23. (𝕷𝖞𝖆𝖒)

La grande sala comune adibita alla cena non conteneva altri avventori: l'intero gruppo di cavalieri, almeno una cinquantina tra arcieri e soldati semplici, più le curatrici in una zona a sé stante, riempivano quello spazio squadrato e legnoso. All'improvviso gli risultava così affollato e soffocante da fargli venire voglia di scappare, non fosse stato per la consapevolezza di avere un compito da portare a termine.

Certo, si stava ancora chiedendo come diavolo si fosse fatto convincere da Yrim. Sul momento il tono di voce fermo e tranquillo del mago lo avevano persuaso a seguire le sue direttive, ma ora, ritrovatosi da solo di fronte alla possibilità di essere scoperto, nulla appariva più così rassicurante.

«Sarà la tua parola contro la loro, ragazzo, e per quanto il tuo volto di sbarbato fanciullo mi sembri non essere in grado di covare menzogne... Beh, sei pur sempre un Mistero, e loro cavalieri di questo corpo da parecchio più tempo. Questi bruti conoscono solo il rispetto che deriva da una spada ben impugnata. Non dire che te l'ho detto, chiaramente».

Tentava di ricordare le sue parole per ripescare a tutti i costi la sensazione di star facendo la cosa giusta, quella che pareva ormai essersi volatilizzata tra i fumi delle pietanze.

Aveva trascorso le ultime ore del pomeriggio in compagnia di Yrim: lo aveva osservato mentre pestava foglie dai colori ormai stinti e schiacciava bacche dall'aspetto oleoso, mesceva tra loro componenti ignote e le bolliva insieme, rimestando come uno di quegli stregoni di cui aveva sentito parlare solo nei racconti della sua infanzia derelitta. Tutta l'operazione lo aveva anche affascinato, certo e grato che l'intervento della magia da parte di un esterno lo avrebbe aiutato nel compito e sollevato da un peso. Prima di capire che l'ultima parte del piano, la più rischiosa, sarebbe spettata a lui.

Tastò con una mano la lieve protuberanza all'altezza del fianco sinistro: era ancora lì, la boccetta era inserita per bene in una tasca interna della tunica. Doveva farsi forza e tirarla fuori, senza farsi beccare da nessuno. Si voltò e diede la schiena alla sala, si trovava ancora all'ingresso che scendeva dalle scale superiori. Superò lo stipite per nascondere il lato del corpo che sentiva così vulnerabile. Li stava guardando da ormai troppo tempo e non aveva fatto neanche un passo, cosa aspettava? Che qualcuno si insospettisse per via del suo fare strano e nervoso, a quanto pareva.

Abbozzò uno sguardo all'indietro, oltre la spalla: cercò la testa bionda e lucente di Yrim e lo trovò al tavolo appena più laterale rispetto a quello al centro, dove entrambi i comandanti in seconda si erano già sistemati. Il mago aveva un'aria serena, composta e noncurante, come sempre: maledisse sé stesso e la scelta di essersi fidato. Non si era neppure chiesto se fosse stato tutto uno stupido raggiro, non sapeva nemmeno cosa contenesse con esattezza la pozione. Respirò, tornò con la faccia verso il corridoio e cercò di darsi una calmata, agitarsi non lo avrebbe aiutato in nessun modo.

Un ultimo sguardo fugace, stavolta non privo di scopo: cercò la posizione di Eamon e Cormak e li trovò in fretta. Stesso tavolo di Talom e Oisin, all'estremo che dava verso le cucine. I comandanti distavano dai traditori solo quattro posti. Perfetto, dove potevano sedersi se non dirimpetto alle persone più sveglie e valorose dell'intera locanda? Si passò una manica sulla fronte per asciugare via le gocce che sentiva calargli sul viso. Tirò fuori la boccetta, la chiuse nel pugno della mano sinistra e allungò una manica per nasconderla, mentre tentava di assumere una posa delle dita meno innaturale possibile. Abbassò anche l'altra manica, per evitare che stonasse: sembrare un idiota che camminava così coperto in una stanza accaldata da oltre cinquanta fiati umani andava bene, l'importante era essere un idiota insospettabile. Si girò col corpo e camminò in direzione del tavolo di Yrim. Usò il passo più lento che riuscì a darsi.

Guardò le cameriere che portavano i piatti: avevano quasi finito col tavolo del mago, sarebbero poi passate a quello dei comandanti. Mancavano solo tre cavalieri. Due, fece un passo. Uno, fece un passo più lento. L'ultimo cavaliere era servito, si spostò un po' a sinistra e si fermò, fingendo di dover scegliere dove dirigersi.

Tentennò e ondeggiò dalla punta dei piedi ai talloni, poi si ricordò di spostare lo sguardo verso l'altro lato della stanza: simulò un'espressione di delusione nel vedere i tavoli pieni. Non osava controllare se qualcuno stesse davvero notando quella pessima recita, aveva la terribile sensazione che l'intera sala avesse gli occhi piantati su di lui.

Trasalì quando vide sbucare le cameriere da dietro la parete divisoria della cucina, con in mano più piatti di quanto avrebbe creduto: quattro, cinque, sei... Bastavano? Bastavano, dannazione. Ebbe un attimo di esitazione, da quale lato del tavolo avrebbero iniziato? Il piede destro era già più avanti dell'altro, lui un tremito totale mentre una delle due cameriere si girava a dire qualcosa all'altra, con una risata. Il movimento del corpo successivo di lei sembrò suggerirgli che voleva iniziare dal lato più vicino: Eamon e Cormak erano i primi. Pregò di avere ragione e sfrecciò verso di loro, i metri erano pochi, se si muoveva abbastanza in fretta nessuno avrebbe fatto caso a lui.

Arrivò in prossimità della cameriera e sgusciò davanti a lei, rallentando appena per poter compiere il gesto successivo: versò metà della boccetta nel primo piatto e aspettò che lei posasse la pietanza davanti a Eamon. Appena capì quale altro piatto avrebbe dato a Cormak, vi svuotò il resto del contenuto magico: entrambe le portate vennero avvelenate un istante prima che toccassero il tavolo. La ragazza non aveva visto nulla, forse aveva percepito solo un rivolo d'aria di troppo.

Rallentò i movimenti fino a riportarli a una velocità umana e tirò una piccola spallata alla cameriera, che traballò.

«Dovete scusarmi, milady, vi chiedo perdono. Sono proprio un imbranato, volete che vi aiuti?».

Lei si schernì e bofonchiò un no, grazie nella sua direzione, prima di riprendere il lavoro. Lyam andò verso la sedia che Yrim aveva lasciato vuota, di fianco a lui. Tirò un microscopico sospiro di sollievo.

«Hai fatto ciò che ti ho detto, caro?» gli sussurrò il mago.

«Sì, l'ho fatto, ma non capisco... Non hai voluto rivelarmi nulla, mi spieghi come questo dovrebbe aiutarci a smascherarli?»

«Fidati, mio caro. L'ingegno è la migliore arma che hai, qui. Lascia fare a me, ora, e tieniti pronto a raccontare quello che sai».

Il mago si rivolse alla ciotola fumante posta davanti a lui, che aveva tutta l'aria di essere rovente. Ne annusò i piccoli vapori.

«Zuppa di scorfano! Questa pausa è proprio una manna dal cielo, giovane».

Ignorò il fastidio che provava nel sentire quell'epiteto di continuo. Gliel'aveva già chiesto ore prima, perché mai si ostinasse a ritenerlo tanto più piccolo di lui. Yrim a suo dire non dimostrava più di trent'anni, forse trentacinque, ma anche la risposta ricevuta era stata criptica e fumosa: «L'età è solo un numero, mio caro. Ritengo ci siano cose che definiscono la nostra maturità più di un paio di giri del nostro sferico pianeta intorno al sole. Nel tuo caso, l'evidente mancanza di malizia e furbizia rende bene l'idea, ma ci lavoreremo. Ringrazia che non ti stia dando del neonato».

Aveva lasciato perdere, senza ricordargli che aveva un nome e che avrebbe potuto semplicemente usarlo. Metà delle cose che quel tizio gli diceva suonavano strane e contorte, ma non voleva dare l'idea di essere uno stupido; dunque, non aveva chiesto come potesse davvero pensare che la terra su cui poggiavano i piedi avesse la forma di una palla, o che addirittura si muovesse. Gli sembrava assurdo e non riusciva a discernere quanto lo stesse prendendo in giro e quanto fosse serio.

Yrim prese il cucchiaio di legno con le dita lunghe e pallide e si scaraventò sulla pietanza, ma il primo sorso rivelò quanto fosse bollente. Emise un piccolo suono simile all'acqua gorgogliante mentre teneva la bocca aperta e lasciava passare l'aria, in difficoltà. Aspettò che terminasse, impietrito e catturato da quella scena surreale e pietosa, prima di sbottare: «Come fai a pensare a mangiare? Ne va delle nostre teste».

Un piccolo risucchio, prima di rispondergli con la guancia ancora piena:

«Mio caro, la probabilità che tu riesca a gustare ancora una tale leccornia è risicata: nel migliore dei casi, partiremo a breve lasciandoci alle spalle questa graziosa località marittima. Nella peggiore, saremo morti entro domani. In entrambi, preferisco farlo con la pancia soddisfatta, e tu dovresti fare lo stesso».

Lo ignorò ancora. Nulla era più serrato del suo stomaco, in quel momento. Pensare di ingoiare qualsiasi cosa era impossibile. Prese comunque in mano la posata e iniziò a sondare la superficie della zuppa con lentezza. Meglio non dare ancora nell'occhio o farsi notare, almeno fino a quando...

Un paio di forti colpi di tosse dal tavolo davanti al loro. Prima Eamon, in secondo luogo Cormak. Entrambi emisero suoni rochi e gutturali, prima di afferrarsi il ventre con le mani e piegarsi in avanti, visibilmente attraversati da fitte dolorose. Fu un attimo prima che Talom si alzasse, la voce carica di preoccupazione mentre si rivolgeva all'intera sala: «Che succede? Fermi tutti! Non mangiate nulla».

Oisin si alzò per andare di fianco ai due cavalieri avvelenati, ormai pallidi e ricoperti di sudore.

Fu a quel punto che percepì la figura del mago di fianco a lui alzarsi, con un gesto sinuoso: «Non datevi affanno, le uniche due pietanze toccate dal sortilegio sono le loro. I piatti di due traditori».

Sentì il cuore che iniziava a battere veloce. Non poté non chiedersi quando e come Yrim avesse cambiato il tono della voce, d'un tratto solenne e imperioso.

Vide Talom avvicinarsi al loro tavolo con furia, mentre i due cavalieri continuavano a dondolare, i volti corrucciati dalla sofferenza. Lyam non poté fare a meno di tremare: Devon lo intimoriva, con quel fare rigido e disordinato, e gli occhi scuri che parevano covare ombre, ma l'aura emanata da Talom non era da meno. La sua figura curata e pulita, insieme alla disinvoltura di un ragazzo di nobile rango, non lasciavano dubbi su quale parte del regno lo avesse allevato e cresciuto, membro della corte e dedito alla sua difesa da chissà quanto tempo. Eppure, quell'uomo dall'aspetto sempre pacato ed elegante, chiuso nella sua fortezza di modi impeccabili, lo schiacciava dal primo giorno. Era troppo, un caposaldo di bellezza che avrebbe notato chiunque, avvolto in un'austerità terrificante.

«Di che diavolo stai parlando, mago? Spiegati!»

«Ragazzo, è il tuo turno».

Alzò il viso: Yrim lo guardava dall'alto, l'aria seria aveva preso il posto del fare comico di poco prima. Giurò di avergli visto fare un impercettibile occhiolino. Si alzò e si rivolse, tremante, ai suoi capi: «Io... io li ho sentiti questa mattina, all'alba. Li ho seguiti e li ho sentiti confabulare con qualcuno, alle stalle. Hanno venduto il nostro comandante ai nemici, posso giurarlo sulla mia stessa vita».

Aveva tentato di mantenere il tono della voce alto, ma era impossibile. Eamon si girò verso di lui, ormai contratto in una smorfia di dolore sotto la barba corta, che si mischiò a un ghigno carico di rabbia: «Stai mentendo, mostriciattolo che non sei altro. Niente di tutto questo è vero, e tu lo sai bene. Nessuna delle creature che ci trasciniamo dietro ha portato qualcosa di buono! Tentano solo di dividerci».

«Perché dovremmo crederti, ragazzo? Che prove avresti?»

Aveva parlato Oisin, l'unico capace di usare un tono calmo. L'unico che lo spaventava un po' di meno, tra loro. Forse per quell'aria affabile che lo rendeva meno incline a essere considerato un capo. Prese fiato, pronto a far valere le sue ragioni, anche se non avrebbe saputo cosa portare alla loro attenzione se non la propria testimonianza, sola contro tutti.

Yrim lo precedette: «La prova é la pozione stessa. Un filtro della verità, progettato dalle cucine magiche di Maghyarat, la sacra dimora da cui provengo e a cui attingo, portando il mio sapere nel mondo di confine che chiamate casa».

Una pausa breve.

Yrim mise una mano nella tasca sinistra della tunica e ne estrasse un oggetto con un movimento fluido e aggraziato. Lo rivelò agli astanti, tenendolo fermo sul palmo, il braccio teso in avanti. 

Una gemma, grande come l'intera mano del mago, dalle sfaccettature lisce e brillanti, e un colore che dal rosso virava al blu, e al verde, e al bianco, cambiando fattezza a ogni battito di ciglia, tanto da confondere lo sguardo e lasciarlo incantato. Una luce parve sprigionarsi da essa e lasciare che il resto della grande stanza affievolisse la propria, come se il gioiello stesso fosse in grado di canalizzarla su di sé e restituirla all'ambiente, sotto forma di un bagliore soffuso che incatenava la vista. Lyam perse il contatto con la situazione, mentre la fissava. La sua coscienza prese consapevolezza della musica bassa che lo attorniava e che aveva interrotto il vociare della taverna. Una cantilena costante di cui non avrebbe potuto identificare l'origine, che sentiva attorno a sé e dentro di sé, un ritmico mormorio derivato dalle stesse profondità del suo animo. 

Capì, solo dopo un momento di stupore, che la melodia usciva dalle labbra di Yrim: forse non era nemmeno una musica, né un canto. Pareva pregare, emettendo un flusso di parole gravi, attaccate l'una all'altra senza il barlume di una pausa, pronunciate in una lingua lontana e ignota che non riusciva a capire, ma che lo lasciò stregato.

Non seppe per quanto tempo la malia durò, avvertì solo lo schiocco freddo del mondo che ritornava alla realtà. La luce si spense, e con lei l'incanto.

«Il dolore che sentite è solo un preludio, la scelta è vostra. L'incantesimo prenderà piede da quando pronuncerò la domanda, la santa pietra dei confratelli di Maghyarat mi sia testimone. La magia non accetta menzogne e, dunque, ditemi: siete o no traditori di questa compagnia? Se direte la verità, lei vi risparmierà. Altrimenti, saranno le ultime bugie che macchieranno il vostro onore in vita».

Come in risposta, Cormak lasciò andare un gemito più forte e si piegò su sé stesso, le braccia strette intorno al ventre, un attacco di tosse che diventò un rantolo.

Talom si avvicinò a loro con aria funerea e rivolse uno sguardo carico di durezza verso Eamon, l'unico dei due che riusciva ancora a tenere la testa sollevata.

«Parla. Il ragazzo dice la verità?»

Eamon non rispose. Guardava il suo comandante in seconda boccheggiando, la bocca che si apriva e si richiudeva, la protuberanza sul collo che si alzava e abbassava mentre deglutì un paio di volte. Gli occhi sbarrati, piccole gocce di sudore gli imperlavano i tratti.

«Ti ho detto di rispondere».

Un sibilo pronunciato a labbra strette, gli occhi di Talom che dardeggiavano, mentre la mano, con un gesto involontario, si era diretta all'elsa della spada.

Eamon guardò il suo compagno sofferente, che aveva iniziato a emettere piccoli mugolii soffocati, la testa ancora bassa. Probabilmente non la alzava per non prendere il suo posto.

«Noi... Sì. Sì, è tutto vero. Abbiamo venduto informazioni sulla posizione del comandante e della ragazza. Loro li attaccheranno, forse l'hanno già fatto».

Nel dirlo aveva abbassato la testa e sussurrato, per non guardare Talom negli occhi o per non farsi ascoltare davvero.

Il comandante rimase qualche secondo dinanzi a lui e Lyam avrebbe giurato di vedere la mano tremare, ancora poggiata sull'arma. Si allontanò da Eamon con un solo movimento secco e violento, la voce spezzò l'aria della stanza come un tuono: «Prendete e legate questi due topi di fogna, sarà il comandante a decidere per loro. Muoviamoci! Partiamo! Vi voglio tutti fuori, subito».

Nella calca di corpi che si ammassarono verso l'uscita della sala da pranzo, diretti alle stanze superiori per raccattare tutto, notò i due traditori singhiozzanti e sconfitti. Le loro figure, ormai curve per la vergogna più che per il dolore, vennero afferrate da qualche altro soldato. Legarono loro le mani dietro la schiena e li spinsero via, verso l'uscita.

Prima di alzarsi per fare lo stesso, si rivolse a Yrim, ancora vicino a lui, in contemplazione silente e serafica della scena: «Io ho dubitato di te, lo ammetto. Ma non sapevo avessi tra le mani un tale potere... Gli unici limiti della magia che ho mai conosciuto sono i miei, quelli di Fawn, degli altri Misteri, ma questo... Questo è stato incredibile! Pensi che chiunque possa imparare, volendo? Pensi che io potrei imparare a confezionare pozioni della verità? O veleni? O a scagliare incantesimi come quello?»

Yrim sembrò intontito dalla mole di parole e dal suo entusiasmo. Vide i due grandi occhi di ghiaccio del mago ritrarsi appena da lui e assottigliarsi.

«Pozioni della verità non saprei dirti come prepararle, giovane, né se sia possibile. Ma posso insegnarti a preparare decotti lassativi, un ottimo rimedio alla stitichezza da viaggio. Certo, come avrai notato hanno un effetto abbastanza spiacevole e doloroso, per i primi minuti».

Rimase di stucco, ci mise un attimo a realizzare e a capire cosa stesse dicendo.

«Come sarebbe a dire? Intendi che non c'è stato alcun incantesimo? E la luce?»

«Le pietre magiche sanno essere affascinanti, ma temo che non si spingano fin dove vorresti».

«Quindi era tutta una messinscena? Non sarebbero morti, anche se avessero mentito?»

«Direi di no, penso si risolverà tutto con una capatina al gabinetto. Anche se, vista l'imminente partenza, temo potranno usare soltanto le felci, che Belenus ci protegga».

«Quindi tu hai affidato la nostra intera sorte a una dannata manipolazione? Non c'era nessuna magia!»

«Manipolazione, magia... Che differenza vuoi che faccia, giovane? Solo quella che scegli di vedere».

Yrim si alzò e se ne andò, lasciandolo in balia dell'attonimento. Nel vederlo sparire, il mantello che si mosse con grazia a disegnare una spirale, Lyam giurò di aver visto una scintilla risplendere nella tasca dell'abito.

















🦌🤎⚔️🔥

Questo capitolo mi è servito per indulgere un pochettino su un personaggio rimasto, fino ad ora, ancora ai margini, nei panni di un aiuto o di una comparsa utile a far sbottonare Fawn.

Ma Yrim non è solo questo. Per fortuna o purtroppo?

Solo il tempo ce lo dirà :)

A voi che impressione ha fatto?

Ho colto l'occasione per accennare qualcosa anche su altri personaggi secondari, che, ve lo dico già, non avranno l'onore di un pov in questa storia, ma a cui un giorno (chissà) mi piacerebbe dare più spazio.

Oisin lo avevamo già intravisto, Talom non ancora.

Al prossimo capitolo torniamo da Devon, sì. Tutto bello, ma vogliamo sapere che ne è di lui e della nostra amata pazzoide, non è vero? XD

Ps: datemi pure feedback, seppur critici. Come accennato, la storia ora si complica e io potrei scrivere delle mezze ciofeche, o risultare ridicola. Ditemelo xD

Bacetti, cerbiattini. 🦌

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