Capitolo 8

TAEHYUNG'S POV:

Mi pulii le mani e guardai il mostro che avevo costruito per Gremlin al centro del mio appartamento. Si trattava in sostanza di una torre fatta di scatoloni di cartone che avevo aperto, per permetterle di zampettare da una stanza all’altra. Avevo usato i pezzi avanzati per costruire delle rampe che le avrebbero permesso di salire al piano di sopra, se avesse voluto. Poi avevo fissato la struttura col nastro adesivo. Era una meraviglia di ingegneria, ma la stronzetta si rifiutava di entrarci.

«Provala», dissi.

Seduta sul divano con il fiocco rosa che le aveva messo l’acconciatrice per cani, mi guardava come fossi un cretino.

Mi misi carponi e infilai la testa in una delle aperture. «Vedi? Entri qua dentro e poi puoi arrivare fino al piano di sopra. È una figata. Fidati».

Gremlin posò la testa tra le zampe, continuò a guardarmi, ma non si mosse.

Sospirai. «Va bene. Più tardi vado a comprare un gatto. Almeno capirai che potevi essere un po’ più collaborativa, eh?».

Come al solito, non reagì, così andai a prendere il telefonino per controllare eventuali messaggi. Mi venne in mente che non avevo ancora dato a Jungkook neppure il mio numero di cellulare, ma la cosa mi piaceva. La nostra sembrava una storia d’amore vecchio stile. Se volevo parlargli, dovevo fisicamente andare a trovarlo al locale, ed era bello avere una scusa sempre diversa per farlo. L’unico messaggio era di Kim Jennie. Repressi un gemito di stizza.

Jennie (18:24): Dobbiamo parlare. Ho scoperto alcune cose sul tuo ragazzetto, che forse ti piacerebbe sapere. Le ho già riferite ai tuoi genitori. Fidati, non è chi pensi tu.

Posai il cellulare, scuotendo la testa. Era davvero patetica. All’inizio Jennie mi era sembrata una tipa a posto, ma ben presto mi ero accorto che possedeva una vena di follia. Si ricordava i minimi dettagli di una conversazione, e sapeva cose su di me che io non le avevo mai detto – probabilmente mi seguiva sui social in modo ossessivo, o memorizzava articoli scritti sul mio conto. Sembrava più una mia fan che la mia ragazza, e di sicuro per me era l’ultima donna che avrei visto al mio fianco come “ragazza”. Una volta chiusa la storia con lei, avevo deciso di non volere più alcun impegno, alcun coinvolgimento sentimentale. Non avevo mai avuto un ripensamento. Finché non avevo incontrato il mio pasticcere.

Jungkook si presentò a casa mia in perfetto orario. Aveva l’aria incazzata, ma su di lui anche quell’espressione risultava gradevole. A dirla tutta, penso che qualunque cosa su di lui apparisse bella. Un’aria incazzata, un’espressione felice, io…

«Oh, bene», dissi. «Ti sei fatto la doccia».

Indietreggiò appena. «E con questo cosa vorresti sottintendere?»

«Ti porto a una festa, sarai il mio accompagnatore».

«Uh, l’ultima volta mi ricordo di averti detto di attenerci a un rapporto professionale».

«E così faremo. Mi accompagnerai, per lavoro. L’accompagnatore più affascinante che ci sia. E ci proverò con te solo se mi farai gli occhi dolci».

Il suo viso si distese leggermente, e riuscì anche ad abbozzare un sorriso. «Essere così cocciuto e insistente funziona sempre?»

«Dipende. Il tuo è un sì?».

Sospirò. «Sì. Oggi è stata una giornata tremenda, e andare a una festa potrebbe distrarmi. A parte il fatto che non sono vestito in modo adeguato».

Sentendo la voce di Jungkook, Gremlin drizzò la testa. Era sul divano, raggomitolata su una copertina. Non lo avrei mai ammesso, ma ormai le ero affezionato. La sera prima mentre vedevamo una replica della sit-com Seinfeld, le avevo accarezzato la pancia per tutto il tempo.

«Ci penso io».

Incrociò le braccia e mi fissò, con una certa diffidenza. Mi parve che stesse per dire qualcosa, invece si inumidì le labbra e scosse la testa. «Devo preoccuparmi?»

«Solo se hai paura di apparire una bomba sexy». Lo lasciai accanto all’ascensore e andai a prendere una scatola. Poco più di un’ora prima avevo dato istruzioni precise alla mia assistente personale perché scegliesse l’abito più provocante e più costoso in circolazione, e adesso non vedevo l’ora di vedere che faccia avrebbe fatto Jungkook.

Aprii la scatola e tirai fuori l’abito, sollevandolo dalle spalle. Era uno smoking di morbida seta trasparente, color crema, con innumerevoli minuscoli diamanti lungo i bottoni e il colletto, a sottolineare i disegni trasversali. Mi sforzai di non ridere mentre Jungkook lo contemplava con occhi sgranati e un po’ terrorizzati.

«Non vorrei sembrarti ingrato o altro, ma…».

«È uno scherzo», scoppiai a ridere. «Voglio dire, di sicuro prima o poi potresti anche indossare quest’abito per me, ma affronteremo la questione più avanti. Il vero abito per stasera è da questa parte».

«Per l’amor di Dio, e questo cosa sarebbe?», chiese appena vide l’opera ingegneristica che avevo costruito per Gremlin.

«La torre che ho fatto con tanto amore per la mia cagnetta così ingrata».

«I cani non usano le torri… forse pensavi a quelle su cui si arrampicano i gatti».

«E se uno costruisse una torre per una cagnetta solo per farla divertire un po’?»

«Già», rise Jungkook. «Dev’essere come dici tu».

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Porsi la mano a Jungkook e l’aiutai a scendere dalla limousine, ma lì finirono i miei modi da gentleman. Mentre scendeva dall’auto, rimasi incantato dal suo sedere avvolto dalla morbida seta dei pantaloni in pelle nera e dalle sue gambe snelle e atletiche. Mi venne accanto e ci incamminammo.

«Dimmi che è uno scherzo», boccheggiò.

«Soffri il mal di mare?»

«No… è che pensavo che le feste in barca esistessero solo nei film».

Sorrisi. «I ricchi sprecano tanto tempo e denaro a pensare a tutte le stronzate che possono inventarsi, soprattutto se questo li rende speciali agli occhi del mondo».

«Lo dici come se non fossi anche tu uno di quei “ricchi”».

Scrollai le spalle. Feci scivolare una mano sul suo fianco e lo condussi gentilmente verso il molo. Già altre coppie, vestite in abiti eleganti, procedevano alla spicciolata verso lo yacht più grande del porto. «Non sono sempre stato ricco. Per questo appartengo a un’altra categoria di uomini ricchi».

«Ti riferisci alla differenza tra chi è ricco di famiglia e chi è diventato ricco col tempo?»

«Esatto. Io mi sono dovuto sporcare le mani col vile lavoro per avere successo e costruirmi una fortuna, quindi non appartengo a un’immaginaria stirpe nobile».

«Non prenderla come un’offesa, ma non ti ci vedo proprio a lavorare sodo».

Scoppiai a ridere. «Nessuna offesa. Che tu ci creda oppure no, per arrivare al successo, mi sono spaccato il culo tanto quanto mio fratello. Ultimamente, però, mi sento un po’ un leone in gabbia. Non provo più il brivido, l’eccitazione della caccia. Namjoon è diverso. A lui non importa né la caccia né l’eccitazione. Vuole avere tutto sotto controllo. Curare ogni dettaglio. Per essere sicuro del risultato finale».

«Anche Seokjin è così?»

«Ah, no, affatto. E Namjoon aveva bisogno proprio di un uomo del genere. Attira i guai come una calamita, è un casinista. Però, grazie a lui, adesso Namjoon si sopporta di più, quindi lui ha tutta la mia approvazione».

«E quello sarebbe un tratto tipico dei fratelli Kim? Cercare uomini che sono il loro opposto?»

«Mmm… Non so se io e te siamo due poli opposti. Dovrei farti qualche domanda».

Sorrise malizioso. «Farmi qualche domanda?».


Avevamo raggiunto la lunga passerella che conduceva allo yacht e Jungkook mi si avvicinò mentre camminavamo sull’acqua diretti in barca.

«Vediamo», dissi, picchiettandomi il mento con un dito. «Pensi che qualcuno creda davvero che i cotton fioc vengano acquistati anche per altri scopi oltre che per pulirsi le orecchie?»

«Cosa?»

«Quando ti capita, prova a guardarne una confezione. C’è scritto specificatamente di non pulirsi le orecchie coi cotton fioc. Bisognerebbe usarli per pulire la tastiera del computer, per struccarsi, per massaggiare il viso ai neonati – ancora non ho capito bene come si dovrebbero massaggiare».

«Allora devo essere proprio un rivoluzionario. Io mi ci pulisco le orecchie. E mi piace».

Mi guardò con un lampo ribelle nello sguardo, e mi sembrò la cosa più sensuale che avessi mai visto. Mi schiarii la gola, scacciai quell’immagine dalla testa, mentre salutavo con un cenno del capo l’uomo della security che ci fece segno di entrare.

L’interno dello yacht sembrava una nave da crociera di gran lusso. Le pareti erano di legno lucido, i pavimenti di marmo. Uomini in smoking e donne in abiti eleganti passeggiavano tenendo in mano cose da mangiare e da bere. C’erano centinaia di ospiti nell’atrio. Due ampie scale a spirale conducevano ai ponti superiori, dove si trovava un labirinto di camere, saloni, bar, una sala da bowling, una piscina coperta, e naturalmente la piscina scoperta sul ponte più alto.

«Wow», disse. «È tuo?»

«Nah. Anch’io ho comprato delle cose stupide, ma mai uno yacht. Il proprietario è un magnate del settore immobiliare. Possiede una squadra di football americano nella NFL, cose di questo tipo». Intanto lo condussi delicatamente verso una parte della nave meno affollata, per non doverci spostare di continuo quando arrivavano ospiti nuovi.

«È un tuo amico?»

«Be’, a voler essere precisi, no. In effetti siamo entrati solo perché l’addetto alla security non riesce a distinguermi da mio fratello».

«Aspetta, cosa? Non siamo stati invitati?»

«Tranquillo. È tutto a posto. Quando arriveranno Namjoon e Seokjin, forse potrebbero avere qualche problemino a entrare, ma per questo non scateneremo certo una faida tra fratelli. Il proprietario della nave non mi ha detto esplicitamente che non dovevo venire. Si è premurato solo di non invitarmi. C’è una grossa differenza».

Si allontanò dal mio braccio, che con sommo piacere continuavo a tenergli sulla schiena, e mi fulminò con lo sguardo, un adorabile moscerino furibondo. «Cosa gli hai fatto?»

«Ma dài. Chi ti dice che è stata colpa mia?»

«Da quel poco che ti conosco, sono sicuro che gli hai fatto qualcosa tu».

«L’ultima volta che sono stato invitato a una delle sue feste ho solo preso in prestito una scialuppa di salvataggio».

Aggrottò la fronte e rimase in attesa.

«C’era una lunga coda per scendere dalla nave e io dovevo andare in bagno. Ho pensato che così avrei fatto prima. Non volevo certo tornarmene a casa in auto con la scialuppa a rimorchio. Gliel’ho lasciata in un punto in cui avrebbe potuto trovarla facilmente».

«Sei unico».

«Grazie».

«Non era un complimento».

«Lo sembrava però».

«Forse ti sei danneggiato i timpani coi cotton fioc».

Sorrisi malizioso. «Non ti ho ancora dato la mia opinione riguardo alla controversia sui cotton fioc. Magari sono fiero del mio cerume».

Notai che stava cercando di mantenere il punto e di mostrarsi ancora infuriato, ma dalle sue labbra trapelava un vago sorriso divertito. «Non mi sembra tu abbia del cerume nelle orecchie».

«Come fai a dirlo da là sotto?»

«Battutine sulla mia altezza? Siamo scesi di livello. Conversazione da scuola media?»

«Sei rimasto alle medie in fatto di esperienze sessuali, quindi pensavo fosse il livello più appropriato per te».

«Wow». Scosse la testa, ma alla fine sorrise. «Sai nuotare? Perché altrimenti ti consiglio di stare attento, visto che alla prima occasione ho deciso di buttarti in mare».

«Omicidio premeditato. Lo sapevo che stavi progettando qualcosa».

«Non so come mai, ma penso di non essere la prima persona che minaccia di farti fuori. A dirla tutta, forse non sono neppure il primo che lo fa oggi».

«Che tu ci creda oppure no, la maggior parte delle persone mi considera affascinante. Non direi che le minacce di morte costituiscano una mia preoccupazione quotidiana».

«Allora devi riservarmi un trattamento speciale».

«Il più speciale», concordai. «Voglio talmente esagerare da definire questo un appuntamento».

«Non dovremmo deciderlo insieme?»

«No. Non mi sembra che debba chiedere il tuo permesso per chiamarlo col suo nome. Indossi un abito che ti ho comprato io, e che, tra parentesi, ti sta d’incanto. Siamo su uno yacht, partecipiamo a una festa il cui scopo è creare nuovi contatti di lavoro e coltivare amicizie importanti. Suonano il piano. E mi auguro che la serata finisca nel migliore dei modi. Quindi è un appuntamento, che ti piaccia oppure no».

Mi rivolse un sorriso forzato, e arrossì. Pensai che stesse per dire qualcosa di seducente, invece l’espressione maliziosa del suo sguardo si tinse di un leggero turbamento. «Volevo chiederti… Ho conosciuto una donna. Jennie. È venuta da me alla festa in maschera e…».

«Ti ha rifilato un mucchio di cazzate», dissi. Mi sentii ribollire il sangue al pensiero che avesse importunato Jungkook. Jennie poteva prendere per il culo me, e i miei genitori, pur di rifilarmela, potevano comportarsi da stronzi nei miei confronti. Ma Jungkook cosa c’entrava? Non dovevano toccarlo. Comunque, se ci tenevano così tanto a essere tagliati fuori dalla mia vita, bastava che si mettessero tra me e lui, e avrei interrotto subito qualunque rapporto. «Jennie è stata un grave errore nella mia vita. Una mia ex, fuori di testa. Più o meno allo stesso livello di quel coglione del tuo Jimin».

«Per cortesia», disse, sollevando una mano.

«Lui non è mio. Che schifo», e fece finta di avere un conato di vomito. «Jennie mi ha fatto intendere che hai avuto una lunga lista di ex ragazze e ragazzi e con tutti hai seguito lo stesso copione per sedurli. Ho cercato di non pensarci, ma te ne ho voluto parlare perché da quando me l’ha detto, le sue parole hanno continuato a ronzarmi nel cervello».

«Be’, per la maggior parte, sono solo cazzate. È vero, ho avuto altre donne e altri uomini, ma definirle miei partner…». Mi schiarii la voce. Non volevo spaventarlo dicendogli che erano state tutte avventure di una notte, ma in effetti, dopo essere stati a letto insieme, per me non esistevano più. «Senti. Lo ammetto, ho fatto cose di cui non vado fiero, ma non sono un bugiardo. Non alimento false speranze e non prendo in giro né illudo nessuno. Tutti quelli con cui sono stato, sapevano esattamente cosa volevo e cosa potevano aspettarsi da me. Né più né meno».

«Ti credo», disse, annuendo lentamente. «Davvero».

«Cazzo. Ma non sembrarne così sorpreso».

Rise piano. «Posso dirti una cosa in tutta sincerità?»

«Certo».

«Comincio a non trovare più motivi per tenerti a distanza».

Feci un passo verso di lui. Avrei voluto toccarlo. Mettergli una mano sulla guancia, o attirarlo a me. Ma sembrava così fragile e temevo che un gesto sbagliato da parte mia lo facesse fuggire per sempre. Era un ragazzo tenace, determinato, in grado di tenermi testa in quanto a conversazione arguta e stimolante, ma ero sicuro che il sarcasmo e le battutine pronte e sagaci nascondevano un ragazzo spaventato e sensibile. C’era una parte di lui che dovevo assolutamente cercare di non ferire, così mantenni buone le mani, e sorrisi. «Spero che questo significhi che non trovi neppure più motivi per buttarmi in mare, perché in effetti sono una frana come nuotatore».

Salimmo sul ponte più alto dove c’era un elegante piccolo bar proprio di fronte alla piscina. Alcune ragazze immagine molto sexy si divertivano in acqua, come era loro abitudine.

«Non mi avevi detto di portare il costume», disse.

«In effetti nessuno fa il bagno in questo genere di feste. L’ospite paga delle modelle sexy perché animino la serata. Alcune di loro finiscono sempre in piscina».

«Scherzi, vero?»

«Vorrei. Quando si tratta di spendere soldi, i ricchi sono poveri di trovate intelligenti. Alla fine, diventa una stupida gara del cazzo. Più la tua festa è folle ed eccessiva, più vuol dire che sei ricco».

«E tu? Che genere di ricco sei?»

«Uhm», mi incamminai verso il fondo della nave e mi appoggiai al parapetto. Al chiaro di luna, l’acqua appariva calma, ma oscura e impenetrabile. «Non ho intenzione di fingere di essere migliore di tutte queste persone. Faccio anch’io delle stupidaggini coi miei soldi».

Mi venne accanto. «E quale sarebbe la cosa più idiota che hai fatto?».

Risi per un attimo ripensando ad alcune cretinate commesse in passato. «Una volta, mentre Namjoon era al lavoro, sostituii una delle sue auto con un’altra dello stesso modello. E feci qualche ritocchino per farlo imbestialire. I tergicristalli che funzionavano solo alla massima velocità. Una marcia in più nel cambio, che però faceva girare il motore in folle. L’indicatore della benzina scambiato con il contachilometri. Ecco, sciocchezze così».

«E mi spieghi perché lo avresti fatto?».

Sorrisi. «Namjoon è il mio fratellino, e non sopportavo di vedere quanto fosse diventato rigido e bacchettone. La sua ex lo aveva fottuto, e lui stava cadendo in una spirale di manie ossessivo-compulsive. Una volta avevo visto in televisione che certe fobie si curano obbligando i pazienti ad affrontare le proprie paure. Se hanno paura dei serpenti, la terapia consiste nell’aiutarli a prenderne uno in mano, e altre cose simili. Così pensai che se fossi riuscito a incasinare un po’ la sua perfetta routine, Namjoon avrebbe capito che poteva anche farne a meno».

«In realtà, è stata una cosa carina da parte tua».

«Non proprio. Vuoi vedere, invece, una cosa davvero carina? Vieni qui».

Lo presi per mano e lo condussi lungo il ponte. Raggiungemmo la parte dello yacht dove erano sistemate le scialuppe di salvataggio. Un cancelletto posto sul fianco della nave permetteva di accedervi.

«Vieni», dissi facendogli segno di seguirmi dentro la piccola scialuppa autogonfiabile munita di motore a bordo.

«Ma l’ultima volta non ti sei ritrovato nei guai proprio per aver preso una di queste?», domandò senza muoversi di un passo.

«Più o meno. Ma prova a sentire come si sta qui dentro. È davvero figo».

Aggrottò la fronte ma salì. «Non mi sembra così spec…».

Chiusi il cancelletto e mollai il cavo di ritenuta della scialuppa, la quale scivolò di colpo finché il cavo teso venne bloccato dalla puleggia attaccata allo yacht. Continuai la manovra a mano mentre Jungkook mi guardava con gli occhi spalancati, e alla fine arrivammo in mare.

«Cosa fai?», mi chiese a questo punto. I suoni della festa ci giungevano attutiti e distanti, sostituiti dal delicato sciabordio dell’acqua contro la nostra piccola scialuppa.

«Prendo in prestito una scialuppa di salvataggio».

Sgranò gli occhi e restò in attesa di una spiegazione più esaustiva.

«Perché è divertente?», azzardai.

«Diventare un criminale non è divertente. E se ci scoprono? Come facciamo a ritornare sulla nave?»

«Calma, Nancy Grace. Non dobbiamo tornare sulla nave. Le scialuppe di salvataggio servono ad andarevia dalla nave. Ma quante cose devo spiegarti? Roba da non crederci».

Mi fulminò con lo sguardo. «Credo che servano quando si ha la necessità di abbandonare la nave».

«E noi ce l’avevamo. Mi è sembrato di vedere Namjoon e Seokjin. Se ci avessero incontrati, Namjoon avrebbe perso le staffe. Ho cercato solo di non rovinare la serata a nessuno».

«Costringendomi a diventare complice del tuo crimine?».

Mi sfuggì una specie di grugnito. «Quando l’FBI verrà a cercarci, ti copro io. Contento?».

Incrociò le braccia. «No, perché non ti capisco. Hai il mondo ai tuoi piedi, eppure fai ancora stupidaggini simili. Non ha senso».

Con un ampio gesto, abbracciai la distesa d’acqua attorno a noi e il cielo, nel quale effettivamente non si vedevano brillare tante stelle perché Seoul con le sue luci oscurava tutto il resto, tranne il sole e la luna. «Non so. Credo che questo spettacolo ne valesse la pena, è splendido».

Si strinse un braccio e si guardò attorno. «Non mi riferisco solo alla scialuppa di salvataggio. Parlo anche di come ti stai comportando con me. La tua vita è piena di modelli bellissimi, di cose sfarzose, di fascino. Sono stupido se mi chiedo che cosa vuoi davvero da un pasticcere noioso come me?»

«Non sei affatto stupido», dissi, e avviai il motore per allontanarci dallo yacht. Notai qualche curioso che si sporgeva dal parapetto a una decina di metri sopra di noi per indicarci. «Ma», dissi, alzando un po’ la voce per superare il rombo del motore. «Se conoscessi quelle persone come le conosco io, capiresti esattamente perché mi interessi così tanto».

Rimase per qualche attimo in silenzio, poi mi rispose. «Ecco, quando dici certe cose, parli sul serio? O fa solo parte del tuo… copione?».

Rallentai leggermente e lasciai che fosse la corrente a sospingerci. Procedevamo lungo la costa e godevamo di una vista stupenda della città. «Il mio copione?»

«Sembri non prendere niente sul serio. Quindi non capisco se quello che mi dici è ciò che pensi davvero o se per te fa solo parte del gioco».

«Non è così. Io ti prendo molto sul serio. Puoi scommetterci quello che vuoi».

Si morse il labbro. Era incantevole. Non era un modello perfetto. Aveva gli occhi grandi ma forse un po’ distanti rispetto all’ideale di bellezza definito dai canoni di perfezione classici, e i denti davanti un po’ più lunghi rispetto agli altri, ma mi piacevano così. Lui non si rendeva conto di quanto fossero belli quei piccoli difetti, quelle imperfezioni. La vita non è una questione di perfezione. L’unica cosa che conta davvero è trovare il proprio posto e la propria strada. Io non volevo un ragazzo che incarnasse l’ideale maschile in senso generale. Ne volevo uno che incarnasse il mio ideale, e l’avevo trovato.

«Sai cos’altro prendo sul serio?»

«Cosa?», domandò.

«Le palle blu».

Scoppiò a ridere, poi aggrottò la fronte, confuso. «Scusa, ma non so cosa siano».

Sospirai. «Beata innocenza. Le palle blu. Sai quando pensi che stai per combinare qualcosa e invece niente? Non puoi capire che dolore».

Deglutì. «Mi dispiace. Per… le tue palle».

«I gesti contano più delle parole».

Abbassò lo sguardo sulle mani e sorrise. «Ho paura di mettermi in ridicolo con te. Non ho esperienza coi ragazzi».

«Oh. Be’, se hai fatto qualcosa con le ragazze, più o meno è uguale».

Mi diede una botta sul braccio, continuando a sorridere. «Hai capito cosa intendo».

«Certo. Ma non devi preoccuparti. Dammi retta. Sii te stesso, e non mi deluderai mai».

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