dèi sapevano cosa. Che cazzo, che si lasciasse solo aiutare una buona volta.

«Per come la vedo io, sei stata fin troppo forte. Puoi piangere, e invidio il fatto che tu ci riesca».

Lui, d'altronde, non riusciva a evitare di lasciarsi scappare continue confessioni. Quelle giornate erano davvero strane, solo il destino vedeva cosa sarebbe rimasto di loro all'alba dell'indomani... cosa avrebbe pensato lei di lui.

«Che intendi?» una punta di interesse, in mezzo ad altri soffi e singhiozzi.

«Che a volte servirebbe anche a me, credo».

Uno sbuffo: «Tu? Non si direbbe per niente, mi sembri indifferente a tutto. Quello sì che mi piacerebbe».

Provò uno spillo di tristezza. Sì, sapeva benissimo come appariva al mondo esterno, ed era il primo a essersi costruito una difesa del genere. Ma con lei si erano create tante di quelle brecce, ormai... possibile che non avesse ancora capito niente.

«Non è così».

Un momento di silenzio, da cui capì che le lacrime erano finite. Bene, tirare in ballo sé stesso e le proprie debolezze funzionava sempre. Ottimo metodo, strappare un cuore per ripararne un altro. Pazienza, almeno lei stava meglio.

E invece no, perché i gemiti di pianto ricominciarono, seppur più flebili. Furono interrotti dalla sua vocina sospesa nell'aria nera della notte, in cui a farla da padroni erano solo le sagome indefinite e quei suoni fragili di lenzuola accartocciate: «Potresti venire qui? Solo per stavolta, potresti starmi vicino?».

Era caduta dall'alto con la forza della neve che crollava giù dalle montagne, pronta a inghiottirlo per sempre. Ci mise un momento di troppo a realizzare il peso di quella frase, l'effetto che le parole ebbero su qualsiasi fibra che credeva di aver tenuto insieme fino a quel giorno.

Mi farò malissimo.

Ma si alzò da terra, tastò il bordo del letto e si infilò lì con lei, sotto le lenzuola disordinate in cui si era rigirata fino ad allora. Il fatto di non vedere niente non fece che aumentare la consapevolezza di Fawn che si avvicinava, per poggiarsi a un battito di ciglia da lui, avvolta nella coperta come un piccolo bozzo piangente.

Non si toccavano, ma era lì, il corpo di lei a irradiare una strana attrazione dai contorni magici e surreali. Era come se l'intera realtà che li circondava avesse smesso di esistere e si fosse concentrata dentro a quell'unica pallina singhiozzante. Devon si accorse del battito del proprio cuore che si faceva più forte, riusciva a percepirlo pompare, fare casino, esplicitare la propria presenza. Pregò che lei non potesse sentirlo, sembrava scoppiare.

Si obbligò a fare dei respiri più profondi senza fare troppo rumore, per calmarsi. Doveva parlare, per interrompere quel velluto nero improvviso, in cui ogni movimento dei loro corpi rimbombava nella stanza vuota.

«Non mi vuoi dire cosa è successo, stavolta?»

Un sospiro rassegnato, prima che lei sbottasse di colpo: «Perché ti importa tanto di aiutarmi? Me lo chiedo dall'inizio, e a essere sincera riuscivo solo a credere che avessi dei piani tuoi, ma ora non lo so più. E non capisco ancora perché ti ostini a farlo».

Perché.

Un perché l'aveva sempre avuto, il problema era che ormai aveva cambiato forma, dimensione, senso. Tutto si era trasfigurato senza che potesse controllarlo, e il vero motivo non aveva il coraggio di pensarlo, figuriamoci dirlo ad alta voce. Si limitò a darle quello con cui tutto era iniziato.

«Ho promesso che vi avrei salvati».

«Vi? Chi, di chi parli?»

«Voi, tutti».

«Intendi i Misteri?»

Annuì con la testa, sperò che lo capisse nonostante il buio.

«E perché ti saresti preso un onere del genere? È una fesseria».

Sorrise. Pronunciata dalla sua bocca dissacrante, ogni cosa riusciva a essere meno importante di quanto poteva sembrare, in effetti.

«Esiste chi vi ha sempre voluti distruggere, perché non dovrebbe esserci chi tenta di proteggervi?»

«Infatti, è stupida sia l'una che l'altra cosa! Non siamo entità, siamo persone. Tu come puoi sapere chi se lo merita o meno?»

Aveva decisamente smesso di piangere, e a giudicare dai movimenti sul letto doveva essersi alzata a reggersi su un gomito, protesa verso di lui. Perfetto, come erano passati dall'averla triste al vederla agitarsi in meno di una frase?

«Tutti meritano la salvezza».

Un altro sbuffo, questa volta più sonoro. «Che cosa ridicola!»

«Tu non credi di meritarti niente, questo lo vedo. Ma potrei farti la stessa domanda. Perché lo pensi?»

Che glielo avesse messo in testa qualcuno? Per forza. Quella ragazza aveva uno spirito di distruzione personale troppo forte, per volersi davvero bene. E non aveva senso. Devon si sarebbe cavato gli occhi dalle orbite, pur di darglieli e permetterle di vedere ciò che era davvero.

«Tu non mi conosci, non sai niente di me, chi ti dice che sia una brava persona?»

Nessuno, è così e basta. Certe cose non si possono spiegare.

«Non ti conosco, è vero. Non lasci che le persone lo facciano, e lo capisco, ma quello che sei non è mai stata una tua colpa».

«C'eri anche tu, il giorno che ho ammazzato Darragh, o sbaglio? Smettila di giustificare tutto, è davvero ridicolo...» l'ultima parte l'aveva pronunciata con la voce che andava abbassandosi, sconfitta.

Si era agitata davvero, ormai il lenzuolo era solo uno scampolo accartocciato ai piedi del letto. Fawn si era alzata a sedere, forse quel discorso andava interrotto, non le faceva bene. Ma come cazzo faceva, a farglielo capire?

«Fawn, quello che è successo non è stata colp—»

«Non è stata colpa mia, sì, l'hai già detto! Continui a ripeterlo! Non è colpa tua, non è colpa tua... e se invece lo fosse? Io lo posso decidere, cosa fare di questo dannato potere, lo sai? Quando Darragh è morto, avrei potuto fermarlo, e quando la mia casa...»

Si interruppe. D'accordo, c'era dell'altro. Era evidente. Non sapeva se insistere, ringraziò che non l'avesse già scaraventato fuori dal letto. Tentò di rimanere tranquillo e si sistemò su un fianco, la testa sul braccio sinistro e gli occhi puntati verso ciò che riusciva a vedere di Fawn.

«Qualsiasi cosa sia successa, io non cambio idea».

Si sarebbe arrabbiata, e visto tutto il dolore di quegli ultimi giorni forse non era la scelta migliore, ma lei funzionava così, ormai l'aveva capito. Se dovevano arrivare alla verità attraverso il fuoco, l'avrebbero fatto.

Lei riprese dopo una lunga pausa, il tono sarcastico che lasciava trapelare una nota di dolore: «E se ti dicessi che ho bruciato la casa di mio padre con sua moglie all'interno, cosa mi diresti? Ne saresti ancora tanto convinto?»

Aveva usato una voce strana, distante. Quante persone sapevano di quell'episodio? Il suo amico...

«E perché l'avresti fatto?»

Si girò verso di lui, con un gesto rabbioso.

«Perché sono incapace di controllarmi, di essere una persona normale e di non portare problemi in giro, non ti basta? Ero incazzata con lei, ecco perché».

«Perché?»

«Perché mi odiava e sosteneva che fossi un mostro, cosa che in effetti sono e su cui aveva ragione, non c'è nient'altro da dire».

«Che le è successo?»

«Non è morta, se è questo che vuoi sapere. Si è salvata e le ustioni le ricorderanno per sempre quale creatura infernale suo marito si fosse preso la briga di allevare».

«Beh, tu eri in quella famiglia da più tempo di lei, mi sembra di capire».

«Cosa vuoi dimostrare? Piantala».

Le tremava la voce. Non voleva dimostrare nulla, in realtà.

«Che esistono gli errori, e io me ne porto dietro di peggiori. Nonostante non abbia un potere dalla nascita difficile da gestire. E senza che qualcuno mi abbia mai fatto sentire sbagliato».

Come ci era arrivato, a quello? Pazienza, lei ne aveva bisogno.

Devon respirò, affannato, prima di riprendere: «Tutti siamo inseguiti dagli sbagli. Solo che nessuno ci si danna tanto quanto te. È per questo che te lo meriti. Più di altri, per quanto mi riguarda».

Si era calmata, la voce le si fece più tranquilla, malinconica: «Non l'ho mai detto a nessuno. Né ai ribelli, né a Lyam. Neanche...»

Neanche?

«Neanche a Dylam. Nessuno di loro mi rimarrebbe vicino, se lo sapessero».

«Ora lo so io, e se ti può consolare rimarrò lo stesso».

Silenzio. Non la riusciva a vedere con chiarezza, ma avrebbe giurato che gli occhi di Fawn puntati su di lui si fossero riempiti ancora una volta di un velo leggero. Sussurrò soltanto: «Dici davvero?»

«Sì, te lo prometto».

E, purtroppo, prendo le promesse molto sul serio.

Ma non glielo disse, si limitò a constatare che era riuscito a tranquillizzarla. Per la prima volta. Lei non avrebbe mai ricambiato tutto ciò che si portava dentro da qualche tempo, ma andava bene così. Gli sarebbe bastato vederla star meglio, riuscire a darle quell'unico conforto di non sentirsi più sola. Si tirò su col palmo della mano, per girarsi sulla schiena e mettersi finalmente a dormire, ma si bloccò.

Un tocco sul viso. Lei gli aveva posato una mano sulla guancia. Il cuore ricominciò a martellare, impazzito. Sgranò gli occhi, nel buio, prima di sentire i lunghi capelli di Fawn che lo solleticavano, la bocca che si posò con dolcezza sulla sua.

Rimase immobile, congelato nel tempo e nello spazio per un brevissimo istante, paralizzato all'idea di essersi ritrovato in una fantasia irreale. Ma quella morbidezza c'era davvero, il calore delle sue dita sul viso anche. L'intero corpo si svegliò all'improvviso, consapevole di cosa stesse succedendo: lei si era staccata, sentiva il suo fiato leggero accarezzargli la punta delle labbra. L'ultimo granello di raziocinio che credeva di aver conservato venne spazzato via.

La afferrò con più forza di quella che avrebbe voluto usare, nei sogni in cui si era immaginato la stessa scena a ripetizione. Una mano contro la sua nuca, annegata nei capelli vaporosi, l'altra a stringerle la vita. Ritornò su quella boccaccia maledetta che non perdeva occasione per rispondere e metterlo in discussione. Si fece strada e lei lo lasciò fare, aprendola con un minuscolo gemito. Fu sufficiente a mandarlo ancora più su di giri: spinse la lingua all'interno, senza risparmiarsi, quella di Fawn che iniziò a danzare con la sua, alla ricerca disperata di qualcosa che non bastava mai. Più la baciava, più la stringeva a sé, le mani febbrili che iniziarono a scorrerle sulla schiena, a spostarsi sul collo, sul viso, a prenderle i capelli tra le dita. Non poteva scappare, qualsiasi cosa fosse successa a partire dal giorno dopo non contava: in quel momento era sua, e basta.

Si staccò per scendere sul collo e iniziare a lasciarle altri baci. Disegnò piccole strisce di saliva, mentre la teneva e lei si inarcava appena, mugolando. Si ricordò delle ferite, forse avrebbe dovuto essere più delicato. Alleggerì la presa, le stampò altri baci sulla clavicola, sulla spalla, dietro l'orecchio. Portò la seconda mano ad accarezzarle una coscia, piegata sotto di lei. Piano, più piano di quanto ciò che aveva tra le gambe, ormai sveglio, avesse voluto. Ma non poteva perdere la testa a quel modo, non quel giorno. Non così.

Usò tutta la forza di volontà che aveva per ignorare il resto del corpo di lei che lo guardava da sotto la camicia da notte sottile, o le mani di Fawn ancora aggrappate alle sue spalle. Il profumo che emanava la sua pelle sapeva di desiderio e di quei dannati balsami floreali per cui l'aveva persino derubato. Il calore che rilasciava lo portò a immaginare che fosse arrossita, ovunque. Forse era meglio trovarsi al buio e non essere in grado di vederlo, o non avrebbe davvero più risposto di sé. Si trattenne dallo sfilargliela di dosso senza remore e poterla toccare tutta, per scoprire ogni punto ci fosse là sotto. Ormai tempestava qualsiasi fantasia riuscisse ad avere, ogni volta in cui andava a dormire. Era lì, ma non poteva. Non sarebbe stato ciò che voleva davvero.

Si allontanò di poco da lei quando avvertì che si era placata, aveva abbassato le mani ed era ferma. Lo stava guardando, quello che riuscì a scorgere era lo stesso sconcerto che provava anche lui.

Che cazzo è successo?








🦌🤎⚔️🔥

Che è successo? Qualcuno lo sa? 😂

So che non sono stati fuochi d'artificio pieni, diciamo più dei Bengala da balcone, ne sono consapevole. Ma in questa storia si va avanti bruciando lentamente, e le vere scene spicy devono ancora arrivare.

(Sì, ci sono).

Niente, come ultima cosa vorrei dire questo:

So che ci sono un po' di persone nuove su Mystiria, arrivate soprattutto grazie a TikTok. Non mi aspettavo che qualcuno si sarebbe interessato davvero e avesse iniziato a gioire, divertirsi, e piangere insieme a me e ai piccoli Dawn ❤️. (O anche arrabbiarsi, eh, in effetti Fawn ogni tanto potrebbe far perdere le staffe).

Ne sono felicissima, e ci tengo a ringraziare tutti quanti (anzi, quante, perché siamo soprattutto donne e ragazze e per questa volta il femminile sovraesteso è d'obbligo❤️): sia chi legge questa storia dal primo giorno, quando ancora nessuno se la filava, sia chi è nuovo. Chi lascia commenti qui, o sui social: sappiate che mi fanno avere un piccolo mancamento di felicità, ogni volta. Ma anche chi legge in silenzio, perché siete altrettanto importanti ❤️.

Grazie davvero, e spero che questo capitolo vi strappi un sorriso. Come si dice? Chi si bacia a capodanno si bacia tutto l'anno, o qualcosa di simile 😂.

Scusate per il pippone, aiuto.

Buon anno, cerbiattini ❤️.

Auguro a tutti un magico 2025 ❤️.

Ci vediamo presto ❤️

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