Capitolo 14

YOONGI'S POV:

Geum-jae era seduto di fronte a me nel mio ufficio, tutto serio. Dovevo incontrare il nuovo contatto di lavoro di lì a un'ora e lui aveva insistito per cercare di prepararmi un minimo.

«Quindi», disse. «Che fai se esprime dei dubbi sul prodotto?»

«Lascio parlare i numeri. Se prendiamo gli ultimi sei mesi abbiamo superato come rendimenti ogni singolo consulente finanziario del Paese del venti per cento almeno».

«Sbagliato. Nel caso mostri comprensione. Li conosce già i numeri. Non vuole incontrarti per sentirti blaterare di quello che può leggere da sé, ma perché deve sapere che può fidarsi delle persone dietro a quelle cifre».

«Mostro comprensione? Cosa vuoi che faccia? Mi metto a ridere e le dico che ho dei dubbi anch'io? Che mi chiedo sempre quando arriverà il mese in cui ci schianteremo di brutto e faremo perdere decine di milioni ai nostri investitori?»

«Ehm, no. Le mostri comprensione ma senza sminuire il prodotto. Le fai i complimenti per la sua prudenza. È una donna d'affari meticolosa, ed è una cosa che rispetti. Non riesci a credere che ci sia gente che pretende di occuparsi di finanza senza le sue stesse precauzioni. E poi torni ai numeri, come se li avesse già visti e constatato da sola che sono impressionanti».

«Okay, capisco. Ma continuo a pensare che non sia necessario. Cioè, il nostro prodotto parla davvero da solo. Non siamo solo meglio della concorrenza, ce la mangiamo a colazione. Non c'è letteralmente nessun motivo per dire di no».

Geum-jae sospirò. «Troppo sicuro di te. Sembri uno che si impegna troppo a convincerla. Quando un venditore è troppo insistente, il cliente si mette sulla difensiva. Si percepiscono come prede e ti vedono come il predatore. Devi farle credere che sei dalla sua parte e che non te ne viene nulla in tasca se ci sceglie. Sei solo un amico che le espone diverse opzioni e quella giusta è talmente chiara che non ti serve nemmeno spingercela».

Sospirai. «Okay. Abbiamo finito?».

Incrociò le braccia al petto. «Ancora una cosa. È una donna ed è carina. So che hai qualcosa in ballo con il tuo vicino, ma forse potresti prendere in considerazione l'idea di flirtare. Ovviamente, non voglio che ci provi sul serio. Un cenno del capo qui, uno sguardo che indugia un pochino più a lungo del necessario sul décolleté, una mano sulla curva della schiena; sai, cose del genere».

«No. Assolutamente no».

Mugugnò. «Eddai. Non puoi almeno farle un complimento sul vestito? Fa parte del gioco».

«Sono già abbastanza incavolato perché devo rinunciare a una serata con Jimin per fare il tuo lavoro. Finalmente ho trovato un ragazzo che mi piace, non manderò tutto a puttane per qualche dollaro».

«Se questa donna è chi dice di essere, si tratta di molto più che qualche dollaro. Forse centinaia di milioni».

«Che significa "se è chi dice di essere"?».

Geum-jae fremette. «Insomma, può capitare che un intermediario non compaia in nessuna lista online e non fornisca le proprie credenziali».

«Che cosa?»

«Sto dicendo solo che, ecco, le credo sulla parola, ma non volevo insultare né lei né la società per cui lavora facendo ricerche approfondite e mettendo in dubbio il suo ruolo. Perché dovrebbe mentire? Non la paghiamo. Stiamo cercando di convincerli ad agganciare migliaia di conti al nostro sistema. Un truffatore non ci guadagnerebbe nulla, quindi...».

«Non le hai chiesto le credenziali?»

«Di solito non serve. Come ho detto, però, non ti devi preoccupare. Nel peggiore dei casi, è una psicopatica che si eccita a fingersi al soldo di una supersocietà strapotente. Di gente che ha paura dei cetriolini sottaceto ne ho sentito parlare, ma di questo disturbo psicologico in particolare mai. Dovremmo poter stare tranquilli».

«Se questa storia ci si ritorce contro, ti riterrò personalmente responsabile. Lo sai, vero?»

«Ritorcersi contro? Alla peggio, che può succedere? Mangi in un ristorante sciccoso e chiacchieri per due ore con una psicopatica? Sai che dramma. Il rovescio della medaglia è roba grossa. Pensa ai soldi che potremmo fare».

«Già, perché ci mancano».

Geum-jae piegò la testa indietro e si accigliò. «Wow. E questa da dove è uscita? Che è successo all'uomo che conoscevo? Quello che ha messo in piedi la società? Quello che voleva sempre di più e di meglio, anche quando non ce n'era alcun bisogno?»

«Quando mi servirai come psicoterapeuta, te lo farò sapere. Che ne dici?».

Accennò un sorriso tirato. «Merda. Non devo essere io, ma è meglio se parli con qualcuno. Dico solo che se ne hai bisogno, sono qui. La mia non è un'avance».

Scossi la testa e sogghignai. «Sei serio? Che siamo, alle medie? E poi, sono quasi sicuro che non puoi più usare quelle frasi. La gente ti prenderà per omofobo».

«Non serve essere gay per sostenere i loro diritti, genio. Ma rifletti prima di parlare?».

Sospirai. «Lo sai cosa intendo».

«Mi era sembrato di scorgere un certo scintillio nei tuoi occhi. Non volevo che la situazione diventasse imbarazzante».

«Ma quale scintillio. Vorrei solo che ti avessero creato con un pulsante per mettere in muto: magari hai visto questo».

«Maleducato».

«Apprezzo il pensiero, però. Se mai sentissi il bisogno di qualcuno con cui parlare, penso che sceglierei te. La mia non è un'avance», aggiunsi con un sorrisetto.

«Nessuna avance. Non che ci sarebbe niente di sbagliato».

Sorrisi. «Quindi, un po' apprezzeresti?».

Geum-jae ridacchiò. «Smettila di cercare di distrarmi. Non ho ancora capito se posso contare su di te per inchiodare quella tizia».

«Voglio credere che la pessima scelta di parole sia stata accidentale. Ma sì, chiuderò l'affare, sempre che questa donna sia chi dice di essere».

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Il ristorante era pieno, ma ci fecero attraversare il quieto brusio della sala e una parte delle cucine per uscire sulla terrazza coperta al terzo piano. C'era solo un tavolo con le candele accese sopra, due sedie e una lampada riscaldante. Dentro di me gemetti, frustrato; avevo lasciato che si occupasse Geum-jae della prenotazione. Aveva insistito lui e adesso sapevo il perché.

Aspettai che la donna si accomodasse per prima, poi mi sedetti di fronte a lei e solo allora la guardai davvero bene. Aveva i capelli biondo platino, labbra talmente carnose da farmi sospettare che avesse chiesto un aiutino alla chirurgia e il naso all'insù. Assomigliava ad alcune delle donne con cui avevo sprecato il mio tempo anni prima - il genere che si materializza quando hai abbastanza zeri sul conto in banca. Per me era un mistero come facessero, tipo l'apparizione delle mosche attorno alla pattumiera in una casa immacolata. Immaginavo che si trattasse dello stesso meccanismo scientifico inspiegabile.

Le rivolsi un cenno del capo e un sorriso teso, mentre il cameriere ci riempiva i bicchieri d'acqua e descriveva la selezione di vini per la serata. Feci per fermarlo con un gesto, ma lei gli toccò il braccio e ordinò una bottiglia. Aveva un accento europeo che non riuscivo a identificare. Mi sembrava qualcosa a metà strada tra francese e italiano.

La lampada riscaldante non serviva a molto vista la temperatura esterna, quindi non mi tolsi il cappotto. Lei sembrava pensarla altrimenti; quando si sfilò la giacca, capii che avrei dovuto tenere lo sguardo fisso parecchio al di sopra della sua testa per non guardare la quantità eccessiva di seno che metteva in mostra.

«Comunque, sono Yoongi», dissi al grattacielo dietro di lei.

«Margot», rispose, la voce bassa e calda. «Non so quanto ti abbia detto il tuo socio, ma sono molto interessata a te e alla tua azienda».

«Sì, so che hai chiesto di incontrarmi. Però posso assicurarti che Geum-jae è molto più qualificato per illustrare i nostri prodotti e i vantaggi che possono garantirvi. Io in pratica sono quello che sta con il naso sepolto nel mercato azionario».

«Sembra che trovi anche il tempo di allenarti. Con molto entusiasmo, mi pare».

Strinsi i denti. Già sentivo i campanelli d'allarme suonare all'impazzata nella mia testa. Non facevo il mestiere di Geum-jae, però avevo chiacchierato con abbastanza potenziali clienti da sapere dove stava il limite tra professionale e casual. Lei stava già mettendo alla prova quei paletti.

«Dunque, qual è il tuo ruolo nell'azienda, esattamente?»

«La Merrick apparteneva al mio bisnonno». Le sue parole erano indifferenti e frettolose, come se volesse cambiare argomento il prima possibile. «Sarò sincera, Mr Min. Mi mandano agli incontri faccia a faccia perché abbiamo scoperto che i potenziali partner si mostrano più generosi una volta che hanno parlato con me. Faccia a faccia», aggiunse e appoggiò il mento sul dorso della mano.

Dovetti reprimere un sospiro esasperato. Non sapevo che stava succedendo o chi fosse lei, ma non me la bevevo. Tuttavia, dovevo almeno ottenere una conferma di qualche genere prima di porre fine alla messinscena, perché sapevo che Geum-jae non mi avrebbe mai lasciato in pace se non avessi avuto un motivo irrefutabile per mandare a stendere quella donna.

Avevo un cattivo presentimento: sarebbe stata una lunga serata frustrante e non potevo fare a meno di pensare a Jimin - avrei voluto essere seduto da qualche parte con lui, invece di perdere tempo con quella farsa di accordo.

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