Capitolo 17
JIMIN'S POV:
Guardai incredulo Yoongi che teneva Rose per un polso. Ogni insicura molecola del mio cervello cercava di convincermi a credere a lei. A credere a tutto, perché che altro motivo poteva avere un uomo come lui per interessarsi a me?
Ma sarebbe stato sciocco. Persino idiota. Yoongi mi aveva già dato qualcosa che non poteva più riprendersi, anche qualora Rose avesse detto la verità sul suo conto. Mi aveva fatto credere di valere abbastanza perché qualcuno tenesse a me. Non importava se fosse vero o no: avrei comunque conservato quella consapevolezza in un angolo del mio cuore; una volta fattomi quel regalo, non poteva più riprenderselo.
E non credevo neppure che fosse sua intenzione. Guardai Rose, i suoi occhi terrorizzati e il modo in cui cercava ancora di liberarsi. Se stava dicendo la verità, perché avrebbe provato a nascondersi in casa non appena mi aveva visto? Non avrebbe dovuto essere il suo momento di trionfo? La prova concreta che Yoongi era un cretino tornato dritto dalla sua ex?
«Quindi ho parlato con la sorellastra di Yoongi per tutto questo tempo». Scossi la testa, pensando alla mia stupidità. Non sapevo come avevo potuto permettere a quella donna di fregarmi e cascare nell'inganno peggiore di sempre. Avevo spiato Yoongi e avevo permesso alla mia mente di indugiare negli angoli più tetri, di crederlo capace di tante azioni orribili. E non riuscivo ancora a capire cosa sperasse di ottenere. Pensava che dopo averli visti andare via insieme avrei tagliato i ponti di netto? Forse pensava che vedere la sua "accompagnatrice" avrebbe scosso la mia fiducia in lui abbastanza da togliergli ogni possibilità di riconquistarmi.
«Aspetta, per tutto questo tempo?». Yoongi mi guardò, poi si girò di nuovo verso di lei. «Da quanto conosci Jimin? Chi credeva che fossi?».
Rose - no, Mina. Mi ricordai il nome da una delle prime conversazioni prolungate avute con Yoongi. Mina si liberò con uno strattone. Pensai che stesse per farci un monologo da cattivo dei film, o che si sarebbe tolta la maschera esclamando che l'avrebbe fatta franca, non fosse stato per quei ragazzini impiccioni e il cane; invece, ci sbatté la porta in faccia, senza un'altra parola.
L'ultima, fuggevole immagine che ebbi di lei sulla soglia fu la smorfia maligna che aveva in faccia - abbastanza malvagia da adattarsi al ciuffo che all'inizio avevo trovato un suo segno distintivo.
Yoongi si guardò la mano che l'aveva tenuta per il polso e la pulì distrattamente sui pantaloni. «Se lei ti sembra carina, aspetta di conoscere i miei genitori».
Risi, anche se non ne avevo poi tanta voglia. «Dal momento che non vedo Miss Ultratette, immagino che non ti sia alzato come un razzo da tavola per darci sotto in bagno». Appena pronunciai quelle parole mi sfuggì una smorfia. Avevo ammesso di averlo spiato; a giudicare dal sorrisetto, se ne era accorto.
«Di nuovo in giro a fare birdwatching?».
Sospirai. «Tette-watching, a essere precisi. Emanavano tanto calore che agli infrarossi non si vedeva altro».
Rise. «Tranquillo. Mina si allena da quando è nata a distorcere la verità e manipolare le persone. E ti perdono per avermi spiato».
«Non ti ho chiesto perdono. Ma grazie», aggiunsi con un sospiro. Lanciai un'occhiata alla casa e mi accigliai. «E per la cronaca, quella stronza la facciamo nera».
«Quando ho scoperto le telecamere volevo solo distruggere la sua vita. Lo desidero ancora. Immagino che la differenza sia che se devo scegliere tra te e la vendetta, ora scelgo te».
«Per tua fortuna, non è necessario. Mettiamola così: se fossi un vero maschio alpha, in questo momento ti direi che avrei in corso un'erezione da vendetta».
Yoongi quasi si strozzò con una risata. «Sono... quasi sicuro di non averne mai sentito parlare».
«È quando ti viene un'erezione perché...».
Alzò una mano, sorridendo ancora di più. «La frase in sé è chiara. Però non so se è così che funziona, un pene».
«Il mio lo farebbe», mormorai, senza mai staccare gli occhi dalla casa. «In questo momento pulserebbe puntando dritto verso quella stronza malvagia dal cuore di ghiaccio».
«Non so se stavi cercando di eccitarmi con quella frase, ma non ci sei riuscito, scusa».
Spostai lo sguardo su di lui. «Qui non si tratta di eccitazione, Yoongi, ma di rivalsa».
«Sai, sono venuto qui pronto a demolire la casa a mani nude se necessario e adesso mi fai sentire come il più razionale tra noi due».
«Non ti ho mai raccontato cos'è successo ai bulli che mi tormentavano a scuola».
«Non sapevo che fossi stato vittima di bullismo».
«Già, be', lo ero. Ho conosciuto così la mia migliore amica, Nayeon. Si è messa in mezzo e mi ha difeso, sentendone poi di tutti i colori dalle sue amiche con la puzza sotto il naso. Ma le ho fatte pentire tutte. Tutte le ragazze che se la prendevano con me. L'hanno pagata cara, nessuna esclusa».
Yoongi mi guardò serio, illuminato dal taxi sempre in folle a pochi metri da noi. «Gli hai... fatto del male?»
«Fisicamente, no. Emotivamente, sì. Ho sostituito la crema idratante di una tizia con della maionese e sono stato a guardare mentre se la spalmava sulle gambe e le mani durante la prima ora di inglese. Ho convinto un'altra che il suo amico di penna era Aaron Carter - all'epoca, andava di moda - e che si era innamorato di lei; quando gli ha dichiarato il suo amore, il ragazzo ha smesso di scriverle. Con l'ultima, ho prenotato un servizio di chiamata a pagamento, quelli per la sveglia, che le ha telefonato in momenti a caso durante le ore di scuola, tutti i giorni, finché non le hanno confiscato il cellulare. Quella era la fase uno; ne avevo pianificate altre due se non mi avessero lasciato in pace, ma non è servito. Con la tua sorellastra, mi sa che dobbiamo passare subito alla fase tre».
A quel punto, sembrava preoccupato sul serio. «Non stai parlando di omicidio, vero?»
«Pensi davvero che potrei uccidere qualcuno?»
«Vuoi proprio che ti risponda?»
«Non ho ancora un piano concreto, ma le insegnerà a levarsi dalle palle una volta per tutte. Di questo sono sicuro».
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Yoongi e io tornammo in città con il mio taxi e ci fermammo in una caffetteria aperta fino a tardi. Ordinò dello yogurt gelato e caffè. Per sé prese una mostruosità all'impasto di biscotti e brownie, io optai per una combinazione più decorosa di cioccolato e Oreo.
Nonostante i miei sproloqui sulle erezioni vendicative, era magnifico starsene lì a mangiare dolci con lui. Essere stato sul punto di perderlo me lo faceva apprezzare ancora di più e iniziavo a capire cosa intendesse quando diceva che sarebbe stato difficile concentrarsi sulla sete di vendetta. Tuttavia, non avrei permesso a quella stronza di passarla liscia.
«Mai capito chi mangia l'impasto dei biscotti», dissi, ingoiando una cucchiaiata del mio dessert.
Aggrottò la fronte. «Che vuoi dire? È piuttosto comune. È buonissimo».
«Nominami un altro cibo che la gente ordina a bella posta prima che finisca di cuocere».
«È una cosa diversa».
«Sono quasi sicuro che nell'impasto dei biscotti ci sia l'uovo crudo. Finirai a passare tutta la notte sul water, sempre che non caschi morto stecchito prima».
«E io sono quasi sicuro che il locale non sopravviverebbe se una delle guarnizioni sul menu finisse per avvelenare o ammazzare la gente. E poi il mio sistema digerente è impenetrabile. Potrei mangiare tre hamburger con patatine a colazione senza alcun problema. Penso che sopravvivrò».
«Tra poco mi dirai che fai la cacca d'oro massiccio e non puzza nemmeno».
«Aspetta, non è normale?».
Alzai gli occhi al cielo. «Mangia il tuo veleno e lasciami pensare a come vendicarmi della tua sorellastra».
Rimase in silenzio per un po'. Quando riprese a parlare, il suo tono era più serio. «Sento che dovrei scusarmi per tutto quello che è successo. Ma ho anche paura che se mi scusassi, potrei sembrare in qualche modo colpevole».
«Puoi scusarti per non aver tolto di mezzo la tua sorellastra quando ne avevi la possibilità. Avresti potuto perderla per sbaglio durante una gita di famiglia nei boschi, per esempio».
«Sei tremendo. Ma per qualche motivo mi piaci lo stesso».
«Ti piaccio, eh?».
Per un attimo, gli comparve in volto un misto tra un sorriso e uno sguardo accigliato. «L'hai capito adesso?»
«No. È che mi piace sentirtelo dire».
«Jimin. Non vale la pena di pensare alla mia sorellastra. Ha già fatto del suo peggio. Ha cercato di rovinare le cose tra di noi e ha fallito. Vieni a vivere con me. Nella mia vera casa. Puoi persino portarti il tuo strano gatto».
«Saja non è strano, ma non mi sembra una buona idea. Non ancora. Secondo te Mina ha fatto del suo peggio, ma io non ne sono convinto. Qualcosa mi dice che non hai mai dovuto vedertela con dei bulli; io sì. Di solito non demordono finché non restituisci i pugni. Raggomitolarsi e sperare che smettano peggiora le cose. Pensaci: che hai fatto da quando ti ha dichiarato guerra? Hai cambiato identità? Tenuto un basso profilo? Tira fuori gli attributi e colpiscila dove fa male. Sferra il primo pugno, o lei ti colpirà più forte».
«Ehi. Non ho scelto quella linea d'azione per paura. Non volevo perdere tempo con lei e i suoi giochetti. Credevo che ignorarli fosse la via più rapida per farla finita. Non pensare nemmeno per un secondo che non sia pronto all'azione. È solo che secondo me non serve più. Di certo si è accorta di aver perso. Non hai visto come ti ha guardato?»
«Sì, come una nuova grinza in un piano già avviato. Non ha finito, fidati di me».
«Quindi, cos'hai in mente? Come la fermiamo?»
«Hai detto che è sposata, giusto?».
Annuì.
«Ecco la risposta. O lo ama davvero, o ci sta insieme solo per i soldi. In ogni modo, non vuole cambiare le cose. Quindi la colpiremo dove fa male. Troviamo il modo di metterla a nudo di fronte al marito».
«È un male che io sia più interessato a mettere a nudo te?»
«Sì», dissi, ma non riuscii a trattenere un sorriso. «Sei pessimo. E ci ho ripensato, verrò a stare a casa tua. In via provvisoria. Ma Saja ha bisogno di uno spazio personale. È la mia unica condizione».
«Può avere una stanza tutta sua».
«Ah. Mi ero dimenticato che sei ricco da fare schifo».
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Venne fuori che ricco da fare schifo era un eufemismo.
L'appartamento di Yoongi occupava un'intera sezione di un grattacielo in centro. Entrammo dalla lobby di un hotel di lusso, salimmo per sessanta piani e uscimmo nella "suite all'attico". Io pensavo che con "attico" si intendesse l'ultimo piano di un edificio, ma questo era più un appartamento gigantesco che occupava gli ultimi quattro piani.
«Ma che roba è?», domandai. Usciti dall'ascensore, ruotai lentamente su me stesso per vedere tutto. Panorami mozzafiato del centro di Seoul in ogni direzione, con solo una manciata di edifici abbastanza alti da superare il nostro. Pavimenti di marmo con venature dorate si estendevano a destra e a manca, resi meno freddi e severi da una manciata di stoffe morbide, bianche e grigie drappeggiate sui mobili moderni o usate come tappeti. «È una camera d'albergo che affitti a tempo indeterminato?»
«Non proprio. Quarant'anni fa, il proprietario originario ha venduto i piani più alti al suo amico miliardario. Quando questo si è trasferito, li ha messi in vendita e me li sono accaparrati io. Ma se voglio posso comunque avere il servizio in camera, il che è un vantaggio».
Mi fermai vicino al tavolino, dove in bella vista c'era quello che sembrava un lingotto d'oro massiccio grosso come la mia mano. Cercai di sollevarlo, ma era incollato, oppure molto più pesante di quel che sembrava.
«Questo cos'è?», domandai, tra un verso affaticato e l'altro. Stavo per arrendermi e considerarlo incollato, quando riuscii finalmente a infilare le dita sotto il bordo e sollevarlo. Anche se era grande come un mazzo di carte, pesava qualche chilo.
«Oro».
Feci una smorfia. «Scherzi? Sei arrivato al punto in cui avevi tanti soldi che hai pensato: "Oh, ecco cosa starebbe benissimo su questo tavolo, dell'oro massiccio"?»
«Veramente no». Lo prese con delicatezza e osservò il metallo. «Comprarlo è stato un impulso emotivo. Mi sembrava un simbolo adeguato, credo».
«E di cosa? Di quanto sei ricco?»
«No». Mi guardò negli occhi, poi distolse i suoi, mostrando un raro istante di vulnerabilità. «Lascia stare». Buttò l'oro sul divano, manco fosse un inutile fermacarte e non valesse invece più della casa di molte persone.
«Non voglio lasciar perdere. Stavi per rivelarmi i retroscena. L'ho sentito. Devo sapere, soprattutto adesso che cerchi di tirarti indietro. Pensaci: in pratica, sai tutto di me. Ma io cosa so di te?»
«Un sacco di cose».
«Che la tua sorellastra ti sbava dietro e che sei ricco. Non molto di più».
«Mi ferisci. Che mi dici del mio charme?»
«Okay. So che non sei il peggior cretino che abbia mai incontrato».
Soppesò le mie parole, poi arricciò le labbra e annuì. «Mi accontento».
«Ovvio. E mi racconterai la storia di quell'affare». Sottolineai il messaggio puntando il dito contro il lingotto.
Yoongi sprofondò nel divano e riprese il metallo, guardandolo mentre parlava. «Davvero, non è nulla. Io... stavo pensando al punto in cui mi trovavo. Nella mia vita». Abbassò un po' la voce, come se parlare di sentimenti tanto profondi gli causasse un dolore fisico. «Avevo deciso che la stavo sprecando. Mi importava solo del lavoro, di guadagnare di più, di avere sempre più successo. Ero stanco di lasciare che tutto mi passasse accanto senza toccarmi».
«Non per essere maleducato, ma non capisco cosa abbia a che fare tutto questo col tenersi un lingotto sul tavolino del soggiorno».
«Be', ero un po' ubriaco. E l'ho comprato, qualche giorno fa».
«Oh. Da come ne parlavi, pensavo che si trattasse di una profonda crisi esistenziale avuta anni fa. Invece, sono passati pochi giorni?»
«Già. Quando ti ho incontrato. Ubriaco, mi sembrava che avesse senso. Potevo lasciarmi alle spalle il vecchio me e questo sarebbe stato un piccolo trofeo, per ricordarmi cosa avessi mai ottenuto di buono da tutti i soldi che ho fatto». Soppesò il lingotto nella mano e ridacchiò. «Ti avevo avvertito che era stupido».
«Non proprio. Forse un po' melodrammatico, ecco, ma ti capisco. Lo usi come fermacarte, quindi il Yoongi ubriaco stava forse dicendo che i soldi non servono a molto? Mentre il Yoongi sobrio abita in un enorme attico che costa parecchi milioni?».
Si morse il labbro. «Okay, hai ragione. Però potresti lasciarmi il mio simbolismo da paranoico, no?»
«Sai una cosa», esclamai a un tratto e sollevai un dito. «Penso che dobbiamo chiarire a che punto siamo, perché se cominciamo a parlare di regole da liceo, il sesso orale e be'... sesso da pene di tutti i generi implica che si sta insieme. Non che serva invitare... l'altra persona a uscire formalmente, ma non so nemmeno se ho il permesso di definirti il mio ragazzo».
Sorrideva, le sopracciglia inarcate; si alzò e mi prese entrambe le mani nelle sue. «Jimin... vuoi diventare il mio ragazzo?»
«Sì. Ma solo se posso tenere di nuovo in mano quel lingotto. Mi fa sentire come un supercattivo dei film».
«Posso procurartene altri. Monete d'oro, magari? Possiamo riempirci una piscinetta per bambini, così ci nuoti dentro. Se è questo che vuole il mio ragazzo».
«In questo momento, ciò che vuole il tuo ragazzo è soddisfare l'erezione da vendetta che gli è venuta nei confronti della tua sorellastra. Se non la risolviamo presto, mi verrà l'equivalente vendicativo delle palle blu. Palle rosse?»
«Preferisco ricordarti che non hai un'erezione in atto. Mi sa che le tue parti private mi piacciono così come sono adesso».
«"Mi sa"?». Raddrizzai le spalle e lo colpii con il petto.
Vacillò indietro, ma con un sorrisetto del tipo pericoloso, non divertito. La sua mano già mi cingeva furtiva la schiena e cercava una scorciatoia dentro la maglia, trovandola in un lampo. «Di recente ho la memoria un po' confusa. Potresti sempre rinfrescarmela».
«Con tutte queste finestre? Non voglio che domani un passante a caso faccia domande sul neo che ho sulla chiappa destra».
«Hai un neo sulla chiappa destra?»
«Forse. Potrei mostrartelo, se lasci perdere quella stupidaggine di credere che mi inginocchierò a implorare il permesso di farti un pompino».
«Me ne ero dimenticato». Si batté una mano sulla fronte. «Quanto sei gentile a ricordarmelo. No. Penso otterrò la mia supplica in ginocchio, e di vedere il neo sul tuo culo. Potrei morderlo».
«Non ci penso nemmeno a pregarti».
«Quindi ti inginocchierai per me?»
«No». Incrociai le braccia al petto e gli rivolsi la mia occhiataccia migliore. «Perché mi guardi a quel modo? Non mi piace...».
Mi appoggiò una mano sulla schiena e pochi secondi dopo, in un turbine di movimenti che non riuscii a decifrare, sentii un'improvvisa spinta dietro le ginocchia che le piegò involontariamente in avanti. Non andai a sbattere sul pavimento, però, perché Yoongi mi afferrò per le spalle e mi accompagnò giù con delicatezza.
Si schiarì la gola. «Mi fa piacere che tu abbia cambiato idea».
«Che cazzo era quello? Kung fu?»
«Judo, veramente».
«Okay. Fermo. Fai judo?»
«Uno deve pur avere un hobby».
«Nuovo patto. Se mi insegni quella mossa, faccio quello che vuoi».
Inarcò le sopracciglia.
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