~•𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 1: 𝕀𝕟𝕘𝕚𝕦𝕤𝕥𝕚𝕫𝕚𝕒•~

Leona stava passeggiando con tranquillità lungo l'immenso giardino del palazzo. Essa era un'attività che compieva spesso in quel periodo, anche perché riusciva sempre a rasserenare il suo animo tormentato.

Era una giornata pressoché gradevole: non era soleggiata, ma il cielo non possedeva una grande quantità di nubi. Era curioso che il tempo di quel dì rispecchiasse perfettamente le emozioni che provava il principe in quel momento, anche se oramai le provava ogni singolo giorno, ora, minuto e secondo.

Al dire il vero, non era corretto definirlo "principe". Era vero, egli era di sangue Kingscholar, ma nonostante fosse figlio del re e della regina aveva perso tutti i privilegi che possedeva un tempo - anche se non li aveva mai avuti realmente ma solo una minuscola parte. Nel loro regno vi era una legge che solamente il figlio primogenito poteva diventare il nuovo sovrano e possedere tutti i poteri, mentre i suoi fratelli e sorelle avrebbero continuato a vivere nel palazzo, restando servizievoli al loro monarca finché non avrebbero trovato moglie o marito.

Leona non possedeva nessun altro fratello al di fuori di Falena, perciò lui era l'unico che avrebbe patito questa piaga. Il castano definiva questa regola così, poiché non poteva fare nulla per cambiare ciò che il destino aveva voluto per lui. Se avesse potuto, sicuramente non sarebbe nato dopo suo fratello poiché egli aveva sempre bramato di raggiungere il trono, ma non avrebbe mai potuto realizzare questo suo sogno a causa di questa ingrata legge. La vita a volte è ingiusta, non è vero?

In certi momenti ripensa ancora al giorno dell'incoronazione di Falena. Ricorda ancora che dopo averlo visto piangere dalla gioia era fuggito velocemente presso camera sua, per poi affondare il viso sul cuscino del suo letto. Si ricordava ancora i suoi urli, le sue lacrime e soprattutto quel suo sentimento d'odio verso al nuovo sovrano e alla sua intera famiglia.

"Cosa ha Falena più di me?" continuava a pensare tra sé e sé mentre lanciava con forza i piccoli sassolini presenti nel cortile. In effetti possedevano parecchie differenze, a partire dall'età: avevano quattro anni di differenza - Leona venti e il maggiore ventiquattro. Falena era un ragazzo alto e con un fisico piuttosto definito. Possedeva dei lunghi capelli rossi come il tramonto, avente anche delle piccole trecce che partivano dalla tempia e giungevano al retro del capo, con il fine di reggere una parte della sua folta chioma. Teneva in oltre un paio di capelli legati davanti, i quali arrivavano fino al petto. I suoi occhi erano del medesimo colore della sua criniera, i quali sembravano aprirsi al prossimo con generosità, e sul suo mento vi era un accenno di barba non troppo evidente. Il fratello minore, invece, possedeva dei capelli castano scuro poco più lunghi di quelli del re. Aveva anche lui un paio di code ricadenti verso il petto, ma le sue erano delle trecce. I suoi occhi erano di un verde brillante che sembravano esprimere arroganza e freddezza, mentre sull'occhio sinistro possedeva una cicatrice ben evidente, che si era fatto da piccolo giocando con la spada del defunto padre. Il suo fisico era più minuto rispetto a quello del fratello, e la sua carnagione era più olivastra.

Oltre a ciò, Falena era molto più forte a livello fisico dato i continui allenamenti che praticava già dall'età infantile, mentre Leona era molto più intelligente siccome aveva sempre preferito tenere la testa sui libri. A detta della madre, se non fosse stato per la sua pigrizia sarebbe sicuramente divenuto un intellettuale. Avrebbe potuto diventarlo, ma non accettava il fatto di dover lavorare al servizio dell'aristocrazia, poiché aristocrazia voleva dire Falena, e lui non lo avrebbe mai sopportato. Piuttosto di inchinarsi davanti al suo cospetto si sarebbe gettato dalla torre più alta del suo castello.

Mentre riposava sdraiato sotto ad uno dei tanti alberi presenti, la sua sosta era stata interrotta dal richiamo da parte di una giovane dama di compagnia. «Signorino, si svegli per favore. Sua madre la sta aspettando presso la sala del trono. Dice che è piuttosto urgente, perciò eviterei di farla attendere ancora per molto se fossi in lei».

Leona, sbuffando, si era alzato amareggiato e, accompagnato dalla fanciulla, era giunto all'interno del palazzo. Non voleva per niente parlare assieme a quella donna, ma in ogni caso non voleva mettere alla prova la sua pazienza. Sapeva essere piuttosto temibile in momenti come quelli e aveva già assaggiato più di una volta la sua ira a dir poco funesta.

All'entrata della sala tanto bramata quanto disprezzata, il castano non poteva non stringere i pugni alla sola idea di vedere la nobile. Prima di lasciarlo passare, la giovane aveva augurato buona fortuna al ragazzo, siccome aveva intuito che la madre aveva l'intenzione di rimproverarlo. Il secondogenito dei Kingscholar aveva attraversato quel grande portone color porpora, e come se aprisse la prima pagina di un libro incantato si era ritrovato dentro ad un altro mondo.

Infatti, lo stanzone era piuttosto singolare rispetto alle altre camere presenti in palazzo: costruito con il marmo, era adornato con diversi motivi a forma di leone, poiché esso era l'animale simbolo nella loro casata. Essi erano fabbricati con l'oro ed erano così poco rovinati che sembravano essere stati saldati pochi momenti prima. Sul pavimento, costruito con lo stesso materiale delle pareti, era presente un lungo tappeto rosso che conduceva chiunque entrasse direttamente al cospetto di colui che vi sedeva il trono, o meglio, i troni.

C'erano per l'appunto due seggi, dorati anch'essi, i quali erano destinati a Falena e a sua moglie. Samina, prima di sposarlo, era la comandante del suo esercito e si era sempre comportata con gentilezza ed umiltà con il prossimo, anche con chi era di una classe sociale inferiore alla sua. Come regnante non aveva nulla da invidiare e lo stesso Leona la stimava molto, delle volte domandandosi come una donna del suo calibro poteva aver sposato un buon annulla come il fratello. Tra i due troni, vi era presente anche uno molto più piccolo per il principe Cheka, il loro figlio di soli cinque anni. Assomigliava molto al padre e tutti nel palazzo lo consideravano una piccola peste; spesso si recava nella stanza del castano per poter giocare assieme a lui e quest'ultimo, controvoglia, doveva sopportare quasi quotidianamente la voce squillante del nipotino che gli dirompeva nei timpani.

Affianco, c'erano inoltre anche altri cinque sogli decorati decisamente meno rispetto a quelli dei regnanti, ed erano destinati ai consiglieri e alla regina. Proprio in quell'istante, la madre stava aspettando con impazienza il figlio rimanendo seduta al suo posto, ossia quello più vicino al trono di Falena. Il castano, alla vista dello sguardo alterato della donna, non aveva potuto far meno che deglutire, intimorito da lei e alla reazione che avrebbe potuto avere se solo lo avesse notato. La signora, alzandosi con decisione, si era avvicinata con passo felino al proprio figliolo, il quale non aveva il coraggio di guardarla dritta negli occhi e perciò teneva la testa sempre fissa sul pavimento.

La donna, non appena si era presentata in tutta la sua regalità davanti ad egli, aveva incominciato a parlare con tono severo. «Leona, ti sei permesso ancora una volta di rispondere male a tuo fratello! Che cosa devo fare con te?! Possibile che tu non riesca mai ad andare d'accordo con lui?! Non è possibile che tu, all'età di vent'anni, pensi ancora di poter insultare il povero Falena come se avessi cinque anni! Quel povero disgraziato sta facendo di tutto per tenere su il nostro regno, e tu come lo ringrazi?! Mandandolo a quel paese?! Sei veramente un pessimo fratello, ecco cosa sei! Dio, che cosa ho sbagliato con te?!»

L'interpellato, mentre ascoltava ogni rimprovero colmo di delusione da parte della madre, non osava rispondere. Sapeva che sarebbe stato sgridato se avesse detto la verità - ossia che lo aveva mancato di rispetto poiché sperava da quando era piccolo di potersi sedere lui su quell'ambito trono - e lui era abbastanza sveglio da non voleva rischiare di subire la madre in tutta la sua severità. Tra le miliardi di persone presenti nel mondo, ella era sicuramente colei che più temeva. Non era un genitore crudele, anzi, doveva ammettere che con Leona è sempre stata troppo buona, ma fino a quando erano piccoli avevano sempre saputo che non era il caso di farla arrabbiare poiché era una donna molto temibile quanto potente. Perfino suo marito non aveva mai osato contraddirla, nonostante fosse il re, poiché sapeva che quando lei si arrabbiava avveniva il finimondo.

Notando il silenzio e lo sguardo tornito del proprio secondogenito, la donna si era subito addolcita a guardarlo. Per quanto potesse essere autoritaria, non riusciva a tollerare la vista del proprio bambino triste. Lei lo conosceva più bene delle sue tasche, perciò era riuscita a capire anche la motivazione del perché stesse così tanto male in quel momento. Schiarendosi la voce, aveva parlato con tono più dolce al figliolo. «Leona, figlio mio, comprendo che tu possa essere invidioso di lui, ma è comunque tuo fratello maggiore! Saranno anni che continui a disprezzarlo, ed ogni volta che gli manchi di rispetto ci soffre assai. Il mio povero cuore non reggerà ancora per molto se vi vedrò ancora litigare... siete entrambi i miei due unici figli! Dopo la morte di vostro padre siete tutto ciò che mi rimanete di più caro, e vi assicuro che neanche tutte le ricchezze di palazzo riuscirebbero a compensare voi e la vostra felicità. Vi amo, vi amo più di quanto possa amare il mio regno intero».

Leona doveva ammetterlo: provava molta pena dei confronti di colei che lo aveva messo al mondo. L'aveva sempre vista come una donna forte e indipendente, e vederla quasi sul punto di mettersi a piangere gli provocava una fitta al cuore indescrivibile, come se fosse appena stato perforato da una lancia avvelenata. Ma nonostante ciò, non avrebbe mai cambiato idea nei confronti di Falena, mai. Era vero, egli non aveva colpa per essere diventato re poiché, volente o nolente, doveva sottostare a quella legge stata conformata dalla loro classe sociale, ma più volte lo vedeva indossare la corona sul capo, più il suo odio nei suoi confronti e nella sua stirpe aumentava. E oramai quel sentimento cresceva di lui sempre di più, sempre di più e sempre di più, finché un giorno, chissà quando e chissà in che modo, egli sarebbe impazzito. Quel giorno primo o poi sarebbe giunto e in quel dì il castano avrebbe odiato il fratello così tanto che avrebbe perso la ragione. Solo Iddio poteva sapere come avrebbe reagito il ragazzo alla vista del nuovo sovrano, e di sicuro non bene. Tutt'altro.

Leona era pronto ad impazzire in tal modo da potergli fare pure del male, a tal punto da poterlo ammazzare con le sue stesse mani.

«Figlio mio, creatura mia», aveva interrotto i suoi contorti pensieri la madre, «fammi questo favore, ti supplico. Recati presso la stanza di tuo fratello maggiore e chiedigli scusa per tutto ciò che gli hai fatto e detto. Vedrai, lo farai stare meglio. Ti scongiuro Leona, fallo almeno per me, per la tua povera mamma che deve vedere ogni volta i suoi bambini litigare. Fallo se vuoi almeno un po' di bene alla donna che ti ha partorito».
La nobile, mentre consigliava al figlio, continuava ad accarezzargli il volto, cercando nei suoi occhi una traccia di un'emozione che fosse diversa dalla rabbia o dalla tristezza.

Egli non aveva alcuna intenzione di chiedere scusa al suo sovrano, anzi, voleva fosse quest'ultimo a scusarsi con lui per essere venuto al mondo per primo. In quel momento, il castano sarebbe stato felice solamente se suo fratello non fosse mai esistito, ma ciò era impossibile. Non avrebbe mai ammesso la verità davanti alla donna perché essa l'avrebbe distrutta, e l'ultima cosa che desiderava in quell'istante era ferirla in qualsiasi modo. Non meritava di soffrire così, e il castano si sentiva un idiota ad averle provocato un dolore simile. Si sentiva un fallimento come figlio, ma mai si sarebbe sentito un fallimento come fratello. Quello sbagliato era Falena, non lui.

La madre lo guardava con aria disperata e sperava ancora di vedere nel suo sguardo una traccia di felicità, ma invano, essi erano più torbidi di una nube prima di un'immensa tempesta. I suoi occhi si colmavano di lacrime al solo pensiero dei suoi due bambini, ormai divenuti uomini, che non riuscivano ad andare d'accordo tra di loro, e per quanto Leona potesse arrabbiarsi, non riusciva a sopportare l'immagine della regina in lacrime. Perciò egli, a malincuore, aveva finalmente deciso di parlare. «Va bene, madre. Andrò immediatamente a chiedere scusa a mio fratello. Ti chiedo perdono per averti fatto preoccupare, non accadrà più. Te lo giuro.»

La donna era rimasta soddisfatta di sentire quella risposta da parte sua e, alzandosi di punta di piedi, aveva lasciato un bacio sulla guancia del suo amato figlio come gesto di puro affetto. Egli era diventato oramai un adulto, ma negli occhi della regina riviveva continuamente l'immagine del suo figlioletto neonato e i suoi ricordi di quando lo allattava al seno e lo vedeva gattonare lungo il pavimento, e sarebbe stato così fino alla fine dei suoi giorni.
Dopo aver ricevuto il permesso dalla signora per lasciare la sala del trono, egli si era incamminato a malincuore verso la stanza del monarca. Mentre passeggiava lungo il corridoio, ogni tanto spostava lo sguardo verso i quadri appesi sulle pareti: essi erano tendenti ad una tonalità calda e sopra ai dipinti erano impresse le immagini di coloro che erano stati gli antenati del castano divenuti re nel passato. Quelli come Leona, ossia coloro che non avevano avuto il privilegio di poter diventare monarca, sicuramente saranno stati dimenticati, visto che non rappresentavano nessuna forma di orgoglio per la famiglia Kingscholar. Ed egli, proprio come loro, sentiva che prima o poi sarebbe giunto nel dimenticatoio, scordato da tutti o riconosciuto come un principe mediocre. Ogni volta che incrociata con lo sguardo i quadri dei suoi antenati sentiva dentro di sé crescere una grande fitta del petto, come se i loro volti autoritari potessero urlargli dritto nei timpani "sei un fallimento, sei un fallimento", e proprio per questa ragione Leona, quando passava lungo la via, teneva la testa bassa fissa sul pavimento marmoreo.

Una volta giunto davanti all'ingresso della camera da letto del fratello, il giovane aveva perso perfino la voglia di entrarci dentro. Dopotutto, perché avrebbe dovuto farlo? Se solo non fosse stato per sua madre, a quest'ora si sarebbe già recato a dormire sul suo morbido e comodissimo letto, mentre ora si trovava lì come un cretino davanti la camera della persona che detestava più di tutti. Era davvero intenzionato ad andarsene, tuttavia, proprio quando stava per fare dietrofront, si era ricordato della promessa che aveva fatto alla nobile madre e sicuramente l'avrebbe pagata caramente se ella avesse scoperto che le aveva mentito. Leona era tutto fuorché stupido, bisognava ammetterlo dopotutto.

Armato di autocontrollo, egli, dopo aver tirato un profondo sospiro, aveva bussato alla sua porta e, pochi secondi dopo, si era ritrovato il suo odiato fratello Falena davanti agli occhi, il quale, non aspettandosi la visita dell'altro, aveva sgranato gli occhi sorpreso come non mai.

«Leona, fratellino mio! Però, che sorpresa vederti qui davanti alla mia stanza, credevo non avresti mai più voluto vedermi... Ehi, non stare lì impalato! Entra e vieni a sederti, dai!»

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