28. (𝕴𝖉𝖆𝖑𝖎𝖆)
«Vostra Altezza, siete certa di non volere aiuto?»
«Ho detto di no, Orly. Questo è un lavoro che preferisco fare da sola».
Un lavoro inesistente e incompiuto, in realtà: scrivere un ipotetico messaggio da consegnare a sua madre. Nulla garantiva che la regina sarebbe stata in grado di prestarle attenzione al momento della visita, l'idea era di lasciarle l'ennesima lettera che avrebbe potuto leggere in un istante più lucido. Aveva chiesto di essere scortata nella sua residenza, per quella sera, sfruttando la scusa dell'imminente annuncio di nozze.
«Voglio passare la cena e la notte con lei, come ogni stupidissima sposa che debba confidarsi in vista di un evento del genere».
Suo padre non era riuscito a negarglielo, e lei aveva cercato di dimostrarsi il più convincente possibile. La verità era che non c'era nessuna lettera, nessun proposito di arrivare davvero agli alloggi separati di sua madre... e che quello era il piano migliore che era riuscita a partorire, lacunoso e pieno di falle.
Non poteva sbagliare, però.
E la sua dama di compagnia avrebbe dovuto allontanarsi, per garantirle una maggior riuscita: «Aspettami giù nell'atrio, la carrozza è sicuramente pronta. Arrivo tra poco».
Un'incertezza e del silenzio. Forza, vai.
«Va bene, Vostra Altezza. Scendo, vi attendiamo. È quasi buio, non attardatevi troppo».
Si avvicinò alla porta di legno massiccio e vi poggiò sopra l'orecchio, i sensi all'erta per captare se la donna se ne stesse davvero andando. Il fruscio di una probabile veste e il suono dei passi che scemavano le diedero la risposta che cercava.
C'era solo una guardia, fuori dalla stanza. La stessa, irreprensibile e fissa guardia che non lasciava la soglia della sua camera dai tempi della prima fuga. A quel punto doveva solo riuscire a metterla fuori gioco, far sì che si allontanasse anche lei e poi agire con velocità.
Tutto il percorso da compiere una volta superata quell'unica barriera umana era lo stesso della volta precedente, non aveva avuto né tempo né pazienza per ipotizzare nulla di meglio. Correre fino alla cappella privata sul lato più esterno dell'ala est, assicurarsi che non ci fosse nessuno e infilarsi nel passaggio che conduceva alla torre nord-est, percorrerla fino al secondo livello. Sperare, una volta lì, che nessuno si fosse ancora accorto del danno alla finestra e del fatto che la grata mancante, insieme a quella divelta, concedessero lo spazio per arrampicarsi e sgusciare fuori a qualsiasi ragazza di esile corporatura.
Avrebbe dovuto calarsi giù, fare affidamento sul proprio potere per guardarsi i piedi e rallentare il più possibile la caduta, ignorare il tuffo gelido e immergersi nel bacino d'acqua che attorniava l'intero castello di suo padre. Il fagotto contenente degli abiti asciutti era già pronto, doveva riuscire a nuotare senza farsi vedere da nessuno e mantenerlo in volo sopra il pelo dell'acqua, fino a riva. Da lì in poi, solo boschi e una corsa a perdifiato.
Il buio della sera che si apprestava a calare e il fatto che la maggior parte delle guardie erano a sud, ad attenderla per scortarla sul ponte e verso la dimora della regina, a venti miglia da lì, erano gli elementi che mantenevano viva una flebile speranza di poter riuscire nell'impresa.
Troppo poco per avere una qualche certezza di non finire davvero rinchiusa e segregata a vita.
Ma non ho altra scelta, inutile rimuginarci ancora.
Tirò fuori dal corpetto, con mani tremanti, l'oggetto peloso e morbido che aveva rubato dalle stalle dopo essere tornata dalla cavalcata mattutina: un topino fatto di tessuto, usato per tenere in allenamento i gatti che popolavano il fienile e le cucine. Abbastanza realistico da poter funzionare: l'aspetto che assumeva, una volta posato a terra, le dava persino ribrezzo.
Occhi fissi sull'animale fasullo, inalò più aria possibile in un profondo respiro prima di emettere un forte strillo e calarsi nella parte.
«Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi aiuti, vi prego!»
Pesanti colpi contro la porta, in un bussare sconnesso e agitato, la voce tonante della guardia attutita dallo spessore del legno: «Vostra Altezza, cosa sta accadendo? State bene? Rispondete!»
Emise un altro grido acuto e privo di senso, prima di riprendere: «Aiuto, vi prego! Venite subito!». Un ulteriore strillo.
«Altezza, apritemi! Siete presentabile? Oh, cielo, oh, va bene. Arrivo!»
Era il momento. Balzò con i piedi su un divanetto imbottito di raso opposto all'ingresso e guardò il topo, che iniziò a muoversi in grandi e rapidi cerchi. Un paio di percosse violente e l'infisso si aprì di schianto, rivelando la figura di un soldato in preda al panico. Lui fece un tremendo e frettoloso inchino non appena la notò, prima di guardarsi attorno senza capire la situazione.
«Che succede, Altezza? Qui non c'è nessuno!»
Puntò gli occhi verso l'anfratto in cui l'aveva lasciato fermare e riprese a spostare col pensiero il piccolo oggetto, cercando di usare abbastanza naturalezza da non fargli sospettare niente. Non si risparmiò l'ulteriore grido ormai rauco.
«Prendetelo! Prendetelo, vi prego! Quella bestia è uscita dal nulla, non posso scendere!»
«Ma che ca—»
L'uomo rinfoderò l'arma e si gettò con entrambe le mani verso terra, nell'intento di acchiappare il roditore, che lei continuò a non perdere di vista e spostare con rapidità. Sgusciò via e si infilò tra le gambe della guardia, attraversò la soglia ormai spalancata e si fermò poco oltre.
Idalia si ridestò da quell'attimo di concentrazione e piantò un altro grido.
«Inseguitelo, non statevene lì! Oh, non posso andarmene finché non l'avrete catturato! Vi prego!»
«S-sì, Altezza, voi rimanete qua. Torno immediatamente».
La principessa scese a terra. Si affrettò per avvicinarsi alla porta, puntò l'esserino grigio mentre la guardia le dava le spalle e vi si lanciava contro: un altro colpo veloce e il topo schizzò via in direzione sud, lungo il corridoio che portava all'anticamera e poi alle scale per scendere nel salone centrale. Appoggiata allo stipite della propria porta, lo condusse fin dove la sua vista riusciva a guardare, oltre le colonne che delimitavano l'enorme ambiente successivo. Lo fece virare e nascose l'animale agli occhi del poveretto.
«Correte a prenderlo! Oh, non dormirò sonni tranquilli!»
Simulò un paio di singhiozzi, la voce incrinata da una leggera disperazione. Il terrore che lei potesse davvero piangere valse al soldato la volontà di scagliarsi all'inseguimento: «Altezza, chiudetevi dentro. Il roditore non avrà scampo, ve lo prometto».
Era il momento.
Scattò all'indietro verso la propria camera, uno sguardo veloce al fagotto che aveva nascosto ai piedi del letto e al mantello appeso poco distante. Entrambi le volarono in mano: si avvolse nell'abito e si lanciò di corsa a destra, verso l'ala est. Mentre correva, calò il cappuccio sopra la testa bionda e provò un brivido familiare e ormai sopito da tempo. Lo stesso che l'aveva accompagnata quella sera di ormai due anni prima, dandole la scarica necessaria per attraversare l'intera regione, sopravvivere e giungere alla destinazione che si era prefissata.
Un formicolio piacevole allo stomaco le spinse le labbra all'insù, senza che potesse controllarle: non riuscì a fare a meno di elettrizzarsi al ricordo dell'aria gelida sulla pelle. Il sibilo spietato e attraente del vento di Agonos la richiamava a sé ancora una volta e le permise di sentire le gambe sempre più leggere, più agili e più veloci. Era lì, a portata di mano, insieme all'odore dell'inverno brillante che la attendeva: era a un passo, uno sputo, una distanza irrisoria se paragonata all'immobilità di quelle mura antiche.
Il corridoio si dipanava senza smettere, le pareti di pietra e i quadri imponenti che aveva visto così tante volte erano solo immagini sfocate, inutili tasselli di un'esistenza ormai da gettare via. Iniziò a pregustare il trauma dell'acqua gelida addosso, della fame, della fatica e della paura, e non smise di correre.
C'era quasi: oltre quella porta, là in fondo, si trovava la cappella privata a cui avevano accesso solo lei e sua sorella. Mancava poco, solo qualche metro in più, altra pietra e altri passi che risuonarono come battiti accennati, ammortizzati dal velluto pesante del tappeto. Nessuno la visitava mai a quell'ora, non c'era anima viva all'orizzonte, solo quel quadrato di legno che aspettava di essere aperto. Era vicino, sempre più vicino e sempre più reale.
Senza che lei potesse fermarsi, realizzare, nascondersi o fare dietrofront, lui si aprì sul serio.
L'anta scivolò sul pavimento e dalla fessura scura spuntò una piccola mano bianca, seguita subito da un viso chinato verso terra, incorniciato da boccoli castani. Si alzò nella sua direzione e ciò che Idalia vide, mentre la consapevolezza di aver tragicamente fallito la colpiva in pieno, furono due occhi grandi e teneri, posati su di lei con tutto lo stupore di un uccellino spaventato.
«Dalia? Ma che stai facendo?»
La voce candida e sottile di Myridia la bloccò sul posto e le impedì di fare qualsiasi gesto che non fosse boccheggiare inerme, la bocca aperta e lo sguardo atterrito.
Stupida, stupida, stupida. Di tutte le cose a cui avrei dovuto prestare attenzione... ma perché è qui? Così tardi, poi. E ora? Forse posso eludere la cosa, convincerla che non sto facendo niente di strano, indurla a ritirarsi. Sì, dimostrati calma, forza.
«Io... ti stavo cercando! Sto andando da nostra madre, volevo salutarti e chiederti se avessi qualcosa da portarle».
«So bene dove sei diretta e pensavo di unirmi a te, stavo per chiedertelo...»
Myridia abbassò lo sguardo indagatore sul grosso fagotto che lei reggeva in una mano, il tono basso e lento e l'aria di qualcuno che aveva già capito fin troppo.
«Ci siamo incrociate, dunque! Eccomi! Allora andiamo, che dici? Io devo solo posare delle cose nel santua—»
«Cosa stavi cercando di fare? Dimmi la verità».
Il tentativo di spostarsi morì sul nascere, al suono grave e deciso della voce di sua sorella. Un cipiglio del genere non le si addiceva affatto, e Idalia faticò a reggere il suo sguardo: era piantato su di lei, duro e incapace di venire raggirato.
«Te l'ho detto, Myri, non facevo nulla, venivo solo a cercare te...»
«Col mantello già calato addosso? E cos'hai, lì? Non ti serve un bagaglio del genere, per andare da mamma».
Si accorse con fastidio del cuore che le iniziava a battere più veloce, mentre il sangue defluiva dal viso e la lasciava indifesa, in balia di un accennato giramento che sembrò occupare lo spazio in penombra. Cosa avrebbe dovuto dirle? Non c'era modo di spiegare quella situazione, se non nell'unica maniera che fino a quel giorno non aveva ancora osato intraprendere. Idalia provò a replicarle con un sussurro: «Myri... tu devi lasciarmi andare, ti scongiuro».
«Allora è così, stai di nuovo cercando di andartene e lasciarmi qui».
«Tu non puoi capire, non è come pensi, io non ho altra scelta».
«Cosa non posso capire, Dalia? Sono sicura di avere la maturità necessaria a provarci, potresti almeno sforzarti di mettermi alla prova».
No, quel modo di parlarle non era affatto tipico di sua sorella. Non era la persona gentile e paziente che lei aveva sempre conosciuto, o forse tante cose erano cambiate da quella famosa fuga. Troppe per non averne perse le fila, mentre era talmente concentrata su sé stessa da non averle guardate con attenzione.
Qualcosa di ingombrante le stava occupando la gola e le impediva di parlare con scioltezza, lo sentiva crescere e spingere contro le pareti. Prese per mano Myridia e la trascinò verso la porta del santuario, la aprì con un cenno dello sguardo e solo una volta superata la richiuse alle proprie spalle, con il piede.
Qualsiasi tipo di discussione stesse per nascere, era meglio non dare adito a orecchie indiscrete di sentire.
Myridia si lasciò condurre e una volta dentro ritrasse la mano, portandola a girarsi nella sua direzione e continuando a fronteggiarla. Era piccola, più di lei, ancora bambina ma con un dolore immenso nelle iridi nocciola. Quando aveva avuto il tempo di provarlo? Di farlo crescere e accumularlo, o persino di conoscerlo? E lei dov'era stata, mentre succedeva?
Sua sorella parlò per prima: «Dalia, non mi interessano le tue storie sulla libertà e sul mondo che c'è là fuori. Io non lascerò che tu faccia di nuovo questa sciocchezza: cosa c'è qui, che non ti basta? Noi non ti bastiamo? Io non ti basto e vuoi di nuovo scappare solo gli dèi sanno dove?»
Verso la fine la voce le si spezzò, nonostante la volontà lampante di rendersi sicura. Tutto il peso della verità cadde addosso a Idalia come se la torre stessa da cui intendeva calarsi le fosse rovinata sul corpo, macigno dopo macigno.
«Myri, tu non c'entri niente».
«Lo vedo, non valevo niente due anni fa e non valgo niente nemmeno oggi».
«Io non avrei mai voluto lasciarti di nuovo da sola, te lo giuro, avevo promesso che non sarebbe accaduto un'altra volta...»
«E allora perché?»
Trasalì, e anche Myridia si rese conto di aver alzato il volume. Diede due rapide occhiate in giro prima di riprendere con un tono più basso, ma non meno affranto: «Dimmi perché, me lo devi».
«Io... c'è una persona che voglio raggiungere».
Iniziò a respirare con più affanno. Sua sorella non disse niente e rimase in attesa, come aspettando che aggiungesse qualcosa. Non ne era in grado, tutto il coraggio che aveva accumulato si sciolse come neve al sole, mentre l'immensità dell'intera situazione sua e di Lyam si mostrò in tutta la propria crudezza, liberata dalle fantasie che lei aveva continuato a cucirle intorno.
«Quale persona? Cosa vuoi dire? Un uomo?»
Aveva esalato l'ultima parola con un sussurro quasi impercettibile, avvicinandosi a lei con il corpo e nascondendo la testa leggermente nelle spalle.
«Io non posso sposare quel lord, te lo giuro, non la posso fare questa cosa. Non ci riesco, non posso, non posso, non posso».
Idalia iniziò a singhiozzare piano, lasciò cadere a terra il fagotto e si prese la testa con le mani, mentre il torace le si muoveva su e giù in un concerto di tristezza.
«D'accordo, calmati, mi devi spiegare tutto... di che stai parlando? Ora ci sediamo qui e tu mi parli, vieni».
Lasciò che sua sorella le cingesse le braccia con le sue piccole dita e la trascinasse al centro del piccolo ambiente, verso uno dei cuscini in raso da preghiera, sistemati a terra. La spinse con delicatezza a sedervisi sopra e fece lo stesso con quello posizionato di fronte. Non abbandonò la presa e continuò a parlarle, poteva sentire il fiato dolce e leggero solleticarle la pelle.
«Chi è questo ragazzo? Lo conosco, forse?»
Era da tanto tempo che non si trovava così vicina a lei, e aveva quasi dimenticato il suo profumo familiare: sua sorella odorava di zucchero e cannella, come gli stessi dolci che le cucine preparavano in onore del solstizio d'inverno. Quel tocco invisibile ebbe il potere di riportarla indietro per un istante, a quando loro due erano solo due bambine dimenticate, lasciate a rimuginare in silenzio, tra le grida di rabbia del re e quelle cariche di sofferenza e pazzia della regina. All'epoca non voleva che Myridia sentisse o vedesse nulla di quello spettacolo, perciò la portava lontano, in qualche stanza riparata dove la cullava tra le braccia e le raccontava qualche storia. Ne conosceva tante, già allora: aveva capito da subito come le parole scritte avessero il potere di allontanarle dalla loro prigione di roccia e sacrificio.
«Lo hai visto un mese fa, prima della spedizione dei cavalieri verso Agonos».
«Il ribelle?» squittì lei. Se ne pentì subito e riprese, abbassando per l'ennesima volta la voce: «Il ragazzo coi capelli rossi?»
«Sì. Si chiama Lyam».
«Cielo! Ma è... voglio dire, è... assurdo! Ed è così magro, ma sei certa di questa scelta?»
Non poté trattenersi dall'avvampare, appena risentita: «Non mi importa del suo aspetto, io lo amo!»
«Va bene, scusa» si affrettò a risponderle. Rimasero in silenzio entrambe, prima che Myridia riprendesse, titubante: «Perché non me l'hai mai detto? Avevi paura che io non potessi capire?»
Sospirò: «Non è questo, ero spaventata. Lo sono ancora. Nessuno dovrebbe saperlo, lui si è lanciato in quest'impresa folle solo per potersi avvicinare a me, e se nostro padre dovesse scoprirlo prima che lui abbia la parvenza di un titolo...»
Titoli. Quale titolo? È tutto un tremendo suicidio, niente di più.
Rituffò la faccia tra le mani, senza impedire che i singhiozzi ritornassero a prendere possesso del suo corpo. Myridia la bloccò ancora una volta e gliele tirò via a forza: «Basta, calma, ho capito. Non ce l'ho con te, va bene. Certo, tutta la situazione è folle, ma te ne do atto: mi sembra un gesto romantico».
Tirò su col naso: «Sì, credo di sì...»
«Devo solo accettare il fatto che quel tizio allampanato e fragile abbia avuto il potere di portarti via, immagino».
La guardò: Myridia le stava regalando un abbozzo di sorriso, amaro e sincero al tempo stesso.
«Lui non mi ha portato via da te, io non potrei mai lasciarti».
«Ma lo stavi per fare...»
«No! Non c'è altro modo, non ho nessuna soluzione per salvarmi da quel tale, Myri, come fai a non arrivarci?»
Stava diventando lamentosa, poteva ascoltare la sua stessa voce da fuori farsi piccola e irritante. Sua sorella non si scompose, la stessa ombra di sorriso sul viso. Guardò lontano, verso un punto indefinito: «Quanto è importante, questo amore? Prova a descrivermelo».
Descriverlo.
Non era abituata a descrivere niente, forse perché nessuno gliel'aveva mai chiesto. Eppure le parole sgorgarono, una dopo l'altra, come in un fiume in piena: «Non so se sia davvero lui, la sua sola presenza fisica o il fatto stesso che esista e calchi questa terra, ma è come se anche in sua assenza quel legame mi abbia tenuta in vita, per tutto questo tempo. Qui, con te, con questa scatola di doveri che mi opprime da sempre. Ero disposta ad accettare anche di non sentire più il vento, o di non poter correre libera, perché in fondo lui se lo portava dentro. Insieme potevamo farlo, anche circondati da un castello serrato... potevo essere io, e basta. Senza orpelli, senza corona e senza maschere, solo io...»
Ci fu un attimo di silenzio, l'apprensione negli occhi di Myridia si era spenta e la dolcezza di sempre aveva ripreso il proprio posto, vicino a un'ombra passeggera che non seppe riconoscere.
«Aspettalo qui, Dalia. Lui, il vento e il vostro legame».
Ebbe un attimo di esitazione, prima di irrompere di nuovo: «Myri, tu non capisci! Non posso rimanere. Tu non devi dire niente a nostro padre, ti supplico, non esiste altro modo, lui non vuole sentire ragioni, non vuol—»
«Lo sposo io».
Cosa?
«Cosa...?»
«Lo faccio io. Lord Arian, lo sposo io».
Il tempo sembrò fermarsi, incerto, la testa che le volava lontano senza più contenere un pensiero che non fosse puro sgomento, le labbra dischiuse incapaci di formulare alcun suono. Le costrinse a emetterne uno: «Di che stai parlando? Io non sto scherzando, Myri, questa è una cosa seria, ti prego».
«Non sono mai stata più seria. Che problema c'è?»
«Che problema c'è, che problem — Myri, non puoi sposare un perfetto estraneo!»
«Era quello che avresti dovuto fare tu, e che un giorno sarebbe toccato anche a me. È la nostra regola da sempre, Dalia, non un'eccezione o un caso sfortunato. Arian mi sembra un bell'uomo, nonostante tutto, e sarebbe lui a trasferirsi qui. Non vedo cosa ci sia di strano, tu potresti continuare ad aspettare il tuo vero amore...»
«Non accetto che tu proponga una simile sciocchezza! Perché dovresti sacrificarti a tal punto? Non è neanche lontanamente pensabile!»
Ma come poteva? Proporre un'assurdità del genere, lanciarsi senza nemmeno valutare l'ingiustizia di quel gesto terribile che suo padre pretendeva da lei.
«Perché non mi sto sacrificando, lo sto scegliendo e mi va bene così. Non conosco questo amore che tu mi hai descritto, ma è giusto che almeno una di noi lo provi. Io avrò tempo di avere altre gioie, te lo assicuro: la corona, una vita tranquilla come ho sempre voluto, un marito di bell'aspetto... certo, spero lui non sia troppo deluso dal cambio che dovremmo proporgli».
Ma diceva sul serio? Quella era davvero l'ultima delle idiozie che era disposta ad ascoltare.
«Deluso? Cosa avrebbe di cui essere deluso, quel damerino pomposo? Lui non merita né me né te!»
«La sarta di corte si è lamentata già tre volte, quest'anno, sai? Per i vestiti che non mi vanno più. Non ho il tuo fisico minuto, i capelli biondi o gli occhi celesti di cui il tuo futuro marito potrebbe già essersi invaghito... non importa, comunque. Non dovresti giudicarlo con tanta facilità, non lo conosci nemmeno».
Nel modo in cui sua sorella abbassò la testa, mentre le guance le si coloravano di rosso, scorse una verità che ancora non aveva notato. Myridia provava insicurezza: covava paranoie per motivi inesistenti e aveva problemi, dietro alla facciata pacata e durante tutto il tempo in cui lei aveva pensato soltanto ai propri affari e alle proprie questioni. Ed era lì nonostante tutto, a pregarla di rimanere e concederle uno sguardo.
Non poté far altro che sentirsi un mostro, per l'ennesima volta. Era la stessa egocentrica ed egoista ragazza per cui Lyam era partito in guerra, pur senza mezzi o possibilità. La stessa che aveva pregato Fawn di andare con lui, pur fregandosene dell'incolumità o delle idee della sua vecchia compagna. La stessa che non sapeva adempiere ai propri doveri o responsabilità, o proteggere il popolo che aveva giurato di servire. La figlia che deludeva suo padre, di continuo, e la stessa che non era stata in grado di regalare nemmeno un sorriso a sua madre: era impazzita di dolore, senza trovare gioia neppure nella sua nascita.
Era anche la sorella che non meritava tutto l'amore che le veniva rivolto, persino in quel frangente.
Fu interrotta dal tocco caldo di un piccolo palmo, liscio e delicato. Myridia le prese la mano e fu costretta a perdersi di nuovo in quei due occhi grandi e miti: «Non ci sono altre soluzioni, e tu non me l'hai chiesto. Lo voglio io. Pensaci: cosa ne trarresti, scappando? Verresti cercata in lungo e in largo, riportata a casa per vivere in una situazione ancor peggiore di questa, e lui otterrebbe soltanto una taglia sulla sua testa».
A pensarla così, aveva persino ragione. Ma doveva esserci un altro modo, doveva, perché sua sorella non poteva davvero pensare di rinunciare alla propria felicità, alla propria vita e ai propri sentimenti. Che ne era, di quella storia? Se c'era una cosa di cui era certa, da anni, era del futuro sentimentale di Myridia. Tutti, a corte, lo sapevano, per quanto non fosse mai stato dichiarato ufficiale. Non riusciva a capacitarsene.
«Che ne è di lui?»
Giurò di aver sentito la presa delle mani di sua sorella ritrarsi appena, ma Myridia non si scompose e le replicò con pazienza: «Di che parli?»
«Sai di chi parlo, non fare finta. Non posso credere che non valga più nulla, per te. Se lo stai facendo solo per tenermi qui, Myri, davvero, non buttare la tua intera serenità in fumo. Voi non avete nessun problema di rango, perché lo fai?»
«Oh, se ho capito a chi ti riferisci, devi stare tranquilla. Sono cambiate molte cose, da quando sei scappata. Quella era solo un'illusione giovanile. Né a me né a lui interessa davvero, ormai, credo persino mi abbia dimenticata».
«Come puoi dirlo con tanta leggerezza?»
«Perché sono cresciuta e ho imparato a distinguere tra i sogni e la realtà. È stata una parentesi dolce, ma lui è partito per Varkos senza remore, non è nemmeno più in questa regione, e quanto a me... davvero, non penso più a quella storia da tempo! Credimi».
Cercò di guardarla bene, di scorgere il lampo di una qualsiasi incertezza, ma non trovò nulla del genere. Possibile? Che anche gli amori più luminosi e puri avessero la capacità di spegnersi a quel modo, come fiamme deboli in una notte qualsiasi, senza nessun rimorso? Forse era lei a vedere tutto troppo amplificato, enorme ed eccessivo. A esagerare la realtà delle cose, come se il mondo fosse sempre troppo piccolo o troppo monotono per le sue aspettative.
Decise di fidarsi di quel sorriso rassicurante che Myridia continuava a rivolgerle, senza lasciarle le mani.
«D'accordo, ma anche dopo aver convinto nostro padre... chi ci dice che non mi troverà un altro rampollo nel giro di poco? E che non finirò nella stessa situazione?»
«Digli che ti sei scoperta innamorata alla follia di sir Devon! Lo apprezzerà, sono anni che tenta di rifilartelo e, se posso dire, beata. Farei volentieri a cambio, ma mi accontenterò».
«Myri!»
«Che c'è? È vero. Comunque fai così, hai il tempo di scamparla almeno finché la compagnia del tuo eroe non avrà fatto ritorno. E tu dovrai aiutarmi a preparare l'abito per le nozze, intanto!»
Sorrise e le fece un cenno di assenso. Persino quel castello riusciva ad apparire migliore, quando sua sorella era felice. Chissà se lei se ne rendeva conto.
🦌🤎⚔️🔥
Cerbiattini, che dire! Oggi abbiamo pubblicato ufficialmente il capitolo più lungo di Mystiria dai tempi della sua comparsa xD
A mia discolpa, il fatto di aver dato poco spazio a Idalia, finora (e anche in futuro temo ne avrà meno degli altri), mi ha fatto pensare che vada bene così ^^
Inoltre è quasi tutto un dialogo, quindi spero che lo troviate comunque scorrevole :)
Allora, impressioni?
Sia su Idalia, ma soprattutto su sua sorella. Un personaggio ancora poco presente, ma che qui ci fa capire qualcosina su di sé. Che idea vi siete fatti? Lei vi piace?
A quale delle due principesse vi sentite più affini? ^^
Sì, c'è una ship nell'aria... Che non troverà troppo svolgimento in questo libro, se non accenni, a causa di evidenti problemi di spazio e tempo. Ma covo il progetto di fare almeno due novelle brevi dedicate a coppie secondarie della storia, quindi chissà! Magari un giorno sentiremo parlare di Myridia e di questo fantomatico amore perduto.
Ipotesi su chi possa essere?
Come sempre, opinioni, consigli e critiche sono ben accette🔥.
Nel prossimo capitolo torniamo dal piccolo Lyam ^^
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