Capitolo 6
YOONGI'S POV
Mi svegliai con la testa annebbiata e la sensazione di non essere solo. Sbattei le palpebre in modo da schiarirmi un po' la vista e mi accorsi che era ancora molto presto. La sveglia non aveva suonato, l'unica luce che entrava nella stanza era il fioco bagliore azzurro di un'insegna elettronica appesa all'altro lato della strada. Per la dodicesima volta da quando avevo preso in affitto quell'appartamentino, provai un secondo di shock trovandomi in un letto che non era il mio - vedendo un panorama diverso fuori dalle finestre.
C'era un'ombra in piedi sulla porta.
Mi alzai di scatto; una scarica di adrenalina cancellò in un lampo ogni traccia di sonno.
«Peccato. Speravo che avessi cominciato a dormire nudo».
«Mina? Che cazzo ci fai in casa mia?».
Accesi la luce e la vidi bene per la prima volta da mesi. Capelli neri quasi sempre legati in una coda di cavallo. Occhi nocciola dallo sguardo malizioso e una bocca crudele. Come sempre, la scollatura era così ampia che le tette sembravano pronte a uscirne al primo starnuto.
Cercava di sedurmi sin dal giorno in cui i nostri genitori si erano sposati. La sola idea mi aveva sempre dato la nausea, ma di recente aveva esagerato, persino per i suoi standard.
«Sono venuta a trovarti, ovviamente. Dohyun».
«Vattene. Altrimenti chiamo la polizia o ti butto fuori io stesso. A te la scelta».
Emise un verso simile alle fusa di un gatto. «Per buttarmi fuori dovresti toccarmi».
«Hai ragione. Dovrei avere una bomboletta di insetticida sotto il lavello. Forse funzionerebbe meglio».
Arricciò le labbra in un sorriso derisorio. «Yoongi. Posso mettere fine a tutto. Ai pettegolezzi. Ai problemi. Devi solo darmi quello che voglio».
«Non l'avrai mai».
Rise. «Pensi ancora che voglia scoparti, vero? Non è quello. Non è mai stato quello il punto, ma non mi sorprende che tu sia sempre stato troppo miope per capirlo. Tutte le altre vogliono solo avvinghiarsi alle tue dita, quindi perché io no?».
Alzai le mani. «Non saprei, Mina, ma forse potresti concludere il monologo, così arriviamo al punto in cui ti butto di nuovo fuori dalla mia vita».
«Voglio che tu sia infelice, Yoongi. Semplice. Forse una parte mal consigliata di me ti voleva per sé, un tempo, ma hai perso quell'opportunità. Ho sparso quelle voci perché sapevo che a te importava solo del tuo lavoro. E però, sappiamo tutti e due che non è più così, giusto? Ti importa di qualcos'altro, e lui abita... proprio... qui di fronte».
«Vattene, cazzo».
Mina rise di nuovo, ma stavolta si incamminò verso la porta. «Volevo solo informarti che distruggerò anche qualsiasi cosa ci sia tra voi, è una promessa. E chissà, forse una volta rovinata la tua storiella ti concederò una notte con me, per scusarmi».
«Fuori». Aprii la porta e non appena fu in corridoio gliela sbattei alle spalle.
Premetti la fronte contro il muro e chiusi gli occhi, ripensando alla sua minaccia. Non avevo idea di cosa potesse fare per mandare a puttane quel che stava nascendo tra me e Jimin, ma conoscevo la mia sorellastra abbastanza bene da sapere che aveva un piano.
◦•●◉✿✿◉●•◦
Jimin si sedette al mio fianco. Avevamo scelto un barbecue brasiliano; tecnicamente, soddisfaceva la sua richiesta di carne cruda. I camerieri portarono un vassoio di bistecche, pollo e verdure crude, accompagnate da vari condimenti. Sul tavolo c'era una griglia fumante, spiedini e pinze.
Ci avevano dato un posto relativamente appartato, quasi in fondo al locale, che ancora non si era riempito per l'ora di cena. Gli avventori si sedevano attorno a dei fornelli come in una steakhouse giapponese, ma era più intimo, perché ciascuno cucinava per sé al proprio ritmo. Il cibo che sfrigolava sulle griglie e il brusio di sottofondo contribuivano a creare una particolare intimità.
«Come da tua richiesta». Indicai il cibo.
Mi osservò in silenzio. Non per la prima volta, il suo aspetto mi tolse il respiro. Avevo già visto ragazzi che ritenevo bellissimi, ma nessuno mi aveva creato una dipendenza simile. Tutto in lui sembrava attrarmi, dalla lentiggine solitaria a un angolo della bocca a quello sforzo adorabile di sembrare duro come l'acciaio. Sapevo che non era tutta apparenza, ma non mi lasciavo abbagliare dai suoi trucchi. Vedevo il ragazzo dolce che aveva dentro di sé e non si fidava di mostrare a nessuno. Vedevo l'insicurezza che gli faceva ergere muri e respingere le persone. Quelle cose non mi facevano paura, non ci sarebbero mai riuscite.
«Sapevi che scherzavo sulla carne cruda, vero?»
«A essere sincero, un po' ero rimasto nel dubbio».
A quel punto sorrise per davvero. Era così raro che ogni sorriso sembrava prezioso, mi accorgevo di come sarebbe potuta diventare un'abitudine cercare di provocarne un altro. La sua pelle, chiarissima e morbida come panna montata, risaltava sulla stoffa del vestito. Era una maglia viola scuro con un "vedi-non vedi" sulla schiena. I pantaloni neri si sigillavano perfettamente sulle gambe di lui, senza però schiacciarle, stringerle o che altro. I capelli neri erano in un'acconciatura semplice ma attraente. Pensandoci, però, forse ero arrivato al punto pericoloso in cui qualsiasi cosa addosso a lui diventava di mio gusto. Mi meravigliava quanto in fretta stesse accadendo. Aveva portato un cambiamento che invadeva ogni parte di me. Pochi giorni prima ero freddo e distaccato, ora già sentivo sommuoversi qualcosa. Non è che avessi rinunciato agli appuntamenti galanti, non proprio. Solo che avevo avuto sempre meno tempo da dedicare alla ricerca di una relazione, fino a smettere del tutto. Corteggiando Jimin, non mi sembrava di rubare tempo al lavoro; piuttosto, era la mia giornata lavorativa a doversi adattare agli impegni imposti dalla caccia.
«Sai», esordii. Stavo avvolgendo un pezzetto di manzo in una foglia di lattuga, come avevo visto fare a un collega anni prima - alla mia prima esperienza con il barbecue brasiliano. Non ero sicuro che fosse la tecnica adeguata, ma il sapore era buono. «Era da tanto che non lo facevo».
«Uscire con un uomo?». Osservò i miei movimenti, poi li imitò e dopo avere appoggiato il fagotto di carne sul tavolo lo irrorò di salsa per farlo cuocere al vapore.
«Sì. Saranno passati tre anni dall'ultima volta, forse anche di più. Mi sa che ho perso l'abitudine, ecco».
«Non penso che dovrebbe sembrare un obbligo. Non è come passarsi il filo interdentale o falciare il prato. Bisogna averne voglia, in teoria».
«E tu allora?». Misi distrattamente delle verdure sulla griglia insieme alla carne. Jimin mi imitò di nuovo.
«Guarda caso, non ne ho avuto voglia per un bel po'».
«Per quanto, esattamente?»
«Non saprei. Sei o sette?»
«Mesi?»
«Anni...».
Risi. «E rendevi le cose difficili a me?».
Si strinse nelle spalle. «Non fingo di essere una persona normale, come te».
«Ehi, fermo. Mai preteso di essere normale. Non ti ho detto che la mia sorellastra cerca di rovinarmi la vita perché non ho voluto una storia con lei?».
Vidi un fremito agli angoli delle sue labbra. «Sì, mi suona familiare».
Il mio, di sorriso, svanì quando pensai a Mina e alla conversazione di quel mattino. «È solo la punta dell'iceberg e non andrò oltre, non voglio guastarti l'appetito con la storia completa».
Jimin mi guardò dritto negli occhi, con un'espressione che non sapevo come prendere. Era inquietante, o sexy, o forse tutte e due insieme. «Vuoi che pensi io a questa tua sorellastra? Posso dirle che sto per scodellare un figlio dal suo fratellastro perfetto, quindi tanto vale arrendersi. O, sai, potrei pugnalarla nel sonno e basta».
«Quindi per te sono perfetto, eh?».
Alzò gli occhi al cielo, ma colsi un lampo di divertimento nei suoi lineamenti. «È quella la parte che attira la tua attenzione?».
Scossi la testa e fissai lo sguardo nel vuoto. «Meglio che Mina non pensi che abbiamo una storia seria. La provocherebbe».
«Quindi? Se ti rifiuterai di affrontarla, si fermerà mai?»
«Non riesco a immaginare che possa "fermarsi", in nessuna circostanza. Si annoierà, per un po', ma non credo che finirà mai questa storia. Non una volta per tutte».
«Allora provochiamo quella stronza».
Risi all'intensità nella sua voce. «Sai, penso che qualche centinaio di anni fa saresti stato una spia o assassino eccellente. In realtà, una spia no. L'operazione sotto copertura alla caffetteria è stata un flop bello grosso, ma ti ci vedo benissimo a pugnalare qualcuno».
Mi rivolse quel suo raro sorriso e io ne bevvi ogni istante.
«Primo: non ti stavo spiando, quindi non te la tirare. È stato un caso che avessi con me l'equipaggiamento da birdwatching, che può essere scambiato per roba da spie. Sei tu che hai dato di matto e mi hai inseguito in metro. Due: non so se quello sul pugnalare qualcuno voleva essere un complimento, ma lo prendo come tale».
Indicai il cibo che sfrigolava. «Dovremmo girarli. Togli la lattuga e lascia abbrustolire la carne sulla griglia per un minuto o due».
Annuì, mimò le mie azioni e rimescolò le verdure insieme a me. Avevano cominciato ad annerirsi ai bordi.
«Questo posto è figo. Mi sento un cavernicolo».
«A giudicare da come usi le posate, lo sei».
Mi fulminò con lo sguardo. «Vuoi scoprire se so usare un coltello meglio di queste pinze buffe?»
«Non è un coltello quello che voglio vederti in mano».
Parve confuso per un attimo, poi sgranò appena gli occhi e li abbassò sul cibo. «Posso essere sincero? E devi promettermi che non penserai che sia a caccia di facili complimenti».
«Okay». Quella domanda mi annodò un po' lo stomaco. Di solito, un'antifona del genere la usa chi sta per dirti che non funzionerà, o che ha una malattia mortale, o che hai avuto per tutta la sera un intero boccone di cibo incastrato tra i denti. «Dimmi».
«Continuo a pensare che sia tutto uno scherzo. Non sembri il tipo d'uomo che mi invita a uscire e sicuramente non uno che vuole andare a letto con me. Puoi giurarmi che non è uno scherzo?»
«Cosa? Come ti viene in mente che possa prenderti in giro?».
Si strinse nelle spalle; in quell'istante, fu come se tutti i suoi spigoli si dissolvessero. Per alcuni secondi, mi sembrò di vedere con chiarezza ciò che nascondeva tanto bene dietro il sarcasmo e l'humour nero. Non respingeva la gente per cattiveria o crudeltà, ma perché aveva paura che lo ferissero, che il vero Jimin venisse deriso e rifiutato. «Ho imparato per esperienza a non fidarmi di chi è gentile con me, credo».
Avrei voluto chiedergli i particolari, ma non sembrava il momento giusto. Non gli serviva riesumare vecchi fantasmi, quanto sentirsi al sicuro. Dovevo convincerlo che poteva abbassare la guardia con me - che non l'avrei mai dato per scontato.
Gli presi la mano sotto il tavolo e la strinsi forte, guardandolo dritto negli occhi. «Ho una proposta. Ti do la chiave di casa mia. Se mai ti darò motivo di credere che ti ho ingannato, puoi entrare di notte e procedere all'accoltellamento che ti appassiona tanto».
Represse un sorriso obliquo. «Non è che mi piaccia sul serio. È una delle cose che dico per terrorizzare la gente».
«Be', funziona». Risi. «Parlo seriamente, però. Non cercherei mai di ingannarti. Ti ho invitato a uscire perché ho sentito una connessione tra noi. Volevo conoscerti meglio perché ti trovo interessante. E volevo andare a letto con te perché, be', guardati».
«Non dovevi farmi complimenti, ricordi? Ora mi sento come se me li fossi andato a cercare».
«Lo stai bruciando».
«Oh? È così che i ragazzi fighi dicono a un ragazzo che è sexy, oggigiorno? Non è granché».
«No». Sogghignai. «Il cibo».
Tolse dalla griglia la sua porzione, che cominciava a superare il confine tra abbrustolita e carbonizzata. «Nemmeno la tua sembra stare granché bene».
«L'ho fatto apposta. È solo bruciacchiata».
«Per me è proprio bruciata».
Tagliai una fetta di carne e me la infilai in bocca. Masticato il guscio carbonizzato, sentii in bocca un improvviso sapore amaro che ricordava la cenere. Con le lacrime agli occhi, mi costrinsi a deglutire. «Niente affatto. È deliziosa». Coprii un colpo di tosse con la mano e mi strinsi nelle spalle. «Oppure no».
Capii che l'appuntamento stava andando bene, almeno sotto alcuni aspetti, perché il cibo bruciato non ci rovinò l'umore. Mangiammo le parti commestibili, parlammo e riuscii persino a strappare a Jimin un altro paio di risate prima di chiedere il conto.
Tornammo in taxi insieme. Quando eravamo usciti di casa faceva fresco, ma con l'avanzare della notte era sceso in fretta un freddo glaciale.
Restammo per un po' sul marciapiede davanti al palazzo, con la gente che ci passava vicino. Jimin si abbracciava il torso; senza pensarci troppo su, lo strinsi a me. All'inizio era rigido, poi si rilassò e mi appoggiò la testa sul petto. Gli accarezzai la schiena e lo abbracciai più forte. Era una bella sensazione. "Bellissima, cazzo".
Alzai lo sguardo sull'oscurità tra i grattacieli che ci sovrastavano e vidi i primi fiocchi di neve che cominciavano a cadere. Chiusi gli occhi e cercai di memorizzare quell'attimo. In teoria non era niente di speciale. Un'uscita insieme. Un lungo abbraccio. Avrebbe dovuto essere solo l'ennesimo ragazzo che prima o poi sarebbe scomparso dalla mia vita.
Ma non me la bevevo. Non avevo mai voluto abbracciare qualcuno così tanto. Così disperatamente. Era solo perché Mina stava facendo del suo meglio per rovinarmi la vita? Forse l'ossessione per Jimin derivava solo dall'impulso agonistico di dimostrare che potevo mantenere in vita una relazione nonostante tutti gli sforzi della mia sorellastra.
Forse. Ma ne dubitavo. Non pensavo di essere così bravo a ingannare me stesso. Sentivo che ciò che provavo era reale.
Premetti un po' più forte le dita sulla sua schiena e lo sentii emettere un basso sospiro soddisfatto.
«Sei caldissimo. Come un mannaro di Twilight. Non è che lo sei per davvero, Min Dohyun?».
Mi scappò un sorrisetto. «Manca qualche settimana alla luna piena. Se vuoi scoprirlo, dovrai restare nei paraggi».
«Cazzo. Speravo che sarebbe stata la sveltina di una notte». Si irrigidì di nuovo; riuscivo quasi a immaginare la sorpresa che doveva avere dipinta in volto.
"Non era tua intenzione ammettere che vuoi venire a letto con me, vero?".
«Quindi, la possibilità del sesso è effettivamente sul piatto?», domandai.
«Di solito lo preferisco a letto».
Infilai una mano nella sua tasca dei pantaloni e trovai a tentoni l'anello del portachiavi. Tirai fuori il suo mazzo e glielo feci dondolare davanti agli occhi, poi me lo ficcai in tasca e lo guardai con aria eloquente. «Mi sa che hai scordato di nuovo le chiavi a casa. A quanto pare, dovrai restare da me per un paio d'ore, mentre aspettiamo il fabbro».
Inarcò un sopracciglio. «Per chi mi prendi, un prostituto che coglierà al volo qualunque scusa per venire a letto con te?».
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