Capitolo 8
YOONGI'S POV:
Andai a prendere la macchina in un garage a pagamento a qualche isolato da casa mia. Non la usavo da quando avevo cambiato identità e a quanto pareva avrei potuto evitare tutta quella messinscena sin dal principio. Non ero mai riuscito a far perdere le mie tracce alla mia sorellastra. Anzi, l'avevo convinta di essere riuscita a turbarmi sul serio e quindi spronata a continuare.
Probabilmente avrei dovuto restituire le chiavi subito dopo la visita di Mina, ma a essere sincero vivere di fronte a Jimin mi piaceva più che stare nel mio appartamento da un milione di dollari nel cuore del centro cittadino. Aveva persino cominciato a piacermi quella separazione dalla mia vecchia vita, per quanto artificiale fosse. Fingevo di essere qualcun altro e faceva parte del gioco mettere da parte il lavoro come non succedeva da anni. Il vecchio me sarebbe stato troppo coglione per accorgersi di Jimin. Ripensandoci, però, il vecchio me abitava in un attico vergognosamente costoso sopra un albergo vergognosamente lussuoso in pieno centro. Non c'erano ragazzi come Jimin nella mia vecchia vita.
Nella mia vecchia vita, erano tutti consumati dal denaro. Strano pensare quanto eccitante mi fosse sembrata quell'esistenza. Gli affari avevano preso il volo e, nel giro di pochi mesi confusi, era stato come se i cartellini del prezzo fossero scomparsi. Potevo avere quello che volevo, bastava allungare la mano. Una ricompensa che sembrava giustificare la mia ossessione per il lavoro; l'avevo presa come scusa per seppellirmici molto più a lungo di quanto avrei dovuto. Diventare "Min Dohyun" mi aveva aperto una prospettiva nuova.
E mi aveva dato Jimin. Almeno fino alla notte prima, l'avevo avuto per me.
Anche solo pensare a lui bruciava. Avevo perso il conto delle volte in cui mi ero ripetuto nella testa le ultime ore. Mi erano venuti in mente almeno cento modi migliori in cui avrei potuto comportarmi - reazioni che non avrebbero causato l'uscita rabbiosa di Jimin da casa mia e forse dalla mia vita. E tuttavia, non appena visto il messaggio di Mina mi era salito il sangue alla testa.
Ce l'avevo marchiato a fuoco nel cervello. Diceva: "Wow. Questa telecamera di sorveglianza ha una risoluzione pazzesca. Gli stai recitando l'alfabeto tra le gambe?".
Doveva averla nascosta la mattina che era entrata nel mio appartamento e di sicuro aveva assistito a ogni secondo tra Jimin e me. Dire che mi sentivo violato era un eufemismo. Non riuscivo a credere che nemmeno mi fosse venuto in mente di ispezionare la casa per controllare se avesse fatto qualcosa dopo aver forzato la porta.
Ero incazzato. Avevo parcheggiato davanti a casa di Mina. Per la precisione, davanti all'abitazione di periferia del marito senatore. Erano passate da poco le tre del mattino, ma non mi ero lasciato fermare dall'orario. Presto avrei trovato un modo per mettere le cose a posto con Jimin, ma prima dovevo mettere fine a quelle stronzate infantili.
Era una casa grande, e non in senso buono. Nel senso "ammira la mia superiorità". L'esterno era arricchito da colonne in stile romano e alte arcate e sapevo dalle visite precedenti che l'interno era ancora più pomposo. Mi pareva ci fossero persino una statua nuda e dei cherubini, come se avessi avuto bisogno di altri motivi per odiare la mia sorellastra e suo marito.
Bussai forte. Be', qualcosa a metà tra il bussare e lo sperare di sfondare accidentalmente il legno con il pugno. Aspettai due secondi, poi replicai.
«Aprite, cazzo», urlai. «Aprite la...».
La porta si spalancò e mi ritrovai davanti il marito di Mina, Lee Jeno. Aveva una trentina d'anni più di lei, un fiero pancione a palla da bowling e baffi grigi spioventi. I capelli erano andati in pensione da un pezzo, il che dava il tocco finale al look da tricheco. Indossava una canottiera che non riusciva a nascondere i folti ciuffi di criniera lanosa che gli coprivano il torso; si capiva solo guardandolo che l'avevo svegliato.
«Tu?», borbottò.
«Sì, io, coglione. Dov'è tua moglie?».
Jeno gonfiò il petto e cercò di guardarmi dall'alto in basso, ma gli venne male, dal momento che lo sovrastavo di trenta centimetri buoni.
«Ti do un minuto per salire in macchina e andartene dalla mia proprietà».
Mina comparve dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla per calmarlo. Era un po' più alta. La vidi arricciare le labbra nel guardare la figura ingobbita del marito. «Va tutto bene. Perché non torni a letto? Domani è una giornata importante, voglio che il mio orsacchiottone si riposi bene». Aveva un tono condiscendente, come se stesse parlando a un bambino, ma Jeno non dette segno di accorgersene.
Alzò gli occhi e tutta la rabbia di un secondo prima si dissolse in totale adorazione. Protese le labbra in cerca di un bacio. Mina si chinò per accontentarlo, rapidamente, senza mai staccare gli occhi da me.
Jeno rientrò claudicando e Mina uscì, chiudendosi la porta alle spalle. In un solo gesto che sembrava aver ripetuto spesso si asciugò le labbra con il dorso della mano e poi lo sfregò sulla camicia da notte. «Immagino tu sia venuto a sfornare qualche minaccia da macho per via del messaggio?». Si allungò verso il mio viso e inspirò dal naso. «Credo di riuscire a sentire ancora l'odore del suo cazzo. Non hai perso tempo, eh...».
«Basta». La mia voce sembrava quasi un ringhio. «Qualunque stronzata tu abbia in testa, qualunque cosa pensi di ricavarne. Basta. Se mi trovo anche solo a pensare che cerchi di smerdarmi la vita, farò tutto quanto è in mio potere per spedirti in galera o ridurti sul lastrico in tribunale. Ti rovino. Lo giuro».
Alzò gli occhi al cielo. «Yoongi». Aveva un tono mellifluo. «Sei molto sexy quando ti arrabbi». Fece per toccarmi una guancia, ma io mi ritrassi. «Ma sei proprio un pezzo di manzo bellissimo e stupido. A meno che tu non intenda causare un incidente... fisico, sei impotente. Non ho lasciato nulla al caso. Ogni filo microscopico che pensi di poter tirare per sfasciarmi la vita porterà a un vicolo cieco. Non puoi fare nulla, Yoongi. A parte arrenderti, ovviamente. Ma lo so che sei cocciuto, quindi sono pronta ad attendere tutto il tempo necessario».
«Stammi. Lontano». Ero troppo arrabbiato per dire altro, per esprimere ciò che pensavo o spiegarle che si sbagliava di grosso. E comunque non aveva importanza. Quasi volevo che ci riprovasse, per darmi una scusa valida. Non poteva commettere errore peggiore che credermi inerme. Forse sin dall'inizio pensava che avrei cercato di vendicarmi, ma io avevo solo fatto il possibile per superare indenne la tempesta. Non volevo trasformare la sua ridicola fissazione verso di me in una guerra, ma adesso... aveva messo le sue manacce tra me e Jimin, ero pronto a fare qualsiasi cosa per fermarla.
Emise un versetto deluso. «Tutto qui? Niente discorsi altisonanti, né orrende minacce? "Stammi lontano"?». Abbassò la voce di qualche ottava per imitare la mia. «Oh, a proposito. La prossima volta, togliti i boxer prima di prenderlo. Mi è dispiaciuto un sacco che te li sia tenuti addosso».
«E quel che hai detto ieri mattina che fine ha fatto? Si trattava solo di vendetta, non di sesso, o no?». Scossi la testa, disgustato.
Inarcò appena appena le sopracciglia e piegò la testa da un lato. «Ops. Ho detto una bugia? Puoi ammanettarmi, se ti fa sentire meglio». Mi offrì i polsi e mise il broncio.
◦•●◉✿✿◉●•◦
«Quanto hai detto che ti danno per omicidio?», domandai a Geum-jae.
«Mina è una stronza, ma non penso di poterti aiutare a progettare il suo assassinio. È troppo. Sono quasi sicuro che nella Bibbia ci sia una clausola specifica contro chi uccide fratelli e sorelle».
Eravamo nel mio ufficio in centro. Tornavo al lavoro per la prima volta e sembravano passate settimane. Ancora non avevo abbandonato del tutto la mia sciocca doppia vita come "Min Dohyun", soprattutto perché non avevo nessuna voglia di rinunciare a Jimin. E poi non è che morissi dal desiderio di riprendermi la mia vecchia esistenza, non ancora. In più, dovevo stare in guardia, metti caso decidesse di invitare un altro uomo a casa sua per farmi ingelosire. Avrebbe funzionato benissimo ed ero pronto a rendermi ridicolo intervenendo per impedirlo.
«Vuoi dire che nascondere una telecamera in casa mia e puntarla sul mio letto non è "troppo"?».
Geum-jae piegò la testa, riflettendo. «Una cosa è spiare qualcuno, un'altra l'omicidio. Sono quasi certo che agli occhi della legge il secondo è più disdicevole».
«E una morte dolce? Ti opporresti anche se...».
«Sì. Che sia con un bazooka o un cucchiaio, non approverò l'assassinio di mia sorella. Scusami».
Sospirai. «E comunque, significherebbe fargliela passare liscia. Le serve tutto il tempo di pentirsi di avermi fatto incazzare. Anni e anni di delusioni. Voglio lasciarla a marinare nella depressione fino a quando potrai sentirgliene l'odore addosso appena entra nella stanza».
Price accennò un sorrisetto sorpreso. «Te le ha fatte proprio girare, eh?».
Mi appoggiai allo schienale della sedia e guardai fuori dalla finestra. «Un po'. Sì».
«Per via della telecamera, o perché il suo tiro mancino ti ha mandato tutto a puttane con il vicino?»
«Devo scegliere?»
«Dicevo così per dire. Di solito sei un tipo pacato, Yoongi. Cazzo, quando ha cominciato a combinarti casini, hai deciso di comportarti bene e scomparire in attesa che si annoiasse. Sa Iddio se non avresti potuto restituire il colpo un mese fa, quando è cominciato tutto. Quindi come mai questa rabbia improvvisa, se non per via del ragazzo?»
«E va bene allora, è per lui. Che differenza fa? Sono stufo delle stronzate di Mina. E quando ci ho parlato ero serio: se si mette in mezzo di nuovo, anche di poco, non mi tratterrò».
«Cioè che fai, le dai fuoco alla casa?»
«L'idea dell'omicidio era un'esagerazione, Geum-jae. Non sono pazzo. Non voglio ucciderla, voglio solo che si svegli ogni giorno e pensi: "La mia vita è distrutta. Ho fatto una cazzata a mettermi contro Min Yoongi. Sono un errore e il mondo starebbe meglio senza di me"».
«Wow, sì. Non sei affatto pazzo».
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