Capitolo 11
JIMIN'S POV:
⚠️allarme MLML⚠️
Tempo di fare irruzione in uno dei negozi dalle ampie vetrine accanto alla pista di pattinaggio ed eravamo entrambi scalzi. Io avevo la camicia sbottonata per metà e Yoongi i pantaloni slacciati. Eravamo arrivati fin lì baciandoci, usando i pochi neuroni che avanzavano per strapparci i vestiti e i pattini.
Mi leccai le labbra. «Che succederebbe se mi concedessi a te, per ipotesi?»
«Succederebbe che ti farei sdraiare, ti schiaccerei contro il muro o ti prenderei di lato - non mi importa - e ti allargherei le gambe. Ti prenderei come se avessi deciso da anni e non da giorni che ti voglio scopare. Che devo scoparti. Una parola e ti divoro. Ogni cazzo di centimetro. Ecco che succederebbe».
Cercai di deglutire, ma riuscii solo a emettere uno scatto imbarazzante in fondo alla gola. Cazzo. Da eccitato era sexy. «Per ipotesi, ovviamente», mormorai. «Sembra un po' più divertente di diciotto centimetri di silicone».
«Per ipotesi».
Due minuti dopo, mi schiacciò contro il muro dietro una porta su cui era scritto SOLO PERSONALE AUTORIZZATO. Era una specie di locale per la manutenzione e attraverso le pareti arrivava il suono dell'addetto alla sicurezza che guardava una sitcom con le risate finte.
Mi intrappolò i polsi in alto, il viso a pochi centimetri dal mio. Ogni mia terminazione nervosa gli urlava di toccarmi; mi sentivo come cosparso di porporina, prudeva dappertutto. Mi sarei preoccupato in seguito di conseguenze e implicazioni. Sin dal primo momento in cui l'avevo visto, che volessi ammetterlo o no, ero stato in rotta di collisione con Min Yoongi. Aveva fatto breccia in tutti i miei tentativi di mostrarmi indifferente al mondo. Quando si trattava di lui, mi importava eccome. Un sacco.
Volevo ciò che poteva darmi, così tanto da fare male. Non si trattava del se, ma del quando.
Mi baciò alla sua maniera violenta, possessiva, come se ogni tocco delle sue labbra fosse un marchio per dimostrare al mondo che gli appartenevo e che gli altri avrebbero fatto meglio a stare alla larga.
«Che stiamo facendo?», domandai, tra un bacio e l'altro.
«Li chiamano preliminari», scandì, come se lo spiegasse a un bambino. «Prima ti faccio venire tanta voglia che ti cedono le ginocchia e poi...».
Lo interruppi. «Ho afferrato il concetto. Ma questo cos'è? Che significa?».
Si strinse nelle spalle. «Non deve significare nulla. Per una volta, smetti di voler dare un senso a tutto. Concentrati sull'esperienza. Vivila. Rimanda le domande a dopo».
Recepii a malapena le sue parole, la mente troppo occupata dalla sua vicinanza. Sentivo il corpo solido contro il mio, caldo e pieno di promesse. Il membro duro come una roccia mi premeva sullo stomaco; non lasciava dubbi su dove lui volesse indirizzare quella notte.
«E se non fosse così semplice?».
Si chinò, prese il mio labbro inferiore tra i denti e lo tirò piano piano, lasciandomi un bruciore leggero e una voglia ardente di rifarlo. «E se lo fosse?».
Cercai di assorbire un po' della sua nonchalance. Non eravamo più alle superiori. La gente fa sesso senza legami. Esce insieme senza legami. A volte non serve che sia tutto bianco o nero. Non potevo far parte di quel mondo, una volta sola?
Yoongi mi appoggiò una mano nell'interno coscia e strappò i miei pensieri ai dubbi, puntandoli dritti sull'insegna al neon nella mia testa che diceva: "Fallo".
Quindi smisi di contenermi. Mi rilassai, lasciai che la sua mano mi abbrancasse i polsi e l'altra tracciasse una scia rovente sulla mia coscia. Non mi opposi quando mi abbassò i pantaloni e mi appoggiò il palmo tra le gambe, bruciante sui miei boxer fradici.
Mi baciò il lobo dell'orecchio. «Il tuo amichetto non sembra avere dubbi».
«Quella parte di me non ha mai avuto dubbi», ammisi. «L'hai conquistato al primo sguardo. Solo che tutto il resto non era pronto ad ammetterlo».
«Cazzo». La sua voce era roca, le dita mi sfregavano a un ritmo lento e costante. «Ho capito dall'inizio che ne avevi voglia. Lo nascondi bene, ma io l'ho capito. Te l'ho letto negli occhi nell'androne del palazzo che lo volevi. Volevi che facessi il primo passo».
«Non so proprio - Oddio - cosa te l'abbia fatto venire in mente».
Mi strinse più forte i polsi, le labbra talmente vicine al mio orecchio che le sentivo muoversi quando parlava, mentre le dita risalivano fino all'elastico delle mutande e si intrufolavano dentro, ricoprendosi della mia eccitazione appiccicosa. «Mi hai scopato con gli occhi fin dalla prima volta che mi hai visto. Ammettilo».
«Bugiardo».
Ridacchiò; sentii quel suono riverberare nel suo petto e nel mio. «Sono molte cose, ma un bugiardo, mai».
Fui sul punto di ribattere - fargli notare che era stato tutt'altro che sincero, presentandosi sotto falso nome - ma ero travolto da sensazioni troppo violente per pensare, per parlare. Dalla mia bocca uscivano solo versi inarticolati, gemiti talmente forti che speravo non sovrastassero la TV del guardiano.
Mi scopò con le dita talmente forte da farmi venire tremando. Mi aggrappai a lui per non cadere. Avevo le ginocchia molli, il cervello in pappa; una parte remota, razionale di me stava ancora cercando di raccapezzarsi, di capire che cosa facesse presagire quel momento, se un futuro o la sua assenza.
Piegò un ginocchio a terra, come se volesse chiedere la mia mano, poi alzò gli occhi e fece un sorrisetto famelico. Mi mostrò l'indice e il medio, umidi dei miei fluidi corporei. Senza distogliere lo sguardo, li leccò dalla base alla punta, gustandomi. Si morse il labbro e sorrise ancora di più. «Cazzo, sei buono. Non mi basta ancora». Mi abbassò in fretta i boxer, li sfilò, poi mi abbracciò le gambe e mi fece appoggiare la schiena alla parete, seduto sulle sue spalle. Non ci fu tempo di pensare, dubitare o fare domande.
«Hai il culo più sexy che abbia mai visto», mugugnò, un attimo prima di baciarmi la parte interna della coscia.
«Sei disgustoso», dissi a stento. La sua faccia era talmente vicina al mio sesso che sentivo il calore irradiare dalla sua pelle, come una promessa prolungata di ciò che stava per succedere. Avrei dovuto sentirmi in imbarazzo, o intimidito, perché lì c'era molta più luce che nel suo appartamento di notte, invece ero solo impaziente.
Quando appoggiò le labbra su di me, fu come se il tempo si fosse fermato. Il calore della sua lingua in un punto così intimo per poco non scatenò un orgasmo istantaneo. Pensai a tutte le cose sporche che quella lingua l'aveva aiutato a orchestrare e a quanto guardarlo mentre la usava per darmi piacere fosse un peccato delizioso. Non mi sarei mai aspettato che la sensazione di potere fosse così eccitante.
Mi prese la punta tra le labbra, leccò tutto intorno con la lingua, poi si abbassò e l'affondò dentro di me, scopandomi. Era troppo: i miei muscoli si contrassero, stringendogli la testa tra le mie cosce, mentre l'orgasmo mi attraversava a tutta velocità come un treno ultrarapido.
Mi sollevò e mi posò a terra, per poi togliersi gli abiti che gli rimanevano. Strappò l'involucro di un preservativo e lo infilò sul membro eretto.
Si inginocchiò, mi afferrò le gambe e mi tirò a sé, l'erezione tra le mie cosce; mi guardava con gli occhi socchiusi.
Avrei voluto comportarmi da signorino e aspettare che mi penetrasse, ma quel bastardo sembrava deciso a restarsene lì fermo e a mangiarmi con gli occhi. Presi le redini della situazione e il suo membro, guidandolo dentro di me. Ero già fradicio: entrò in un attimo.
Mi sdraiai, le braccia in alto per aggrapparmi alla porta chiusa; con le gambe gli cinsi la schiena, allargandole per permettergli di affondare sempre di più, fino a sentirmi pieno all'inverosimile.
«È bellissimo». Ansimai.
«Ti sorprende?»
«Coglione». Cercai di ridere, ma un altro gemito strappatomi a forza da lui mi interruppe. Non ero mai stato uno chiassoso, eppure con Yoongi era impossibile evitarlo. Mi faceva sentire in un film, o in una fiaba. Voleva possedermi e a poco a poco cominciavo a capire che lo volevo anch'io. Volevo legarmi, fare parte della sua vita e del suo mondo. Volevo raggomitolarmi nel suo cuore e farmici il nido.
Presto ogni pensiero venne spazzato via dal suo ritmo sempre più incalzante. Lo osservai; adoravo il modo in cui il piacere primitivo contorceva i lineamenti bellissimi. Mi strinse i fianchi e le ultime vestigia di delicatezza con cui mi aveva preso fino a poco prima scomparvero: usava le mie anche come maniglie e mi trombava come una bambola gonfiabile. Dio se era sexy.
Il confine tra un orgasmo e l'altro divenne indistinto. Non sapevo nemmeno se stavo per venire, se stavo venendo o se cominciavo a malapena a tornare sulla terra. Sapevo solo che se il bacio era sembrata la scelta giusta, questo lo era di sicuro. Due persone non facevano sesso così se non erano destinate a stare insieme. Ci credevo. Dovevo crederci.
Dopo quelli che sembravano i minuti più belli ed intensi della mia vita, gemette e venne, accasciandosi su di me.
«Cazzo», ansimò, la bocca sul mio petto. «Avevo in mente di resistere molto più a lungo».
Risi, un suono sommesso. Il mio corpo era ancora scosso dalle convulsioni, la pelle bruciante percorsa da piacevoli ondate d'estasi. «Per tua fortuna, conta la qualità, non la quantità. Comincio a cambiare opinione sui meriti dei sex toy rispetto all'originale».
«Scemo». Rise.
Gli tirai uno schiaffo sul petto, però mi stavo mordendo le labbra; sorrisi. «È maleducazione dare dello scemo a qualcuno quando ci sei dentro fino alle palle».
Si chinò a baciarmi sul mento, un sogghigno malizioso sulle labbra. «Voglio sentirti ammettere che faresti qualunque cosa per un altro round». Diede un piccolo, discreto affondo con il bacino, che subito rinfocolò tutto il calore nel mio stomaco.
«Non farò proprio niente del genere».
«Peccato. Allora, esco».
Mi sedetti e gli afferrai il culo sodo, tenendolo fermo. «No. Non ti azzardare».
«Caspita, sei sexy quando fai il prepotente».
«Bene. Allora non ti dispiacerà se ti ordino di rifarlo. Uguale all'ultima volta». Mi sdraiai e lo guardai con un'espressione che probabilmente non era minacciosa quanto avrei voluto, dal momento che non riuscivo a reprimere un sorrisetto soddisfatto.
Fece un rapido saluto militare e annuì. «Meglio che ti avverta. Mi piace strafare, quindi spero che non avessi in programma di andare al lavoro domattina».
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