Capitolo 13

JUNGKOOK'S POV:

«Gli hai detto “Hasta la vista, baby”?», mi chiese la nonna ridendo a crepapelle, tanto che riuscii a capirla a stento.

Le rivolsi un sorrisetto poco convinto. «No. Solo dopo avergliela tirata, mi sono venute in mente una decina di cose anche più fighe che gli avrei potuto dire».

Rise ancora più forte. «Buon per te, bambino mio. Buon per te».

«Mi piacerebbe che fosse davvero così “buon per me”. Invece mi sento come “costretto” a odiarlo per quel che ha fatto, anche se in realtà vorrei solo perdonarlo e sistemare le cose. Sento che devo essere incazzato, ma non mi viene spontaneo».

«Lascia che ti dia qualche consiglio, bambino mio». Cominciò a distribuire le carte agli anziani dallo sguardo poco vispo, seduti al tavolo da poker con lei. Io le ero seduto accanto su una sdraio pieghevole, al centro della sala da gioco della casa di riposo dove viveva. «Se merita di essere perdonato, si farà lui perdonare da te».

«In che senso?»

«Ascoltami bene, perché più si avvicina la mia dipartita, più diventano importanti le cose che ti dico. Tesoro mio, sono già parecchio anziana, molto più di tanti altri, quindi le mie parole sono come oro colato».

Sorrisi. «Ho capito, nonna. Ti ascolto, anche se sei troppo cocciuta per morire, quindi la tua tesi non è valida».

Mi guardò con occhi furbi. «Per questa ragione mi circondo di morti viventi. Se la morte viene a bussare alla mia porta, posso indicarle un mucchio di altre persone che la seguirebbero opponendo molta meno resistenza di me».

«Ehi!», gracchiò l’uomo che aveva di fronte.

«Oh, taci, Minseok. Lo sai che non mi riferivo a te».

Compiaciuto della risposta, annuì. Gli tremava leggermente la testa e le labbra ebbero un fremito quando abbassò lo sguardo sulle carte che teneva in mano.

Lei inclinò la testa verso di me, e mimò con le labbra: “Mi riferivo proprio a lui”.

«Stavi per darmi un tuo prezioso consiglio?»

«Sì, certo. La cosa più piacevole al mondo è quando un bel pezzo d’uomo si mette in ginocchio davanti a te, perché vuol dire che sta per succedere una di queste due cose. E ti dirò anche come fare a sapere quale delle due. Se non indossi gli slip, vuole succhiartelo, e la cosa è meravigliosa per ovvie ragioni. Se invece li indossi, si sta umiliando e ti supplica di perdonarlo. E così, mia caro, uomini passivi omosessuali come te mostrano un bel dito medio a tutti quelli che pensano che gli uomini alpha comandino. Non c’è nulla di più appagante a questo mondo che detenere un simile potere nelle proprie mani. Quindi quando un uomo ha combinato un guaio, ed è giusto che si umili per chiederti perdono, tu aspetti. Se merita di essere perdonato, verrà da te con fiori e scuse per giorni e giorni. E tu ti crogiolerai in questa profusione di atti penitenziali per tutto il tempo che riterrai opportuno».

«E dopo?»

«Dovrà dimostrarti che è davvero pentito. Ma sarai tu a decidere quando avrà finito di pagare il suo debito per essersi comportato da idiota. Tutto qui».

Scossi la testa, sorridendo. «E se non viene in ginocchio a chiedermi perdono?»

«Allora, prima di tutto non era degno di te. Ti lecchi le ferite e vai avanti con la tua vita. Sei ancora giovane, bello e in gamba. Essere giovani significa combinare casini fino a quando non si fa la cosa giusta. Più semplice di così!».

«Grazie, nonna. Una volta tanto mi hai dato un consiglio che posso mettere in pratica».

«Oh, ti ho detto che non esiste momento migliore per avanzare qualche richiesta? Vuoi una nuova auto, il permesso di infilarti un po’ in altri letti, qualche gioiello? Questo è il momento di osare».

«Eccola qui», risi. «La parte in cui i tuoi consigli diventano pura follia».

Mi strizzò l’occhio. «Non potevo mica deluderti». Abbassò le carte e rise. «Minseok, sei un rimbambito, e adesso sei un rimbambito con dieci dollari in meno. Paga, vecchio bacucco».

Scostai la sedia all’indietro e mi alzai. Fare una passeggiata all’aria aperta mi avrebbe aiutato a schiarirmi le idee. Quando mi girai, vidi Taehyung in fondo alla sala con una busta di popcorn in mano.

Lo guardai con un’espressione incredula in viso.

«Scusate», disse. «Qualcuno deve averla lasciata qui fuori, vicino al microonde. Mi stava praticamente implorando di prenderla. Vedo che siete occupati, quindi pensavo…», si interruppe, poi lentamente si mise in bocca qualche popcorn.

Al suono della sua voce anche mia nonna si voltò, un sopracciglio inarcato. «Figliolo, farai meglio a metterti in ginocchio alla svelta e a chiedere perdono se non vuoi che ti spacchi in testa il deambulatore di Minseok».

«Ehi!», si lamentò quest’ultimo.

«Taci», gli ringhiò lei senza distogliere lo sguardo da Taehyung.

Lui appoggiò di lato la busta di popcorn e si inginocchiò, allargando le braccia. Provai un senso di colpa vedendo che aveva il naso un po’ violaceo e un occhio leggermente gonfio. «Ti chiedo scusa se non ho avuto la decenza di morire quando mi hai tirato in faccia la tua torta di ciliegie che pesava più di venti chili».

«Era davvero così pesante?», chiese la nonna.

«Nonna», dissi a mezza bocca. «O fai la spettatrice muta, oppure mi costringi a far strisciare Taehyung fuori di qui per fargli finire il discorso».

«Non sono d’accordo sulla necessità di strisciare».

«Anche tu taci», scattai. Gli puntai un dito accusatorio contro. «Puoi parlare solo se hai intenzione di chiedermi scusa».

Nonna fece segno di cucirsi le labbra, e Taehyung attese paziente. A onor del vero, c’era da riconoscergli che sembrava prendere la cosa piuttosto sul serio, e per uno che non prendeva nulla sul serio, equivaleva già a un bel passo. Forse ci teneva davvero.

«Va’ avanti», dissi.

«Hai dei bei piedi. Non li avevo notati prima, ma disteso a terra ho visto che sono davvero belli ed eleganti, ben fatti, e io non sono un leccapiedi. Quindi puoi crederci».

«Taehyung…», lo avvertii.

Il sorriso si spense sulle sue labbra e, per una volta tanto, sembrò davvero farsi serio. «Jungkook, ti chiedo scusa. Sono stato uno stronzo, ma non uno di quelli che ti escono dopo qualche spinta, bello, dalla forma perfetta, frutto di una dieta equilibrata. No, uno stronzo di quelli che non piacciono a nessuno».

Attesi, le braccia incrociate. In verità ero già pronto a perdonarlo. Mancanza di carattere da parte mia, lo so, ma lui mi piaceva. Mi piaceva come mi faceva sentire. Mi piaceva che condisse con un po’ di umorismo tutto quello che lo riguardava. E mi piaceva anche che mi chiedesse scusa buttandola un po’ sullo scherzo, senza tanti discorsi strappalacrime che mi avrebbero fatto piangere a dirotto. Ma, per quanto mi sentissi un po’ in colpa, era divertente vederlo in ginocchio a supplicarmi di perdonarlo. Meritava di umiliarsi, almeno un po’.

«Sono stato un idiota».

«Su questo siamo d’accordo», dissi. «Potrei sapere come hai fatto a trovarmi?»

«Un uomo ha i suoi segreti».

Abbassai le braccia e le incrociai di nuovo, come fanno certi personaggi nei film quando ricaricano armi già cariche, solo per dare più enfasi alla scena. E funzionò.

«Se proprio devo dirtelo», disse, «ho trovato il numero di tua sorella sull’elenco telefonico… sì, esistono ancora gli elenchi telefonici in certi angoli sperduti del mondo. L’ho chiamata, e prima con qualche minaccia, poi con un po’ di opera di convincimento, sono riuscito a farmi dire dove saresti andato se qualcuno ti avesse fatto incazzare».

«Sono molto colpito che Dawon lo sapesse».

«Be’, non darle troppi meriti. Il primo posto che mi ha detto è stato il reparto gelati del supermercato vicino a casa tua. Ma avevano ancora il magazzino pieno di Rocky Road, il gelato al cioccolato con granella di nocciole e marshmallow, quindi ho scartato l’idea che tu fossi lì. Sorridi. È un buon segno?»

«No», si intromise mia nonna. «Non ti perdonerà mai dopo questa sottospecie di discorsetto per chiedergli perdono, vero caro?».

Mi schiarii la voce. «Certo che no».

Taehyung fulminò la nonna con lo sguardo. «Sa, Jungkook mi ha detto che lei impara continuamente nuove espressioni dello slang. Ha mai sentito “tarpare le ali all’uccello”?»

«Certo, mi pare di averla letta l’anno scorso in uno dei libri più famosi di Mark Manson».

Io e Taehyung la guardammo perplessi.

Indicò Minseok, che distolse lo sguardo dalle carte che aveva in mano e la guardò anche lui confuso.

Gemette, frustrata. «Ti ho detto, Minseok, vecchio scoreggione, che quando dico quella frase tu devi dire il titolo del libro».

«Be’, ho dimenticato quel dannato titolo».

«È La nobile arte di fottersene. Okay? E così, la battuta finale è rovinata, grazie a Minseok».

«Comunque», Taehyung si rimise in piedi e si pulì le ginocchia. «Forse sarebbe meglio se concludessimo la questione in privato».

«Non troppo in privato», lo avvertì la nonna. «Non permettergli di portarti a letto fino a quando non se lo sarà meritato, Jungkook. Intesi?».

Mentre seguivo Taehyung fuori, finsi di non aver sentito quel che la nonna mi aveva detto. Era una bella giornata, e c’erano parecchi alberi in giardino, sotto i quali ripararci dal sole del tardo pomeriggio. La casa di riposo della nonna si trovava in campagna, appena fuori Seoul, ed era un posto molto più bello di quello che molte persone pensano.

«Vuoi che mi rimetta in ginocchio?», mi chiese. «Perché se vuoi, lo faccio».

Scossi la testa. «No. Taehyung, voglio essere sincero con te. È stata davvero una bella botta quando mi hai accusato di tutte quelle brutte cose, e ci sono rimasto davvero male. Non credo che possa dimenticarmene tanto facilmente solo perché mi dici che sei dispiaciuto».

«E io non mi aspetto che tu lo faccia. Sono io che ho fatto una cazzata, ma, accidenti, quale modo migliore per iniziare una storia? Da qui in poi, possiamo solo migliorare, no?»

«Be’, tecnicamente le cose potrebbero anche peggiorare. Potresti tenermi prigioniero nel seminterrato dicendomi “spalmati la crema”».

«Non lo farei mai. Ti direi “ehi, eccoti la crema. Spalmatela, così la tua pelle sarà più elastica quando me la metterò addosso?”».

Scoppiai a ridere. Era davvero difficile rimanere arrabbiato con lui. «Perché non torni a fare il bastardo così riesco ad avercela un po’ con te? Ti prego!».

«Solo se alla fine facciamo pace con del buon sesso riparatore, selvaggio e passionale».

«Non penso».

«Allora no. Cercherò di farmi perdonare, anche se dovessi impiegarci giorni».

«E te la cavi così?», chiesi, inarcando le sopracciglia. «Con qualche giorno di scuse».

«Giorni. Plurale. Volevo dire migliaia di giorni, purché alla fine riesca a farmi perdonare».

Mi morsi un angolo della bocca, e sospirai. «Ti perdono se riesci a convincermi che però non faccio la figura del pollo, del tipo accomodante, privo di autostima, che non te lo fa sudare abbastanza».

«Oh. Semplice. Hai una minima idea dell’ascendente che ho su di te?», mi si avvicinò e mi sistemò una ciocca di capelli che era finita davanti agli occhi. «Chi potrebbe farti una colpa se mi perdoni subito?»

«Sei scorretto», dissi. «Il trucchetto di sistemare i capelli è codificato nel DNA degli uomini gay e di tutte le donne come gesto sicuro per farli sciogliere».

«Lo so», disse con un tono di voce giocoso e seducente. «Funziona quasi sempre, un po’ come sussurrare paroline dolci all’orecchio di qualcuno. In questo modo». Si chinò verso di me. «Paroline dolci», sussurrò.

Nonostante l’assurdità della situazione, anche solo sentire il suo respiro nell’orecchio mi fece venire i brividi in tutto il corpo. «Battuta un po’ fiacca».

«Okay», disse. Si chinò di nuovo e con un filo di voce continuò: «Qual è il tuo piano per portarmi a letto?»

«Be’», dissi guardandomi le mani che, apparentemente di loro iniziativa, si erano mosse e si erano posate sul suo torace. «In questo momento, il piano è piuttosto semplice. Ti lascio credere che devi ancora faticare un po’ per dimostrarmi quanto ci tieni a farti perdonare, anche se in realtà avevo già deciso di farlo appena ti ho visto con quella stupida busta di popcorn in mano. Immagino anche che tu avrai già in mente qualche nuova posizione che preveda pochi vestiti addosso. Ma in fondo, come faccio ad avercela con te dopo che ti sei preso in faccia la mia torta di ciliegie così forte da rimediare un occhio nero?».

Si scostò leggermente all’indietro, un lampo impertinente nello sguardo. «Gran bella domanda. Se qualcuno mi avesse detto che per stendermi mi avresti sbattuto – in faccia – la tua “ciliegia”, be’, ci avrei messo subito la firma. Comunque sì, ho ancora una posizione o due da giocarmi senza troppi indumenti addosso. Tanto per cominciare, quella dello scorpione».

«Dovrei chiederti di cosa si tratta?»

«Forse è meglio di no. Ma sappi che le mie scuse diventeranno ufficiali solo dopo che la avrai provata».

«Al momento mi accontento di un bacio».

«Se proprio insisti», disse, si chinò verso di me e mi baciò.

Aveva sempre un profumo buonissimo, e appena posò le sue labbra delicatamente sulle mie, mi accorsi che ormai il suo profumo mi era diventato familiare. Tra le sue braccia mi sentivo a casa. Non pensavo più alla possibilità di perdere la bakery, a Jimin che forse avrebbe continuato a tormentarmi, a Jennie e a quel che avrebbe potuto farmi in futuro. Non mi importava di nulla, purché avessi Taehyung accanto a me. Sdolcinato? Ebbene sì. Non lo ero mai stato, ma mi piaceva che lui avesse tirato fuori questo lato del mio carattere.

Ci baciammo col sole che iniziava a tramontare, sotto il fruscio degli alberi. Cercai di non pensare che molto probabilmente mia nonna, com’era tipico del suo carattere, aveva sistemato metà degli ospiti della casa di riposo, con le loro sedie a rotelle, davanti alle finestre, per vedere come sarebbe andata a finire tra me e Taehyung. Grazie al cielo, mi fu facile scacciare quell’immagine dalla mente.

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