Capitolo 7
JUNGKOOK'S POV:
Mezz'ora prima dell'apertura, ero seduto a uno dei tavoli della mia pasticceria, insieme a Dawon e Hoseok. Stavo pensando a cosa avrei detto a Hoseok se avessi perso la mia attività. Dopotutto, non era in ballo solo la mia carriera. Quella mattina il locatore mi aveva lasciato altri messaggi in segreteria ma, che Dio mi perdoni, non li avevo ancora ascoltati. Una volta finito di lavorare, sarei andato in banca per richiedere un prestito aziendale. Il mio conto era quasi in "profondo rosso" come quello di Mike Tyson quando gli ufficiali giudiziari erano andati a sequestrargli il cucciolo di tigre e le auto sportive, quindi non mi aspettavo un miracolo, ma dovevo pur tentare.
Dawon tamburellò con le dita sul bancone e mi puntò contro uno sguardo micidiale.
«Allora?», disse. «Devi avere qualche problema neurologico se ancora non hai capito quello che ti stiamo consigliando».
Hoseok annuì. «È là, svolazza davanti ai tuoi occhi, aspetta che tu ti faccia avanti e l'afferri».
«L'uccello di Taehyung», disse Dawon. «Si riferisce all'uccello miliardario di Taehyung».
Hoseok farfugliò. «Ve-veramente, no. Mi riferivo all'opportunità che doveva cogliere».
«Pura semantica», sospirò Dawon.
«Un uccello e un'opportunità di sicuro non sono la stessa cosa», dissi.
«In questo caso, sì. Da sorella ti dico che se non fai qualcosa alla svelta, perderai un'occasione splendida e te ne pentirai per il resto della vita. Ero molto amico del marito di Namjoon quando lavoravamo alla "Big Hit", quindi in un certo senso sono un'esperta dei fratelli Kim. Praticamente sono io che ho fatto mettere insieme Seokjin e Namjoon, e guarda com'è andata a finire bene per loro!».
«Ma perché tanta fretta? Ormai ci vedremo tutte le sere».
«Be'», attaccò Hoseok. «Faccio la parte dell'avvocato del diavolo. Magari non era sua intenzione tirare troppo per le lunghe il lavoro come suo chef personale. Mi è sembrata più un'idea che gli è venuta al momento, mentre era qui ieri. Come se cercasse semplicemente una scusa per farti andare a casa sua».
«Ha pagato per il gnocco», convenne Dawon. «E adesso sta a te dargli ciò per cui ha pagato».
«Scusate». Sollevai una mano e chiusi gli occhi per un attimo, poi fissai Dawon. «Hai detto gnocco? Cosa sarebbe, la parola della nonna per questa settimana?»
«Dawon, non l'hai neppure usata nel modo giusto», disse Hoseok. «Sarebbe... un gnocco sarebbe una specie di trombamico. Uno con cui ti metti d'accordo per una sveltina, "una botta e via". Non è una parte del corpo».
Dawon ci liquidò con un gesto impaziente della mano. «Non importa. Sto dicendo che è come quando un ragazzo ti invita fuori a cena e paga il conto. Devi almeno prendere in considerazione l'eventualità di dargli qualcosa in cambio».
«Aspetta, cosa vuoi dire?», domandò Hoseok. «Le ragazze la pensano davvero così?».
Gli lanciò un'occhiataccia. «Non fare l'angioletto. Comunque non sto dicendo che devi darglielo perché ti ha pagato la cena. Dico che però ci si sente quasi in dovere di contraccambiare. E sto parlando solo di una cena. Figuriamoci cosa può aspettarsi un tizio che mette a tua disposizione una società di marketing multimiliardaria solo per farti andare a casa sua».
«Magari per pubblicizzare il locale si limiterà a chiedere a una stagista di stampare dei volantini per poi attaccarli ai pali del telefono».
Hoseok scoppiò a ridere. «Stai sottovalutando il disperato desiderio ancestrale che l'uomo alpha gay ha del pene, Jungkook. Prima ancora della scoperta del fuoco, gli uomini primitivi si picchiavano sulla testa con le clave di pietra per avere una donna. Stessa cosa vale anche tra due uomini. C'è scritto anche nella Bibbia, puoi controllare».
Alzai gli occhi al cielo, mentre Dawon annuiva come fosse la cosa più sensata che avesse mai sentito.
«Hoseok ha ragione», disse. «La società ha educato i gay passivi e le donne a difendere la loro purezza, e allo stesso tempo ha educato gli uomini alpha a corrergli dietro. Se un ragazzo si concede troppo presto è considerato un poco di buono, mentre l'uomo riceve una compiaciuta pacca sulla spalla a ogni nuovo nome sulla lista. E indovina un po'? Tu conosci solo tre persone, e tutt'e tre ti stanno dicendo di darti da fare. E per inciso, gli stereotipi imposti dalla società sono solo stronzate».
«Conosco più di tre persone», dissi.
«Fammi i nomi».
«C'è Tzuyu. La signora che viene qui ogni tanto. Conosco Taehyung, suo fratello Namjoon, e Seokjin, il marito di Namjoon».
Incrociarono entrambi le braccia, e mi guardarono con un'espressione poco entusiasta in viso.
«Non sei stato tu a dire che ti è sembrato che Seokjin e Namjoon vi incoraggiassero, che volevano quasi che vi piaceste?», chiese Dawon.
Sospirai. «Forse l'ho detto».
«Okay, allora ritiro tutto. Conosci solo sette persone, e cinque di loro ti dicono di buttarti. E forse, in questo momento, a una di loro è diventato duro come la pietra perché ti sta sognando mentre lo fai godere».
«Ho capito, ho capito. Ma per la cronaca, dubito che Taehyung sia il tipo di uomo che pensa a me quando non sono con lui. Ha una vita perfetta, da cartolina. Sono sicuro che in questo momento abbia un milione di cose migliori da fare anziché pensare a me».
Avevo notato che da un po' Hoseok era distratto, così alla fine seguii il suo sguardo puntato sulla vetrina. C'era una sagoma alta fuori, ma non riuscii a mettere a fuoco chi fosse, perché il vetro era appannato dalla condensa mattutina.
«Chi è?», esordì Dawon.
«Il tizio che ha un milione di cose migliori da fare anziché pensare a Jungkook», disse Hoseok con un sorriso. «Proprio così».
Probabilmente ci vide che guardavamo verso di lui, perché batté il dito sul vetro e poi si diresse verso l'entrata.
Non persi tempo e rivolsi un'espressione severa sia a Hoseok che a Dawon. «Mi raccomando, niente stranezze. Vi prego. Comportatevi in modo normale e non mettetemi in imbarazzo, okay?».
Alzarono le mani quasi li stessi minacciando con una pistola. «Faremo i bravi».
«Parola di scout», rincarò Hoseok.
«Non sei mai stato uno scout».
Scrollò le spalle. «E allora non posso neppure dire "Oh mio Dio" se non sono credente?».
Lo ignorai e andai ad aprire la porta all'uomo che quasi certamente doveva essere Taehyung. In fin dei conti, non mi capitava di vedere tanti uomini della sua altezza e corporatura. La maggior parte di quelli alti come lui sembravano sempre un po' dinoccolati, come se fossero solo gambe o avessero le braccia troppo lunghe rispetto al corpo.
Quando aprii la porta, Taehyung mi salutò con un sorriso, ed entrò. Passandomi accanto, mi posò una mano sul fianco, in modo disinvolto, quasi un gesto educato per chiedere permesso. Ma appena mi toccò, una vampata di calore mi infiammò tutto il corpo.
Era bellissimo, il che non era certo una novità. Indossava una giacca nera che forse aveva pagato l'equivalente di qualche mese d'affitto del mio locale, una camicia bianca con i soliti bottoni aperti, suo segno distintivo, e un paio di pantaloni eleganti. I capelli erano arruffati, come sempre. Se li pettinò con la mano e per mezzo secondo ebbero una parvenza di ordine, ma tornarono subito ribelli.
«Stavate discutendo una possibile strategia?», domandò, indicando Dawon e Hoseok che erano rimasti seduti con una buffa espressione preoccupata in viso. Sembravano aspettarsi da un momento all'altro lo scoppio di una bomba.
«S-sì», dissi, e in fondo non era del tutto una bugia.
Annuì. «Bene. Ieri sera abbiamo messo a punto la prima fase della campagna pubblicitaria, e sono passato per dirti che dovete aspettarvi un po' di lavoro extra per oggi».
«Cosa? Di già?»
«Proprio così. Alla Galleon non perdiamo tempo, Pasticcino. Adesso sei un nostro cliente, e quindi stiamo mettendo in campo per te le nostre armi migliori. Ti consiglierei di assumere il prima possibile qualche nuovo aiutante».
«Io e Hoseok possiamo gestire anche più clienti di quelli che serviamo di solito. Al momento non posso permettermi di prendere nessuno».
«Fidati. Quando Lee So-jeong parlerà della meravigliosa torta di ciliegie a Good Morning Corea tra...», controllò l'orologio, «mezz'ora, desidererai avere tre o quattro aiutanti in più. Ehi, forse potresti anche aver bisogno di un buttafuori».
«Sta scherzando, vero?», Dawon sembrava scioccata quanto me.
Studiai il viso di Taehyung. Un'espressione spavalda, divertita, ma non finta. «Penso proprio di no». Mi si contrasse lo stomaco, poi ebbi la sensazione che mi arrivasse fin sotto le ginocchia. Mi parve di svenire.
«Tutto bene?», chiese. Fece un passo verso di me e mi posò una mano nell'incavo della schiena, per sorreggermi.
Udii un rumore secco, una specie di schiocco, dalla parte di Hoseok e Dawon. Non potevo crederci, ma penso che avessero appena battuto il cinque.
«Mi riprendo subito», dissi. «Dubito che ci possa essere così tanto lavoro. Comunque sono sicuro che andrà tutto bene».
Taehyung abbozzò una smorfia. «Sarò sincero. Conservavo la carta di Lee So-jeong per un cliente speciale. L'ultima volta che ha parlato di un locale di Seoul nella sua trasmissione, ha trasformato uno chef e un locale sconosciuti in un fenomeno nazionale. Il primo giorno di campagna pubblicitaria ho già sganciato l'equivalente di una bomba atomica, in termini di marketing. Forse mi sono fatto prendere un po' troppo la mano?».
Di nuovo mi parve di svenire. Mi girava la testa ma il suo braccio sulla schiena mi dava una sensazione talmente bella da non volermi riprendere, purché continuasse a sorreggermi. Chiusi gli occhi, feci qualche respiro profondo, e mi raddrizzai. Se quel che aveva detto era vero, dovevo darmi da fare alla svelta per essere pronto a servire la marea di clienti che presto avrebbe invaso la pasticceria.
Taehyung tolse la mano dalla mia schiena e mi guardò come se volesse saggiare la mia effettiva stabilità sulle gambe. «Ehi, senti cosa ho pensato. Oggi resto io a darvi una mano. Namjoon può sopravvivere in ufficio anche senza di me, e comunque se tornassi al lavoro finirei per sganciare altre bombe "pubblicitarie" a tuo favore. Forse è meglio se lascio un po' a riposo la mia squadra, in attesa di vedere cosa succede».
«Ti sono grato della proposta», dissi. «Ma penso che ci impiegherei troppo tempo a spiegarti cosa fare prima che tu possa effettivamente renderti utile».
«Accidenti. Lo sai o no con chi stai parlando? Ho provato a fare molte cose nella mia vita, e le ho fatte tutte straordinariamente bene».
Alzai gli occhi al cielo. «Che mi dici della modestia?»
«Ecco. L'unica volta in cui mi sono cimentato in quel campo, sono andato alla grande».
Dawon ridacchiò. «Posso aiutarti anch'io. Oggi diamo tutti una mano».
«E il tuo capo?», domandai.
«Gli manderò un messaggio e gli dirò che mi è venuto il ciclo. È un argomento che gli uomini trattano con le pinze. Che può dirmi, oltre a: "Fatti forza, dolcezza"?».
«Ci penso io a spiegare a Dawon cosa deve fare». Hoseok si alzò e si allacciò il grembiule. «Jungkook, tu puoi lavorare con Taehyung».
Taehyung mi sorrise. «Avrò anch'io il mio grembiule?»
«Certo», dissi. Ero troppo terrorizzato al pensiero di non riuscire a soddisfare la richiesta degli eventuali nuovi clienti per condividere il suo entusiasmo. «Un momento. Ho delle magliette extra nel retrobottega. Ne ho una anche per te, Dawon».
«Perfetto». Taehyung si tolse la giacca e cominciò a sbottonarsi la camicia.
«Ehi!». Gli afferrai le mani perché smettesse di spogliarsi nel bel mezzo del locale. «Ma da dove ti viene tutta questa smania di spogliarti in pubblico?»
«Giusto», disse annuendo. «Quasi dimenticavo che la trovata della panna montata non ha avuto tanto successo».
Lo fulminai con lo sguardo, mi avvicinai e abbassai la voce. «Anche se a me può essere piaciuto lo spogliarello, preferirei che non ripetessi il tuo spettacolino a luci rosse davanti a mia sorella».
Si avvicinò al mio orecchio e in un sussurro mi disse: «Hai appena preso un appuntamento per uno striptease privato, Pasticcino. Che ne dici di stasera?».
Arrossii. «Dico che prima di pensare a stasera, dovremmo preoccuparci di sopravvivere al delirio che, grazie a te, sta per abbattersi in pasticceria».
«Ehi», disse, ritraendosi e alzando di nuovo la voce. «Sei stato tu a dirmi che volevi incrementare gli affari. Non puoi rimproverarmi se sono troppo bravo a fare il mio lavoro».
«Vediamo allora quanto sei bravo anche a ubbidire agli ordini».
Fece una smorfia. «Okay. Non ci avevo pensato. Questa non è esattamente una mia specialità».
Taehyung sparò l'ottava parolaccia nel giro di otto minuti. Una nuvola di farina, sprigionatasi dalla planetaria, gli aveva appena coperto la faccia. Aveva indossato il grembiule da appena dieci minuti e aveva già mandato in tilt una planetaria, rovinato una teglia di biscotti, bruciato una presina su un fornello, e mangiato parecchi cucchiai di glassa. Non lo avevo mai visto così tanto fuori dal suo ambiente naturale né così frustrato. Aspettavo impaziente l'arrivo dei clienti affamati che il programma in diretta di Lee So-jeong avrebbe fatto riversare in massa nella mia bakery, ma mi stavo divertendo troppo a guardarlo lavorare e non volevo che smettesse.
Dawon batté le mani entusiasta quando Hoseok approvò con un cenno del capo l'abilità di mia sorella nell'uso del sac à poche. Le era servito per ricoprire con la glassa le "bollicine" del mio marchio – si trattava di mini bignè dolci, dal guscio sottile, vuoti all'interno, che friggevo e poi ricoprivo di una glassa bianca, blu o rosa, talmente lucida che ti ci potevi specchiare. Capito? Da qui il nome del locale, The Bubbly Baker, "Il pasticcere frizzante", e i miei mini bignè erano le bollicine. Ciascuno di essi entrava nel palmo di una mano e, una volta fritto, veniva riempito di cioccolato, caramello, coulis ai lamponi o panna.
Taehyung... Era una forza autodistruttiva, che non mi stancavo di ammirare. Sbatteva la testa contro i pensili, sbagliava le dosi, e seminava caos ovunque. Era strano, ma per quanto fossi agitato in vista dell'imminente ondata di clienti, mi piaceva vederlo lavorare. Mi piaceva avere con me in cucina un casinista tanto maldestro ma animato anche da buone intenzioni. Rendeva Taehyung più umano. Dopo appena qualche minuto passato a distruggermi il locale, avevo capito più cose su di lui che durante i nostri incontri precedenti.
Si avvicinò con sbaffi di zucchero a velo sul viso e un po' di confettura di lamponi sul collo. Notai che la maglietta che gli avevo dato con il logo del locale, gli stava attillata, anche se era grande.
«I muffin sono pronti. Avevi ragione. Adesso capisco perché era stato sciocco suggerirti di prendere una macchina per confezionarli. Quegli antipatici si confezionano da soli».
Sorrisi. «Non ricordo di aver usato esattamente queste parole, ma ti ringrazio. Ora potresti... fermarti qualche minuto mentre sforniamo».
Inclinò la testa all'indietro e aggrottò le sopracciglia. «Cosa? Pensi che non possa sopportare un po' di calore? Pasticcino, Pasticcino, Pasticcino, cosa devo fare con te?». Mi posò la sua mano possente sulla spalla e scosse la testa. «Nessuno impara più velocemente di me. Mi bastano un paio di minuti e avrò tutto sotto controllo. Fidati».
Con una rapida occhiata valutai il casino che si era lasciato alle spalle, tornai a guardare lui e lasciai che un po' di scetticismo trapelasse dall'espressione del mio viso. «Be', se ti senti sicuro, avrei bisogno che sforni il pane e lo porti nel retrobottega».
Sollevò una mano, come a dirmi che se avessi continuato a dargli altre istruzioni si sarebbe sentito offeso. «Ebbene sì. Sono sicuro di sapere come tirare fuori il pane».
Allungò una mano per prendere uno strofinaccio bagnato appeso al bordo del lavello e aprì il forno con l'altra mano.
«Taehyung!», esclamai immediatamente. «Non puoi usare uno strofinaccio bagnato per prendere una teglia bollente».
Rise. «Certo. Si chiama scienza, Pasticcino. L'acqua raffredda le cose calde. Uno strofinaccio bagnato funziona anche meglio di... Cazzo!». Ritirò la mano di colpo e cominciò a scuoterla, tenendosi il polso con l'altra.
Così dovetti dedicare minuti preziosi, che in realtà avrei dovuto usare altrimenti, a curargli la scottatura, sulla quale nel giro di qualche minuto si era già formata una vescica. Lo feci sedere sulla sedia nel mio ufficio e gli bendai la ferita. «Dovrebbe andar bene così. Forse però ti conviene farle prendere aria ogni mezz'ora, più o meno. Non ne sono sicuro, non sono bravo a dare consigli in campo medico». Gli lanciai un sorrisetto ironico. «Fammi un po' indovinare: stai andando straordinariamente bene, eh?».
Ridacchiò. «Che tu ci creda oppure no, chiedere scusa è una delle mie tante doti. Quindi ti chiedo scusa perché sono stato un cretino. Avevi ragione tu. Sono una vera frana. Be', ecco, in cucina mi arrangio quel tanto che basta per sopravvivere».
Scoppiai a ridere. «Non ho mai detto che sei una frana. Solo, be', diciamo che non possiedi esattamente un talento naturale per la pasticceria. Ma sono sicuro che con un po' di pratica...».
«Se mi insegni tu, ci sto. Possiamo fare come in quella scena di Ghost? Tu fai Patrick Swayze, ti metti dietro di me e io davanti, con una terrina in mezzo alle gambe. Puoi insegnarmi come sporcarsi le mani in cucina, e io ti insegno come sporcarti le mani quando si spengono le luci».
«E perché dovrei cucinare a luci spente?».
Socchiuse gli occhi. «Perché... Merda, dici sul serio?».
Scoppiai a ridere. «Sto scherzando». Mi morsi il labbro, chiaro segno che flirtare con lui mi stava piacendo un po' troppo, visto che mi sarei dovuto concentrare piuttosto sulla folla che stava per assaltare il locale, se la strategia di vendita di Taehyung si fosse rivelata davvero vincente. «Ho solo una domanda».
«Sì?», chiese.
«Perché dovrei essere io Swayze? Preferisco essere Demi Moore».
«Faremo a turno. Un Kim paga sempre i suoi debiti».
«I Kim buttano anche i ragazzini giù dalla finestra e vanno a letto con le proprie sorelle?»
«Dipende se il ragazzino se l'è cercata, e poi io non ho sorelle, solo un fratello. Quindi no, nessuna somiglianza con Jamie Lannister in Il trono di spade, a parte la storia dei debiti onorati».
«Peccato. La sua abilità come spadaccino è piuttosto eccitante».
«Posso sempre imparare».
Risi. «Se impari velocemente come hai imparato a cucinare, prima che capisci come usare una spada ti farai a pezzettini da solo».
«Sono due cose del tutto diverse. Fare dolci è molto più complicato di quanto sembri. Ripetimi un po' perché hai scelto di fare il pasticcere?»
«Perché... be', fare dolci non è pericoloso?»
«Certo, come no», disse, sollevando la mano che si era scottato.
Sorrisi. «La cucina ha regole precise. Se stai attento e sei prudente, e fai tutto con calma, puoi ottenere ottimi risultati. Nella vita reale, è tutto il contrario. Fai le cose con calma e la vita scorre via veloce. Sei troppo prudente, e tutte le opportunità migliori ti scivolano via dalle mani».
«Non essere tanto severo con te stesso. Anche tu, ogni tanto, corri dei rischi. Per esempio, adesso, sei seduto qui con me».
Inarcai un sopracciglio. «Mi stai dicendo che dovrei considerarti un rischio?»
«Oh, certo. Sono pericoloso. Mi hanno anche definito criminale. Un depravato».
«Il mio mascalzone», dissi con un sorriso malizioso.
In quel momento la campanella sopra la porta d'ingresso tintinnò. Vedendo che mi ero avvicinato un po' troppo a lui, mi raddrizzai immediatamente. Mi schiarii la gola, e l'atmosfera romantica in cui mi sentivo avvolto, si dissipò all'istante. «Se la tua strategia di marketing è stata efficace, si comincia a trottare».
«Vengo ad aiutarti», disse.
Gli posai una mano sulla spalla, perché restasse seduto. «Per quanto possa piacermi vederti fare cose bizzarre in cucina, un classico pesce fuor d'acqua, forse è meglio se resti qui».
«Ah», disse, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Va bene. Allora non mi muovo».
Mi sarei aspettato un po' meno arrendevolezza, e se avesse deciso di andar via lo avrei capito. «Sai, non c'è ragione che resti. Sono sicuro che avrai cose più importanti da fare in ufficio, no?»
«È tutto a posto». Tirò fuori il cellulare e vi batté sopra la mano. «Se Namjoon ha bisogno di me, mi chiamerà. Inoltre, non posso lasciare il mio Pasticcino ad affrontare tutto da solo».
Abbozzai un sorrisetto, stuzzicato da quel gioco tra noi. «Il tuo Pasticcino? Non so se debba considerare il vezzeggiativo più offensivo del nome in sé, oppure no».
«Esprime tenerezza. Più provoca imbarazzo in chi lo sente, più ha valore. Funziona così».
«Capisco. Quindi se ti chiamo ladro o cleptomane sto usando un termine tenero?»
«No. Offensivo. E comunque, ho rubato solo una cosa stamattina, quindi la tua definizione è quanto meno esagerata».
«Hai rubato una cosa?»
«Tecnicamente, presa in prestito. Diventa furto se muoio. Finché c'è una possibilità che prima o poi restituisca quel che ho preso, come si può stabilire l'esatta natura del mio gesto?»
«Pensi mai di riconsegnare le cose che prendi?».
Ci rifletté un attimo. «No. Non proprio».
«Allora si tratta di furto. Comunque, cosa avresti preso in prestito stamattina?».
Sollevò un portachiavi con un piccolo guanto da forno in stoffa. «L'ho visto nelle tue chiavi e mi è piaciuto».
Cercai di afferrarlo ma ritirò prontamente la mano, e non riuscii a raggiungerlo.
«Non ti è neppure passato per la mente che possa piacere anche a me? Magari non volevo che lo prendessi in prestito?».
Me lo porse. «Puoi riaverlo, se proprio lo vuoi, ma ti avverto. Non riconsegno mai niente a nessuno. Nel momento in cui te lo riprendi, esci dalla categoria "tutti gli altri"».
Gli presi il portachiavi dalla mano. «Chiamami pure pazzo, ma voglio correre il rischio».
Sorrise. «Esatto. Sei la persona più pazza che abbia mai conosciuto. Un vero amante del rischio».
«Taci», dissi sorridendo, ma mi voltai prima che potesse vedermi. Poco alla volta – okay, forse molto alla volta – cominciavo a chiedermi quanto mi sarebbe mancato Taehyung se le cose tra noi non avessero funzionato. Era quella famosa "botta di vita" che avevo tanto aspettato e per la quale avevo tanto penato. Inoltre, da quando lo avevo conosciuto, non mi ero più preoccupato di Jimin. Per una volta nella vita mi sembrava che le cose andassero davvero bene, e anche Jimin, finalmente, forse aveva capito l'antifona.
Tornai in negozio in tutta fretta, e vidi che si era già formata una fila di una dozzina di clienti. Hoseok serviva bagels e bubble bites, i nostri famosi mini bignè fritti, mentre Dawon gli portava tutto quello che lui le ordinava di prendere, e stava facendo davvero un ottimo lavoro.
Quando mi videro, entrambi mi squadrarono dalla testa ai piedi.
«Rosso in viso, ma sempre vergine, suppongo», disse Dowon.
«Già. Concordo».
«Per cortesia, potreste concentrarvi sul lavoro?», chiesi a mezza bocca, anche se i clienti dovevano aver sentito ogni singola parola.
«Ehi». Dowon fece un’espressione offesa. «Siamo rimasti noi qui a lavorare mentre tu nel retrobottega giocavi all’infermiere col bellone».
La guardai di traverso ma non potei ribattere nulla, il che fu estremamente frustrante. A quel punto, mi dedicai al lavoro e presto fui risucchiato nel vortice delle cose da fare. Rifornivo le vetrine quando finivano i prodotti, confezionavo gli ordini e, appena avevo un attimo libero, tornavo a impastare e infornare. Cercavo di non guardare la folla che aumentava e facevo di tutto per ignorare i volti impazienti dei clienti in attesa, di sicuro più numerosi di quelli che eravamo preparati a soddisfare.
Dovevo solo sperare che trovassero i nostri prodotti così buoni da essere invogliati a ritornare. Bastava che un decimo di questi clienti cominciasse a servirsi da noi regolarmente, e avrei guadagnato soldi a sufficienza per reinvestirli nella pasticceria e per pensare di ingrandirmi, sempre che il mio locatore non mi avesse sfrattato. Certo non poteva considerarmi il suo locatore prediletto visto che ritardavo sempre il pagamento dell’affitto. Tutti questi pensieri mi facevano girare la testa, quindi per il momento era meglio accantonarli, e concentrarsi sul lavoro per tentare di sopravvivere alla folla in attesa.
Non so quanto tempo fosse passato – doveva essere poco, però – da quando avevo detto a Taehyung di restare seduto. All’improvviso lo vidi arrivare calmo e tranquillo dal retrobottega con un sorriso fiducioso sulle labbra. «Pronto ad ammettere che potrebbe esserti utile il mio aiuto?», domandò.
Chiusi uno sportello del forno con un’anca, mi girai con una teglia di biscotti fumanti in mano e la posai sul tavolo. «Aiutarmi vorrebbe dire star fuori dai piedi».
Mi liquidò con uno sbuffo. «Okay. Non supplicarmi. Che tu ci creda oppure no, ho lavorato come cassiere per alcuni anni ai tempi del liceo. Fa’ venire Hoseok ad aiutarti qui, mentre io vado in negozio e mi occupo di servire i clienti».
Aspettai per vedere se avrebbe sorriso o se mi avrebbe detto che stava scherzando, invece, a onor del vero, rimase serio. «Okay… Ma prima osserva quel che fa Hoseok con gli ordini, per avere un’idea di come funziona il sistema. È abbastanza intuitivo. Se un cliente ordina dei biscotti, tu premi il tasto “biscotti” e trovi i vari tipi tra cui scegliere nel menu a tendina. Cose così».
«Certo, certo. Sono sicuro di arrivare a capirlo».
«Oh, e se puoi, cerca di far compilare la tessera con l’indirizzo mail. In questo modo potremo inviare a ciascun cliente un coupon, nella speranza che, dopo tutto quello che abbiamo fatto, tornino in tanti».
Mi guardò con un’espressione disgustata. «A nessuno piace lasciare il proprio indirizzo mail alla cassa».
«Fa’ finta che lo hai rubato».
«Mmm. Giusto».
Si allontanò e si appoggiò al bancone accanto a Hoseok per circa quindici secondi, poi lo spedì sul retro ad aiutarmi. Mi aspettavo di sentire, da un momento all’altro, trambusto nel locale per colpa di qualche casino combinato da Taehyung, invece vidi che era davvero bravo a socializzare coi clienti mentre li serviva, un vero fenomeno. Aveva la capacità di far sorridere, ridere, battere le ciglia, a tutti, dagli uomini anziani alle ragazzine. Forse avrei anche potuto concedermi il lusso di essere geloso, se non fossi stato impegnato a lavorare sodo. Temevo, infatti, che a quel ritmo, nel giro di mezz’ora, sarei rimasto senza più nulla da vendere e avrei dovuto chiudere. Ero quindi grato a Taehyung per l’aiuto che mi stava dando.
Com’era prevedibile, le nostre scorte durarono un’altra ora. La fila era interminabile, così mettemmo un cartello sulla porta in cui ci scusavamo e invitavamo i clienti a passare il giorno dopo, con la promessa che avrebbero trovato prodotti appena sfornati.
Quando finalmente chiusi il locale, mi sentii come se fossi appena tornato da un campo di battaglia.
«Bene, la Galleon Enterprises si merita un dieci e lode in marketing. Accidenti», dissi.
Taehyung mi fece un mezzo inchino. «Sono contento che abbia funzionato».
Dawon si pulì le mani. «È stato divertente. Forse dovrei lasciare il lavoro alla “Big Hit” e venire qui da te. Chissà, nel giro di qualche anno potrei gestire io quest’attività».
La guardai perplesso. «Lo vedo piuttosto improbabile, a meno che tu non abbia in mente un’azione sanguinaria».
Mi liquidò con sufficienza. «Guardati le spalle. Cesare non si sarebbe mai aspettato quel che gli fece Bruto, giusto?»
«Tu quoque, Dowon?», chiesi. «Avresti bisogno di Hoseok per destituirmi, e lui mi è fedele. Non sono preoccupato».
Hoseok incrociò le braccia. «Parola di scout, e tutto il resto. Mi dispiace Dowon».
«Sei stato boy scout?», domandò Taehyung. Notai che si tratteneva dal ridere.
Hoseok sollevò le braccia al cielo. «Ma che vi prende a tutti? Bisogna essere stati per forza boy scout per dire “parola di scout”?».
Taehyung si alzò sospirando. «Bene, ragazzi. Per quanto mi sia divertito, mio fratello deve avermi chiamato almeno quindici volte ormai. Di solito si ferma alla quattordicesima, se non è così importante, quindi, sarà meglio che vada e mi metta a lavorare alla fase “due” del mio piano strategico per The Bubbly Baker».
«No!», urlammo in coro io e Hoseok.
«Volevo solo prendervi in giro. Comunque, Pasticcino, ci vediamo stasera. Vestiti come ieri sera». Si baciò la punta delle dita, imitando, con scarsi risultati, il gesto tipico degli italiani.
«Magnifico. Davvero. Oh, ho messo le tessere con gli indirizzi mail a destra della cassa. E i numeri di telefono a sinistra».
«Non ti ho detto di chiedere anche i numeri di telefono».
«Non li ho chiesti. Oh, non ceniamo come ieri a casa mia. Stasera sarà un vero appuntamento».
«Taehyung», dissi, scuotendo la testa. «Ne sono lusingato, davvero, ma atteniamoci a quello che abbiamo concordato all’inizio, okay?».
Ci pensò un attimo, poi annuì. «Certo. Allora atteniamoci all’accordo iniziale. Ci vediamo stasera».
Lo accompagnai con lo sguardo mentre usciva, e mi chiesi perché avesse lasciato correre con tanta facilità. Mi chiesi anche perché continuassi a fuggire da lui. Penso che una parte di me fosse preoccupata al pensiero di cominciare una qualunque relazione sentimentale, visto che stavo a un passo dal tracollo finanziario. Tuttavia, non sapevo per quanto tempo ancora avrei resistito senza concedere a Taehyung di spingersi oltre.
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Uscii dalla banca con un senso di vuoto allo stomaco. Nonostante la mia situazione finanziaria, avevo conservato comunque un barlume di speranza che accettassero la mia richiesta, e invece mi negarono il prestito. Non si scomodarono neppure a recitare la farsa di dirmi che prima, per qualche ora, dovevano controllare gli incartamenti, e poi mi avrebbero fatto sapere. Mentre recuperava la mia documentazione, l’impiegata mi aveva rivolto un sorriso di circostanza, poi era andata a parlare col direttore, e prontamente mi aveva comunicato che non mi avrebbero accordato il prestito. Più semplice di così.
Uscii che era già l’imbrunire. Nel giro di un’ora sarei dovuto essere a casa di Taehyung, quindi speravo di avere almeno il tempo di farmi una doccia veloce. Fuori dalla banca mi scontrai con un tizio. A Seoul non è certo un avvenimento scontrarsi con qualcuno mentre si cammina per strada, quindi mi scusai e cercai di proseguire.
Quell’uomo, invece, mi afferrò per un braccio e mi fece voltare.
«Le chiedo scusa», dissi. «Sa, è stata una giornata faticosa, non era mia intenzione…».
«Stai ficcando il naso nel portafoglio di Kim Taehyung. Possiedi una bakery», sogghignò beffardo. Calcò sulla parola “bakery”, caricandola di disprezzo. Doveva essere sulla cinquantina, un uomo dall’aria tronfia, un presuntuoso vestito con abiti eleganti. La donna alle sue spalle indossava un abito firmato, aveva una collana costosa e parecchi strati di trucco. Mi sembrava di non aver mai visto nessuno dei due, ma non ne ero certo.
«Non sto ficcando il naso da nessuna parte. E sì. Ho una bakery, di cui in effetti vado molto fiero. Quindi se non vi dispiace…».
«Ci dispiace». L’uomo si spostò di lato per sbarrarmi la strada.
Ero in una strada affollata di Seoul, vi passavano centinaia di persone al secondo, eppure mi sentii in pericolo. Non avevo mai dimenticato la storia di un ragazzo che era stato accoltellato in pieno giorno proprio davanti a un enorme condominio. Ce ne aveva parlato la nostra insegnante di psicologia del liceo per insegnarci cosa fosse l’effetto testimone, o apatia dello spettatore. Circa quattordici persone avevano assistito all’accoltellamento e avevano visto il ragazzo a terra, che aveva continuato a sanguinare per ore, e neppure una di loro chiamò la polizia. Ognuno aveva pensato che l’avesse chiamata qualcun altro. Alla fine il ragazzo era morto perché il suo aggressore era tornato tre ore dopo, e l’aveva ucciso. Dopo quell’episodio, non mi ero mai più sentito al sicuro nemmeno nei luoghi affollati. A quanto pare, è insito nella natura umana supporre che un altro intervenga, in caso di necessità, al posto nostro, e così ognuno giustifica la propria apatia. Magari, oggigiorno, i passanti fanno qualcosa in più: tirano fuori i cellulari e filmano la scena.
«Ho uno spray urticante in borsa», dissi. Ed era vero. Lo portavo sempre da quando avevo capito che Jimin era un viscido stalker.
«Buon per te», disse l’uomo. «Ma non ti voglio fare del male. Voglio solo essere sicuro che tu riceva il mio messaggio forte e chiaro».
«E quale sarebbe questo messaggio?»
«Di stare alla larga da Kim Taehyung. Per il bene di tutte le persone coinvolte».
Incrociai le braccia. In quel momento notai un non so che di familiare nel suo viso. «Signor Kim? Sta parlando di suo figlio, vero? Ha i suoi stessi occhi».
L’uomo si spostò leggermente, e lo vidi a disagio per la prima volta. La donna lo tirò leggermente per il braccio, come se volesse andar via, visto che erano stati riconosciuti, ma lui con uno strattone si liberò di lei. «In persona. E comunque non sei all’altezza di mio figlio. Tutto qui».
Contrassi la mascella, e mi chiesi quanto sarebbe stato bello dargli un ceffone su quella faccia da stupido. «Forse mi sono perso la parte in cui mi spiegava come fa a conoscermi così bene da affermare una cosa simile. Poi, mi scusi, ha aspettato che uscissi dal lavoro e mi ha seguito fin qui? Forse dovrei chiamare la polizia e denunciarla per stalking».
«Abbassa le penne. Passavamo di qui per caso. Una semplice coincidenza, nulla che vada contro la legge. Tu non ci interessi affatto. Nostro figlio ha già trovato una donna perfetta per lui. Non ha certo bisogno di un ragazzino frocio come te che cerca di portarglielo via».
Rimasi sconcertato. In tutta sincerità, mi sembrava impossibile che quella conversazione stesse avendo luogo sul serio. «Per quanto possa essere allettante restare qui a continuare quest’inutile discussione con lei, non mi fermerò un minuto di più. E sa una cosa? Tra meno di un’ora sarò a casa di Taehyung. Passeremo una piacevolissima serata insieme, e non c’è nulla che voi possiate fare per impedircelo. Buona serata anche a voi».
Mi ero allontanato di appena un paio di passi, quando udii il signor Kim chiedere a voce alta, sovrastando i rumori del traffico: «Mi domando cosa pensi Taehyung dei tuoi problemi finanziari».
«Cosa?», chiesi, voltandomi. «Se ha intenzione di ricattarmi, il suo tentativo è davvero patetico. Non ho mai…». Stavo per dirgli che non avevo mai pensato ai soldi di Taehyung come soluzione ai miei problemi, ma non sarebbe stata la verità. Sapevo benissimo che era straricco. Ma non avevo mai cercato né la sua carità, né una scorciatoia per essere aiutato da lui. Volevo avere successo, e un assegno di Taehyung mi avrebbe impedito di raggiungerlo con le mie sole forze. Perfino accettare la sua offerta di occuparsi della campagna pubblicitaria per il mio locale era stato un po’ come venir meno ai miei princìpi, ma dovevo pure far qualcosa, e quella mi era sembrata l’unica eccezione che potessi accettare. «Non ho mai chiesto soldi a Taehyung, né ho intenzione di farlo in futuro».
«Certo che no. Sei troppo furbo. Vuoi aspettare che sia più coinvolto sentimentalmente, vero? Magari dopo che vi sarete fidanzati. Scommetto che gli dirai anche che non c’è bisogno di alcun accordo prematrimoniale, giusto?»
Scossi la testa. «Mi faccia indovinare: Taehyung non ha la più pallida idea che voi siate venuti a parlarmi, vero?»
«Non è importante quel che sa. Noi siamo i suoi genitori, e vogliamo il meglio per lui. Sappiamo noi cos’è il meglio per lui. E non sei tu. Ti sei montato la testa, ragazzino, ma non sei alla sua altezza. Fotti nostro figlio, e noi fotteremo te. Punto e basta».
Detto questo, girò i tacchi e se ne andò, con la moglie al seguito, come un cagnolino.
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