10. (𝕱𝖆𝖜𝖓)

«Io... Io non credo di aver mai desiderato nulla del genere in vita mia».

Fawn rimase stordita, come colpita in viso da una sberla forte e improvvisa che l'avesse lasciata incapace di pensare.

Aveva un'unica certezza: la sensazione violenta che le prese il corpo, scuotendolo e riscaldandolo, come ogni volta in cui si sentiva turbata o mossa da potenti emozioni. Una rabbia implacabile, la solita, iniziò a tenderle i muscoli, farle serrare mandibola e mani e a renderle sfocata la mente. Sapeva di essere sul punto di perdere il controllo e tentò di mantenersi lucida, a discapito della propria capacità di ascoltare o vedere ciò che le accadeva intorno. Rimase concentrata sulla sua volontà di non esplodere, mentre immagini turbinose le rimbalzavano davanti.

Vide Lyam, tutta la strada che aveva fatto sin là insieme a lui, i primi momenti che avevano condiviso, l'amicizia e il legame che aveva creduto indissolubili: erano l'unica cosa che le era rimasta. Si sentiva tradita e percepiva l'ennesimo veleno venuto a iniettarle risentimento nel cuore. Si sforzava di trovare una giustificazione, inutilmente. Una parte di lei le diceva di seguirlo, ma era una parte pietosa e sola. Combatteva contro il suo orgoglio, ben più grande e furioso, il quale le suggeriva di dare fuoco a tutti e scappare lontano da lì.

Le passò nella mente l'immagine di Proteo e del suo ghigno malvagio, insieme all'unico obiettivo che le sembrava di avere da un anno a quella parte: senza di esso si sarebbe ritrovata in balia del nulla, incapace di svegliarsi la mattina e inseguire uno scopo. Senza Lyam non aveva alcuna speranza. Avrebbe potuto unirsi a loro e fingere di essere dalla medesima parte, erano alla ricerca della stessa persona: le sarebbe bastato fare il loro gioco, usarli per arrivare a quello che le serviva, incontrare quell'uomo e finalmente compiere la sua vendetta.

Ma il compromesso, quella bestia vergognosa, le sembrò insostenibile: sopportare quegli umani e la loro viscida ubbidienza a un regno ipocrita e crudele, fare finta che il gesto di Lyam non l'avesse scossa, piegarsi ai comandi di quel cavaliere bugiardo.

Sapeva di avere gli occhi di tutti puntati addosso: sentì distrattamente il Re affermare che sarebbe stato un vero peccato non usufruire delle sue capacità. Lo sentì riferirsi al suo potere come a una grande risorsa, ben più potente di quella del suo compagno, pericolosa ma utile.

Udì Devon mostrare una certa reticenza, aggrappandosi al fatto che lei era una donna e che in quanto tale non era in grado di addestrarla, e i consiglieri rispondergli che in fondo no, non serviva che lei venisse addestrata alla pari di un cavaliere, bastava portarla con sé e trovarle un ruolo consono, usarne il potere qualora necessario, limitarsi a insegnarle quando attaccare e come difendersi...

Ascoltò tutto ciò come ovattato e lontano, mentre le immagini continuarono a scuoterla e farle perdere il senso della realtà. Lottò contro la fiamma che scalpitava per uscire.

«Io... Io non...» incespicò nel tentativo di dare una risposta, le era parso che le fosse stata rivolta una domanda.

«Ti prego, vai con lui».

Un suono improvviso squarciò la sua nebbia interiore. Alzò la testa e la rivolse verso Idalia: la vide fissarla implorante, con un accenno di umidità negli occhi. Si sforzava di ignorare il contesto intorno a sé e non scoppiare a piangere.

«Ti prego, da solo non ce la può fare. Non sopravvivrà».

La supplicava.

Fawn non riuscì a non trovare una crudele ironia in quell'immagine: avrebbe dovuto comprendere bene lo stato d'animo di Idalia ed empatizzare con lei. Avrebbe dovuto essere presa dalla volontà ferrea di non farle provare qualcosa che conosceva bene; farsi prendere dal desiderio di dare una speranza in più a quella che un tempo era stata una sua compagna, forse un'amica, e che ora la pregava di concederle un sollievo.

A Fawn non importava che Idalia non fosse rimasta per consolarla, starle vicino o aiutarla a superare il lutto: non sarebbe servito a niente.

Trovò semmai incredibile il rendersi conto di non ricordare più nulla del proprio dolore. Aveva dato talmente spazio all'odio da non avere memoria emotiva della pena e della sofferenza: non riusciva a capire Idalia, non la riusciva ad accogliere dentro di sé. Per quanto a lungo aveva anestetizzato le lacrime con la violenza del fuoco?

Per la prima volta in un anno la risata crudele di Proteo scomparve. Fece posto a un altro viso, a due occhi chiari e mutevoli come il mare in tempesta, e a un sorriso, divertito e sfrontato, che la guardava pieno di gioia. Una voce familiare e vivace le ripiombò nella memoria: «Ehi, fiammella, hai davvero una brutta cera stamattina. Pensi di spaventare i nostri nemici col tuo muso lungo?»

Rise piano.

Si ricompose mentre una debole luce si fece strada tra le tenebre della sua disfatta personale: si rese conto di dove si trovava, le figure dinanzi a lei riapparvero nitide, i muscoli si rilassarono, il calore che l'aveva agguantata si assopì.

Si guardò intorno: vide i volti del Re e dei suoi due consiglieri scrutarla confusi. Dovevano chiedersi se fosse impazzita del tutto, le avevano parlato? Non avrebbe saputo dire cosa le avessero chiesto. Lyam era ancora di fronte a lei, si era rialzato in piedi ma non si era girato. Idalia la continuava a guardare con la stessa pena negli occhi, sul punto di scoppiare in un pianto: provò una piccola nota di compassione.

Per ultimo notò il comandante alla sua sinistra, il più in difficoltà tra loro: il tormento che lo animava gli faceva serrare i pugni lungo i fianchi, tanto forte da far apparire le mani livide. La sua mente lo guardò disperarsi internamente all'idea di averla appresso, come una spina nel fianco.

Fu tale pensiero a farla voltare verso il Re. Si sentì animata dalla sfida e dal sincero divertimento di dare a quell'uomo un fastidio:

«Ma sì. Sapete che vi dico, vostra illustre Maestà? Accetto di seguire il mio compagno in quest'impresa... Cosa avete detto che devo fare?»

*

Venne dato avvio alla loro preparazione: il Re ipotizzò di concedere loro due settimane, per essere sicuri che non dessero problemi di alcun tipo e che fossero quanto più possibile pronti. Non fu data alcuna fiducia alle capacità che potevano aver sviluppato durante il periodo come ribelli, il comandante in primis si disse certo che le loro competenze non avessero alcun valore. Insistette per abbassare la soglia di tempo a una settimana soltanto, premendo sul ritardo che quel cambio di programma aveva fatto accumulare e sul fatto che i traditori, nel frattempo, potessero guadagnare terreno e protezione.

Fawn sapeva che le rimostranze erano solo modi per far sì che il Re, fino all'ultimo istante, cambiasse idea su di loro e su quella assurda proposta: ogni cosa in Devon, dal suo tono di voce all'atteggiamento che assunse da lì in poi nei loro confronti, trasudava collera e negazione.

Quel truffatore si è incartato con le sue stesse mani.

Le sue bugie circa loro due lo avevano portato lì, in una situazione paradossale da cui non sapeva più sbrigliarsi. La cosa la solleticava non poco. Le lasciò il giusto senso di rivalsa e soddisfazione che le permise, giorno dopo giorno, durante l'addestramento sfiancante cui quel tale li costrinse, di non lasciarsi abbattere.

Lei non si dimostrò così debole o disabituata alla lotta come avevano supposto: non potevano sapere che aveva trascorso una vita intera tra spade e cavalli, in compagnia di sole presenze maschili e del tutto ignara delle usanze di una normale fanciulla. Osservata dai cavalieri più anziani, scelti dal Re per presiedere alle loro sedute, ottenne presto il loro assenso a ritenerla idonea.

Le venne chiesto anche di dare sfoggio dei suoi poteri e dovette ingoiare un boccone amaro. Si sentì come un fenomeno da baraccone, posto in piazza per il pubblico ludibrio, ma acconsentì. Sotto il loro cipiglio meravigliato appiccò incendi a obiettivi specifici, fece divampare sia piccole che grandi fiamme, creò cerchi di fuoco su comando. Ormai era entrata in quella spirale e si decise ad arrivarvi in fondo: aveva soppesato dentro di sé la possibilità concreta di usare quella compagnia per arrivare ai Disertori e al loro capo, e ottenere infine la propria rivincita.

Non rivolse più parola a Lyam dal giorno nella Sala del Consiglio.

Nonostante la sua scelta di aderire alla richiesta di Idalia, non riuscì a scrollarsi di dosso il risentimento verso di lui. Le aveva mentito, in qualche modo, nel non renderla partecipe delle sue intenzioni. Le sembrava che, nel prendere quella scelta in modo autonomo, avesse tradito la loro alleanza e il tacito accordo di rimanere insieme: più di tutto, la feriva sapere con quanta facilità l'avrebbe lasciata sola. Dentro a quella presa di posizione trovava la consapevolezza di essere al contempo egoista e infantile. Lo odiava ancora di più per il fatto di farle provare vergogna di sé.

Lui non cercò di avvicinarsi a lei, nonostante di tanto in tanto lo avesse colto a guardarla: ogni volta, Lyam aveva distolto lo sguardo ed era fuggito.

Immaginò che lui avesse trovato modo di vedersi con Idalia e parlarci: li aveva notati da lontano, durante le sue sessioni di allenamento. Rimanevano sempre a una distanza di sicurezza, che non lasciasse intendere nulla alle guardie che scortavano la principessa. Lei raggiungeva quasi ogni giorno il campo di addestramento, mentre lui sedeva sugli spalti ad attendere il proprio turno, e Fawn sapeva che in quelle brevi ore dovevano scambiarsi messaggi mentali. Dal canto suo, preferì non colloquiare più nemmeno con lei.

Idalia ci provò più volte. Le rivolse prima parole di ringraziamento poi, capita l'aria che tirava tra loro, tentò di sedare gli animi al posto di lui:

«Fawn, lui ti vuole bene come a una sorella. Non te l'ha detto prima perché in fondo ha paura di te, sai come è fatto: avresti potuto dissuaderlo e fargli perdere coraggio. Il pensiero di non essere solo e averti al suo fianco lo fa stare meglio. Non avrebbe mai potuto chiedertelo personalmente, sa quanto ti costi».

«E quindi ha mandato te, l'amore fuggito dalle responsabilità, a convincermi di una cosa che non aveva fegato di dirmi? Dove sei stata fino a oggi, ricordamelo?»

Era cattiva e si comportava da tale, ma non le importava. Solo così riuscì a sedare le insistenze di Idalia: non sarebbero bastati né lei né le sue parole a dissipare quella lite tra loro, mai avvenuta a voce alta ma più profonda di qualsiasi screzio avessero mai vissuto. Non era ancora pronta per darci peso o farsi delle domande, e non voleva che nessun altro interferisse. Lyam era stato uno dei pochi, fino a quel giorno, a non meritare la sua rabbia: preferiva lasciarlo nel silenzio e nell'indifferenza, piuttosto che rivolgergliela.

Lo osservò durante la settimana: era lui il vero problema di quell'idea avventata, e Idalia lo sapeva bene. Era per quello che l'aveva pregata di proteggerlo, in quella sua egoistica richiesta.

Lyam non aveva mai avuto un passato da guerriero, se non per le poche occasioni riscontrate nel periodo di ribellione, e neanche la tempra necessaria per sopportarne la prostrazione e la violenza. Fawn vide quanto penasse, quanto la sua energia venisse logorata ogni giorno nello sforzo di stare al passo del comandante e dei suoi cavalieri. Lo lasciavano ogni giorno senza forze, colmo di lividi e stremato. Solo i pochi momenti in cui riusciva a usare le proprie capacità gli rendevano giustizia: schivare i colpi o scappare dagli attacchi fu ciò che lo salvò dall'essere ritenuto incapace di partire. Era chiaro a tutti quanto nel momento di sopportare un assalto diretto, o di sferrarne uno, fosse debole e limitato.

Quel Devon non ci andò piano con lui, e diede molta più enfasi alle sessioni di quanto non avesse potuto fare con lei: sapeva che lo faceva apposta. Certo, fuori da lì i nemici non si sarebbero né frenati né sottratti, eppure anche quell'atteggiamento le fece provare antipatia sincera verso quell'uomo.

Neppure i cavalieri al suo comando presero bene la notizia: serpeggiava tra loro un esplicito malcontento, rivelato attraverso gli sguardi che gettavano sia a lei che a Lyam, i sussurri carichi di ostilità che si scambiavano e la noncuranza con cui cercavano di ferirli durante i combattimenti. Nessuno, tranne il Re, pareva essere contento di quell'imminente condizione, eppure non riuscirono a scalfire in nessun modo la forza di volontà di Lyam. La sua testardaggine e la sua incrollabile dedizione gli valsero il permesso di partire con loro.

Il sovrano, due giorni prima della fine della preparazione, annunciò loro che un altro elemento si sarebbe aggiunto alla loro compagnia: vennero presentati a un tale di nome Yrim, un uomo alto e magro, di età indefinita e dall'aspetto diafano. I lunghissimi capelli biondi raccolti in una coda sulla nuca, insieme al candore che ne permeava la figura, restituivano l'impressione di un corpo sul punto di spezzarsi.

Nel vederlo, Fawn si domandò se il sovrano non fosse affetto da qualche rara patologia che gli impedisse di discernere con saggezza, alla luce delle ultime scelte che stava compiendo.

Venne detto loro dai consiglieri, inviati a presentarglielo al posto del Re, che si trattava di un noto e abile mago addestrato: era la prima volta che veniva a conoscenza di una figura del genere. Come Idalia le spiegò più tardi, un mago addestrato non era un vero detentore di poteri: si trattava perlopiù di uno studioso che si era istruito per tutta la vita nell'evocazione di alcune semplici e comuni magie, attuate grazie all'uso di amuleti, pietre e rune, oltre che dell'elaborazione di intricati disegni e calcoli, ma mai per spontanea emanazione. Più di tutto, era un profondo conoscitore della storia dei Misteri e della loro esistenza: suo padre aveva scelto di mandarlo con loro per saggiarne le caratteristiche e farsi un'idea della loro natura.

«Vive con noi da qualche anno, mio padre lo ha cercato a lungo: Yrim non è di questo regno, viene da terre che si trovano al di là del Grande Mare, a ovest. Lui è stato assunto a causa mia. Ha già annotato e osservato ogni cosa che mi riguardi, ma è assolutamente innocuo, non preoccupatevi», spiegò loro una sera.

Camminava poco dietro a lei e Lyam che tornavano da un addestramento, scortata come suo solito. Inviò messaggi a entrambi, contemporaneamente, mentre i due ancora non si rivolgevano parola.

«Tranquilla, è un piacere sapere di avere anche l'alchimista personale che mi studierà come una cavia» le rispose Fawn.

Lyam non disse nulla al riguardo e lei affrettò l'andamento per andare a chiudersi nella camera che le era stata affidata, finalmente separata rispetto a lui. Li lasciò lì ed ebbe la buona creanza di non intromettersi nel loro saluto finale, per quanto distaccato e doloroso potesse essere.




🦌🤎⚔️🔥

Ebbene sì, ha scelto di seguire Lyam.
Quanto durerà il silenzio tra loro?

Chi dei due pensate abbia ragione?

Ma soprattutto: perché il comandante, secondo voi, é cosi scocciato?;)

Di chi vorreste avere un pov a breve?

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