Capitolo 2

YOONGI'S POV:

Controllai di nuovo l'e-mail sul telefonino: il pacco era effettivamente stato recapitato quel pomeriggio. O il ragazzo dell'appartamento di fronte mentiva, oppure era finito nella cassetta di qualcun altro. Non avevo modo di controllare, a meno che non volessi sprecare la serata seduto nell'androne a guardare tutti quelli che aprivano la buca delle lettere. E non sarebbe servito comunque a nulla, visto che non sapevo che genere di scatola fosse, che dimensioni avesse e nemmeno se fosse già nelle mani di qualcuno.

Nulla di tutto ciò aveva importanza.

Sapevo per istinto che ce l'aveva il ragazzo della porta accanto. C'era qualcosa che non andava in lui. Dal giorno in cui mi ero trasferito, aveva sempre cercato di trapassarmi con il suo sguardo ostile. Era come se sapesse - come se in qualche modo avesse sgamato me e le deboli bugie di cui mi circondavo da settimane. Dopotutto non era impossibile. La meschinità della mia sorellastra aveva ben pochi limiti, sarebbe stato proprio da lei corrompere gente a caso in tutta la città per cercare uno che corrispondesse alla mia descrizione. Per quanto ne sapevo, era possibile che stesse scrivendo a Mina del pacchetto proprio in quel momento.

Mi sedetti sul bordo del letto e mi passai le mani tra i capelli. Aspettavo ancora che arrivasse qualcuno per dirmi che gli ultimi mesi erano stati solo un brutto scherzo. La mia sorellastra era svitata da sempre, ma le sue ultime prodezze facevano impallidire tutte quelle passate.

Non volevo pensarci. A nessuna di esse.

Se continuavo a tenere un basso profilo, sarebbe finito tutto in una bolla di sapone. Oppormi o fare casino avrebbe solo prolungato la frustrazione. Se non le davo nuove munizioni, si sarebbe annoiata come sempre e io sarei potuto tornare alla mia vita normale. Basta con quelle ridicole distrazioni e giochetti. Sarei stato libero di concentrarmi di nuovo sulla mia azienda, anche se persino quell'idea sembrava vuota al momento. Per anni l'azienda che dirigevo era stata la mia unica preoccupazione; da quando ero stato costretto ad allontanarmene, anche se solo temporaneamente, cominciavo a chiedermi perché sacrificassi tutta la mia vita al mio lavoro.

Avevo guadagnato più che a sufficienza. Avevo raggiunto gli obiettivi che mi ero dato. Ero bravo, cazzo, nulla mi obbligava a impegnarmi per migliorare; eppure, mi sentivo spinto a tornare in ufficio, al duro lavoro e alla competizione. Nessuna relazione era mai riuscita a competere con quell'impulso; tuttavia, ogni giorno passato nascosto mi faceva dubitare sempre più della mia dedizione. Forse era il momento di rilassarsi un po'.

Sentii bussare.

Corsi ad aprire e mi ritrovai davanti il mio vicino, uno sguardo truce negli occhi. «Ecco il tuo stupido pacco. A quanto pare c'era il tuo nome sopra. Ops».

Non mi sorprese che nella sua voce non ci fosse nemmeno un accenno di scuse. Il suo tono era monocorde, in contrasto sempre con lo sguardo lì c'era una riottosità costante, una sfida di qualche tipo, ma io non avevo la benché minima idea di quale fosse.

Provai un tuffo al cuore quando vidi che la scatola era aperta. Non osavo chiedergli se avesse letto il contenuto della busta, quindi cercai di intimidirlo con lo sguardo. Quasi tutte le persone sono a disagio nel silenzio, soprattutto quando le guardi negli occhi. Secondo me è il modo più rapido per giudicare la forza di carattere di qualcuno. Quindi, passati dieci e poi venti secondi senza che battesse ciglio, decisi che la facciata da dura forse non era solo una posa.

«Grazie», disse, dopo mezzo minuto, con quel suo tono asciutto e inespressivo. «È così che si risponde a un atto gentile». Mi tirò una botta nello stomaco con la scatola e fece per andarsene.

«Aspetta. Non ci avrai guardato dentro?»

«Che tu ci creda o no, non mi interessa che roba strana ti fai spedire».

Tirai fuori la busta e notai che non era più sigillata. «Allora perché l'hai aperta?».

Gli occhi nocciola intenso si distolsero dai miei solo per un secondo. Era il primo accenno di debolezza che mostrasse; al di là di quel muro di disinteresse dietro cui si trincerava, dopotutto era umano. «Tu perché hai aperto il mio dildo?», ribatté.

«Pensavo fosse roba mia», replicai, a denti stretti, anche se sapevo che gli stavo servendo la risposta su un vassoio d'argento.

«Bum». Sottolineò la parola con un guizzo languido delle sopracciglia. «E io pensavo che la tua stupida busta fosse mia. Altre domande idiote?».

Lo fissai torvo. «Non ti credo».

«E io me ne frego».

Incrociai le braccia in silenzio. «Che c'è? Pensi che mi spezzerò solo perché mi osservi con quegli occhi scintillanti, muto come una tomba?».

Stavolta distolse subito lo sguardo e si mise persino a cincischiare con l'orlo dei pantaloni, poi mi fissò di nuovo. Stavo vincendo quella battaglia di volontà un po' alla volta e mi scoprii intrigato dalla sfida implicita nascosta nelle sue parole. Potevo già scommetterci: non era come gli uomini per cui avevo perso subito interesse in passato. In quegli occhi freddi si annidava una scintilla; mentirei se dicessi che la sua storia non mi incuriosiva. Volevo sapere come facesse qualcuno di tanto bello a diventare così cinico e cupo.

Era proprio carino. Pelle di porcellana e capelli neri come l'inchiostro. Lineamenti dolci, quasi femminili oserei, con il mento quasi a punta. Da quanto potevo vedere anche il suo carattere era piuttosto spigoloso, quindi sembrava appropriato che il suo volto ne avesse almeno uno.

Ma ad affascinarmi di più era la sua bocca. Pareva esercitare un controllo quasi totale sulle espressioni del suo volto; per qualche ragione, sembrava voler dimostrare al mondo che non avrebbe potuto fregargliene di meno. Rispettavo quell'atteggiamento. Sapevo cosa volesse dire nascondersi. Sapevo cosa si provasse a indossare una maschera, e da ben prima delle stronzate della mia sorellastra.

La sua maschera, però, non era perfetta. Le labbra carnose tendevano a fremere ogni tanto. Un osservatore distratto se ne sarebbe accorto a malapena. Per me, era il suo modo di ridere. Quando l'avevo irritato, una leggera tensione aveva contratto i lineamenti verso l'interno. Anche quello era stato a malapena visibile, ma per me valeva quanto un'occhiataccia.

Fece un gesto con la mano come per dire: "Come vuoi, io ho chiuso", e di nuovo accennò ad andarsene.

«Vieni a cena con me», dissi.

Si fermò appena fuori dalla sua porta, tenuta aperta da un libro malconcio. Non si girò nemmeno, quando mi rispose. «Perché dovrei?»

«Perché penso che tu abbia aperto il mio pacco e forse mi dirai la verità se ti ammorbidisco con un po' di vino».

«Vino?». Se ne stava lì con la mano appoggiata alla porta di casa, il capo leggermente chino. «Io mangio solo carne cruda e sanguinolenta. Quindi, per quanto mi riguarda, è un secco "no"».

«Allora mangeremo della carne cruda sanguinolenta. Non mi importa. Basta che mi dici di sì».

Entrò in casa e finalmente si girò, solo un volto che faceva capolino tra il battente e lo stipite della porta. Era la prima volta che gli vedevo sulle labbra qualcosa di simile a un vero sorriso, anche se obliquo. «Forse, ma ho altri programmi per stasera. Programmi di diciotto centimetri».

Tirò via il libro e la porta si chiuse da sola. Io rimasi in corridoio, con la sensazione che mi avesse battuto a un gioco a cui non mi ero accorto di prendere parte. "Ma che cazzo...?".

E provavo uno strano senso di vuoto al petto, come quando sei sospeso sull'orlo di un profondo precipizio e guardi giù. Era paura? Eccitazione?

Avrei voluto sfogare la frustrazione in un rantolo. Avrei dovuto concentrarmi sul mantenere un basso profilo e sopravvivere alle settimane o ai mesi successivi - quel che ci sarebbe voluto alla mia sorellastra per arrendersi. Voleva sabotare la mia vita e la mia reputazione, per questo avevo nascosto la mia identità. Avevo lasciato la mia casa, il mio ufficio e la mia solita vita. Potevo comunque lavorare da remoto, anche se era una rottura di palle.

Quindi avevo già abbastanza carne al fuoco, senza permettere alla mia dirimpettaia di infiltrarsi nel mio cervello; eppure, stava facendo proprio quello. Forse ero così abituato a veder cadere le donne e gli uomini ai miei piedi che il primo accenno di resistenza era bastato a risvegliare il mio interesse. O forse era semplicemente il mio tipo. Più probabilmente, una combinazione delle due cose.

Stavo cercando una birra in frigorifero, quando mi resi conto di cosa aveva ammesso un attimo prima: sarebbe rientrato in casa per divertirsi con il dildo che gli avevo restituito. Il vuoto che avevo allo stomaco si riempì di un'ondata di calore. Pensare al mio vicino sarcastico appassionato di humour nero che si masturbava mi fece venire in mente tutte le idee sbagliate del mondo.

Era solo l'ultimo di una lunga serie di sviluppi assurdi; cominciavo a chiedermi seriamente se non avessi fatto meglio a lasciar vincere la mia sorellastra. In fondo, si trattava solo di soldi e orgoglio. D'altra parte, però, che altro mi restava?

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