37.2 (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)

⚠️ Sì, diciamo che c'è della violenza esplicita, ma la trovo godibile, vista la situazione ⚠️

Ruotò la chiave nella toppa con estrema lentezza, stando attento a non far risuonare il più piccolo cigolio. Afferrò la sottile maniglia di ottone e tirò la porta in fuori, ad aprirla nel massimo silenzio. Si infilò dentro allo spiraglio necessario per entrare, la richiuse alle proprie spalle e, senza voltarsi, rigirò la stessa serratura nel senso contrario, tenendo le mani nascoste dietro la schiena. Scattò, per chiuderli dentro. Quei vermi avrebbero potuto gridare in fretta, e non era sicuro di riuscire a fare un lavoro veloce e pulito. Non voleva.

Inspirò con calma e mise a fuoco la scena dinanzi a sé, i due non lo avevano ancora notato. Uno di loro era in piedi, appoggiato contro la parete laterale, le braccia incrociate al petto e la faccia di merda ferma in un'espressione scocciata. L'altro era al centro della stanza, una mano sullo schienale di una seggiola di legno e il corpo inclinato in basso, verso chi c'era seduto sopra. L'altro braccio si alzò all'improvviso, per andare a eseguire uno schiaffo secco: udì il suono del palmo che colpiva una guancia, forte e nitido. Perfetto, avevano già scelto da soli l'ordine da seguire.

Avanzò velocemente verso l'uomo contro il muro, con uno scatto. A quel punto sì, entrambi si accorsero della sua presenza. Qualche «ma chi cazzo sei» risuonò nell'aria, ma non aveva voglia di presentarsi. O forse sì.

Quello aveva fatto in tempo a mettere una mano sull'elsa e a tirare fuori la spada, ma fu inutile. Uno scambio rapido e non degno di nota, che si concluse in due sole mosse. Lo disarmò, si avvicinò a lui per afferrarlo. L'essere putrido aveva iniziato a respirare più forte, impaurito dall'ipotesi di essere trafitto in quell'esatto momento.

Ti piacerebbe.

Lo teneva per la collottola e l'altra mano salì a prenderlo per il collo. Lui boccheggiò, la pelle che diventava rossa e gli occhi fuori dalle orbite, mentre Devon stringeva sempre di più. Fu costretto a lasciarlo accasciare e a voltarsi: l'altro idiota gli stava piombando addosso con tutta la sua ridicola carica, l'aveva già sentito. Incrociò la lama anche con lui. La sequenza durò giusto un po' di più, prima che anche quell'arma volasse via e lui riuscisse a rovesciarlo con la schiena a terra. Forse era decente, come soldato, ma la rabbia che provava non avrebbe potuto conoscere rivali. Impossibile.

Non aveva ancora avuto il coraggio di guardarla. Era meglio immobilizzare quegli avanzi di sterco, prima di capire cosa ne sarebbe stato davvero di loro. Afferrò la spada che era finita a terra, la usò per conficcarla nel braccio dello stronzo che aveva schiaffeggiato Fawn e inchiodarlo al terreno. Perse due secondi a fare mente locale: aveva usato il destro, giusto? Sì.

Lui urlò. Patetico, non c'erano dubbi. Si abbassò sul viso dell'uomo per sussurrargli addosso: «Lei ha urlato? Dimmi. L'hai forse sentita urlare? Secondo me no. Vedi di trovare un briciolo di coraggio in quello spirito di merda che ti ritrovi e stare zitto, o giuro sul mio nome vero che ti strappo i coglioni a mani nude, in questo istante, è questo che vuoi?»

Gli occhi imbrattati di panico, il respiro affannato, il tale iniziò a mugolare e stette zitto. Ah, pensava forse di salvarsi facendo ciò che gli chiedeva. Ancora più patetico.

Si alzò in piedi, lo guardò dall'alto, prese la mira e gli sferrò un calcio in pieno viso. Si fermò per un momento, a contemplare il risultato. Non bastava, ne ricevette un altro, e un altro ancora. A un certo punto fu spinto a riabbassarsi e usare le mani: prenderlo a calci non gli dava la stessa soddisfazione di sentire le ossa della faccia spezzarsi sotto le dita. Infierì, fino ad ammirare il tutto e appurare che non aveva la stessa forma di prima, era ormai un grumo di sangue e pelle irriconoscibile. Però respirava, com'era giusto: era importante che non morisse troppo in fretta.

Il tintinnio che giungeva dalla parete gli suggerì che l'altro stronzo stava forse battendo i denti per la paura, ma non gliene fregava niente e non meritava la sua attenzione. Sarebbe tornato su di loro, forse, ma doveva ricordarsi di uscire alla svelta. Tirò fuori dalla tasca la fune che aveva usato per arrampicarsi e lo legò da capo a piedi, per impedirgli di muoversi.

Si avvicinò alla sedia voltata verso la finestra, con un enorme groppo in gola e lo stomaco stretto in una morsa di ferro. Sciolse con garbo le corde che tenevano le mani di Fawn imprigionate contro lo schienale. Le liberò, massaggiandole piano, sui polsi grossi segni violacei e scuri che lasciavano intendere come fosse in quella posizione da giorni interi. Lei non diede segnali di vita. Superò la sedia, per vederla di fronte a sé: gli scappò un gemito di dolore.

Il viso tumefatto e un po' gonfio, il corpo accasciato contro il mobile, molle e debole, il piccolo labbro spaccato e quel sangue ovunque. Sulle braccia, sul collo, in mezzo ai suoi bei capelli ormai ridotti a fili secchi e ricoperti da croste rapprese.

Ma non doveva darle modo di farsi prendere dall'ansia, doveva rassicurarla. Si chinò verso di lei, con tutta la calma che riuscì a tirar fuori. Cosa aveva sentito, mentre se ne stava al buio e lui malmenava quel tale? Non sembrava cosciente, andava svegliata senza farla agitare troppo. Allungò due dita e gliele poggiò sul collo, appena sotto la linea del mento, per accertarsi ci fosse ancora un battito: sì, era viva.

Si accorse di essere diventato rumoroso, perché riusciva a sentire il proprio respiro affrettato, mentre gli occhi iniziavano a bruciare e la gola veniva punta da un grosso spillo. Non piangeva da quindici anni e non era il caso di iniziare proprio in quel momento: lei aveva bisogno solo di aiuto e di lui concentrato.

Allargò il resto del palmo per prenderle il viso nella mano, provò a disegnare piccole carezze col pollice sulla sua guancia, ma lei non si mosse. Si avvicinò e portò anche l'altra mano dietro la testa di lei, iniziò a slegare quella dannata benda che le avevano messo intorno agli occhi. Lei ebbe un sussulto improvviso, spaventata. Si affrettò a tornare col viso davanti al suo, per impedirle di agitarsi e avere paura.

«Sono qui, sono io, va tutto bene. È finita, ora ce ne andiamo».

Fawn non rispose, gli occhi atterriti e sgranati posati su di lui, il respiro veloce. Spostò le pupille a destra e a sinistra, come per cercare di capire meglio e controllare cosa stesse succedendo. Devon non si mosse da lì e le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, sfiorandola appena.

«Sono ancora vivi, ma non ti toccheranno più, te lo giuro. C'è qualche fine che preferiresti per loro, o faccio io?»

Mormorava, calmissimo. In fondo lei poteva aver voglia di vendetta, chissà. Ma Fawn si limitò a corrucciare appena la fronte, confusa. Girò la testa e iniziò a muoversi sulla sedia, portò le mani in grembo e iniziò a torcersi i polsi da sola. Doveva capire che era tutto davvero finito, lasciò che si abituasse all'idea.

Prese il silenzio come un assenso. La abbandonò per un attimo, a rendersi conto della situazione e a riprendere il controllo di sé. Devon ritornò dall'uomo ancora legato contro la parete, che gemeva cercando di dire qualcosa, nonostante la corda che gli aveva ficcato anche in bocca per impedirgli di fare casino.

«Sei quasi fortunato, non ho tempo e lei ha la priorità. Fattelo bastare, come atto di generosità da parte mia».

Lo pugnalò all'altezza della bocca dello stomaco, con una punta precisa e profonda. Non sarebbe morto subito, lo attendevano tante ore di agonia e dolore. Non sarebbero mai state sufficienti, ma doveva accontentarsi. Lo liberò, per riprendersi la propria corda, lasciandolo a rigirarsi sul pavimento come un lombrico schifoso. Tornò dall'altro escremento umano, che rantolava e non si era mosso. Staccò la spada dal braccio e fece lo stesso gesto che aveva compiuto per il primo. Strappargli i gioielli di famiglia sarebbe stato davvero soddisfacente, in effetti, ma era una scelta troppo rapida e inefficiente.

Abbandonò quei due scarti lì, a godersi la fine che meritavano, e tornò da lei.

«Riesci a camminare?»

Lei aveva provato ad alzarsi, ma sembrava incerta, rimaneva un po' ingobbita e le gambe le tremavano. Per forza, chissà da quanto non le muoveva. Però ebbe la forza di alzare la testa verso di lui, guardarlo e annuire convinta.

Quanto poteva essere bella, quando le si dipingeva in faccia quell'espressione fiera. Nonostante i lividi.

«Dobbiamo fare in fretta, prima che se ne accorgano. Da dove usciamo? Lyam dov'è?»

La voce di Fawn era sottile, spezzata, ma sotto c'era la stessa energia che le vedeva dentro dal primo giorno. Incredibile, ce la faceva ancora, e ancora si preoccupava degli altri. Ebbe l'improvviso istinto di avvicinarsi, afferrarla, stringerla e fare una lunga serie di cose che non aveva il permesso di dire a voce alta. Ma si contenne e avanzò verso di lei.

«Da dove sono entrato, il tuo amico ci aspetta fuori».

La prese per mano, affrettandosi ad aggiungere uno «Scusa, ma devi provare a correre. Se non ce la fai, dimmelo». Fawn riuscì a fare una minuscola smorfia scazzata, ma non si ritrasse e lo seguì.

Si lanciarono giù per la tromba delle scale, rapidi. Ogni tanto gettava un'occhiata all'indietro, per controllare se ce la facesse davvero, continuò a tenerle la mano salda nella propria. Una porta dopo gli ultimi gradini, il lungo corridoio che aveva già attraversato prima, il vano finestra mandato in mille pezzi ad attenderli alla fine di tutto. Lo percorsero insieme, senza mai rallentare nonostante si fosse accorto che lei respirava con un po' di affanno. Ebbe l'istinto a volerla prendere in braccio e impedirle di dover fare anche quell'ultimo sforzo, ma sapeva che sarebbe stato mandato a quel paese se ci avesse provato. Bastava arrivare fuori, dovevano riuscirci prima che—tonfi, passi, clangori metallici.

No.

Una folla di soldati si stava avvicinando al salone, sul lato opposto rispetto a quello da cui lui e Fawn entrarono nella stanza. Spinse la mano con cui la teneva più indietro, per coprirla col corpo, l'altra si affrettò a sfoderare la spada.

«Ma per piacere». Il suo piccolo sbuffo un po' acuto.

Tentennò e mosse il capo, cercando di non perdere di vista i nemici che si avvicinavano, distratto. La mano di Fawn lasciò la sua e lui rimase un attimo interdetto, ma la vide spuntare di lato e pararsi di fronte a lui.

Non ebbe il tempo di reagire o fermarla: le fiamme esplosero a partire dal pavimento, violente, e risalirono in un lampo a lambire il soffitto, elevandosi per tutta l'altezza del salone e interponendosi tra loro e la minaccia incombente.

Ma che cazzo.

Non era cambiata, se non altro. Represse il sorrisetto che gli si affacciava sul viso, era comunque sinceramente preoccupato. Possibile che riuscisse ancora a fare gesti del genere, dopo tutto quello che le era capitato? Ma forse aveva bisogno di sfogarsi, lasciò perdere.

Si affrettò a riacciuffarle la mano e tirarla verso il varco aperto nella finestra. La fissò mentre si abbassava e ci passava attraverso, ci mancava che si tagliasse nel farlo. No, sembrava essersi ripresa davvero. Azzardò a provare una piccola fitta di gioia selvaggia nel petto, all'idea che tutto fosse andato bene.

Uscirono sul balcone, il sole stava per tramontare, una luce rossastra e flebile riusciva ancora a illuminare il marmo chiaro. Srotolò la fune, la agganciò. Approfittò di lei che guardava da un'altra parte per prenderla di sorpresa: si chinò, appoggiò la spalla contro il suo petto e la sollevò col corpo contro la propria schiena, dopo averle afferrato le braccia ed essersele messe attorno al collo. Fawn accennò a divincolarsi, ma forse debole lo era davvero, perché non ci provò abbastanza.

La sentì borbottare, mentre scavalcava la balaustra con lei avvinghiata come uno zainetto scorbutico: «Esibizionista».

Non poteva starsene zitta e conservare il fiato? Che diamine.

Iniziò a calarsi giù dalla fune, lei ancora stretta sulla schiena e aggrappata al collo, ogni tanto sbuffava e si muoveva. Poco male, sarebbe stata una discesa meno elegante della salita.

«O stai ferma, o ti butti di sotto, dando un finale ridicolo a quest'impresa».

Fawn smise di agitarsi, sembrava aver funzionato. Lei mormorò ancora, però: «Non puoi sempre essere tu, l'eroe dell'impresa».

Forse, ma tu lasciamelo fare almeno stavolta.

Certo che ce ne voleva, di pazienza. Non rispose, forse se le avesse lasciato l'ultima parola si sarebbe placata.

Arrivarono giù e Lyam sbucò da sotto la copertura della loggia immediatamente. Fawn scese e gli andò incontro. Devon se ne rimase lì, a guardarli mentre si abbracciavano, lui che la alzava da terra.

Che fossero davvero solo amici? Sì, lui era disposto a farsi ammazzare per avere la mano di Idalia, però... Chissà se Fawn avrebbe mai avuto una reazione del genere, nel vedere lui.

Interpretò la sua classica parte da guastafeste, ricordando loro che dovevano sbrigarsi e fuggire via.

Una freccia calò dall'alto nel momento esatto in cui provò a mettere un piede sul prato, uscendo dalla copertura che il balcone dava loro.

Porca puttana. Era stato troppo facile.

L'aveva mancato, e lui ritornò in fretta sotto la pietra orizzontale, al riparo. I soldati non erano ancora riusciti a uscire dal palazzo a causa dell'incendio, ma avevano mandato qualcuno sul tetto, pronti a farli fuori appena si fossero mossi da lì.

Si voltò verso Lyam e Fawn: «Ti sei ripreso a sufficienza? Tu sei abbastanza veloce, se usi la tua energia al massimo ce la puoi fare. Prendila e vai spedito, non riusciranno a vederti e puntare».

Il ragazzo annuì. Si abbassò per afferrarla da sotto le gambe e sollevarla tra le braccia, ma lei si scansò, le sopracciglia corrucciate e lo sguardo severo.

«Come sarebbe a dire? Tu come cazzo hai intenzione di allontanarti?»

Bella domanda. Non ce l'aveva, un piano. Ritornare dentro, probabilmente, e affrontarli cercando di uscirsene dall'altro lato. Una cosa alla volta, prima dovevano andarsene loro due.

«Ce la faccio, troverò un modo. Voi andate»

«Non ha nessun senso, manda Lyam da solo! Io posso fare come a Kyma, posso provare a coprirci entrambi».

Quindi aveva in mente di morire davvero, quel giorno. Era esausta, ferita, torturata da giorni e pretendeva di tenere su un maledetto incendio per tutto quel tragitto.

«Non se ne parla proprio, tu sei pazza».

«Ah, io! Mi daresti una definizione di te stesso, invece? Un folle suicida?»

«Si dà il caso che sia ancora vivo, dopo tutti questi anni».

«Anche io!»

È incredibile, infatti. Inspiegabile.

«Per grazia divina, e comunque quanti anni hai? Quindici?»

«Oh, sentilo, ora è diventato un vecchio saggio, questa è nuova! L'hai partorita in questi giorni».

«Non—Mmh». Spostò lo sguardo e contrasse le labbra, scocciato.

No, non l'avrebbe mai avuta vinta contro quella fastidiosa e petulante ragazzina.

Lei riprese, stizzita: «Non me ne vado da nessuna parte, quindi ti adeguerai a non fare tutto da solo, che ti stia bene o no».

La guardò: diceva sul serio, era evidente dalla sua espressione irremovibile, i piccoli pugni piantati lungo i fianchi.

Il suo amico si era stretto nelle spalle, confuso. Gli lanciò un'occhiata torva e minacciosa, per insinuare che dovesse rispondere ai suoi, di ordini. Lui lo notò e si avvicinò a Fawn, allungando un braccio per toccarla.

«Non t'azzardare, Lyam!».

Lyam si ritrasse, ormai spaventato e in preda al panico di non sapere cosa fare. Devon sospirò con pesantezza, era inutile insistere.

«Va bene, facciamo a modo tuo».

Si avvicinò a lei e si fermò. Rimase per un secondo a guardarla negli occhi, vicinissimo: «Ma non osare morire o sentirti male, sono stato chiaro?»

Fawn sbattè le palpebre e deglutì, aprì la bocca una volta senza dire niente, poi ci riprovò: «Beh... tu cerca di correre in fretta, allora».

Si spostò per portarsi dietro a lui, sentì le sue piccole mani che si aggrappavano alle sue spalle e lei che faceva un balzo. Le afferrò le gambe, avvertì che lei gli si era stretta addosso con molta più convinzione di prima, le braccia intorno al suo collo e l'intero corpo premuto contro di lui.

Forse un po' di paura la provava anche lei, allora.

Fece un cenno a Lyam per dirgli di andare per primo, il ragazzo obbedì. Devon prese un grosso respiro, strinse di più le mani contro le cosce di Fawn che lo serravano intorno alla vita. Uscì allo scoperto.

Un calore immenso lo avvolse: l'aria rovente, il fiato che faticava a uscire come si deve per colpa della temperatura divenuta incandescente d'un tratto. Ignorò tutto e spinse le gambe oltre qualsiasi limite potessero pensare di avere, corse senza neanche guardarsi alle spalle o provare a capire da dove li stessero attaccando. Tante frecce gli piovvero attorno, qualcuna la sentì colpirlo, senza troppa violenza da riuscire a trafiggerlo. Quelle fiamme erano così intense da rallentarle. Non capì se lei fosse ancora vigile, se si stesse stancando o meno, pensò solo a guardare la foresta dritto davanti a lui e impegnarsi con tutte le sue forze a raggiungerla.

Il caldo incredibile si spense un momento prima che riuscisse a varcare la soglia del bosco, infilandosi tra gli alberi. Corse per ancora qualche metro, si addentrò di più, si fermò quando scorse la figura di Lyam ad aspettarli.

Il petto che gli si alzava e abbassava frenetico, la bocca aperta a cercare fiato, i muscoli brucianti, ma ce l'avevano fatta. No?

Si accorse a quel punto della presa di Fawn che era diventata più debole. Il cuore gli fece una capriola rovesciata nel petto, perché lei non scendeva?

La prese tra le braccia e la adagiò lui, portandola a sdraiarsi a terra. Forse era solo stanca. Lei glielo lasciò fare, afflosciandosi senza opporre alcuna resistenza.

La guardò, i lunghi capelli castani si sparsero sull'erba a incorniciarne il viso spento, gli occhi chiusi.

No, no, no, no.








🦌🤎⚔️🔥

Prima di essere presa a insulti per questa scelta tragica nel finale: avevo detto che il capitolo 38 sarebbe stato bello e, ve lo giuro, non ho mentito. ❤️😂

Sarà bellissimo, con qualcosa di triste al suo interno, ma comunque bellissimo.

Fidatevi ❤️.

Vi anticipo le mie scuse, se questa seconda parte di capitolo dovesse contenere qualche ripetizione o errorino. Ho aspettato tutto il giorno per poterlo riguardare, ma alla fine non ho avuto tempo e l'ho mandato così, avevo promesso che sarebbe arrivato oggi.

Baci, ci vediamo martedì ❤️

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