15. (𝕱𝖆𝖜𝖓)
Un anno prima
Il sole tramontava e colorava di cupe tinte rossastre il cielo: foriero di sventura, un manto di sangue delineava una lunga striscia all'orizzonte, a cavallo delle cime degli alberi. Si piegavano sotto il tocco di un vento malvagio.
Fawn correva a quel passo lento che il fato le aveva concesso. Lei e Lyam si erano attardati più del solito nel mercato della cittadina più vicina, lontana chilometri da casa, presi da una trattativa insolita con il venditore di spezie. Quell'uomo aveva alzato il prezzo senza motivo, dando la colpa a una carenza di materia prima che lei sapeva essere una bugia. Aveva osservato lo stesso mercante vendere i propri materiali a un umano, senza usare l'insolenza e l'astio dedicati per tradizione a quelli come loro. Forse, se non si fosse impuntata e lo avessero pagato nell'immediato, sarebbero ritornati dagli altri compagni prima e avrebbe evitato l'ansia spasmodica che in quel momento le attraversava vene e muscoli.
Usciti dalla cittadina e incamminatisi verso casa, lei e Lyam avevano scorto, ormai a metà del tragitto, lunghe nuvole di fumo. Forti e intensi fragori, come di pietre che cozzassero con violenza, le avevano fatto raggelare le viscere. Senza dirsi molto, spaventati entrambi, si erano lanciati di corsa verso la direzione dei rumori: era la stessa posizione del loro rifugio.
Lyam era già arrivato a destinazione, di sicuro: non sapeva quanto tempo fosse passato, ma gli sarebbero bastati pochi minuti per percorrere la distanza che li separava dalla tragedia. Non lasciò perdere, benché rimasta indietro, e tentò di vincere il dolore alle gambe, insieme al respiro che la implorava di rallentare: quel pomeriggio tutti erano lì, tranne loro due e pochi altri. Inermi e impreparati.
Il concerto funereo a cui si avvicinava cambiò più volte: prima terribili urla, sempre più vicine, la indussero a velocizzare il passo e combattere contro la fatica fisica. Appena iniziò a riconoscere la boscaglia che attorniava la loro sede un silenzio spettrale invase l'aria. Si inoltrò tra gli alberi, ma avvertì che i suoi piedi calpestavano qualcosa di molle e liquido: proseguì mentre i suoi passi sciabordavano sempre più. Guardò a terra: la foresta era avvolta in un pantano che andava aumentando di profondità, eppure non ricordava che avesse piovuto. Non pioveva da settimane, aveva lasciato quella stessa foresta asciutta solo poche ore prima. Con un presentimento grave nel cuore scelse di non lasciarsi andare ai pensieri e continuò, facendosi largo con le braccia tra i rami e gli arbusti. Ignorò i graffi che le lasciavano sul corpo al procedere di un cammino frettoloso e sconnesso. Cadde un paio di volte nell'acqua ma andò avanti, sempre più stanca e tormentata.
Alla fine della traversata nel bosco, col terrore che ormai l'aveva del tutto agguantata, uno spettacolo di desolazione le comparve davanti.
Un intero lato della costruzione in pietra che chiamavano rifugio era stato raso al suolo. Tra le macerie un paio di massi enormi giacevano a terra. Dovevano avere usato delle catapulte, chiunque fosse stato. Nei dintorni prossimi, per quello che poteva vedere, non c'era traccia di anime vive. Un'immensa distesa d'acqua circondava l'edificio e si portava da esso alla vegetazione. Dietro alle macerie i fumi di un incendio ormai in estinzione facevano capolino: si mosse in direzione di quelle ombre.
Si incamminò verso il rifugio, inserito all'interno di una conca nel terreno, e notò che l'acqua iniziava a salire di livello: mentre procedeva in avanti le arrivò fino alla vita. Continuò e imprecò contro la forza maggiore che le sue gambe dovevano vincere. Avanzando nell'acqua sentì qualcosa di solido che la colpiva e vide un oggetto nero, di grandi dimensioni, muoversi vicino a lei: capì velocemente che si trattava di un corpo, appesantito dall'armatura e incapace di galleggiare, se non a tratti e mostrando la schiena. Lo spinse con forza e cercò di girarlo verso di lei: un viso gonfio e deformato la guardò.
Sono arrivati qui, ci hanno trovati... è stato Dylam. Dylam li ha fatti annegare.
A quel pensiero positivo subito ne subentrò un altro, ben più fosco: dov'erano tutti? Se veramente erano riusciti a vincere, perché quel silenzio abissale?
Saranno di certo fuggiti. Lui però non può aver fatto tutto questo e avere avuto la forza di scappare. Magari lo hanno trascinato con loro... Dov'è Lyam?
Senza indugiare oltre in quei pensieri ritrovò la stessa adrenalina della corsa e andò avanti, decisa a superare il lato distrutto del rifugio e arrivare al fumo. Nel procedere notò che i corpi neri, riversi nell'acqua come spugne ripiene di morte, si moltiplicavano. Andò a sbattere contro alcuni di essi e ignorò il loro viscido tocco. Scelse di trascurare anche la varietà di abiti che le sembrò di vedere. Non aveva tempo di rendersi conto di chi fosse uno di loro e chi un nemico. Doveva trovare Dylam.
Con l'acqua ormai a metà torace capì di essere giunta in quello che era il grande ingresso del rifugio, la rocca abbandonata che avevano fatto loro. Sul pelo dell'acqua galleggiava tetra la bandiera che avevano affisso per farsi coraggio, il giorno della sua inaugurazione.
Arrivò alla scalinata che conduceva al dormitorio superiore e si lasciò indietro la parte di parete che ancora stava in piedi, e che le aveva nascosto alla vista il resto dell'edificio. Parte del vano scala era ridotto in polvere. Nel percorrerlo, pregò che non cedesse sotto il suo passo: scongiurando una caduta, scelse di aggrapparsi con forza alla parete di pietra, pronta a tenersi casomai fosse precipitata.
Arrivò al piano di sopra e notò che il buio aveva preso piede: ormai era sera. Per quel che poté scorgere, capì che parte del tetto era crollato sotto il peso di una grossa palla di terracotta dall'aspetto ancora incandescente. Tese le orecchie e la vista e cercò di abituarsi alla penombra il prima possibile: procedette piano, i sensi all'erta, ma inciampò in qualcosa. Ebbe il tempo di volgere appena lo sguardo verso il basso, prima che una nausea improvvisa la colpisse. Si ritrasse rapida. Si coprì la bocca con le mani e chiuse gli occhi d'istinto.
Li riaprì lentamente per scorgere Gwen riversa a terra, il volto tumefatto e lo sguardo vitreo. Un grosso squarcio le attraversava il ventre, da cui era sgorgato un fiume di sangue ormai nero e rappreso; arrivava a ricoprire il pavimento rendendolo appiccicoso.
Cercò di riprendersi e di proseguire, ingoiando la bile che le era salita fino alla gola. Mentre avanzava nell'oscurità, capì con orrore di trovarsi di fronte a un piccolo cimitero. Tanti corpi giacevano dinanzi a lei: alcuni erano ancora integri, altri erano lacerati del tutto o parzialmente. Erano tutti compagni.
Non riuscì a trattenersi oltre: si voltò per dare le spalle a quello spettacolo e rimise tutto ciò che ormai premeva per uscire dal suo stomaco. Dopo aver placato i conati, tremando tra i brividi che le percorrevano le membra, scelse di farsi forza.
Sono sicura che non è qui, non può essere qui.
Si fece coraggio e accese un paio di fiamme col pensiero, ignorando il proposito di non sprecare energia o farsi vedere da eventuali nemici ancora nei paraggi. Illuminata dalle luci levitanti di fronte a lei, che la seguivano al suo spostarsi, iniziò a scrutare nei volti dei cadaveri riversi a terra, noncurante dello stato in cui si trovavano molti di loro, presa da una spasmodica necessità di trovare una risposta alla sua paura. Li guardò tutti, uno per uno, disperata, senza trovare in mezzo a loro ciò che stava cercando. Era talmente su di giri e scossa dal cattivo presentimento da non avere il tempo di piangere o sconvolgersi per la perdita delle persone con cui aveva parlato e scherzato, fino a quella mattina.
Mentre proseguiva nella sua ricerca sentì un suono debole, un pigolare che sembrava provenire dal fondo della stanza, in prossimità di un cumulo di macerie derivate dal tetto crollato. Si avvicinò con una rinnovata speranza nel cuore. Nel portarsi fin là, mentre percorreva gli ultimi metri, la voce di Lyam rischiarò l'aria: «Fawn, sei tu..?»
Affrettò il passo, le fiamme a seguirla per illuminare l'angolo coperto dai detriti: il suo amico si trovava rannicchiato, la mano stretta intorno a quella di Idalia. Lei sedeva a terra e singhiozzava ritmicamente, sporca e sconvolta, lo sguardo fisso rivolto nel vuoto.
Di fianco a lei altre tre persone, un uomo e due donne, sedevano altrettanto scossi, nascosti sotto ai resti: Oscar, Laoise, Nyamh. Quest'ultima era ferita: si teneva una mano sul capo imbrattato di sangue, coprendo un taglio che sembrava essere profondo. Non ebbe la capacità di preoccuparsi della ragazza, la facoltà di pensare a prendersi cura di lei.
Lui non c'è. Non è qui.
Sussurrò nella direzione di Lyam: «Cos'è successo?»
«Disertori. Sono piombati dal nulla, sapevano dove trovarci».
«Dove sono?»
«Devono essere scappati... L'acqua deve averli spaventati, molti sono annegati. Gli altri saranno fuggiti».
«Dov'è Dylam?»
Lyam non rispose subito, non lasciò andare la mano di Idalia e si limitò a guardarla. Lei non diede cenno di volersi riprendere, ancorata a lui e in preda allo shock.
«Non l'ho visto, Fawn...» le disse in un sussurro.
Sentì un rumore: un nitrito spezzò l'aria di quella sala, irrespirabile e madida di morte. Proveniva da fuori, dal basso, dall'altro lato dell'edificio rispetto a dove era entrata. Corse per portarsi verso l'apertura che dava all'esterno, uno squarcio nella parete creatosi da parte di un'altra palla di fuoco, che aveva colpito quella sezione per poi cadere altrove. Avvolta dall'oscurità, non riuscì a vedere chi o cosa si trovasse là fuori: i suoni provenivano da un punto troppo lontano rispetto alla posizione in cui si trovava.
Non aveva modo di scendere: ripercorrere la stessa strada, passando nell'acqua, sarebbe stato troppo lento. Presa dall'impeto scelse di gettarsi e atterrò sotto al lato diroccato della costruzione. Cadde al piano di sotto, meno vinto dall'acqua, sul lato più alto della pendenza della conca. Si rialzò a stento tra le macerie: il colpo era stato violento, ma aveva cercato di attutirlo cadendo sul fianco. Non sembrava essersi rotta niente, dunque ignorò il dolore e appiccò un'enorme folata di fuoco, che con un cenno indirizzò nella direzione da cui aveva udito arrivare i rumori. Arrivata a destinazione la fiamma le rivelò, distanziata rispetto a lei dalle mura in pezzi, la figura di un uomo a cavallo, circondato da un folto gruppo di soldati. Il buio che li circondava le impedì di capire quanti fossero. Mise a fuoco il volto del loro capo, senza scorgerlo nei dettagli: capì soltanto che il suo viso era attraversato da una lunga cicatrice. La sua armatura riluceva alla luce delle fiamme da lei generate e si rifletteva su due occhi che, persino a quella distanza, lasciavano intuire un lampo di malignità. Lui la notò e rise. Con un ghigno beffardo, le si rivolse crudele:
«Allora non siete morti tutti. Vedo che qualcuno di voi ha ancora ottimi trucchi demoniaci, in serbo».
«Chi diavolo sei?» urlò lei.
«Amore mio, dovresti saperlo... Non vi siete forse riuniti in questa combriccola per sconfiggermi? Impedirmi di salvare il mondo dalle vostre barbarie? Vedi, sono consapevole che sia difficile da comprendere, ed è molto triste. Fossi al tuo posto, mi consegnerei di mia sponte alla clemenza dei signori di queste terre».
«Cosa ne hai fatto di Dylam?»
«Non so di chi tu stia parlando.»
«Dimmelo».
Non aveva abbastanza percezione del volto di quell'essere, poteva solo inviare una fiammata nella sua direzione. Con un impeto spontaneo, nonostante tutto il dolore fisico che provava, un'enorme e roboante dardo di fuoco la attraversò e lasciò il suo corpo, diretto verso quella figura lontana e senza scrupoli. Fawn vide il suo colpo assottigliarsi nell'attraversare la distanza che la separava dall'uomo, ma rimase abbastanza intenso: lo raggiunse. Con orrore notò che lui parò il tutto, coprendosi con un grande scudo: dopo essersi infranto contro di esso, il fuoco si placò.
È fatto di aspydia? Dove ha trovato un oggetto tanto grande e costoso?
«Zuccherino, questo è davvero un potere sorprendente... Niente male. Quasi migliore dell'alluvione di quel ragazzo. Devo confessare che il suo scherzetto mi ha fatto perdere parecchio la pazienza, prima».
No. Dylam.
«Dov'è lui?» gridò.
«Oh, non ti devi preoccupare. Ha raggiunto ciò che spetta agli esseri usciti dalle tenebre come voi. È ritornato negli inferi. Presto o tardi anche tu lo raggiungerai».
Non è vero.
«Tu menti».
«Dici?». Riuscì a captare un luccichio nel buio, dato dalla dentatura di un sorriso diabolico che si allargava.
Non è vero.
«É stato coraggioso, se può consolarti: morto da vero eroe, un paladino dei Mostri».
Non è vero.
Non se ne rese nemmeno conto: fu come se una gigantesca catena, infrangibile fino a quel momento, si spezzasse d'un tratto. Fluì semplicemente, priva di qualsiasi remora. Una potenza sterminata, abbastanza da incendiare l'intera rocca se non fosse stata direzionata, si sprigionò nell'aria. L'uomo la vide arrivare da lontano: la distanza che li separava fu sufficiente a permettergli di cavalcare via, mentre si copriva le spalle con il suo scudo di foggia eccelsa. Non sarebbe bastato a contenere la furia dirompente che lo raggiunse, se non avesse avuto la prontezza di lanciarsi nella fuga con fervore.
Lei, vinta da una forza a cui non aveva mai concesso di spandersi fuori dal proprio corpo, si accasciò al suolo. Ogni residuo dell'energia che la manteneva cosciente si perse così, librandosi nell'atmosfera sotto forma di rogo, dentro a fiamme intrise di dolore. Si spense piano, come un piccolo sole che aveva esalato il proprio grido d'amore per l'ultima volta.
🦌🤎⚔️🔥
Un flashback breve ma necessario per raccontare meglio qualcosa che, probabilmente, già avevate intuito:)
Le lacrime finiscono, a un certo punto, tranquilli:)
Mi trovo meno a mio agio con capitoli esclusivamente d'azione, meno introspettivi: com'é venuto?
Baci 🤎✨
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