Capitolo 5

JUNGKOOK'S POV:

Avevo due locatori. Uno dell’appartamento e uno del locale. Era tutto il giorno che cercavano entrambi di contattarmi. Avrei potuto ascoltare i messaggi lasciati in segreteria, rischiando così di rovinarmi l’umore per la serata, oppure avrei potuto comportarmi da irresponsabile, ignorandoli. Decisi di ignorarli, anche perché, comunque, non avevo i soldi per pagare gli affitti. Ascoltare i loro messaggi mi avrebbe solo demoralizzato. Avrei quindi continuato a sfornare dolci e a dormire nel mio letto finché non mi avessero buttato fuori a calci, e se o quando questo fosse accaduto, avrei pensato al da farsi.

Mi meravigliai di quanto fosse facile scacciare dalla mente l’assillo di certe preoccupazioni finanziarie. In più Taehyung mi aveva promesso una campagna pubblicitaria di prima categoria, e avevo tutte le ragioni per credere che il suo intervento avrebbe effettivamente aiutato la mia pasticceria a guadagnare qualcosa.

Sentii bussare alla porta, e il mio primo pensiero fu che Taehyung avesse deciso di venire a trovarmi a casa – anche se era impossibile che sapesse dove abitavo. Nonostante questo, mentre andavo ad aprire, il mio stupido cuoricino cominciò a martellarmi in petto, senza una ragione logica.

Era Jimin. Aveva un mazzo di fiori in mano ed era vestito per far colpo, con una giacca sportiva e la cravatta. Scossi la testa. «Jimin. Devi smetterla. Sul serio».

«Cosa? È per colpa di quello stronzo della festa?»

«No, è perché ti ho già detto che è finita. Quindi ti prego, lasciami perdere. Questo non è un film nel quale il ragazzo passivo alla fine si intenerisce e cede al ragazzo attivo perché lui non si è arreso. Nella vita vera, il tuo comportamento è inquietante. Mi dispiace, ma è così».

Contrasse la mascella. Mi porse i fiori. «Almeno prendi questi».

Sospirai. «Jimin, mi dispiace».

Gli chiusi la porta in faccia e feci un lungo respiro. Detestavo che mi avesse costretto a comportarmi in modo tanto sgarbato, ma sapevo che se avessi preso i fiori avrebbe pensato che volevo lanciargli un messaggio in codice, una specie di incoraggiamento. E invece volevo solo che la smettesse, soprattutto perché ero certo che insistesse motivato da una convinzione assurda: che lui, cioè, meritasse di prendersi la mia verginità visto che eravamo usciti insieme per tanto tempo. Non me l’ero inventato io. Me l’aveva detto lui, più o meno in questi termini, quando ci stavamo lasciando.

Aspettai qualche minuto, pensando che sarebbe tornato a bussare alla porta per chiedermi di farlo entrare, invece poco dopo sentii che si allontanava.

Fortunatamente avevo la cena da preparare a casa di Taehyung, così non avrei rimuginato su Jimin per tutta la sera. Niente paranoie: niente tende tirate né porta barricata. Dovevo pensare a prepararmi per rispettare l’impegno preso stipulando quel folle accordo con Taehyung.

Per quanto fossi tentato, non sprecai neppure un’ora del mio tempo a pettinarmi e scegliere l’abito giusto per la serata. Volevo provare a me stesso che non ero semplicemente uno delle tante conquiste di Taehyung – sempre supponendo che Jennie mi avesse detto la verità, cosa che, dovevo ammetterlo, era del tutto discutibile.

Il nostro non era un appuntamento. Dovevo andare a cucinare per lui. Era un lavoro, e non ci si mette in ghingheri per andare al lavoro, a meno che non si voglia far colpo su qualcuno. Casomai, io volevo fare proprio il contrario, passare del tutto inosservato, anche perché avevo il presentimento che Taehyung non avesse bisogno di alcun incoraggiamento per saltarmi addosso. Quel pensiero mi fece venire i brividi, ma tenni duro. Mi lasciai gli abiti sporchi di farina, mi spruzzai il deodorante, solo per essere pulito e profumato, e mi lavai i denti. Non mi preoccupai neppure di sistemarmi la capigliatura. Bravo.

Ormai sapevo che Taehyung era straricco, eppure non ero ancora convinto che la sua offerta fosse sincera. Certo, dovevo essere onesto con me stesso. L’affare sarebbe stato vantaggioso. Avere qualcuno che ti organizza una campagna pubblicitaria gratuita non è esattamente come accettarne la carità. Avrei avuto più clienti e avrei lavorato di più, ma i soldi extra sarebbero arrivati grazie al mio duro lavoro. Alcuni potrebbero definire anche questa una forma di beneficenza, ma sono poi gli stessi che farebbero piazza pulita dei miei muffin. Comunque, anche senza alcuna proposta lavorativa da parte sua, una vocina dentro di me mi diceva che lui non avrebbe mollato tanto facilmente, e la cosa un po’ mi emozionava.

Taehyung sembrava una specie di virus che mi aveva colpito il cervello, impedendomi perfino di capire cosa provavo. Un virus che aveva gli addominali scolpiti e un sedere così sodo che potevano rimbalzarci sopra le monetine. Boing. Come se l’aspetto fisico non bastasse, aveva addirittura la sfacciataggine di essere dotato di un fascino mozzafiato. Assomigliava a una star del cinema in grado di far perdere la testa, l’abito e il velo perfino a una suora, e oltretutto aveva un mucchio di soldi. La cosa peggiore? Mi piaceva anche che fosse un mezzo delinquente. Perché scongiurava il pericolo di apparire troppo perfetto, e quindi noioso.

Non sapevo se fosse un uomo fedele, né se fosse interessato solo a portarmi a letto. Avevo constatato però che era un tipo perseverante. Non mi avrebbe lasciato andare senza prima combattere, e anche questo aveva il suo peso.

Aveva saputo creare un gioco elaborato e arguto tra di noi. Lo avevo capito. Forse era questo l’errore che avevo fatto in passato con gli uomini. Avevo preso le cose troppo sul serio. Non avevo mai fatto un passo indietro per avere una visione d’insieme della scacchiera e dei pezzi che erano in gioco, e per questo non avevo mai vinto. Ecco il segreto. L’amore è un gioco e, prima di iniziare a giocare, bisogna sapere quali mosse fare se si vuole vincere.

Se la mia con Taehyung era una partita a scacchi, non dovevo solo difendermi dai suoi attacchi: dovevo scoprire il suo obiettivo di gioco. Dovevo lasciargli fare le sue mosse. Dovevo essere paziente e capire se voleva solo conquistare la “ciliegia” a cui dava tanto la caccia, o se voleva qualcosa di più. Finché non avessi capito cosa gli interessava davvero, non avrei saputo neppure cosa volevo io. Quindi al momento il mio piano era questo: stare sulla difensiva e studiare le sue prossime mosse.

Prima di andare a casa di Taehyung chiamai mia nonna. Avevo perso entrambi i genitori da piccolo, e di loro conservavo solo un vago ricordo e un album di fotografie. Occupavano un posto speciale nel mio cuore, ma mia nonna era diventata a tutti gli effetti la mia mamma. Per quanto fosse triste ammetterlo, i miei genitori erano due estranei per me. Mia nonna aveva ottantacinque anni e viveva a un paio d’ore dal centro di Seoul, in un’accogliente cittadina sul fiume. Stava in una residenza per anziani che le piaceva molto perché il suo passatempo preferito era il gioco d’azzardo e la residenza le offriva l’opportunità di avere tanti compagni con cui giocare, inesperti e addirittura rimbambiti, a cui poter fregare i soldi da sotto il naso.

Rispose al telefono quasi subito, com’era sua abitudine.

«Ciao, moccioso», disse. Dalla voce squillante ed energica non si sarebbe mai detto che aveva già da qualche anno superato l’ottantina. Mi veniva naturale, allora, pensare che sarebbe stata la nonnina più longeva del mondo, e mi auguravo di aver ragione. Lei era la mia roccia, e non so cosa avrei fatto senza quelle chiacchierate quasi quotidiane nelle quali mi aggiornava su tutto quel che combinava.

«Ciao, sei stata lontana dai guai?»

«La vita consiste nel mettersi nei guai. Un giorno imparerai. Ho ancora il corpo di una sessantenne mozzafiato e una memoria di ferro. Non perdo un colpo».

Scoppiai a ridere. «Se la tua memoria è di ferro, mi sa che è stata lasciata all’acqua e si è un po’ arrugginita».

Udii una risata scrosciante dall’altra parte del telefono. «Lo sai, vero, che hai sempre una risposta pronta e arguta solo grazie alla tua nonna?»

«Certo, certo. Sono la mela rinsecchita che è caduta vicina al tuo albero. In realtà ti chiamavo per un consiglio. Riguarda un uomo».

Silenzio.

«Bene, bene, bene. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi. Pronto a togliere le ragnatele in mezzo alle gambe?»

«Oh mio Dio, nonna. Ti prego, puoi evitare di parlare di quello che ho in mezzo alle gambe?»

«È per questo che a venticinque anni sei ancora vergine, caro. Hai ignorato il dono che Dio ha fatto al mondo. Devi prenderti cura del tuo sedere e coccolarlo, non ignorarlo. È un’arma che sin dalla notte dei tempi le donne e gli uomini gay usano per far inginocchiare ai loro piedi anche gli uomini più potenti».

Mi coprii il viso con una mano, desiderando relegare quegli ultimi dieci secondi di conversazione nell’abisso più remoto e nascosto della mia mente. «Concentriamoci su quell’uomo e meno su di me. Okay?». “E speriamo che non debba mai più sentire mia nonna pronunciare la parola sedere”.

«Un uomo», disse lentamente, e avvertii una nota maliziosa nella sua voce. «Be’, ci sono solo due ragioni per cui un uomo giri intorno a un bel ragazzo come te… e ti puoi fidare di quel che ti dico perché ai miei tempi ero uno schianto. So ancora come farne girare alcuni, il solo problema è che gli uomini della mia età non sono sempre così sciolti da riuscire a girare la testa. Ma quando passo, vedo chiaramente che vorrebbero farlo, eccome! Ci puoi scommettere. Comunque, gli uomini, in generale, o vogliono usarti come un giocattolo, oppure vogliono fare sul serio e cercano un compagno per la vita. Lasciami dire però che esistono il momento e il luogo giusto per essere un giocattolo. C’è stato un uomo a Pusan…».

«Nonna», la fermai subito. La conoscevo abbastanza bene da sapere che se l’avessi lasciata continuare non mi avrebbe dato una versione casta di quella storia. «Come si fa a sapere che tipo di uomo è quello che ho davanti?»

«Be’, devi andarci a letto. Se sei solo un giocattolo, smetterà subito di usare le paroline dolci perché ha ottenuto quel che voleva. Se gli è piaciuto, ti farà anche qualche regalo perché in questo modo penserà di riuscire a portarti a letto di nuovo. Comunque dopo la prima volta che ci sei andato, capirai subito di che pasta è fatto. Perché abbasserà la guardia e non si preoccuperà più di dare il meglio di sé».

«E se non avessi così tanta voglia di usare il mio corpo come strumento di valutazione?»

«Allora, prima di tutto, dovremmo chiederci come ha fatto mia figlia a trasmetterti così pochi geni miei; poi, be’, suppongo che tu possa anche vedere come reagirà se fai il prezioso e non ti concedi. Gli uomini aspettano finché non mettono le mani sul giocattolo desiderato. Se però cercano un compagno per una storia seria, si dimostrano più pazienti».

Ringraziai mia nonna per il consiglio, e restai ad ascoltare il racconto dettagliato di come era riuscita a far perdere a Beomgyu l’intero raccolto di pomodori che coltivava nel giardino di fronte alla sua stanza. La versione breve della storia era che Beomgyu non avrebbe mai sospettato che la mia dolce nonnina barasse a poker. Tanto peggio per lui, diceva lei. Si era divertita un sacco perché lei detestava i pomodori, quindi stava pensando a un modo per rivenderglieli, ricavandone anche qualcosa.

A conti fatti, però, non avevo imparato granché. A volte la nonna mi era d’aiuto in modo indiretto: i suoi consigli erano talmente strampalati e irrealizzabili che al confronto le mie considerazioni risultavano logiche e ineccepibili. Vista da questa prospettiva, la nostra conversazione aveva dato i suoi frutti.

Taehyung mi aveva lasciato un messaggio stringato sulla segreteria del locale. Mi aveva dato il suo indirizzo e ricordato di arrivare puntuale. Tutto qui. Non so se volesse tenere le distanze per farmi agitare, o se volesse davvero essere freddo e professionale, vista la natura del nostro accordo. Io, comunque, sentii di nuovo le farfalle nello stomaco mentre andavo a casa sua.

Viveva in Insa-Dong. Tenuto conto che quel quartiere era rinomato per la vita notturna piuttosto movimentata, non ne fui sorpreso più di tanto. Abitava in un grande condominio e, com’era da aspettarsi, possedeva un attico panoramico. Il palazzo era così elegante da avere due portieri all’ingresso, un uomo e una donna. Erano in divisa, come se lavorassero in un albergo a cinque stelle, e subito mi pentii di aver scelto un abbigliamento tanto semplice. Avevo preferito abiti volutamente casual per inviare a Taehyung un messaggio inequivocabile: “Non voglio far colpo su di te. Voglio solo approfittare dell’assurda opportunità che mi hai offerto, e niente altro”. O almeno quello era il piano. Adesso però avevo paura che mi bloccassero all’entrata, prendendomi per un barbone, e non mi permettessero di arrivare nemmeno all’ascensore.

«Kim Taehyung?», chiesi alla donna.

Annuì e mi indicò gli ascensori, come fosse Vanna White alla Ruota della Fortuna.

«Grazie», dissi, e mi chiesi quanto potevano pagarla per un gesto così semplice: indicare a chi entrava dove erano gli ascensori, che inequivocabilmente si trovavano davanti all’ingresso. Forse guadagnava più di me, pensai stizzito.

All’interno dell’ascensore c’era ad attendermi un omino basso con uno stupido cappello in testa. Era in piedi sopra un panchetto, dritto come un fuso, e con un’espressione come a dire “sono superiore a te, anche se mi guadagno da vivere come addetto a un ascensore”.

«Piano?», chiese con voce nasale, calmo e compassato.

«L’attico, per cortesia». Avrei anche potuto dirlo con una punta di compiacimento. “Già, proprio così, piccoletto. Vado all’attico”.

Mantenne un’espressione impassibile mentre spingeva il bottone con una A sopra, poi restò in attesa con gli occhi semichiusi. All’improvviso si voltò verso di me e si picchiettò l’orecchio con aria complice. «Meglio restare in silenzio. Quando l’ascensore è fermo, ci ascoltano».

Inarcai un sopracciglio. «I suoi capi?».

Sbuffò con aria sprezzante. «Il governo».

Con un tonfo sordo l’ascensore si fermò in cima al palazzo, e lui subito riacquistò l’espressione impassibile di prima, fece il gesto di cucirsi le labbra, e mi strizzò l’occhio.

Anziché una porta in metallo cromato come quelle che avevamo trovato negli altri piani, arrivati all’attico ci si trovava in un enorme soggiorno chiuso solo da un paio di cancelletti in ferro battuto. L’addetto all’ascensore mise una chiave nei cancelletti e li sollevò, un po’ come avviene quando chiudono i negozi del centro commerciale abbassando le saracinesche.

Senza dire una parola, richiuse il cancelletto alle mie spalle e discese, lasciandosi dietro solo la tromba dell’ascensore in mattoni e una serie di funi e cavi tremolanti che servivano a far funzionare il mezzo.

Mi ero aspettato che Taehyung venisse ad accogliermi, invece l’abitazione sembrava deserta, anche se in sottofondo sentivo scorrere l’acqua. Mi aveva detto di presentarmi alle sei, e quando controllai il cellulare, ebbi la conferma di essere arrivato puntuale. Forse si aspettava di trovare la cena pronta appena uscito dalla doccia?

Ci fu un inequivocabile rapido zampettio sul parquet. Il cucciolo – Gremlin – aggirò l’angolo correndo e sbandò. Era una palla di pelo marrone, pulito e soffice, in modo quasi esagerato. Di sicuro si era avvalso dell’aiuto di un professionista per ottenere un risultato così eccellente, e non potevo certo biasimarlo per aver scelto di affidarsi a un’acconciatrice per cani. Il cucciolo sbatté contro la parete, si raddrizzò e mi venne incontro. Mi accovacciai per accarezzare quell’adorabile cagnolina, e mi guadagnai una raffica di baci umidi.

«Okay. Okay. Ho capito. Adesso sei pulita. E sei bellissima. Lui è gentile con te?».

Per tutta risposta mi ansimò in faccia, scodinzolando. Mi tirai su e mi guardai attorno. Mi sentivo un po’ un intruso, anche se sapevo che Taehyung mi stava aspettando. Pensavo che forse avrebbe preferito che lo aspettassi fuori, ma non c’era un vero e proprio ingresso né una porta a cui bussare.

«Taehyung?», chiamai. «Taehyung!», provai, alzando un po’ la voce stavolta. Non ricevetti risposta, così mi dissi che forse voleva che trovassi da solo la strada per la cucina. Attraversai il salotto principale situato sotto un ballatoio moderno in stile industriale, saldato alle pareti che avevano i mattoncini a vista. Tipico appartamento di uno scapolo miliardario, categoria elegante, raffinata ed extra lusso, non certo uno di quegli appartamenti da scapolo squallidi e orrendi.

Ero tentato di mettermi a curiosare in cerca di qualche sua fotografia da piccolo, o magari dei genitori, ma decisi di comportarmi in modo professionale.

La zona giorno era meravigliosa: il pavimento in parquet scuro, in stile antico, alle pareti una spettacolare collezione di quadri bellissimi, e una scultura a grandezza naturale di un uomo che sembrava esplodere in tanti minuscoli quadratini di metallo. Mi fermai un attimo davanti alla statua, sfiorai con le dita i quadratini e rimasi estasiato: sembravano fluttuare nell’aria come una nuvola attorno alla statua, anche se in realtà si trattava solo di un’illusione ottica. Visti di lato, quei minuscoli quadratini di metallo erano uniti in qualche modo ciascuno al quadratino che aveva dietro, e quindi poi alla scultura stessa.

Decisi di dare a Taehyung almeno un punto in più per il buongusto. Nei film sembra che ai ricconi di turno piacciano solo opere d’arte provocatorie: vagine di due metri, donne nude, oggetti fallici, sparsi nelle loro magioni. Quando si hanno tanti soldi forse quel genere di arte smette di essere considerato volgare e pacchiano, e diventa visionario, quasi utopistico. Secondo me, è solo strano. Ma a chi piace entrare in un’anticamera prima di andare a letto, con una vagina appesa al muro, per poi risvegliarsi ogni mattina rinascendo metaforicamente dall’utero materno? Oppure chi vuole sbattere la testa su un fallo alto quattro metri quando nel mezzo della notte va zitto zitto a cercare qualcosa nel frigorifero?

La cucina era bellissima. Le ampie finestre lasciavano entrare una marea di luce: il secondo livello dell’attico, inoltre, era un ampio spazio aperto che rendeva gli ambienti ariosi, cosa a cui non ero abituato a Seoul. Il tinello era zeppo di strumenti utili per cucinare, quindi mi apprestai a pensare al menu.

All’improvviso sentii qualcuno usare una bomboletta spray. Mi voltai e vidi Taehyung appoggiato allo stipite della porta con indosso solo un asciugamano bianco stretto ai fianchi. Si stava spruzzando della panna montata sui capezzoli.

«Oh, ciao», disse con voce sensuale e al tempo stesso ironica. «Stavo mettendomi qualcosa addosso per essere presentabile».

Mi coprii gli occhi con una mano, sebbene devo ammettere che era davvero dura non sbirciare. Gli avevo visto il torso nudo solo di sfuggita, ma era bastata quella rapida occhiata per capire che aveva un fisico da sogno. Ogni singolo muscolo era definito alla perfezione e spiccava sul torace asciutto, senza un grammo di grasso, equilibrio armonioso tra fisico possente e corporatura slanciata. Poteva passare benissimo per un atleta professionista. Se solo tutto quel ben di Dio fosse appartenuto a un tipo un po’ meno presuntuoso, vanitoso e arrogante!

«Dev’essere uno scherzo», dissi. «Non hai mai sentito parlare di molestie sul luogo di lavoro?»

«Luogo di lavoro? Ma questa è casa mia», disse, con aria offesa.

«La casa in cui mi hai chiesto di venire a lavorare».

Sospirò. «Giusto. Se vuoi fare la guastafeste, allora vado a prendere… merda! Gremlin!».

Sentendogli alzare la voce, sbirciai da dietro le dita, giusto in tempo per vedere il cucciolo attaccarsi all’asciugamano con tutto il suo peso, e tirarlo giù. Mi rimisi le mani sugli occhi, le guance in fiamme per l’imbarazzo. «Non sta succedendo sul serio», dissi.

«Aspetta». Sentii che spruzzava altra panna. Due volte. Poi un’ultima, più breve. «Okay. A posto così. Sei sicuro che non muori dalla voglia di mangiare qualcosa di dolce? Ho delle ciliegie in frigorifero, se non ti va un sundae alla banana».

«Non potresti semplicemente riprenderti l’asciugamano che ti ha strappato un esserino che pesa solo due chili e mezzo?»

«Mi hai detto di essere gentile con lei».

Gli diedi la schiena. «Per cortesia, puoi andare a vestirti?»

«E cosa dovrei farci con tutta questa panna montata?»

«Forse avresti dovuto pensarci prima di comportarti come un bimbo di due anni».

Sospirò. «Sai, Pasticcino, le parole possono ferire. Ricordatelo».

Mentre si allontanava, sorrisi e alzai gli occhi al cielo. Gremlin gli trotterellò dietro. Avrei voluto che Taehyung non mi piacesse così tanto. Sarebbe stato più facile. Invece possedeva per natura una spensieratezza e una leggerezza che non avevo mai trovato in nessun altro. A lui non sembrava di infrangere alcuna regola – in realtà, non si era mai curato di impararne neppure la metà. Una bravata come la sua, compiuta da qualunque altro uomo, mi avrebbe fatto scappare a gambe levate, una volta rimasto solo. Invece da lui me l’ero quasi aspettata, e non mi sentivo in pericolo. Aveva un modo di fare alla mano, accomodante. Ero certo che sapeva a priori come avrei reagito al giochino della panna montata, eppure lo aveva fatto comunque, solo per divertirsi.

Fortunatamente, tornò vestito, così il mio cervello poté ricominciare a funzionare. Quando l’avevo visto mezzo nudo, infatti, ero rimasto frastornato come se fossi sintonizzato contemporaneamente su due stazioni alla radio.

«Devo chiederti una cosa», dissi mentre cucinavo – pietanza semplice, verdure e pollo saltati in padella, ma cucinati con il mio mix segreto di spezie e condimenti che lo avrebbero lasciato a bocca aperta. «Tutto questo è un gioco per te, o fai sul serio?»

«Eh?», fece interrogativo. Era seduto a tavola e giocherellava col cellulare mentre io cucinavo. Si era messo una camicia elegante nera e un paio di pantaloni grigi, ma era scalzo, le scarpe non erano poi così importanti. I capelli scuri erano ancora un po’ umidi, e il fatto che fossero arruffati mi faceva venir voglia di passargli le mani in testa per pettinarli e domarli un po’.

«Allora», dissi, facendomi coraggio. Non avevo intenzione di passare per il ragazzetto mite e sprovveduto, senza carattere. Ero un uomo adulto, e meritavo di sapere cosa stava succedendo. «Vuoi solo portarmi a letto, o c’è dell’altro?»

«Caspita, niente giri di parole, ci vai giù pesante», disse, sollevando lo sguardo dal telefonino. «Questo è un luogo di lavoro. Hai mai sentito parlare di molestie sul luogo di lavoro? Francamente in questo momento mi sento un po’ in pericolo. A disagio, perfino».

Apppoggiai le mani sui fianchi, e mi sentii molto simile a mia nonna mentre lo aggredivo. «Non provarci neppure», dissi, colpendolo con la spatola. «Ritieniti fortunato se non…».

«Cosa? Se non ti rivolgi alle Risorse Umane? Faccio un corso di sensibilizzazione sul rispetto in ambito lavorativo, se ammetti che non lo hai trovato divertente. Una sola parola e mi iscrivo. Te lo giuro».

Strinsi le labbra, ma non riuscii a trattenere un sorriso. «Hai avuto un comportamento immaturo e infantile».

Mosse la mano come per dire “va’ avanti”.

«Ma è stato abbastanza divertente».

«Lo sapevo!», esclamò, sollevando i pugni in aria. «L’ho visto una volta in un film e da allora l’ho sempre voluto fare. Dovevo solo aspettare il ragazzo giusto».

Silenzio.

«Sai», aggiunse un po’ troppo in fretta. «Uno che non facesse tante storie per una sciocchezza simile. Tu sei forte. Nemmeno troppo bacchettone. Ne ho già abbastanza di persone rigide nella mia vita, tipo il signor Banana».

«Chi?», domandai. Feci di tutto per concentrarmi, anche se continuavo a chiedermi cosa avesse voluto dire con “il ragazzo giusto”: morivo dalla voglia di fargli il terzo grado, ma mi stavo sforzando di non pensarci.

«Namjoon. Per lui il rito della banana quotidiana è sacro. La vuole di un certo tipo. A un orario specifico. Cazzo, è stato proprio così che ha conosciuto Seokjin. Lui gli mangiò la banana proprio il giorno in cui doveva fare il colloquio di lavoro con noi. Sono quasi certo che Namjoon decise di assumerlo per punirlo, per quanto possa sembrare stupido».

«Hai eluso la mia domanda», dissi. «Che intenzioni hai? Che senso ha tutto questo?».

Sorrise, inarcando le sopracciglia. «In verità non lo so. Di qualunque cosa si tratti, per me è una novità».

«Cosa? Ma dài. Di sicuro hai un ragazzo diversa ogni settimana».

«Non in quel senso…», abbassò lo sguardo, e per la prima volta colsi un raro momento di introspezione. «Diciamo che non ho mai offerto il lavoro a un uomo che mi piace. Inoltre di solito non ho la pazienza di aspettare che qualcuno mi dia quello che desidero. O me lo prendo quando dico io, oppure lascio perdere e volto pagina. Con te, però, è diverso».

«Un uomo che ti piace?». Il cuore mi martellava in petto come quando alle scuole medie mi capitava di ricevere un bigliettino dal ragazzo per cui avevo una cotta.

«Non guardarmi così. Potresti riempire questa stanza di persone pronte a dirti quanto sono stronzo. Forse avevi ragione a tenermi a distanza».

Ammiccai. «Magari sono solo interessato ai tuoi soldi».

Rise. «Ne dubito. Ho avuto abbastanza a che fare con gli uomini da sentire la puzza di quelli interessati solo ai soldi a chilometri di distanza. Cazzo, non mi hai neppure fatto i complimenti per questo splendido appartamento. Hai anche cercato di dissuadermi dal rivederti, mossa che non è esattamente tipica di un avido approfittatore».

«Magari sono solo più furbo degli altri cacciatori di dote che hai conosciuto in passato».

Si alzò, mi si avvicinò e io mi spinsi contro il bancone per evitare di ritrovarmi attaccato a lui. Le verdure e il pollo sfrigolavano. Sapevo che avrei dovuto rimescolarli, ma adesso non riuscivo a concentrarmi. Riuscivo solo a pensare al suo odore e al fatto che, qualche minuto prima, lo avevo visto a torso nudo e tutto bagnato, appena uscito dalla doccia. Quel corpo perfetto era separato dal mio solo da qualche strato di vestiti e un filo d’aria.

Un brivido mi percorse tutto.

«E così tu saresti furbo?», chiese. Il suo alito era caldo e profumava di menta. Aveva soffiato delicatamente ogni sillaba sul mio viso. «Non da quel che vedo». Mi accarezzò con lo sguardo, con lentezza, senza battere ciglio, come se la nostra vicinanza e l’effetto evidente che lui aveva su di me non lo turbassero affatto. «Allora», disse, abbassando lo sguardo su qualcosa che aveva in mano, «chi è G-rizzle

«Cosa?», chiesi. I miei occhi seguirono i suoi. Stava guardando il mio cellulare – che non so come fosse finito misteriosamente nelle sue mani. C’era la notifica di un messaggio sullo schermo. Sfortunatamente, la parte di testo che si vedeva nell’anteprima era sufficiente a provocare il suo bel terremoto emotivo. «G-rizzle: il ragazzo è già nel sacco? Voglio i particolari…».

«G-rizzle in realtà è mia nonna, “la vecchia lagnosa”», dissi lentamente. «Trova inconcepibile che una donna anziana viva fuori dal mondo, quindi studia spesso Urban Dictionary e inserisce strane espressioni dello slang che trovo raccapriccianti. Ha ottantacinque anni, e ogni volta che ci vediamo cambia il suo nome nei miei contatti mettendone uno diverso che mi fa sempre vergognare».

Gli comparve un sorriso sulle labbra. “Dio, che belle labbra”. Mi accorsi che le fissavo, così riportai subito lo sguardo sui suoi occhi, sperando che non se ne fosse accorto. «Capisco. Quindi G-rizzle è tua nonna. E questo ragazzo che stai cercando di “mettere nel sacco”? Cosa sarebbe? Una specie di sacco per cadaveri? Devo preoccuparmi?»

«Di essere messo in un sacco o che ci sia un altro ragazzo?»

«Oh, merda. Entrambe le cose? Magari potremmo mettere l’altro ragazzo nel sacco per cadaveri».

Scoppiai a ridere. «Ce n’è solo uno. Un solo ragazzo», dissi, sentendomi un po’ stupido. Taehyung non aveva nulla del ragazzino, a parte forse quel lampo malizioso che gli brillava sempre negli occhi. «Penso che lei intenda… be’, in realtà sì, facciamo finta che si tratti di un sacco per cadaveri».

«Ahh», disse, annuendo. «E così avresti detto a tua nonna che speravi di portarmi a letto, vero? Bugiardo. Ho praticamente messo segnali luminosi a terra per guidarti in camera mia, ma tu ci sei passato accanto senza vederli, dal primo all’ultimo, neanche fossi Stevie Wonder».

«Che mancanza di sensibilità», dissi, ma non riuscii a trattenere una risatina.

«L’insensibilità è una delle mie tante doti naturali. Ma non cambiamo argomento. Perché la G-rizzle pensa che tu voglia portarmi a letto?»

«Perché è un po’ fuori di testa?», provai a dire. «Non le ho neppure detto come ti chiami. Sono stato attento a non parlare di te più dello stretto necessario».

«Capisco. Quindi devi sforzarti per non parlare di me. E ti trovi spesso a dover vincere la tentazione di pensarmi e di parlare di me? Specialmente di notte, a ore insolite?».

Schiusi le labbra per rispondergli – chissà poi cosa – ma all’improvviso ci accorgemmo, nello stesso momento, della puzza di bruciato.

«Merda!», sibilai.

Taehyung dovette fare un passo indietro perché io riuscissi a voltarmi. Tolsi la padella dal fornello, ma il danno ormai era fatto. Accesi l’aspiratore al massimo, posai le mani sul piano della cucina, e mi sfuggì un sospiro di disappunto al pensiero del cibo bruciacchiato.

«Cucina cajun», disse Taehyung.

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