12. (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)

Marciavano da pochi giorni: il suo manipolo di uomini era partito alla volta di Agonos con un umore pessimo e svogliato, complici gli avvenimenti che si erano susseguiti senza sosta e quella guerra tediosa che non accennava a finire.

Devon nascondeva la propria insoddisfazione verso la sua capacità di essere una buona guida. I suoi cavalieri lo seguivano da anni e non avevano mai tentennato, pur nelle più avverse condizioni: gli avevano sempre portato rispetto e onore, senza mai cedere alla rivolta. Si trattava di un onore che si era guadagnato in battaglia, nel rendersi temibile verso chiunque, ma non solo. Sperava sempre che quel rispetto non fosse governato dalla sola paura o dalla sottomissione, quanto dalla fiducia che riponevano nella sua abilità di scelta.

Neppure in quel frangente avevano esplicitamente dissentito dalle sue azioni, o mostrato segni di insofferenza verso la sua persona: tuttavia, lo preoccupava la consapevolezza che quell'incarico li aveva già logorati a più riprese. Mancava nell'aria la motivazione, l'entusiasmo che poteva essere decisivo per imprese del genere. I fatti che avevano coinvolto quella ragazza e il suo compagno non avevano fatto altro che accrescere il malcontento del gruppo: non lo avevano accusato in prima persona di quanto accaduto. Si era sparsa la voce che fosse stato il Re, fomentato dai propri consiglieri, a prendere quella decisione, di cui erano convinti lui fosse una semplice vittima.

Devon aveva avuto l'impressione che le sue bugie non avessero raggiunto le orecchie dei soldati, e non si era dovuto preoccupare di come comportarsi al riguardo. Al pensiero di aver mentito ai propri uomini provava una fitta secca, che lo colpiva ogniqualvolta scorgeva qualcuno di malumore o affaticato.

Il fatto di avere delle vite che dipendessero da lui e dai suoi ordini lo aveva appesantito da subito, da quando quella carriera così repentina aveva mosso i primi passi. Non era riuscito a fermarla: il suo talento non glielo aveva permesso e si era ritrovato nel giro di pochi anni a passare da semplice spia, mercenario assoldato da Reimen I per aiutarlo a guadagnarsi il trono, a comandante reale. Era stato tutto così veloce da non permettergli di realizzarlo davvero. Anche ora, nonostante la realtà gli restituisse l'immagine di un capo amato e stimato, non poteva fare a meno di sentirsi un impostore.

Quanto a lei, la parte più logica di sé stesso aveva deciso di ignorare quel corso che pareva non poter essere fermato: tutti i tentativi che aveva fatto per portarla in salvo si erano rivelati vani, come se un volere superiore, aggiunto alla cocciutaggine che la caratterizzava, avessero ordito una trama impossibile da cambiare. Era partito, deciso a rendersi insensibile a quel destino.

Lei e il suo compagno possono fare la fine che più aggrada loro, non sarò io a impedirglielo.

Nonostante il proposito, quella nota di insofferenza aveva continuato a palesarsi: il percepire che il Re e i suoi consiglieri desideravano assoggettarli a meri strumenti, lanciandoli verso un rischio troppo grande per le loro capacità, non riusciva a lasciarlo indifferente. Aveva cercato con ogni fibra di assecondare quelle volontà, senza farsi prendere dai presagi di un qualcosa che aveva già vissuto: Reimen è un bravo re, nulla a che vedere con certe dinamiche, ha ereditato le più nobili intenzioni da suo padre.

Eppure non ce la faceva: lo infastidiva vederla lì, schierata coi propri uomini, come un oggetto di guerra pronto a far fuoco, inconsapevole dei rischi. Non era incapace, lo aveva notato durante le ore di addestramento: difficile che fosse tutta farina del sacco dei ribelli, il suo compagno a paragone era ben più debole e malmesso. Qualcosa nel suo passato, forse le angherie e la necessità di difendersi dagli umani di Agonos, l'aveva rafforzata: non sarebbe stata un totale peso... Ma non riusciva. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che non dovesse trovarsi lì. Quanto al ragazzo, non aveva idea di cosa lo avesse portato a fare quella proposta suicida: doveva nutrire qualche ambizione, motivata da una causa ignota. Il pensiero che fosse riuscito a coinvolgere anche la sua compagna lo mandava fuori dai gangheri.

Non si era stupito delle occhiate intrise di odio che Fawn aveva continuato a lanciargli, non aveva visto altro da quando l'aveva conosciuta solo poche settimane prima. In qualche modo, non riusciva nemmeno a biasimarla: per sconclusionata fosse, poteva immaginare per quali motivi avesse accumulato astio verso il genere umano. Si limitò a posizionarla dove gli strateghi del palazzo avevano deciso: se non altro posso controllarla da vicino, si era detto, nel vano tentativo di trovare un pregio in quella situazione paradossale.

Per i primi giorni non era più dovuto intervenire a sedare alcuna lite, lei era parsa calma e altrettanto i suoi soldati. Era rimasto all'erta, consapevole che il minimo pretesto avrebbe potuto far riaccendere la discordia.

Erano arrivati al quarto giorno di viaggio: la sera prima, aveva comunicato alla sua compagnia il cambio di percorso che aveva scelto di attuare. A partire dal mattino successivo, Fawn sembrò essersi reincarnata in un soggetto nuovo.

*

Tutto ebbe inizio a poche ore dalla partenza, mentre Fawn cavalcava nella sua stessa colonna come ogni giorno. Fino a quel momento il viaggio era stato quasi piacevole, rischiarato dalla fitta boscaglia di Asporya, ancora verde e viva, che li fiancheggiava ogni giorno nel loro proseguire. Si muovevano su sentieri puliti e disegnati, senza che lui dovesse prestare eccessiva attenzione a possibili agguati da parte di predoni o nemici. Avvertì, grazie ai suoi sensi sviluppati, che la ragazza gli era venuta incontro e che era più vicina del normale. Non vi diede peso, finché non sentì il suo sguardo addosso: si girò, certo di ricevere un getto di lamento o aggressività.

Fu colto da una visione inaspettata: due grandi occhi marroni e placidi lo osservavano da sotto folte e tenere ciglia, sovrastando la pioggia di macchiette marroni che le tempestavano naso e guance. Il castano dei capelli che la incorniciavano, colpito dalla luce del sole, lasciava fuoriuscire sfumature color ruggine. Neppure gli abiti sporchi e semplici che portava, inframmezzati a parti di cuoio, riuscivano a indurire quell'immagine delicata.

Ebbe l'impressione di trovarsi davvero di fronte a un cerbiatto, finito tra capo e collo in mezzo a un manipolo di guerrieri. Perplesso, impiegò un secondo di troppo a realizzare che fosse davvero lei. Non ricordava nemmeno che quegli occhi fossero tanto tondi, li aveva sempre incrociati carichi di furia.

«Beh, insomma, pare che la strada da percorrere sia lunga. Non so tu, ma il silenzio mi lascia alquanto annoiata. Quindi, ecco, da dove vieni? Dalla capitale? Anche gli altri soldati... Siete tutti di Vasileya?»

Non ebbe il tempo di capire come reagire, si limitò a rimanere immobile. Continuò a guardarla, del tutto sconvolto.

Forse è stata avvelenata? Quell'Yrim, il mago, le ha fatto un incantesimo?

«Volevo dire, non so voi, ma io non amo molto rimanere in silenzio. Di dove siete?» aggiunse lei. Senza dargli il tempo di replicare alcunché, iniziò a farfugliare, il tono di voce che aveva ripreso la nota di sarcasmo a cui era avvezzo: «Ma è davvero necessario essere così formali? Non lo faccio apposta, ma è proprio seccante e mi confonde. È per una questione di rango? Forse dovrei trovare il modo di abituarmi... Ehm, signore».

La interruppe: «Non serve».

Si ritrovò a chiedersi se non l'avesse guardata con troppo astio, i suoi modi tenebrosi erano difficili da smantellare, sapeva bene di fare un effetto macabro sulle persone. Eppure, quella donna non aveva mai dato cenno di essere intimorita da lui.
«Il tu andrà bene. Comunque sia, no. Non sono originario della capitale. Quanto ai miei uomini, dipende: una buona fetta è stata arruolata nella regione reale, ma provengono un po' da tutto il Regno. Talom, che guida la cavalleria leggera in cui viaggia il tuo compagno, è di Vasileya. Oisin invece, che comanda il gruppo di arcieri laggiù, è di Kyoni».
Si fermò per un attimo, incerto se proseguire: non voleva far intendere che la considerava ignorante o poco esperta di quelle nozioni. Cercò di riprendere: «...è parecchio lontana da qui, si trova ben oltre Asporya. Ha fatto un lungo viaggio per unirsi a noi, anni fa, ma è uno dei migliori uomini che abbiamo. La sua gente vive tra le montagne, ad Agonos ne avrete incontrati pochi».

Lei si limitò a spostare lo sguardo più avanti, verso le fila degli arcieri. Aveva notato di certo la sagoma possente e ben piazzata di Oisin tra loro.

«Certo, ho capito».

Devon si rivolse verso la strada, titubante. Non avrebbe saputo che altro dirle ed era ancora scosso da quella tentata socializzazione. Che tramasse qualcosa? Non gli era sembrato che il suo carattere si abbinasse bene alle recite e ai sotterfugi. Di qualunque cosa si trattasse, quel breve scambio morì lì. Ringraziò che lei non avesse dato peso alle parole evasive circa le proprie origini: era più prudente non rivelare nulla.

Tuttavia quella trasformazione non accennò a diminuire, a partire da quella sera e per i due giorni a seguire.

Alle ultime luci del giorno si fermarono: aveva dato ordine di accendere un falò intorno a cui riscaldarsi e cuocere la selvaggina che erano riusciti a cacciare. Dopo aver montato la propria tenda, si diresse verso il centro dello spiazzo prescelto per la cena.

La ragazza si era posizionata tra i suoi uomini e, davanti alla curiosità generale, appiccò un meraviglioso fuoco in un lampo. Un soldato lì vicino, che nel frattempo si era procurato la legna da ardere, rimase inerme e lasciò cadere a terra i rami. Sentì un leggero riso provenire da qualcuno, non avrebbe saputo dire chi. Lei, apparentemente soddisfatta, si limitò a sedere su una radice poco distante dalle fiamme, in attesa che gli altri uomini preparassero la carne.

Non molto tempo dopo, nel momento di andare a dormire, la sorprese a fornire alle curatrici delle minuscole fiammelle, deboli e levitanti, che riuscivano a tenere sospese sopra le mani. Una ragazza emozionata la ringraziò del gesto e la udì dire che avrebbe sopportato meglio il freddo della sera.

Nei due giorni successivi la vide scambiare più volte poche e semplici parole con gli altri soldati, sia durante la marcia che la sera. Alcuni di loro le risposero con sgarbo o la ignorarono, non inclini ad abbandonare da subito la diffidenza. Lei, con suo immenso stupore, non diede cenni di collera verso quell'atteggiamento, al contrario: continuò impassibile con la sua opera di pacificazione.

Per quanto da un lato volesse credere alle sincere intenzioni della donna, dall'altro Devon non poté far altro che arrovellarsi, indeciso se considerarla semplicemente un essere mutevole e imprevedibile, o se preoccuparsi di un complotto. Qualcosa in quella situazione, così straniante, lo irritava. Lei non cercò più di parlare con lui per via diretta, anzi, avrebbe detto che lo stava evitando. Tentò di offrirgli una di quelle fiamme notturne ma, di fronte al suo rifiuto, si eclissò senza più provarci. A rincarare il suo sospetto, si aggiungeva l'averla osservata prendere confidenza con Yrim: li aveva già colti parlare a lungo tra loro.

Arrivò la terza sera: erano riusciti a trovare una pozza d'acqua vicina a un buono spiano, nascosto dagli alberi della radura, ormai prossimi al confine tra Asporya e la vicina Thalassan. Per rischiarare gli umori dei suoi uomini decise di concedere a tutti di farsi un bagno. Approfittarono delle ultime ore al tramonto e interruppero la marcia prima del previsto. Il clima era mite, certo, ma non abbastanza: avrebbero patito il freddo e lo sapeva. Tuttavia la prospettiva di non sapere cosa li attendeva, una volta usciti da lì, lo portò a pensare che si sarebbero accontentati.

Ordinò al gruppo di curatrici di andare per prime, se lo desideravano, Fawn con loro, mentre lui e gli altri uomini si fermarono nello spiazzo a preparare fuoco e cena.

A preparare solo la cena, pensò risentito, non appena notò lo sfavillante e neonato falò che già riluceva in un punto sul terreno.

Tornate le donne, comunicò ai propri uomini di dirigersi verso il bagno: inviò la prima metà di loro e lasciò sé stesso al secondo gruppo. Con la coda dell'occhio notò Fawn che li seguiva, scomparendo dalla sua vista: ritornò pochi minuti dopo, con un sorriso sospetto sul viso.

Quando fu il loro turno di lasciare il falò e dirigersi verso il lago, lei seguì anche loro. Lasciò che lo facesse, corrucciato, e si chiese cosa diavolo avesse in mente. Lei parlò appena i suoi uomini iniziarono a togliersi di dosso le prime parti di armatura, bloccandoli prima che potessero spogliarsi del tutto.

«L'acqua è gelida! Conosco un trucco che vi aiuterà, vi faccio vedere».

Lui continuò a osservarla in silenzio, mentre si avvicinava alla riva. Fawn puntò gli occhi verso il punto più vicino di quel piccolo specchio d'acqua e rimase per qualche istante a fissarlo, con intensità. Delle bolle grandi e piccole iniziarono a formarsi sulla superficie e, scoppiettando, formarono delle larghe circonferenze.

«Non è una magia impegnativa, ma è molto affascinante. L'ho imparata grazie a un mio... amico, diciamo. Lui aveva una particolare affinità con l'acqua. Immergetevi all'interno dei cerchi, la troverete più piacevole» si limitò a dire. Si girò verso tutti loro e fece cenno di proseguire. Si allontanò verso lo spiazzo d'erba, lasciandoli nella privacy di spogliarsi e potersi lavare.

Devon si diresse con passo rapido e stizzito verso la riva, parecchi metri più in là rispetto alla zona su cui lei aveva disegnato tre grandi cerchi di calore, deciso a non usufruirne. Diede la schiena all'acqua per iniziare a togliersi i vestiti. Scorse lei che, con un piccolo sguardo rivoltogli da sopra la spalla, aveva notato quel suo gesto di rifiuto. Sparì e lo lasciò in preda ai dubbi. Osservò irritato che i suoi soldati non si fecero problemi e si gettarono, felici e rapiti, tra le bolle preparate per loro.

Non sapeva nemmeno cosa rimproverarle, non riusciva nemmeno a capire cosa lo seccasse a tal punto.

Possibile che si fosse decisa a collaborare, finalmente, e a cercare una via d'uscita dalla sua condizione con le buone? Era assurdo che l'avesse stabilito così, senza preavviso e senza motivo. Possibile che ora riuscisse a tollerare tutti loro, l'astio e il disprezzo che ancora serpeggiava tra qualche soldato, senza battere ciglio? Non riuscì a togliersi di dosso la spiacevole sensazione che stesse architettando qualcosa. Il non riuscire a cogliere la verità lo tormentava.

Perché il destino aveva inviato un essere tanto incomprensibile sul suo cammino?


🦌🤎⚔️🔥

Siamo ritornati al punto di vista del nostro capitano: il povero cristo non sa più cosa pensare di quella testa calda di Fawn;)

Come andrà a finire, secondo voi? Ma soprattutto, per chi parteggiate tra loro due?

Vi manca sapere cosa pensa e prova Lyam?

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