38.1 (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)
Quando aveva obbedito a quello che le chiedeva? Mai, neanche una stupidissima volta. Il vero cretino era lui, ad aver creduto che si sarebbe sul serio risparmiata o fermata.
L'aria gli sferzava il viso, qualche ramo ogni tanto lo colpiva lasciandogli piccoli graffi, ma non era in grado di rallentare. Nemmeno l'amore che provava per Tory riuscì a placarlo: chiese al suo cavallo di andare più veloce e di sbrigarsi a raggiungerla. Ancora una volta.
Quanto sarebbe durato, questo suo inseguirla sempre e comunque? Gli sembrava di non avere più neanche uno scopo, un ruolo, un dovere o un lavoro. Eccola lì, la cieca dedizione che rifuggiva da tutta la vita: lo sapeva, e l'aveva evitata fino a quel momento. Si era salvato, finché lei non era apparsa senza neanche dargli il tempo di studiare un modo per proteggersi. E ormai era impossibile pensare di guarire.
Aveva indicato al ragazzo la direzione della cittadina più vicina, dopo avergli consegnato più oro di quanto potesse bastare a curare un'intera legione. Lo aveva incaricato di portarla il più in fretta possibile a una locanda, pretendere un curatore e farla visitare, aiutarla, impedire che... No, non ci riusciva neanche a pensare. Non era vero, non poteva esserlo e si rifiutava di accettarlo.
La boscaglia finì, le luci fioche dei bassi edifici comparvero nella sua visuale, c'era quasi. Pregò che Lyam non avesse sbagliato o non si fosse perso, ed entrò nel villaggio, pronto a setacciare ogni singolo esercizio per capire dove fossero riusciti a sistemarsi.
*
«La ragazza è viva, ma non esiste una medicina che tratti queste deviazioni bestiali, dovreste saperlo».
Cercare il collo che teneva nascosto sotto alle pieghe del mento cadente, per tirarglielo come si faceva con le galline vecchie, non era una buona idea. Il dannato curatore che gli stava parlando non era poi diverso da tutto ciò che aveva sempre saputo di quella regione maledetta. Tentò di calmarsi e non rispondere, l'unica cosa importante era capire cosa fare con lei. Lui aveva comunque usato due parole magiche, sufficienti a guadagnarsi il permesso per uscire intero da lì: è viva.
Il vecchio arricciò le labbra con fare presuntuoso, mentre riponeva nella propria borsa boccette e intrugli, che tintinnarono nelle sue mani grassocce. Ne lasciò fuori una sola e la allungò verso di loro. Devon fece un cenno a Lyam, per dirgli di afferrarla lui. Quello parve titubare, all'idea di dover sfiorare la mano di un Mistero.
Ma certo, non è mai cambiato niente.
Il senso del compito che doveva portare a termine riapparve, ci era voluto poco per risvegliarlo.
«Datele questo tonico tra qualche ora e anche durante la giornata di domani, potrebbe aiutarla. Per il resto, immagino possiate solo farla mangiare, dormire e aspettare che si riprenda... ammesso che ne valga la pena».
Il curatore alzò gli occhi verso di lui per congedarsi e parve notare lo sguardo omicida che Devon gli stava rivolgendo, immobile con le braccia conserte, in piedi fuori dalla stanza in cui si trovava Fawn. Fu sufficiente a fargli abbassare la testa e borbottare un saluto impaurito a mezza bocca, senza proferire altre idiozie. Sì, era meglio che se ne andasse, e alla svelta.
Devon inspirò a fondo e rilassò un minimo il corpo, era in tensione da attimi interminabili.
Fu Lyam a interrompere il silenzio grave che cadde sul corridoio, loro due di fronte alla stessa porta di legno, in attesa: «Prima si è svegliata, per un secondo soltanto... credo che ce la farà, è solo spossata. Non l'avevo mai vista così esausta, le hanno prosciugato tutto». Il tono lieve, triste, il ragazzo si passò una mano sugli occhi e sul resto della faccia, visibilmente provato.
Era il caso di tormentarlo ancora? Ma avevano già perso così tanto tempo... Quella dannata impresa doveva finire, e in un unico modo.
«Ragazzo... Lyam».
Lui lo guardò un po' stranito, le sopracciglia alzate sopra gli occhi lucidi. Forse non l'aveva mai chiamato per nome, pensandoci.
Devon continuò: «Non sei obbligato a farlo, se non te la senti o sei stanco riposati qui. Ma dovremmo davvero avvisare il resto della cavalleria, e tu sei la cosa più efficiente che ho, per portare un messaggio».
No, non è una cosa. Così non sono diverso da loro.
«Sei un aiuto prezioso, lo sei stato anche fino a ora».
Le iridi verdi di Lyam brillarono, rinvigorite. Beh, fare qualche apprezzamento allora non era una tattica così sbagliata. Represse l'imbarazzo che quel tipo di debolezza gli suscitava. Era giusto, il ragazzo doveva sentirsi utile. Lo era stato. Aveva portato in salvo l'unica persona di cui gli importasse davvero.
«Ce la faccio, non è un problema! Cosa devo dire a Talom?»
Devon non sorrise, ma avrebbe voluto. L'energia che si era palesata nelle parole di Lyam era qualcosa che neanche ricordava più.
«Di dirigersi verso Màvrita. Si possono fermare a poche miglia dalla città, rimanendo oltre la cerchia esterna. Io li raggiungerò direttamente lì, il prima possibile: è ora di mettere fine a questa storia e prepararci allo scontro. Talom ha il controllo delle truppe, deve pensarci lui in mia attesa».
«Sarà fatto!»
Lo avrebbero ancora seguito? Cosa pensavano di lui, ormai? L'avrebbe scoperto solo una volta ricongiunti, inutile farsi troppe domande. Ciò che era stato non si poteva cambiare, e non l'avrebbe comunque fatto.
«Stai attento, mi raccomando».
Lyam non perse il cipiglio entusiasta, al contrario: Devon ebbe il terrore di vederselo addosso, mentre si muoveva con fin troppa leggerezza e sembrava sul punto di abbracciarlo. Lo congedò con un cenno secco, spingendolo ad andarsene. Il ragazzo abbozzò un saluto con la testa prima di sparire, senza perdere la foga acquisita.
Esitò con la mano sulla maniglia, incerto. La afferrò e aprì la porta, con la massima delicatezza, ma era talmente vecchia da non poter evitare che cigolasse un pochino. Forse Fawn non era neanche sveglia, e se sul serio avesse avuto bisogno di riposo sarebbe stato giusto lasciarla stare. Ma la voglia di capire se quegli occhi si fossero davvero riaperti era troppo grande.
«Chi è? Sei tu?»
La domanda fu pronunciata con un tono sottile e stanco, ma era la sua voce. Non entrò, rimase lì a guardare lo spiraglio creato dall'anta, titubante. Forse si aspettava di vedere il suo amico, avrebbe dovuto lasciarglielo salutare prima di mandarlo via...
«Devon?»
Qualcosa fece una capriola dentro al petto, i battiti del cuore aumentarono per un breve istante, trattenne il respiro. A quel punto si palesò, mise un piede dopo l'altro e fece il suo ingresso nella camera. Era piccola, abbastanza spoglia ma dignitosa, una grossa vasca vuota troneggiava nell'angolo opposto rispetto al letto. Su di esso, Fawn seduta che lo fissava.
Aveva un aspetto terribile, di un bianco che non assomigliava affatto al suo pallore naturale, tutti i lividi e le contusioni creati dai suoi aguzzini spiccavano ancora di più. Ma era lì, e non era mai stato così felice di vederla usare il suo solito tono beffardo: «Allora non sei uno stupido fantasma o una creatura magica, ogni tanto sbagli».
Eh?
L'espressione che assunse forse appariva abbastanza confusa, perché lei si affrettò ad aggiungere: «Ti ho sentito, stavolta. Aprire la porta».
Si riferiva ai suoi modi silenziosi, ecco cos'era. Credeva davvero che avesse qualche potere magico? Era solo allenamento. Si ritrovò all'improvviso ammutolito, incapace di replicare con qualsiasi cosa che desse il via al solito scambio scontroso, con del sarcasmo o con un semplice cenno. Rimaneva lì a guardarla, imbambolato, forse per convincersi davvero che fosse viva e gli stesse parlando. Una ramanzina sul fatto di non avergli dato retta ed essersi quasi ammazzata con le sue mani avrebbe dovuto fargliela, però...
Fu lei a toglierlo da quella stasi di ghiaccio: «Qual è il piano, ora?»
«Il piano?»
«Sì, cosa facciamo? Dove sono tutti? E Lyam? Quel conte che ci aveva tradito?»
No, c'era tempo. Doveva solo dormire e riprendersi, diamine.
«Domani vedremo come fare, ripartiremo per incontrare gli altri. Ora non è il caso di pensare a queste cose, ti faccio avere da mangiare e dell'acqua per la vasca».
Ignorò il piccolo broncio che stava per mettere su, le sopracciglia si erano già aggrottate. Sparì dalla stanza alla svelta, scese di corsa le scale per andare a parlare con la proprietaria e chiedere tutto. Non aveva la minima idea di cosa gli stesse succedendo, erano rimasti da soli così tante volte prima. Cosa lo immobilizzava a tal modo? Forse tutto ciò che era capitato, o quella maledetta confessione nella radura che non avrebbe dovuto fare.
Scelse di non pensarci, tanto sarebbe comunque rimasto a sorvegliarla, era fuori discussione credere di prendere un'altra stanza e lasciarla lì da sola. Ne andava della sua sanità mentale: doveva avere la certezza di poter vedere chiunque o qualsiasi cosa le si potesse avvicinare, controllare che si sarebbe davvero risvegliata all'indomani.
Iniziò col piantonare lo spazio di fronte alla porta della camera, mentre fissava le incaricate entrare e uscire per portare ciò che aveva domandato: cibo, vestiti puliti, acqua calda e tutti i saponi di cui disponevano nell'intero esercizio. Magari c'era lo spiraglio per strapparle un minuscolo barlume di allegria, se farle dimenticare ciò che aveva subito era impossibile. Le cameriere gli lanciarono delle occhiate dubbiose, forse si stavano chiedendo che problemi avesse a rimanersene lì in piedi, come un cane da guardia. Pazienza, credessero ciò che volevano.
Quando ebbero finito si assicurò che fosse ben chiusa e si appoggiò con la schiena contro di essa, finalmente più calmo. Si concesse persino di chiudere per un attimo gli occhi e di esalare due respiri più profondi, forse era davvero finita. Era salva, ce l'avevano fatta, poteva crederci. Passarono interi minuti, ma le aveva detto di fare con comodo, quindi all'inizio non si preoccupò.
Il tempo passava, però, e lei non diede cenno di aver finito, non comunicò per chiedergli di chiamare le cameriere e portare via i piatti, né per fargli altre domande irruente. La stessa ansia risalì.
Ne era passato troppo, e non aveva sentito neanche dell'acqua smuoversi. Era svenuta di nuovo?
Forse sarebbe sembrato inopportuno, assillante, ma non riuscì a trattenersi e bussò piano. Nessuna risposta.
«Fawn? Dimmi solo se va tutto bene, per favore».
Silenzio. Appoggiò l'orecchio contro il legno, per captare qualcosa. Non poteva irrompere con lei non presentabile, a quel punto avrebbe avuto davvero modo di dargli del folle e screanzato. Ancora niente, se non... singhiozzi.
Accennati, flebili, ma stava davvero piangendo?
Al diavolo.
Fece cigolare la porta apposta, stavolta, per darle modo di accorgersi di lui. La aprì, con la testa bassa: «Sto entrando, d'accordo? Se c'è qualcosa che non va, dimmelo».
Ancora niente, ma quei singhiozzi non li aveva immaginati. Lasciò perdere l'educazione e si decise ad alzare lo sguardo: non c'era nessun rischio di vederla svestita, non si era tolta niente. Fawn era seduta per terra poco lontano dalla grande vasca ricolma d'acqua, nello stesso stato in cui l'aveva lasciata. Il viso rigato dalle lacrime, il corpo scosso da tanti tremori, guardava quel mobile come se fosse lui a spaventarla, gli occhi fissi e intrisi di paura.
«Cos'è successo?»
Fawn si accorse di lui con una rapida occhiata, ma puntò gli occhi subito da un'altra parte e continuò a non rispondere.
Cosa cazzo è successo?
Mandò in malora tutti i propositi di restare distaccato e lasciarla riprendersi da sola: attraversò il breve spazio che li separava e si accucciò vicino a lei. Forse essere toccata da lui non le piaceva, l'aveva già appurato, ma non sapeva come altro scuoterla: le sfiorò un braccio, lo strinse appena, lei non dava cenni di voler parlare e continuava a tirare su col naso. Non smetteva di tremare.
Non riuscì a trattenersi, non aveva idea di che altro fare. Allungò una mano per prenderle il viso, con delicatezza, ma abbastanza saldamente da costringerla a guardarlo: «Mi dici qual è il problema? Per favore, poi ti lascio in pace. Dimmi solo cosa c'è».
I respiri di Fawn si fecero più lenti, mentre lo fissava. Lui non scostò lo sguardo da lei: doveva fidarsi, capire che poteva dirgli sul serio qualsiasi cosa. Lei aprì la bocca un paio di volte, senza riuscire a emettere alcun suono, ma non la mollò neanche per un attimo. Riuscì a parlare, il corpo che intanto aveva preso a tremarle più forte: «Non ci riesco, volevo far finta di niente... ma non ci riesco».
«A fare cosa? Me lo puoi dire, ti voglio solo aiutare».
«L'acqua...»
Che significa?
«Hai paura dell'acqua?»
Annuì con la testa e Devon sentì il calore dell'ennesima lacrima che le scorreva sul viso. Gli bagnò la mano con cui ancora le accarezzava la guancia. Forse non se n'era accorta, ma finché non l'avesse cacciato andava bene così, magari poteva persino confortarla.
«Da quando hai paura dell'acqua?»
Non rispose, corrucciò le sopracciglia e chiuse gli occhi.
«Da quando ti hanno rinchiusa lì dentro?»
Un tremito più violento, il respiro le si velocizzò un po'. C'era un limite, allo schifo di quei bastardi?
«Non riesci a entrare per qualcosa che ti hanno fatto?»
Si ritrasse da lui, il corpo scosso da singhiozzi più forti, le scappò qualche gemito acuto.
«Io non volevo cedere, ma non sono riuscita... ho fatto quello che mi hanno chiesto, non volevo».
D'accordo. Doveva stare calmo, erano già morti e non poteva ucciderli di nuovo. A meno di non andare a pescarli nell'oltretomba e trascinarli fino al mondo dei vivi, su un tappeto di tizzoni ardenti, per il gusto di farli fuori una seconda volta. E una terza.
«Ti tengo io».
Un singhiozzo in meno, sembrava incerta.
«Ci proviamo, se non riesci lasciamo stare. Ti tengo la mano, appena me lo chiedi ti tiro via. Va bene?»
Sbatté le palpebre bagnate e lo fissò, confusa, ma aveva la sua attenzione.
«Giuro che non ti guardo, non faccio niente. Ti tengo e basta».
Provò a rendersi il più mansueto possibile, non che la sua classica espressione lo aiutasse molto, lo sapeva. Fawn rimase ferma per qualche secondo, prima di rivolgergli un minuscolo cenno di assenso con la testa e alzarsi, piano.
Le parlò ancora lui: «D'accordo. Quando ci sei, dimmelo».
Si voltò per darle la schiena e si portò verso il bordo della vasca. Rimase lì, senza mai girare la testa neanche per sbaglio e non darle modo di sentirsi tradita. Sentiva solo il fruscio dei vestiti che scendevano e il crepitio leggero dell'acqua che sbatteva piano contro le pareti di legno.
«Ci sono».
Devon allungò un braccio oltre il bordo del catino, la mano tesa, continuando a fissare solo il resto della stanza. Avvertì il suono dell'acqua che si spostava mentre Fawn si immergeva, lei che gli afferrò la mano quasi subito. Era una presa forte, disperata, sembrava volersi ancorare a tutti i costi. Percepì che respirava con pesantezza e non si muoveva.
«Il palazzo in cui ti hanno portata lo conoscevo».
Non sapeva se fosse una buona idea, ma ogni tentativo andava bene per cercare di distrarla. In passato si era interessata alla sua vita, forse darle qualcosa di diverso a cui pensare l'avrebbe aiutata a togliersi un po' di quel terrore di dosso.
«Ci passavo le estati, è stato fatto costruire quando avevo cinque anni, dietro richiesta di mia madre. La città non le è mai piaciuta molto, voleva un posto in cui poter scappare...»
Ebbe un brivido, ma cercò di non farglielo capire. Non la nominava da quindici anni. Era seppellita dentro a ricordi che fingeva di non avere e in sogni che si sforzava di non fare mai. Ad alta voce non esisteva neanche più...
Fawn però aveva allentato la presa, sembrava essersi calmata, i tremolii si erano fatti più lievi. Sentì che l'acqua sciabordava un pochino. Un nuovo tremito.
«L'ala da cui siamo entrati era un vezzo inutile. Ripeteva sempre che quell'enorme vetrata era stata costruita per lasciare che la luce entrasse di più, ma si trattava solo di una finzione. Il sole ad Agonos è talmente raro che per coglierne un singolo raggio bisogna trovarsi fuori, affrontare il freddo e il vento. Cercare di percepirlo a quella maniera era solo un modo di scappare dalla realtà...»
"Lontano da qui esistono terre illuminate da un sole diverso, che non appartiene a questo regno. Un giorno lo vedrai, e forse sarò ancora con te".
Lei gli lasciò la mano. Sentì uno sciabordio più forte e percepì che si stava chinando fuori dall'acqua, un piccolo tonfo sul mobiletto di fianco alla vasca gli fece capire che era andata a recuperare una saponetta. Stava funzionando, allora.
Lasciò passare qualche attimo, e tornò ad afferrargliela, più sicura: «Come ci è finita, nelle mani di quei tizi?»
«Suppongo che senza di lei nessuno l'abbia più utilizzata. L'avranno abbandonata».
Cadde uno strano silenzio, come se lei avesse smesso di muoversi nell'acqua e fosse immobile. Si stavano avvicinando a una voragine che non aveva nessuna intenzione di scoperchiare, però, gli era uscita un'inflessione più tremante del normale. Devon pregò che Fawn potesse chiedergli altro, qualsiasi cosa, ma non quello...
«Beh, ormai l'hai rotta. Direi che può entrarci di tutto, da quella finestra».
«Devo ammettere che è stato liberatorio, in un certo senso. Rovinare o rompere cose ha il suo perché».
«In questo sono un'esperta».
Sorrise. Sì, in effetti non faticava a crederlo. Anche se, perché quel tono malinconico nel dirlo? Era una scheggia impazzita che tentava di sopravvivere rimbalzando in un mondo fatto di cristallo, quello sì. Ma era più onesta e buona di chiunque gli si trovasse intorno.
«Esco...»
La aiutò a tirarsi su, stringendole di più la mano, senza lasciarla. Forse le era tornata la paura di poterci cadere dentro. Rimase lì, seduto a terra a guardare lo stesso punto luminoso al di là della stanza. La candela sul comodino aveva già perso parecchia cera, era ormai tardi. Attese di percepire che lei si era allontanata e che i fruscii dei vestiti smettessero, prima di parlare. Non sapeva ancora come avrebbe preso la cosa.
«Comunque, temo dovremo condividere la stanza, abbiamo trovato questo posto all'ultimo e niente, non ne avevano di disponibili... dovremmo arrangiarci».
Idiota.
Quando era diventato così stupido? Si era rimbambito del tutto. Inventarsi una balla del genere, per non ammettere che gli veniva l'ansia all'idea di non poterla controllare. Era finito davvero in basso.
Riprese: «Posso dormire a terra, o fuori da qui, non c'è problema».
«Puoi rimanere, per me va bene».
🦌🤎⚔️🔥
Ammetto che l'ultima parte mi fa ridere tantissimo. L'idea che Devon si sia autocreato il trope "one bed" potrebbe essere un po' trash, ma a me piaceva 😂.
Ormai qualcuno l'avrà capito, ogni tanto prendo delle scelte un po' sceme. Mi diverto così, abbiate pazienza ❤️.
Ma insomma, che succederà in sta benedetta stanza stanotte?
Altre confessioni? Piantini? Se ne dormiranno beati? Litigi all'orizzonte? Fuochi d'artificio?✨
Oggi è tutta un'enorme eccezione e quindi pubblicherò la seconda parte tra qualche ora, per dare il tempo a chi vuole di digerire la prima 😂.
Voi non abituatevi a questi colpi di testa, che nel 2025 dobbiamo essere serissimi, puntuali e rigorosi 😂.
A più tardi ✨
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