11. (𝕱𝖆𝖜𝖓)

Si svegliò la mattina con una certezza in più: ormai faceva parte di una nuova compagnia, congegnata con tanta stranezza da lasciarla interdetta.

Dinanzi a loro si dipanavano una sfida importante e la consapevolezza di poter non tornare. Non sapevano dove i nemici si nascondessero, ma avrebbero dovuto stanarli, privi di una percezione del loro reale numero o pericolosità. Fawn ebbe l'impressione che un vago sentore funereo avesse avvolto il castello, impedendo che qualsiasi altro sentimento prendesse piede.

Il giorno della partenza gli altri soldati parvero persino dimenticare di avere con sé due Misteri. Si prepararono e avviarono in silenzio, sovrastati da una cappa di malinconia.

Fawn si ritrovò a mettere in pausa la sua furia: certo, l'obiettivo con cui partiva era pur sempre trovare Proteo e distruggerlo. Dal giorno della decisione di unirsi a Lyam, però, in cui aveva rivisto Dylam nei propri pensieri, nuove sensazioni erano accorse ad affiancare la sua solitudine. Si era ritrovata a indugiarvi spesso nei giorni prossimi al viaggio. Si era dibattuta tra la sensazione di calore che quei ricordi le davano e una pungente consapevolezza: risvegliarli troppo di frequente le avrebbe solo arrecato dolore.

Tra lei e Lyam tutto rimase gelido, limitato a qualche esternazione di circostanza qualora ve ne fosse bisogno: le occasioni in cui sarebbero stati obbligati a parlarsi sembravano poche. Erano stati smistati in due punti diversi della carovana: lui in punta, fiancheggiato dalla cavalleria leggera, pronto a correre e informare il gruppo di qualsiasi cosa potesse esserci all'orizzonte in caso di pericolo; lei venne sistemata più indietro, lateralmente rispetto alla colonna principale, accanto al comandante e ai soldati armati fino ai denti che costituivano la sezione più massiccia di attacco.

Devon aveva tentennato parecchio durante la scelta della disposizione. Era poi stato costretto a seguire le direttive di Sua Maestà e degli altri cavalieri anziani: quando ancora si trovavano al castello reale, avevano deciso insieme a lui le tattiche migliori da utilizzare. Nelle retrovie, insieme alla parte più debole del convoglio, chiuso poi da una retroguardia difensiva, venne lasciato a cavalcare in solitaria Yrim.

Fawn lasciò Vasileya senza un piano per sé stessa, senza mire particolari o tattiche negative a possederle la mente: non aveva nemmeno pensato a come comportarsi, a che atteggiamento usare nei confronti degli altri cavalieri o di Lyam. Si limitò a rimanere indifferente, mossa soltanto dalle proprie sensazioni momentanee: l'unico per cui non riuscì a scacciare i suoi sentimenti di rancore e diffidenza rimase Devon.

Nonostante tutto quello che le era successo in quei pochi giorni, tanto veloce da frastornarla, non aveva dimenticato il mistero che avvolgeva quella figura, i suoi dubbi circa la natura di quell'uomo, e quanto vi fosse di vero o falso circa la sua relazione con Idalia.

Di certo Lyam doveva averne parlato con la principessa, ma non l'aveva informata di nulla, e lei non aveva osato chiedere. A prescindere dalla risposta, neppure l'offesa che si ostinava a mantenere verso il suo amico fu sufficiente a impedirle di schierarsi dalla sua parte. La sua mente rimase stoicamente in combutta contro Devon, odiandolo a prescindere per il ruolo di rivale che sembrava ricoprire.

*

Erano partiti da tre giorni: tutto si era svolto con grande tranquillità fino ad allora. Non erano sorti attriti tra Misteri e cavalieri, i quali ancora si dimostravano afflitti all'idea di aver lasciato il castello e aver ripreso a dormire su giacigli improvvisati.

Fawn conosceva le proprie terre e sapeva che quella prima parte di viaggio non sarebbe stata nulla in confronto a quanto li aspettava una volta rientrati ad Agonos: la regione reale era una landa ben più confortevole e mite. Nonostante si trovassero in piena stagione autunnale, per una buona metà della giornata un sole tiepido rischiarava il cammino e permetteva loro di viaggiare spediti, liberi dai mantelli più pesanti. Il terreno rimaneva asciutto e soffice, ancora lontano dal manto tetro e umido a cui era avvezza.

Durante la terza sera, prima di disporre la guardia e lasciarli riposare, Devon li raccolse tutti attorno a sé per ragguagliarli sulla strada che aveva scelto:

«Non percorreremo la stessa via dell'andata: sarebbe più breve e diretta, ma è troppo rischioso. Abbiamo già incontrato problemi attraversando Agonos una volta, voglio abbassare le possibilità di ritrovarci invischiati in conflitti prima del dovuto. Allungheremo dirigendoci verso ovest, usciremo da Asporya per inoltrarci dentro a Thalassan: risaliremo lungo la linea di confine, in modo da rientrare ad Agonos sulla sua linea estrema. Dovremmo giungere all'altezza di poche miglia dal punto in cui sospettiamo si nasconda Proteo... o quantomeno, qualcuno a lui vicino».

Li ammonì sul non abbassare in ogni caso le proprie difese, nulla era certo e chiunque poteva nascondersi nel buio. Intimò loro di velocizzare il passo a partire dal giorno seguente: quel percorso alternativo andava eseguito nel più breve tempo possibile.

Fawn aveva già sentito parlare di Thalassan, pur senza averla mai vista. Sapeva trattarsi di una striscia di terra lunga e sottile, ultimo baluardo di fuga dal regno prima di inerpicarsi nella pianura minacciosa che era la sua casa. Dalla piccola costa di Thalassan si apriva il mare, quello sterminato elemento di cui aveva sentito solo parlare. Si era domandata tante volte quale aspetto avrebbe avuto dal vivo. Aveva conosciuto solo pozze, fiumi e piccoli laghi, fino a quel momento: le avevano detto che il mare era un enorme bacino di acqua, tanto grande da non poterne scorgere la riva opposta. A giudicare dalle parole di Devon, forse non sarebbero giunti così in prossimità della costa da poterlo vedere: si diceva però che fosse immenso e imponente. Magari ne avrebbe potuto avvistare un bagliore da lontano.

Più che all'idea di poter vedere il mare, tuttavia, la mente di Fawn andò ad altro: chi gliene aveva parlato di più era lui.

*

Tempo addietro, in un momento che ormai le sembrava appartenere a vite prima, Dylam l'aveva presa con sé e le aveva raccontato per filo e per segno del posto da cui proveniva. Era un pomeriggio qualsiasi e si erano conosciuti in quel gruppo di ribelli ormai mesi prima: benché lui le avesse girato intorno da subito, aveva vinto la ritrosia di lei solo da qualche settimana. Era riuscito a scavarsi un passaggio nel suo cuore a colpi di spirito gioviale e sfrontatezza. Fawn aveva iniziato da poco a lasciarsi andare, spaventata dall'uragano emotivo che quel ragazzo aveva portato nel suo essere per la prima volta.

Quel pomeriggio stavano passeggiando per la brughiera poco fuori il loro rifugio e lui l'aveva inondata di dettagli circa il suo villaggio natale: a Fawn piaceva ascoltarlo, molto più di quanto le piacesse parlare di sé stessa e del suo passato. A differenza di molti di loro, lui aveva lasciato una casa e una famiglia vera per andare sin lì, in una landa ostile, a combattere in nome di qualcosa che sentiva proprio solo per astrazione. Non aveva mai provato sulla pelle l'intolleranza e la crudeltà altrui.

«Lo trovo davvero incomprensibile. Non mi spiego proprio come tu abbia potuto abbandonare la tua vita felice».

Fawn glielo aveva già detto tante volte: nonostante non capisse dove lui avesse trovato la volontà di inseguire quell'ideale, qualcosa l'aveva attratta sin da subito. Non lo aveva incolpato della sua fortuna: lo aveva invidiato e osservato ammirata, mentre quella piccola crepa di incomprensione era stata colmata dai loro animi avventurosi e dall'infinita vivacità di lui.

Quello stesso giorno di più di un anno prima, alla fine del racconto sulla sua terra di origine, Dylam aveva notato i suoi grandi occhi farsi più cupi e silenziosi e aveva colto al balzo la cosa: era sempre riuscito a capirla, a cogliere le impercettibili variazioni di umore che tutti gli altri attribuivano alla sua abituale scontrosità.

«Un giorno verrai con me, fiammella. Devi proprio vedere il mare, ti piacerebbe: sai, lì persino i tuoi poteri sarebbero inutili. Laggiù non ci sono fuochi che tengano, lui è l'unico vero padrone che riconosciamo. Governa tutto e ci risparmia, in qualità di suoi umili servitori».

Le aveva sorriso e aveva notato la diffidenza che si faceva strada dentro di lei, pronta a rispondergli con sarcasmo: era troppo lacerata dalle delusioni per fidarsi di lui. Si era voltato di scatto ed era corso via, lasciandola lì in piedi. Allontanatosi solo di pochi metri, lo aveva visto fermarsi e darle le spalle, divertito, dopo essersi assicurato di aver messo abbastanza spazio tra loro.

Fawn lo aveva guardato con curiosità, senza poter scorgere con chiarezza cosa stesse combinando. Lui si era chinato a terra e lo aveva visto armeggiare indaffarato. Passati minuti interi, era tornato: teneva le mani incollate tra loro, a formare uno scrigno che sembrava racchiudere qualcosa. Una volta raggiunta, le aveva schiuse rivelando un insieme di piccoli fiori e fili d'erba: gli steli erano stati intrecciati alla bell'e meglio per creare una sorta di cerchio, quello che doveva rappresentare un anello.

Nella stessa mano, vicino all'improvvisato gioiello floreale, era posata la pietra che gli aveva sempre visto al collo: sapeva essere un regalo della sua famiglia, un nucleo di Misteri devoti al mare. Fawn l'aveva trovato dal primo giorno un bell'oggetto, per quanto semplice: un sassolino, liscio e levigato in una forma arrotondata, di colore blu, troppo scuro per lasciar passare spiragli di luce. Non aveva l'aria di essere prezioso, ma la affascinava: immaginava cosa potesse voler dire avere un legame simile, possedere un simbolo che sapesse ricordare ogni giorno la propria appartenenza.

Lui si era inginocchiato. L'aveva guardata con quei suoi occhi ridenti e vivaci, appena attraversati dall'emozione: «Mi ritrovo a non avere molto tra le mani, sai. Ci siamo dimenticati di assumere un orafo, in questo bel gruppo. Ti prometto che usciti da qui ne troverò uno: giuro, non sono così villano».

Era scoppiato a ridere da solo, divertito dall'espressione sconcertata e confusa di lei e dalla propria incapacità a rendersi posato.

«Dylam, cosa diavolo stai facendo?»

Lui a quel punto aveva sopito la sua parte ilare. Ancora inginocchiato, l'aveva osservata con dolcezza, il volto più deciso ma ancora ingentilito da un leggero sorriso.

«Fiammella, io dicevo sul serio. Non ho modo di procurarmi un sacerdote e dimostrartelo subito, ma posso darti la mia parola. Quando tutto questo sarà finito, vorrei portarti con me. Abbiamo una vita intera davanti e, se me lo concedi, io vorrei trascorrerla insieme a te... Proprio tutta. Ti va?».

Quel piccolo sorriso gli si era allargato e aperto, vispo e luminoso.

Fawn non ricordava bene cosa gli avesse detto, probabilmente niente. Aveva annuito con la testa mentre lui aveva cercato di infilarle quel piccolo anello, che sarebbe appassito di lì a breve, al dito.

«Per ora, voglio lasciarti questa: è l'unica cosa cara che ho con me. Per ricordarti che è tutto vero e che non scomparirò, ogni volta che ti farai prendere da quelle tue terribili paure» le aveva sussurrato ancora. Si era alzato da terra e le aveva posato il ciondolo intorno al collo.

Fawn ricordava di aver lasciato cadere qualche piccola lacrima di felicità, solo dopo averlo abbracciato, in modo che lui non potesse vederla. Poi si erano guardati negli occhi con intensità. Il sibilo di un vento serale si era librato attorno a loro, colonna sonora di quell'attimo perfetto. Con incredibile delicatezza il volto di Dylam si era abbassato sul suo, le loro labbra si erano sfiorate.

*

No, questo no.

Era meglio fermare tutto, non sfidare troppo la portata della sua sopportazione alla presenza di quei ricordi.

Le parole del comandante circa la loro destinazione avevano riacceso in lei ulteriori memorie, dopo lo spiraglio suscitato dalla vista di Idalia e della sua sofferenza. Lei non aveva mai creduto al destino o al fato, alle coincidenze volute da un disegno superiore. Eppure non poté fare a meno di domandarsi cosa stesse accadendo e se ci fosse un motivo per cui ogni evento, improvvisamente, la riconduceva verso gli stessi sentieri, silenziati da tempo sotto una mole di odio. Non seppe darsi una risposta, ma si decise ad assecondare quei piccoli segnali, ignara della direzione a cui avrebbero potuto condurla.

Niente di ciò che è andato perduto può tornare. Ma forse qualcosa vuole spingermi a fare la scelta giusta. Forse lui si dibatte e mi sta chiedendo di dargli pace.

Sfiorò con una mano il ciondolo blu che ancora portava al collo da quel giorno, mentre iniziò a camminare in silenzio. Avrebbe parlato con quel Devon e avrebbe tentato di persuaderlo a fare una deviazione. Forse però, prima, sarebbe stato meglio imbonirlo, rendersi mansueta e simpatica agli occhi suoi e di quei cavalieri, per avere qualche possibilità che lui accettasse la sua richiesta. Del villaggio di Dylam sapeva solo il nome e, anche ammesso di trovarlo, sarebbe stato complicato trovare la sua famiglia. Forse avrebbe solo fatto perdere tempo al loro convoglio. Avrebbe cercato aiuto da quel tizio, quell'esperto, Yrim. Lui avrebbe potuto velocizzare quella ricerca. Forse avrebbe fatto meglio a coinvolgere anche Lyam...

Quell'idea le apparve sempre più improbabile da realizzare.

Eppure doveva provarci, doveva tentare: per una volta a modo suo, come lui avrebbe fatto, lasciando da parte il fuoco e le minacce. Sospirò, mentre si rifugiava nel suo giaciglio, nella piccola tenda condivisa con le altre donne della compagnia. Fuori da lì era ormai calata una notte cortese e piena di stelle.

È ora di riportarti a casa. Si rivolse al gioiello blu, che continuò a rigirare tra le mani: è ora di lasciarti andare.


🦌🤎⚔️🔥

Un importante pezzo del passato di Fawn é stato svelato: un piccolo tassello, il più recente, che spieghi parte della sua grande rabbia.

Scopriamo che sa provare, e ha provato, amore:)

Cosa pensate sia successo a Dylam?

Vorreste più stralci del loro passato insieme, o siete più curiosi di sapere come procederà il presente?;)

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