34.1 (𝕷𝖞𝖆𝖒)

I tronchi bianchi si susseguivano uno dopo l'altro, a scandire il loro passaggio incessante, rischiarato ormai da pallidissimi fili di luce che trapelavano a malapena. A ogni movimento del cavallo sotto di lui, le viscere di Lyam si contorcevano e gli inviavano segnali inequivocabili. Strinse i denti e i muscoli del ventre, teso. Far capire alla compagnia che stava per essere mangiato vivo dall'ansia non avrebbe giovato.

Poteva sentirli: «Il ragazzino magico si sta cagando addosso».

Ed è ciò che sta per succedere, letteralmente.

Ci avrebbe pensato più tardi, una volta fermi, se ne avesse avuto il tempo. A patto di trovare un riparo dignitoso da cui non potessero udire i suoni tremendi che avrebbe emesso. Che fine priva di dignità: ritrovarsi tra i cespugli in preda alla diarrea, poco prima dell'unica e ultima impresa degna di nota della sua vita.

Sei ridicolo.

Si accorse che stava respirando più in fretta, piccole fitte nella gola e dietro le orbite lo pungolavano. Piangere, addirittura? No, era davvero fuori discussione. Tanto valeva farsi ammazzare direttamente da uno di loro, subito.

«Ragazzo, non prendere questa spedizione alla leggera. Stai sempre vicino a qualcuno di noi e pensa a difenderti, sono stato chiaro?»

Si voltò verso destra, una voce profonda che pareva rivolgersi proprio a lui. Oisin gli stava venendo incontro, all'indietro, per affiancarglisi nonostante di solito viaggiasse in prima fila.

Nessun altro dei cavalieri che lo costeggiavano gli diede peso. Qualcuno scoccò un'occhiata veloce e incuriosita, ma non ci fu nessuna risata. Forse non erano tremendi come credeva.

«Certo, chiarissimo. Non è il primo scontro a cui assisto, alla fine». Tentò di darsi un tono.

Che scemenza. Quelli insieme ai ribelli non si potevano neanche definire veri scontri, erano stati perlopiù scaramucce e inseguimenti silenziosi. L'unica battaglia autentica era finita in tragedia, e lui e Fawn avevano poi cercato di braccare i Disertori per un anno intero, senza mai combinare niente di concreto.

Un sospiro. «Non cercare di mostrarti orgoglioso, è esistito un primo combattimento per ognuno di noi. E ti assicuro che nessuno l'ha vissuto in maniera eroica».

Oisin accennò un sorriso sghembo sotto la barba bionda, ma non aveva nulla di allegro. Gli occhi azzurri erano rimasti tristi. Gli piaceva quell'uomo, nonostante non avesse la stessa importanza di Devon e Talom. Riusciva sempre a mettere gli altri a suo agio, ma forse un carattere del genere non si addiceva a un comandante...

«Se hai bisogno di qualcosa, fammi sapere. Intesi?» continuò il suo superiore. Lyam si limitò ad annuire con la testa, timido. Avrebbe cavalcato vicino a lui, durante l'assedio al palazzo? Quale compito gli sarebbe toccato? Devon gli aveva anticipato che non avrebbe usato arco e frecce, nonostante fossero le uniche armi con cui si sentiva appena in grado di rendersi utile. Ma un arciere non portava a casa vittorie degne di una principessa.

Alla fine si era abituato all'allenamento mattutino, e ogni minimo progresso lo aveva anche fatto sentire fiero, mandandolo su di giri. Prima che tutto diventasse troppo reale e vicino. A un tratto gli sembrava di non ricordare un bel niente, e che ogni mossa imparata da Devon avesse un valore nullo.

I cavalli dei soldati di fronte a lui rallentarono, al suono del fischio di Devon proveniente da dietro. Voltò la testa per vedere bestia e cavaliere che trottavano al fianco della colonna di uomini, percorrendola come un unico esemplare nero, fusi in un'entità minacciosa. Si fermò poco oltre la sua altezza e si voltò verso la compagnia: «Ci fermiamo. Il grosso rimarrà qui, in attesa di segnali».

La foresta sembrava essere finita, in effetti. Poco oltre le ultime schiere di alberi, Lyam poté intravedere il lungo camminamento centrale che conduceva alla papabile reggia del conte. Solo buio e nebbia, quella che non aveva mai dimenticato. La tipica nebbia di Agonos che si appiccicava alla realtà e ai corpi, deformandoli alla vista: forme bluastre accennate sullo sfondo, una più imponente delle altre. Eccola lì. C'erano quasi.

La voce bassa e tonante di Devon continuò: «Un singolo gruppo verrà con me, tra poco, aspettiamo che cali ancora di più il buio. La foschia può aiutarci a nasconderci meglio, ma ho bisogno che vi leviate gingilli e simboli reali».

Aveva intenzione di penetrare nella dimora del conte come una spia, quindi... meglio così, forse, aveva ancora qualche ora di tempo prima di doversi fare avanti. Chissà, magari sarebbe anche andata male, avrebbero ripiegato e se ne sarebbero tornati difilati a casa.

A fare cosa? A renderti comico di fronte al re e a lei?

Idalia. Ma lei ci pensava, a lui, ogni tanto? Forse era tutto sbagliato a monte. Forse aveva sempre avuto ragione Fawn: si era incaponito su una sola ragazza per tutto quel tempo, come se fosse l'unica ragione della sua vita. Certo, non ne aveva mai trovate altre, ma magari si era illuso come un cretino, sempre di più. Poteva esistere la felicità anche fuori da quel proposito assurdo, poteva accontentarsi... condurre un'esistenza semplice.

Sentiva la voce di Devon chiamare i componenti del gruppo prescelto, ma non la ascoltò davvero. Smise di esistere lì, in quel punto freddo e maledetto, mentre solo il fruscio delle foglie nel vento gli attraversava la mente. Una vita facile, una in cui non dover rincorrere niente e nessuno: una casa piccola, cibo per sé stesso e per sua moglie, risate, giochi... lui e lei che correvano, saltavano, si arrampicavano sui rami degli alberi. Come avrebbe voluto fare in quell'esatto momento, per nascondersi e non farsi più trovare da nessuno.

A salvare quella terra potevano pensarci altre persone, uomini valorosi come Devon. Il re gli aveva persino offerto un riparo nella regione reale, lontano dalla discriminazione che subiva dalla nascita. Perché aveva rinunciato a un proposito così invitante?

Perché nelle mie fantasie non riesco a vedere nessun'altra. C'è sempre e solo lei, dal primo giorno.

Già. Che fosse dentro a quell'abitazione minuscola o in un castello imponente, mentre si immaginava umile o investito di una carica, nelle immagini di sé stesso a penzoloni da un ramo... i capelli di lei erano sempre biondi, la risata aveva lo stesso suono cristallino e infantile, gli occhi non cambiavano mai colore. Candida. Immutabile ed eterna come la neve, che copriva il mondo e lo immobilizzava in una stasi perenne. Non c'era nessuna possibilità di poter pensare ad altro, non c'era mai stata. A volte, aveva l'impressione di ritrovarsi vittima di una maledizione o di un beffardo scherzo del destino: come se una mano invisibile e dettata dal fato li avesse sempre spinti entrambi, senza possibilità di replica.

«Tu, Lyam. Verrai anche tu».

Fu riportato alla realtà con un tonfo brusco della coscienza, nell'udire le parole del comandante. In che senso? Lui doveva andare... No.

Devon sembrò spazientirsi, nel notare che titubava. Lyam non si mosse, imprigionato in una morsa di terrore improvviso.

«Non hai sentito una parola di quello che ho spiegato, vero?»

Non osò fare niente. Non annuì, non negò. Aveva dato indicazioni sulla modalità di entrare in scena nel palazzo, forse. Rimase muto.

Gli occhi scuri di Devon dardeggiavano su di lui, ma il comandante non perse la calma: «Non importa, vieni con me. Dovevo comunque parlarti. Voialtri, fate quanto vi ho detto. Il resto della compagnia si tenga pronta».

Vide Devon smontare da cavallo e raggiungerlo. Lo imitò, per poi seguirlo quando lui gli fece un cenno d'intesa. Si spostarono lontano dalle orecchie di tutti gli altri, scostati rispetto alla colonna di cavalieri. Lyam si avvicinò a Devon, tanto da poterlo sfiorare se solo avesse allungato per sbaglio un braccio. Che strana sensazione, quell'uomo irraggiungibile che sceglieva di dare confidenza proprio a lui. Se qualcuno gliel'avesse raccontato, solo un anno prima, sarebbe scoppiato a ridere.

«Ho bisogno che tu mi faccia capire l'entità dei tuoi poteri». Il comandante aveva sussurrato, gli occhi neri a scrutarlo dal basso in su, circospetto.

«Prego? In ch—che senso?»

«Quanto riesci a reggere, prima di sentirti poco bene? Mi servi in forze per tutto il tempo e non possiamo permetterci di avere zavorre con noi. Sono disposto a cambiare piano d'entrata, se per te dovesse essere troppo».

Ah. Quindi aveva intenzione di usarlo per penetrare le difese d'ingresso. E doveva avere informazioni abbastanza confuse sui Misteri.

«Oh, quello. Ho una resistenza molto buona, in realtà, non mi è mai successo di svenire senza mantenere il controllo... certo, un po' di spossatezza dopo tragitti molto lunghi, ma a parte questo...»

«Non fare il falso paladino con me, non attacca. Mi serve la verità».

Era la verità. Ma poi lui che ne sapeva? Quanti Misteri aveva conosciuto, per avere tali certezze?

«Non funziona allo stesso modo per tutti. Nel mio caso specifico, non ho mai avuto grossi problemi con questo fattore. Certo, la mia energia non è infinita, è capitato che mi dovessi fermare per riprendere fiato, ma nulla di eclatante...»

Devon lo interruppe, l'aria aggressiva e irritata: «Spiegati meglio. Si può morire, per aver esagerato con la magia, ne sono sicuro. Mi vuoi venire a raccontare che sono tutte fandonie?»

D'accordo, aveva solo una visione parziale del fenomeno. In fondo era normale, la stessa Fawn era rimasta confusa all'inizio, quando li aveva conosciuti tutti. Non aveva mai vissuto in un orfanotrofio abitato solo dalla loro specie.

«Per me non è così, per Idalia nemmeno. La nostra energia tende a interrompersi prima che ci succeda qualcosa di strano, alla peggio smette semplicemente di servirci. Divento inutile e stanco, ecco».

Sembrava non credergli ancora, la bocca tesa all'ingiù e stretta, la fronte corrucciata e l'aria perplessa. Ma stava riflettendo, lo sguardo lo lasciava trapelare.

«Quindi vale anche per la tua amica...»

Già, Fawn. Ma che c'entrava lei, in quella situazione? Glielo spiegò lo stesso. In fondo era il comandante, era lecito che si ponesse tali domande.

«Lei no, temo che non sia fatta della stessa pasta. Purtroppo, ha la tendenza a esagerare senza volerlo e a perdere coscienza, abbiamo già appurato questa cosa una volta... ho paura che nel suo caso i vostri dubbi siano fondati, ecco».

Devon si rabbuiò, come se quell'informazione lo avesse colpito da qualche parte. Lo sguardo spento e posato nel vuoto, ricominciò: «Perché? È assurdo...»

Stranito, Lyam scelse di renderlo partecipe delle informazioni che aveva ottenuto da Yrim. La cosa assurda era che stessero parlando di quello, lo aveva convocato per discutere di un'imboscata imminente. Che fosse così sicuro di sé da ignorare l'ansia per ciò che stava per accadere? Lo invidiò un po'.

«Non è l'unica, in mezzo ai ribelli abbiamo avuto persone di entrambi i tipi, e comunque ci sono sempre piccole differenze personali. Con lei credevamo fosse una questione di carattere, per il fatto che è irruenta di suo, ma...»

Tentennò, impaurito di aver iniziato a parlare troppo e di essere rimbrottato. Devon era ancora concentrato, però, la mole del suo corpo piantata contro di lui e lo sguardo severo, in attesa.

«Ma?», una certa impazienza nei modi.

«Ho parlato con Yrim di questo aspetto, non molto tempo fa».

«Tu parli con quel tale? Da quando e perché?» gli sibilò addosso.

«Beh, da un po'. Da quando voi e Fawn eravate via, soprattutto. Il suo apporto è stato fondamentale per far uscire allo scoperto i tradit—»

«Va bene, fa lo stesso. Va' avanti».

Ma me l'ha chiesto lui, per tutti i fulmini.

Sospirò senza farsi notare, prima di continuare: «Mi ha esposto una sua teoria. Anche io ero dubbioso, all'inizio, ma devo ammettere che non è priva di senso. A suo dire, Fawn possiede un potere puro, mentre noialtri... Io, Idalia e molti di noi siamo come diluiti».

La fronte del comandante si corrucciò di più: «Diluiti? Di che stai parlando?»

Non riusciva a spiegarsi bene come Yrim, che cavolo. Doveva chiederlo a lui. Scelse di provarci lo stesso, facendo leva sulla memoria di ciò che il Mago gli aveva raccontato per aiutarlo a comprendere: «Come se fossimo dei recipienti pieni di colore, no? Lei è fatta di pigmento autentico e immacolato, mentre noi siamo come grosse bacinelle d'acqua in cui qualcuno ne ha versato un po'. Siamo sbiaditi, in un certo senso».

«E perché dovrebbe verificarsi un'assurdità del genere? Per puro caso?»

«No, secondo lui ha a che fare con la nascita, con i genitori... come se i nostri poteri perdessero di intensità quando si mischiano all'acqua, che è pallida e priva di qualsiasi cosa...»

«Agli umani» sussurrò lui di rimando.

Beh, stava capendo prima di quanto avesse fatto lui quel giorno con Yrim.

«Esatto. Io non conosco le mie origini, ma secondo lui è altamente probabile che qualcuno dei miei genitori, o addirittura i miei nonni, fossero in grado di rendersi invisibili. O qualcosa di simile. Io ho ereditato una versione meno intensa di quel potere».

Devon rimase zitto, il corpo che pian piano si allontanava da lui e smetteva di pressarlo con la propria presenza. Gli stava credendo, dunque?

Lyam continuò: «Yrim si dice ancora incerto su quest'ipotesi, ma la questione della madre di Idalia sembra confermarla».

Un'occhiata torva e dubbiosa: «La regina? Cosa sa, di lei? A nessuno è concesso vederla, da anni».

Si zittì per un momento. Era il caso di far sapere certe cose al comandante? Non sapeva come Yrim ne fosse venuto a conoscenza, in effetti. A lui l'aveva raccontato Idalia, senza tante remore, durante una delle tante chiacchierate in cui avevano aperto i propri cuori a vicenda.

«Sì, so che è rinchiu— tenuta al sicuro dal re. Ma lei è in grado di volare come un uccello, di fatto. Penso non lo faccia da parecchio tempo, però...»

«E la principessa si porta dietro una versione alleggerita di quella capacità», un altro sussurro pensoso, mentre gli occhi saettavano a destra e a sinistra. Devon sembrava ormai in preda a un flusso di ragionamenti che non poteva essere fermato. Poco male, almeno l'avevano aiutato a distrarsi dalla battaglia in arrivo.

«Proprio così. Fawn non sa nulla della propria famiglia, ma Yrim suppone sia figlia di elementi altrettanto puri. Lei è più forte, più letale, solo che inevitabilmente...»

«... non lo controlla del tutto».

«Non ha freni, quando prende il sopravvento, no. E sarebbe capace di mangiarsela viva, se dovesse fuoriuscire interamente. Almeno credo».

Era stato semplice, alla fine. Devon aveva compreso in fretta, restava solo ricevere finalmente la spiegazione di cosa avrebbe dovuto fare di lì a bre—

Avvertì un dolore sordo alla schiena: il comandante lo aveva preso per la collottola della blusa e lo aveva alzato di peso, sbattendolo contro un tronco dell'albero più vicino. Lo abbassò per portarlo all'altezza del proprio viso, prima di ringhiargli addosso: «E tu hai lasciato che venisse a uccidersi proprio in mezzo a noi?»

E questo che cosa c'entra? Perché gli importa di una cosa del genere?

Abbassò gli occhi, mentre sentiva il suo fiato troppo vicino, a solleticargli la pelle. Le iridi di Devon erano in grado di trafiggerlo, a una distanza tanto ravvicinata. E non sembrava per niente di buon umore, senza un apparente motivo valido.

Balbettò una risposta: «Nessuno ha il potere di farle cambiare idea su nulla... e comunque meglio con noi, che da sola, non credete?»

Azzardò a rialzarli: quello sguardo furente riuscì a farlo sentire male. Stava insinuando che a lui non fregasse nulla di lei, ma non era così. Impossibile tenerla a bada, quell'uomo credeva veramente a un'eventualità del genere? Fawn zitta e inerme che si limitava a non rischiare di farsi venire un accidente usando il fuoco, che cosa ridicola. Era davvero pazzo. Sentì il bisogno di giustificarsi, in qualche modo.

«La conosco molto bene, e vi assicuro che è meglio averla intorno, poterla guardare ed evitare che dia di matto. L'avrei lasciata, se non avesse avuto intenzione di seguirmi, ma a malincuore». Il tono gli si era irrigidito. Che lo picchiasse, se voleva. Ma che non osasse mettere in discussione il loro rapporto o il bene che le aveva sempre voluto. Da quanto tempo la conosceva, due giorni? Chi si credeva di essere?

Un idiota, perché l'ha lasciata sola e fuori da questa compagnia, credendo che se ne rimanga buona. Ora capisco il perché di quella decisione insensata.

Stizzito, Lyam osò un gesto di coraggio e mise la propria mano contro quella di Devon, che ancora lo strattonava all'altezza del collo: «Potreste lasciarmi, ora? Mi avete chiamato per discutere di altro, se non vi servo più vorrei andarmene».

Devon si staccò con un gesto rabbioso e secco, si allontanò di lui di un passo e tornò al tono gelido: «Se non hai problemi di energia, tanto meglio. Tu vieni con noi, dobbiamo trovare un modo per entrare nel castello».

Un brivido. D'accordo.

«Ho bisogno che tu stia in testa. Ci presenteremo alla porta delle mura con una scusa, fingendoci mercanti che portano provvigioni. Il conte non ha mulini nella propria tenuta e l'inverno è alle porte, è verosimile che si aspetti un carico di farine».

Come diavolo faceva ad avere certi dettagli e informazioni. Forse non era un idiota, almeno per quelle questioni.

Il comandante continuò, con fare pacato e meccanico «Appena la prima vedetta ci aprirà uno spiraglio, devi inserirti all'interno senza farti vedere, il più in fretta possibile. Sbarazzati di lui e di chiunque ci sia nei dintorni più prossimi, ci aprirai dall'interno e ci farai entrare. A quel punto penetreremo nel castello per prendere in ostaggio il conte. Manderò a chiamare il resto della compagnia, che circonderà la reggia. Semplice e lineare, ti è tutto chiaro?»

Deglutì.

«C—c—certo. Chiarissimo, sì».

«Perfetto, hai qualche ora per prepararti. Ci avvieremo poco prima dell'alba».

Lo lasciò lì senza più rivolgergli una singola parola, come una massa nera e verticale che si allontanava portandosi dietro ombre più intense di quelle della notte. La fitta al basso ventre ritornò. Ebbe l'istinto di riflettere su quel comportamento, sul fatto che ci fosse qualcosa di parecchio strano nell'aria e nel rapporto tra quei due. Si era già chiesto cosa diavolo fosse accaduto, durante il loro viaggio in solitaria verso Kyma.

Ma c'era una questione molto più importante in ballo.

«Sbarazzati della guardia e di chiunque ci sia nei dintorni».

La voglia di piangere, o di urlare a squarciagola, si fece ancora più forte.




















🦌🤎⚔️🔥

Cerbiattini, ciao!

Avrei voluto inserire qui anche la parte successiva con il loro tentato ingresso dentro alla reggia, ma...

Troppi caratteri ed eccomi qui a tagliare :)

In sostanza, il mio proposito dei 45 capitoli netti, prima di passare alla parte 2, è già andato a farsi benedire. Potremmo averne uno in più. ❤️

Resta solo da capire se il prossimo lo vogliamo fare dal pov di Lyam, come una continuazione, o se vogliamo passare al piccolo Devon e viverci l'assalto dalla sua testolina.

Essendo tutto improvvisato, vi lascio votare 😂.

Ditemi! L o D?

Cosa ne pensate delle nuove informazioni sui poteri dei Misteri?

E la piccola Fawn che starà facendo...? 💔

Spero di farcela per martedì, altrimenti ci vediamo venerdì prossimo 🤎.

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