Capitolo 3

YOONGI'S POV:

Avevo guardato Y/n uscire a passi malfermi dall'ufficio in preda a un orrore totale e assoluto.

"Perché lo amo"? Che razza di scusa idiota era, quella? Non avrei mai capito come Y/n, una donna attraente e dall'intelligenza normale, potesse lasciarsi trasformare in una completa idiota da qualcuno del calibro di Taehyung. Non riusciva a vedere dietro il fascino e le tiritere zuccherose da imbonitore? Non si rendeva conto che aveva all'incirca la profondità della sua abbronzatura finta e che provava qualcosa di genuino solo per se stesso?

Non si accorgeva che era uscito con lei solo perché era provvista di appartamento e a lui serviva un posto dove dormire fintanto che c'erano i muratori nel suo?

«Perché lo amo», borbottai tra me, scuotendo la testa. Nutrivo una profonda avversione per quella particolare frase. Era il perché a rovinarla. Il perché copriva con un tono maligno parole che sarebbero altrimenti state del tutto piacevoli. Il perché lo trasformava in una giustificazione, invece che un'affermazione. Una giustificazione del lui in questione. Una giustificazione che permetteva a tali mancanze di proseguire indisturbate e senza recriminazioni. Lo sapevo fin troppo bene. Avevo trascorso molto tempo a riflettere proprio su quella frase, da quando l'avevo sentita pronunciare in una delle conversazioni più importanti della mia vita. L'ultima che avevo avuto con mia madre prima di partire per l'università.

«Perché non lo lasci, mamma?», le avevo chiesto in un impeto di coraggio mentre salivo in auto. Era la prima volta che accennavo in pubblico alle pessime condizioni del matrimonio dei miei genitori.

Gli occhi di mia madre si erano riempiti di lacrime e lei mi aveva fissato a lungo prima di rispondere: «Perché lo amo».

Mio padre era il gestore del pub di un quartiere malfamato di Soul e per molti anni aveva lottato per resistere alla tentazione della sfilata di mogli trascurate che entravano a ubriacarsi e a riversare i loro problemi nel suo orecchio sempre disponibile. La prima volta che mia madre lo aveva trovato avvinghiato a una rossa scheletrica nello scantinato dopo l'ora di chiusura, io avevo circa dodici anni. Potevo ancora vederla seduta al tavolo della cucina, bianca come un lenzuolo e tremante, mentre mio padre chiedeva perdono e dispensava promesse vane come coriandoli. A un certo punto, durante i giorni carichi di ansia che erano seguiti, mia madre aveva ceduto e l'aveva perdonato al fine di mantenere lo status quo, ma la vita non era mai tornata la stessa. Periodi di calma relativa avevano la meglio finché mio padre non faceva qualche cretinata, veniva scoperto e mia madre crollava. Passava giorni infiniti a piangere finché il perdono non ricominciava a farsi strada nel suo cuore, proprio come mio padre, ammiccando malizioso, mi aveva preannunciato un giorno a colazione. C'era una parte di me che era arrabbiata con mia madre. Per essere debole e sottoporre non solo se stessa ma anche me a quella farsa di famiglia. E per usare l'amore come scusa. Mi ero ripromesso di non lasciarmi mai influenzare in quel modo. L'amore non aveva il diritto di costringerti a una vita d'inferno come aveva fatto con mia madre. Non aveva il diritto di manipolarti, di farti precipitare dalle stelle alle stalle e confonderti le idee. Ero convinto che l'amore fosse qualcosa da controllare e gestire con mano ferma e mente lucida. Il cuore doveva restare sempre in secondo piano, o rischiavi di finire come mia madre; e Y/n, se è per questo.

Se Y/n avesse provato ad usare un po' più spesso la testa invece di ascoltare il suo cuore incauto, forse sarebbe stata meglio. Sperai che avesse recepito il mio messaggio minaccioso riguardo a qualunque contatto potesse pensare di avere con Taehyung durante la sua crisi di nervi post-rottura. Non mi sarei stupito se l'avesse chiamato implorandolo di darle una seconda possibilità, considerando il livello di buon senso che applicava alla sua vita amorosa. Controllai il telefono per vedere se aveva risposto proprio mentre questo si illuminava, annunciando l'arrivo di una chiamata molto gradita.

«Non è da te chiamarmi al lavoro», risposi.

«Scusa, ti disturbo?», chiese una donna dalla voce bassa e calma.

«Per nulla», dissi. «Un po' di sanità mentale potrebbe farmi comodo».

«Bene», disse lei. «Ti chiamo riguardo a quella polizza assicurativa che mi hai chiesto di controllare».

«Fantastico», dissi, sollevato di poter conversare con una donna su un argomento che non destava forti emozioni.

«Be', l'ho esaminata dalla prospettiva di un avvocato e di certo è del tutto legale», continuò lei. «E dal punto di vista personale penso che tu abbia ragione. È molto ragionevole, per noi, assicurare il nostro matrimonio».

«Speravo che saresti stata d'accordo, Suran», dissi, appoggiandomi allo schienale della sedia e complimentandomi ancora una volta per la sua scelta della fidanzata. Era per quello che Suran era la donna perfetta per me. Qualcuno che nella frenesia dei preparativi nuziali poteva parlare di un'assicurazione sul matrimonio in tono razionale, invece di chiamarmi in lacrime con racconti di disgrazie con i garofani o litigi con le damigelle d'onore.

«Be', penso sia molto gentile da parte tua preoccuparti che papà non sprechi i suoi soldi in caso si verificasse qualche disastro», disse lei.

«Be', dato che si ostina a non lasciarci pagare nulla, penso sia il minimo che possiamo fare, non credi?»

«Assolutamente. Ed è bello sapere che avremo le spalle coperte se uno dei fornitori facesse qualche grosso casino».

«Esatto».

«Oppure», disse lei, mentre io la sentivo far frusciante dei fogli all'altro capo del telefono. «Oppure se tu venissi mandando oltremare in una missione imprevista come membro delle forze armate britanniche».

Mi piaceva anche il suo sarcastico senso dell'umorismo.

«Hai ragione, Suran», risi. «Sarebbe un disastro».

«È un bell'imprevisto», ribatté lei.

«Dormirò meglio sapendo che potremo comunque pagare per un matrimonio se uno dei due dovesse subire un accidentale danno fisico che provochi la morte o una disabilità permanente».

Mi presi un attimo per riflettere su quell'affermazione. «Quindi in quel caso mi sposeresti comunque?»

«Ovviamente non se fossi morto», rispose Suran. «Quanto alla disabilità, dipende dal grado». Ci fu una pausa durante la quale potei quasi sentir girare le rotelline nel suo cervello notevole. «Penso che un danno cerebrale non mi lascerebbe altra scelta che annullarlo, tuttavia la perdita degli arti potrebbe essere accettabile, purché non li riguardi tutti».

«Capisco», dissi. «Quindi quanti arti dovrei evitare di perdere, esattamente, se voglio continuare ad avere qualche possibilità?»

«Be'», rispose lei dopo qualche altro momento di riflessione. «Le braccia. Penso che ti vorrei comunque dotato di braccia».

«Per qualche ragione specifica?»

«Non voglio passare la mia vita coniugale a pulirti il fondoschiena, no?»

«Giusto», risposi. A volte, la fulgida carriera di Suren come avvocato divorzista le dava una prospettiva oscenamente pratica sul matrimonio.
«Quindi, dovrei evitare qualcos'altro a parte la perdita delle braccia?», chiesi.

«Be', farai meglio a chiedere a Hoseok dove ti porterà per l'addio al celibato, perché l'assicurazione non copre il decesso, la menomazione o le lesioni risultanti dalla partecipazione ad attività pericolose come volare con il deltaplano, fare immersioni subacquee, paracadutismo, gare automobilistiche, arrampicata su roccia, alpinismo o equitazione».

«Be', penso di poter dire che è molto improbabile che Hoseok abbia organizzato una sessione di equitazione per il mio addio al celibato. Quella possiamo escluderla».

«Peccato che non sia possibile fare un'assicurazione contro Hoseok», sospirò Suren. «So che è il tuo migliore amico, ma è la persona che ha più probabilità di causare quale disastro al nostro matrimonio».

«No, sta prendendo tutto molto sul serio», lo difesi. «Gli ho fatto un bel discorsetto e ho detto che deve rigare dritto. Niente sorprese».

«Be', ci crederò quando lo vedrò», disse lei, facendo di nuovo i frusciare dei fogli. «Un'ultima cosa, poi devo andare perché ho una riunione con un cliente che inizia tra cinque minuti».

«Spara».

«Allora, la polizza dice che, in caso uno dei due contraenti abbia dei ripensamenti prima del giorno in questione, coprono il counseling professionale ma nessuna delle spese sostenute».

Lasciai che il silenzio successivo a quel commento si protraesse per un momento di troppo. Compensai con una risata forzatamente allegra.

«Molto rassicurante», dissi quando ebbi finito. «Avremo ridotto tuo padre sul lastrico, ma è improbabile che ci taglieremo le vene».

«Sì, giusto», rispose Suren, ridendo a sua volta. «Meno male che, dopo tutto questo tempo, non c'è proprio nessuna possibilità che succeda qualcosa del genere. Santo cielo, se non siamo sicuri adesso quando mai lo saremmo?»

«No», dissi. «Sarebbe del tutto ridicolo che uno dei due si tirasse indietro dopo sedici anni».

«Hai ragione», convenne Suren.

«Che idioti saremmo ad aver sprecato tutto questo tempo», dissi.

«Sì», disse Suren.

«Cosa diavolo direbbero di noi?», chiesi.

«Mmm», rispose lei.

«Saremmo lo zimbello di tutti», aggiunsi.

Ci fu un altro silenzio prima che Suren lo colmasse.

«Allora sarò felice di prendere accordi con l'assicurazione», disse allegra.

«Sei sicura?», risposi. «Devi essere impegnatissima a organizzare tutto il resto».

«Non è un problema, davvero. Il resto è tutto sotto controllo».

«Be', ti ringrazio».

«Bene, devo andare. Ci vediamo questa sera».

«Sì, a più tardi»

Misi giù il telefono, fissai la professionale foto di fidanzamento sulla mia scrivania e mi chiesi, per l'ennesima volta, se fossi davvero io che sorridevo come uscito da un catalogo. Qualche minuto dopo mi riscossi e decisi di controllare come stava andando la mia squadra di fantacalcio. Il vero problema cruciale del giorno.

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