Capitolo 14
Cara Y/n,
sono ormai cinque anni che convivo con il mio ragazzo e pensavo volesse chiedermi di sposarlo il giorno del mio compleanno. Era da parecchio che si comportava in modo molto misterioso. Scompariva per ore intere, nascondeva le fatture dell'hotel più elegante di Seoul nella borsa da toletta, interrompeva le telefonate appena entravo nella stanza e in generale sembrava sempre ansioso. Comunque, il mio ventinovesimo compleanno è venuto e passato e lui non mi ha chiesto niente. Né siamo stati nell'hotel lussuoso. Penso si sia tirato indietro perché temeva dicessi di no. Io voglio davvero sposarlo, dovrei essere io a chiederglielo?
Jieun
Cara Jieun,
non ti sposerà mai. La ragione per cui lo so è che sta avendo una relazione. Scomparse misteriose, telefonate interrotte e pernottamenti in hotel significano una cosa sola con gli uomini, e non è una proposta di matrimonio. Ti trovi nell'età critica in cui gli uomini impegnati hanno di fronte due scelte. Sposarsi o fare sesso con un'altra. Nota che tra queste alternative non è compreso ammettere che non si ama più la propria ragazza e che bisognerebbe dirglielo. Sarebbe troppo coraggioso. Lui ha ovviamente scelto la via del sesso. Adesso il potere è nelle tue mani, perché tu sai mentre lui non sa che sai. Quindi mollalo. Ma fallo con stile. Scopri quando ti tradirà di nuovo telefonando all'hotel lussuoso e dicendo che sei sua moglie e vuoi fargli una sorpresa. Io mi farò trovare lì ad aspettarlo con un fotografo. Quando lui e la sua amante arriveranno, salterò fuori e mi complimenterò con lui per aver vinto il premio di Coppia più Romantica di Seoul, su candidatura della sua ragazza Jieun. La stanza sarà pagata da noi e la sua foto apparirà sul giornale. Lui rimpiangerà di non essere stato onesto con te quando dovrà escogitare un modo per uscirne e vedrà la sua foto in questa rubrica con la didascalia "Peggior Adultero di Seoul".
Y/n
Y/N'S POV:
Trovavo un gusto particolare nel rispondere alle lettere che parlavano di tradimenti. Per quanto mi riguardava, era il peggior crimine che un uomo potesse commettere. L'unico aggettivo adatto a descrivere come mi ero sentita dopo la diserzione di Seokjin era "torturata". Certo, era da un po' che sospettavo stesse accadendo qualcosa, ma ero sempre riuscita a stipare tutti i segnali d'allarme in una scatola chiamata NEGAZIONE. Non riuscivo semplicemente ad accettare che Seokjin potesse avere così poca stima di lei da tradirla, e con Tzuyu, per di più. D'accordo, era piuttosto simpatica, ma il suo aspetto insignificante e l'atteggiamento timido non facevano proprio pensare a una mangiauomini. In cuor mio, ero convinta che il colpevole fosse solo Seokjin. Gli unici crimini di Tzuyu erano stati la debolezza e la facilità con cui si era fatta incantare. Eppure, mentre andavo verso il negozio di beneficenza dove avevo scoperto che Tzuyu lavorava adesso, non potei evitare di sentire un briciolo dell'antica rabbia. Pensavo che avvicinare prima lei sarebbe stato più facile che affrontare Seokjin dal nulla. Speravo anche che le informazioni ottenute da Tzuyu mi avrebbero aiutata a elaborare un appropriato piano di vendetta.
Tuttavia, mentre alzavo lo sguardo sulla facciata trascurata del negozio, incontrare la donna che avevo trovato a letto con il mio ragazzo non sembrava per niente semplice. Era terrificante. Aprii la porta e sgusciai dentro con quanta più discrezione possibile, in modo da poter esaminare bene Tzuyu prima di essere notata. Dopo tutto quel tempo dovevo gestire lo shock da sola, non sotto il mio scrutinio. Mi tuffai dietro una serie di scaffali e rastrelliere strapiene di vestiti, fingendo di valutare un impermeabile lavanda prima di azzardarmi a sollevare lo sguardo sul bancone. "Non è qui", pensai, ignorando del tutto la donna corpulenta che stava scrivendo qualcosa su un blocchetto per appunti. Viaggio sprecato. Spinsi di nuovo l'impermeabile sulla rastrelliera e lanciai un'ultima occhiata al bancone mentre mi preparavo ad andarsene. Incredula, strizzai gli occhi per vedere meglio. Possibile? No, certo che no. Quella signora paffuta e scialba che stava servendo una cliente non poteva essere Tzuyu, giusto? Studiai con più attenzione il suo viso. Aveva senz'altro i suoi occhi. Poi udii la sua risata dolce e ne fui sicura. La si riconosceva a stento, ma era Tzuyu. Sentii l'accenno di un sorriso allargarsi lentamente sul volto. "Tzuyu è ingrassata", pensai tra me. Che cosa meravigliosa. Nulla dava più soddisfazione che posare gli occhi su qualcuno che non vedevi da secoli e che si era lasciato andare più di te. Soprattutto quando quel particolare qualcuno ti aveva rubato il futuro marito.
Carica della sportina di vecchi vestiti che mi ero portata dietro come scusa per far visita al negozio di beneficenza della Lega del Gatto, andai verso il bancone con rinnovato vigore.
«Tzuiy?», dissi, avvicinandomi. «Sei tu?».
Tzuyu non sollevò lo sguardo dal taccuino su cui stava scrivendo.
«Tzuyu», ripetei.
«Oh, scusi», disse Tzuyu, alzando in fretta lo sguardo. «Ormai nessuno mi chiama più... Tzuiy...». S'interruppe, restando a bocca aperta. «Y/n», disse in un tono che non sembrava né un'affermazione né una domanda.
«Che sorpresa trovarti qui», proseguii. «Non avrei mai pensato di vederti lavorare in un posto come questo».
Tzuyu si guardò intorno come in cerca di una via di fuga o di un grosso buco in cui sprofondare. «Faccio volontariato due volte alla settimana».
«Davvero. Immagino facciano lo stesso tutte le brave mogli dei politici».
Sul suo labbro apparve una gocciolina di sudore, e mi parve quasi di sentire l'odore della sua paura.
«Hai portato qualcosa per noi?», chiese infine Tzuyu, strappandomi la borsa di mano.
«Oh, sì, certo. Solo qualche vecchia cosa che stavo gettando via, sai. Tutto taglia 44», dissi.
«È molto, ehm, molto gentile da parte tua», borbottò l'altra, ormai rossissima in volto. «I gatti te ne saranno davvero grati».
«Perbacco, non avevo capito che davate i vestiti ai gatti. Non penso di avere nulla del loro colore». Scoppiai in una risata isterica alla mia battuta, accresciuta dalla sconvolgente euforia di avere un aspetto tanto migliore della rivale.
Tzuyu fece un lievissimo sorriso, sfregandosi un po' impacciata l'angolo di una delle mie vecchie magliette tra le dita.
«Allora, come stai?», chiese alzando lo sguardo. Fui certa di vedere una lacrimuccia all'angolo del suo occhio sinistro.
«Oh, alla grande», risposi. «Lavoro al "Big Hit". Sì, è stato difficile, ma sono diventata una giornalista proprio come volevo».
«Fantastico», annuì Tzuyu. «Sono davvero felice per te».
«Grazie. Mi piace moltissimo. Al momento tengo questa rubrica fantastica che parla di come le donne dovrebbero trattare gli uomini che si comportano male. È incredibilmente popolare». Feci una pausa prima di continuare. «Allora, come sta Seokjin?».
Tzuyu si bloccò, poi distolse lo sguardo. «Sta bene», borbottò.
«Bene, bene, grandioso. Be', devo dire che essere la moglie di un politico ti fa proprio bene, hai un aspetto fantastico».
Tzuyu tornò a girarsi di scatto verso di me, prima di strattonarsi freneticamente la manica del cardigan e tirare con violenza su con il naso. La osservai incredula mentre estraeva un fazzoletto umido e se lo portava agli occhi.
«Scusa», borbottò da dietro la sua maschera fradicia. «Scusa, ma penso che faresti meglio ad andartene. Non voglio che mi vedi così».
«Stai piangendo?», chiesi sorpresa. Non stava proprio andando come mi aspettavo. «Non sei ingrassata così tanto, in realtà», dissi, del tutto smarrita. «In effetti, prima di avvicinarmi non me n'ero neanche accorta. Da lontano non lo noti quasi».
«Per favore, vattene e basta». Tzuyu tirò su con il naso, sempre nascosta dietro il fazzoletto ormai zuppo.
Il campanello sopra la porta suonò e una vecchietta entrò trascinando un carrello da cui proveniva un miagolio acuto. Guardò verso il bancone e sembrò sul punto di parlare, quando notò il turbamento di Tzuyu.
«Oooh», esclamò. «Che le succede?». Tzuyu tirò di nuovo su con il naso ma non offrì spiegazioni.
«È morto il gatto», dissi. «In effetti, dovremmo chiudere il negozio», continuai, avvicinandomi alla signora per farla uscire. «Il becchino dei gatti sta arrivando».
«Chiamerò Dabin di Seorae», urlò la donna. «La sua Dolly ha appena fatto una grossa cucciolata. Le dirò di portare un gattino domani, d'accordo?»
«Ottima idea», dissi, chiudendole la porta in faccia e girando il cartello sul lato CHIUSO.
Ormai le spalle di Tzuyu erano scosse da singhiozzi regolari mentre lei tentava di premersi il fazzoletto fradicio nelle cavità oculari.
E adesso che dovevo fare?, mi chiesi. Metterle un braccio intorno alle spalle e chiederle quale fosse il problema? Non ci riuscivo. Ero ancora troppo amareggiata perché le mie labbra potessero pronunciare parole di compassione.
«Tè?», fu l'unica cosa che riuscii a proporre. Sì, il tè era una soluzione. Mi avrebbe tenuta occupata e poi forse avrei fatto meglio ad andarmene per cercare di capire che diavolo fosse successo durante quel bizzarro incontro.
Tzuyu tirò su con il naso e poi spinse il sedere nello spazio in fondo al bancone, facendo cadere a terra un'intera pila di sacchetti di carta. Con la sua camminata a papera, si diresse verso una porta sul retro senza degnarmi di uno sguardo.
Andarsene o restare? Non ne avevo idea. Alla fine la curiosità ebbe la meglio e seguii Tzuyu, che nel minuscolo retrobottega stava immergendo due bustine del tè in due tazze sbreccate e decorate con disegni di gatti. La superai per arrampicarmi su uno sgabello, mentre Tzuyu si afflosciava su una vecchia poltrona sfondata e cercava di aprire il coperchio di latta di una scatola di dolcetti. Una volta aperta, vi infilò la mano e mi offrii un biscotto a forma di pinguino. Lo guardai ma non potei evitare un'altra frecciatina.
«No, grazie», dissi in tono cerimonioso.
Tzuyu mi fissò con lo sguardo di una donna distrutta. Osservò un attimo il biscotto a forma di pinguino e poi cedette. Strappando l'incarto, diede un grosso morso con le lacrime che riprendevano a scorrerle lungo le guance.
Non ero ancora riuscita a trovare parole di compassione. L'unica cosa che sentivo era sollievo. Il sollievo travolgente di non desiderare la vita di Tzuyu. Una vita che la stava rendendo evidentemente infelice. Per tanti anni ero stata convinta che quell'esistenza avrebbe dovuto essere sua, e adesso scoprivo che l'aveva resa grassa e triste. Ma dovevo dire qualcosa, perché Tzuyu era del tutto incapace di iniziare una conversazione.
«Allora...», esordii. «Cosa succede?».
Dopo avere afferrato un fazzoletto pulito da una scatola infilata in un gatto bianco e blu fatto a maglia ed essersi soffiata il naso con forza, Tzuyu si riprese quanto bastava per rispondere.
«Non è niente», disse.
Alzai le sopracciglia.
«Che ironia», proseguì Tzuyu, scuotendo triste il capo e fissando il pavimento.
«Che cosa?», chiesi, senza poter evitare che Alanis Morissette mi esplodesse all'istante nel cervello facendomi riflettere per la milionesima volta sulla vera definizione di ironia.
«Niente», rispose Tzuyu in tono piatto.
«Oh, forza», dissi. «Se non è ironico sul serio non lo dirò a nessuno. Ormai nessuno azzecca più la definizione di ironia, e dovrei saperlo, dato che faccio la giornalista».
Tzuyu mi rivolse uno sguardo confuso.
«Se può sbagliarla Alanis, puoi farlo anche tu. Va bene».
«Alanis?»
«Alanis Morissette. Ironic? Ricordi che l'abbiamo ascoltata fino alla nausea nell'estate del '95? Diecimila cucchiai quando tutto quello che cerchi è un coltello? Cos'aveva in mente? Qualcuno dovrebbe regalarle un dizionario».
Tzuyu aveva smesso di piangere adesso, e aveva la fronte corrugata. Alla fine parlò.
«Mi sei mancata», sussurrò.
«Hai ragione. È maledettamente ironico», dissi con un sorriso forzato.
Tzuyu non rispose. Si limitò a ridurre in brandelli il fazzoletto e scrutarlo con attenzione.
«Perché piangi?», chiesi. Avevo bisogno di saperlo. Mi accorsi che iniziavo a provare compassione nei suoi confronti. Nessuno avrebbe dovuto sentirsi tanto giù.
Tzuyu tirò di nuovo su con il naso prima di alzare lo sguardo su di me.
«Penso che Seokjin mi stia tradendo», disse, prima di nascondersi il volto tra le mani e riprendere a piangere e scuotere le spalle.
«Cazzo», sussurrai. «Alanis si starà mangiando le mani». L'ironia delle ironie. Ritrovavo la donna che dieci anni prima aveva avuto una storia con il mio ragazzo, solo per scoprire che adesso lui stava tradendo anche lei.
«Non sono del tutto sicura. Potrebbe non essere così, ma... ma...», borbottò Tzuyu.
«Ma non lo so per certo, potrei sbagliarmi».
«Tzuyu, ascoltami», dissi, sporgendomi con entusiasmo dallo sgabello. Adesso eravamo nel mio territorio. «È così. E sai perché? Perché in questa situazione siamo programmate a pensare per il meglio. Vediamo tutti i segni chiari come il sole, eppure pensiamo comunque che forse ci sbagliamo perché l'alternativa è troppo pesante da sopportare».
«Ma come puoi essere così sicura?», chiese Tzuyu.
«Rispondi a queste domande», dissi, infervorandomi. «Lo trovi in stanze isolate della casa, dietro porte chiuse, mentre parla al telefono?»
«Ehm, sì».
«Interrompe di colpo le telefonate quando tu entri in una stanza?»
«Ogni tanto sì».
«Passa la notte fuori e sostiene che non puoi chiamarlo perché il telefono non prende?»
«Sì».
«Quando parla di una certa donna il suo tono cambia, o s'interrompe un attimo prima di pronunciare il suo nome?».
Tzuyu si morse il labbro e annuì, lasciando scendere altre lacrime.
«Ha iniziato di colpo a cancellare tutti i messaggi appena li legge?».
«E tu lo sai perché sgattaioli giù nel cuore della notte a controllargli il telefono perché hai un bisogno disperato di sapere per certo se sta facendo sesso con altre?»
«Sì», singhiozzò lei. «Come fai a saperlo?».
Mi fermai e mi chiesi se, turbata com'era, Tzuyu avesse davvero bisogno di conoscere la risposta a quella domanda.
«Perché è quello che facevo io quando sospettavo che andasse a letto con te», risposi in tono sommesso. «Penso sia quello che fanno tutte le donne quando cercano disperatamente una prova che smentisca i loro sospetti».
«Mi dispiace così tanto», singhiozzò Tzuyu. «Mi dispiace così tanto per quello che ti abbiamo fatto».
Non dissi nulla.
«Devi pensare che me la sia meritata», disse Tzuyu.
«No, in realtà no», dissi infine. «Era Seokjin a essere impegnato, non tu. È lui nel torto».
«Che cosa devo fare?», chiese Tzuyu. «Non so proprio cosa fare».
Ricordai perché ero lì. Per far sentire Seokjin come mi ero sentita io tanti anni prima. Come se il futuro che avevi dato per scontato ti venisse strappato da sotto i piedi. Quale modo migliore che farlo tramite Tzuyu? Era la mia occasione. Tzuyu aveva l'opportunità di reagire all'infedeltà di Seokjin come avrei voluto fare io in passato. Invece di andarmene discretamente a leccarsi le ferite per lunghi mesi, potevo fare la cosa giusta e dargli una bella lezione. Poteva essere fantastico.
«Tzuyu», dissi esitante, temendo che rifiutasse il mio coinvolgimento. «Se me lo permetti, ti aiuterò io. Ti aiuterò a smettere di sentirti così e a riprendere il controllo sulla tua vita. Ti ho parlato della mia rubrica, vero? È quello che faccio. Aiuto le donne che hanno problemi con i mariti».
«Ma perché dovresti aiutare me?», chiese Tzuyu, apparendo patetica con il volto gonfio e arrossato. «Devi odiarmi».
«Perché», risposi con un sospiro. «In tutta sincerità, aiutare te aiuterà me. Ci sono così tante cose che non ho detto o fatto quando ho scoperto di te e Seokjin. Cose che se avessi detto allora non mi avrebbero tormentato negli anni a venire. Se posso aiutarti a dargli ciò che si merita, non hai idea di quanto ne sarei felice».
Tzuyu mi fissò a lungo.
«Mi sei mancata davvero», disse infine. «Mi dispiace così tanto».
Le sorrisi. «Giusto», dissi. «Andiamo con ordine. Ci servono i fatti. Quando hai iniziato a sospettare che ti stesse nascondendo qualcosa?».
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