Capitolo 14

TAEHYUNG'S POV:

⚠️allarme MLML⚠️


Con Jungkook decidemmo di restare in campagna per quel giorno, e poi per quello successivo, e per quello dopo ancora. Jungkook continuava a dire che doveva tornare per una gara che sarebbe stata utile alla sua bakery, e che si sarebbe tenuta di lì a due giorni. Gli promisi che mi sarei occupato del viaggio di ritorno e avrei riportato in città lui e tutte le attrezzature necessarie, in tempo per la competizione. Avevo affittato un piccolo bungalow nelle vicinanze della cittadina in cui viveva la sua terribile nonnina. Era un bel cambiamento rispetto alla solita vita, ma prima di allora non mi ero reso conto di quanto avessi bisogno di aria fresca.

Stavamo passeggiando lungo un piccolo ruscello che scorreva pigro, gli uccellini cinguettavano, e sprazzi di luce screziata filtravano tra le foglie degli alberi. Era il classico quadretto di pace campestre, così idilliaco e scontato da risultare quasi stucchevole, ma vedevo che a Jungkook piaceva, e questa era l’unica cosa che contasse per me.

«Ecco, una normale passeggiata tra due persone normali», dissi.

Jungkook camminava con la mano intrecciata alla mia, come fossimo due dodicenni. «Parla per te. Io sono una persona normale. Quello pazzo sei tu».

«Pfui. Ho un solo disturbo clinico. Non bisogna averne almeno due per essere ritenuto pazzo? E inoltre, quand’è l’ultima volta che mi hai visto rubare qualcosa?»

«Uhm, vediamo se riesco a fare un elenco cronologico, dal momento in cui sei comparso alla casa di riposo in poi. La busta di popcorn, il telecomando dell’albergo la prima sera, i miei slip, l’ultimo bagel di quel povero anziano durante la colazione continentale…».

«Era senza denti! Cosa ci avrebbe fatto? Avrebbe continuato a masticarlo finché non gli si fosse sciolto in bocca?»

«Magari aveva la dentiera sul tavolo. Che ne puoi sapere».

Sorrisi. «A essere sincero, ho visto che non aveva i denti solo dopo averglielo fregato».

«Visto! Sei un animale senza pietà».

«Non è affatto vero. Un animale non potrebbe neppure sperare di raggiungere il grado di raffinatezza d’ingegno che possiedo io. Impossibile».

«Mostri tutto il tuo acume in modo così plateale e sfacciato che nessuno ti prende sul serio».

Scrollai le spalle. «Ogni uomo ha le sue doti».

Sorrise, e caspita quant’era bello – quando sorrideva, quando aggrottava la fronte, quando metteva il broncio. Indossava una maglietta che avevamo preso in un’area di servizio, e un paio di pantaloncini da ginnastica, perché nessuno dei due si era portato nulla da casa: infatti non avevamo preventivato di venire in campagna per restarci più giorni, e i negozi d’abbigliamento veri e propri erano troppo lontani per scomodarci ad andare fin lì. Avevo insistito perché comperasse solo quella maglietta su cui era scritto “Queste tette appartengono a una camionista sexy”. Sulla mia invece c’era un camion della spazzatura con la scritta “Carico svuotato”. Anche se Jungkook non aveva trovato le magliette così divertenti, mi aveva assecondato ed era stato al gioco.

In maglietta e pantaloncini, o con un abito elegante, era sempre splendido, e dovevo fare un continuo sforzo su me stesso per non sbatterlo per terra o contro un muro e scoparmelo lì, seduta stante.

Si inumidì le labbra. «È vero, hai qualche dote. Ma più che altro mostri il meglio di te in quel che fai a luci spente».

«Aspetta un po’, il sesso sarebbe bello solo a luci spente? Mi vuoi mettere un sacchetto di carta in testa, adesso?»

«A volte sei sfiancante, sai?»

«Così mi hanno detto. Comunque, mi metto subito all’opera». Lo presi per mano, lo portai verso un albero, e lo bloccai delicatamente contro il tronco. Eravamo abbastanza isolati in quel punto. Il nostro bungalow era distante più o meno un chilometro, alla nostra sinistra c’erano delle colline ricoperte di boschi e alla nostra destra una valle attraversata dal ruscello. Dubitavo che qualcuno dalla cittadina si avventurasse fin lì per fare una passeggiata, ma un cacciatore avrebbe sempre potuto scambiarci per due animali in calore. Oh, be’. La vita è fatta di rischi.

Gli alzai la maglietta e mi chinai per baciargli la pancia, mentre gli tenevo i polsi sollevati sopra la testa.

«Ehi!», rise. «Pensavo di averti detto che le tue qualità migliori si esprimono soprattutto a luci spente. E invece adesso il sole splende alto».

«Esatto. Voglio dimostrarti che hai torto. Me lo hai chiesto tu, in fondo».

Ammiccò, puntandomi gli occhi addosso. «Barbaro».

Ringhiai. «Un barbaro ti spoglierebbe a morsi. Io sono più civilizzato».

«Forse non dovresti», disse. La voce gli era già diventata più roca, e il mio membro scattò sull’attenti come un soldato chiamato dal superiore. Le truppe erano in stato di massima allerta dall’istante in cui avevo conquistato la “ciliegia” di Jungkook a bordo della scialuppa di salvataggio. Bastava un minimo incoraggiamento e avrei sfoggiato un’erezione da far impallidire un ragazzino delle medie nascosto nello spogliatoio delle ragazze.

«Ti amo quando mi stuzzichi con allusioni sconce».

Restammo un tantino pietrificati entrambi. Ops. Una bomba involontaria quel “ti amo”. Decisamente imbarazzante.

«E quando non ti stuzzico?».

Mi si formò un nodo in gola. Da sempre facevo battute su tutto e non prendevo quasi nulla sul serio, ma mi risultava difficile credere che Jungkook in quel momento stesse giocando. Era serio. Era autentico e, più di ogni altra cosa al mondo, io volevo evitare di combinare casini con lui. «Si potrebbe dire che, anche in quel caso, ti amo».

Lentamente gli comparve un sorriso, poi si morse il labbro inferiore, di lato.

«Forse anch’io provo lo stesso sentimento per te».

«Dovresti essere più preciso».

«Anch’io ti… ti amo».

Non mi aspettavo la vampata di calore che mi esplose in petto. Sinceramente, quella reazione mi fece sentire un po’ una femminuccia, ma stavo per compiere l’atto più virile che un uomo gay alpha conosca per esprimere la propria mascolinità: succhiargli l'uccello; quindi non era il caso di rimuginarci troppo. Era un po’ strano che il rimedio per non comportarsi da femminuccia fosse proprio succhiarglielo, ma uomini ben più saggi di me avevano stabilito le regole della virilità, e io non avevo alcuna intenzione di metterle in discussione. A voler essere sinceri, in questo momento non mi importava molto della mia mascolinità. Mi sentivo semplicemente felice.

Mi raddrizzai e sollevai Jungkook in vita, quasi volessi fare un esercizio per le braccia coi pesi.

Scoppiò a ridere, mi afferrò le mani e si chinò in avanti. A quel punto persi un po’ l’equilibrio e mi sbilanciai all’indietro. Riuscii a piegare le gambe e lui ricadde sopra di me. «Adesso farai una qualche battutina stupida sul fatto che hai perso la testa per me e sei caduto ai miei piedi?»

«No», risposi. «Questo è il momento in cui ti dico che ho voglia di assaggiare di nuovo la tua torta di ciliegie, anche se per farlo dovessi strapparti i vestiti a morsi».

«Dimentichi di aver già mangiato la mia “ciliegia”?»

«La mia memoria è un po’ labile. Forse conviene ripetere l’esperienza per darle una rinfrescatina?».

Lo rigirai, lo feci distendere supino e gli sorrisi.

«Oppure dovrei rifare io quella cosa che ti piace tanto?»

«Oh. Oh». Mi fermai di colpo, mi spostai, mi sdraiai di schiena e cominciai a togliermi i pantaloni.

Si mise a ridere. «Signor Fregola, eh?». Si mise carponi e cominciò ad avvicinarsi. «Ripeti un po’ quello che mi hai detto?», abbassò il tono di voce, imitando in modo impressionante il mio. «Un pompino ben fatto è tutta questione di denti». E, mentre mi veniva incontro, fece finta di masticare con vigore.

Mi misi a ridere e strisciai un po’ all’indietro. «Veramente, no. Sono abbastanza sicuro di non averti mai detto una cosa simile».

Si inumidì le labbra e si fece più vicino. Mi appoggiai sui gomiti, per essere sicuro di vederlo bene quando si fosse messo all’opera. La sera prima mi aveva fatto il primo pompino della sua vita: dovevo ammettere che c’era ancora un po’ da lavorarci, ma ero ben lieto di godermi il meraviglioso spettacolo di vederlo far pratica.

Avvolse il glande tra le labbra. Il mio corpo rispose con un brivido di piacere. Le sue labbra erano calde e bagnate, e sentii la punta della sua lingua posarsi sul mio sesso. «Sicuro che non vuoi che usi i denti?», mi chiese, tenendo in mano la mia asta e parlandoci sopra come fosse un microfono.

Scoppiai a ridere. «Mai stato più sicuro di così in vita mia».

Abbassò il viso e lo prese tutto in bocca, poi lo leccò dalla base fino alla punta. Infine lo baciò e sorrise. «Mi sento in vena di dare un nome alle posizioni che mi hai insegnato. Questa potremmo chiamarla il grattacielo».

Mi portai una mano alla fronte. «Okay, se vogliamo dare un nome alle varie posizioni, perché non mi mostri lui non può più parlare perché sta facendogli un pompino?».

Aprì la bocca e posò i denti sul mio membro, stringendo appena. «‘a eh i me’ o a ere ca’ o co’ e».

Lo guardai senza parlare per un po’, un’espressione divertita in viso, finché spostò la bocca e si schiarì la gola. «Ho detto che “faresti meglio a essere carino con me”. Altrimenti potresti pentirtene, sei a tanto così da un bel morsetto».

«Pensiero incoraggiante mentre ti appresti a farmi un pompino. Sai una cosa? Forse è meglio se la piantiamo qui. Torniamo a casa e concludiamo la serata facendo la parte della coppia sposata da anni. Se ci sbrighiamo, facciamo anche in tempo a guardare la replica di qualcosa in televisione».

Un lampo di determinazione gli attraversò lo sguardo e un sorrisetto sexy si disegnò sulle sue labbra. E a quel punto si mise all’opera. Non ci fu neppure un vago accenno di denti: cominciò a muovere la testa su e giù lungo tutta la mia asta, mentre la stringeva in mano e faceva ruotare la lingua calda e bagnata attorno al mio membro.

«Guardami», dissi.

Sollevò lo sguardo, con l’erezione ancora in bocca. Quegli occhioni grandi e quelle labbra carnose erano davvero perfetti.

«Cazzo», gemetti. «Potresti riconsiderare la questione del “non venirti in bocca”?»

«No», farfugliò senza spostarsi.

Appoggiai la testa per terra e sorrisi. Aveva detto che si sarebbe sentito in imbarazzo se gli fossi venuto in bocca. Ah. Lo dicesse ai miei poveri spermatozoi che sarebbero stati sterminati di lì a poco sul prato. Ne sarebbero morti milioni. Un vero genocidio. Ma non potevo essere arrabbiato né chiedere troppo alla mia buona stella. Era già assolutamente meraviglioso il modo in cui la lingua e le labbra di Jungkook mi avvolgevano, piacevolissima sorpresa.

A un certo punto cominciò a pompare con la mano al ritmo giusto e dovetti premere la testa per terra e chiudere forte gli occhi.

Accidenti, morivo dalla voglia di venirgli in bocca. Più qualcuno mi diceva che non potevo fare una certa cosa, più desideravo farla con tutto me stesso.

«Sei sicuro?», chiesi. La voce mi uscì un po’ roca, ma sono certo che mi sentì, anche se non rispose subito.

Si ritrasse un po’, strinse l’asta, vi appoggiò sopra le labbra come se stesse di nuovo parlando al microfono. «Basta domande. Grazie», disse in tono formale, poi si rituffò giù e ricominciò.

Accidenti.

Il mio corpo era in fiamme, e sapevo che non avrei resistito a lungo. A quanto pareva, Jungkook imparava alla svelta.

Chiusi di nuovo gli occhi e lasciai che mi portasse all’estasi, un affondo dietro l’altro. Sentivo la mente confusa e, più aumentava la sensazione di piacere, più mi sembrava che, da un momento all’altro, potessi librarmi nell’aria.

«Okay», dissi. «Cazzo, sto per venire».

Ma lui non si spostò, anzi, fissò gli occhi nei miei. E in quel momento fui di nuovo travolto dall’amore per lui. Anime gemelle. Lo sapevo. Quell'uomo era la mia anima gemella.

Aumentò il ritmo. Poco prima di venire, tutto il mio corpo si irrigidì. Quando raggiunsi l’orgasmo, lui si fermò, le labbra strette attorno al mio membro e gli occhi un po’ spalancati per lo shock, la paura, o la meraviglia – non saprei dire, ma avrei scommesso sulla meraviglia.

Alla fine, si tirò su, si voltò e si sedette sui talloni. Lo osservai in attesa di vedere cosa avrebbe fatto, se avrebbe sputato lo sperma o lo avrebbe ingoiato. Aspettai.

«O lo sputi, oppure lo in…», cominciai, ma si piegò in avanti e lo sputò nel prato prima che finissi la frase. Poi si pulì la bocca con il dorso della mano.

Sorrisi. «O lo ingoi».

«Oh», disse, e si guardò il dorso della mano. Inarcò un sopracciglio, si portò la mano alla bocca, e se la leccò.

«Ti amo», dissi.

«Lo spero bene. Dalla prima volta in cui ho sentito parlare di pompini, ho detto che non avrei mai permesso a un ragazzo di venirmi in bocca».

«Sono davvero onorato. Ma adesso devi dirmelo anche tu, altrimenti divento insicuro».

«Anch’io ti amo, e comunque sei adorabile quando sei disperato, in preda alle tue voglie».

«Esatto. E ora le coccole toccano a te. Ricambio subito il favore». Ebbe solo il tempo di inarcare le sopracciglia. Poi lo sdraiai sul prato e mi misi all’opera.

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