Capitolo 13
YOONGI'S POV:
Guardai dalla vetrina del negozio di abiti da uomo, ancora trafelato per aver attraversato di corsa mezza Seoul. I manichini senza testa sembravano stranamente a proprio agio con le giacche a coda di rondine e le gonfie cravatte color pastello. Forse era la posizione disinvolta delle braccia infilate in abiti formali, o il piede appoggiato con nonchalance su un grosso pacco regalo fittizio decorato da un grande nastro bianco. Sembravano non avere alcuna preoccupazione al mondo. Forse era l'assenza di testa, il segreto: ti impediva di pensare. Annuii pensieroso. Sì, riuscivo a immaginare perché non pensare potesse portare a una vita spensierata. Dal mio punto di vista, essere senza testa era proprio quello che mi serviva. Impedire a quei pensieri di fare capolino. Pensieri che non avevano diritto di esistere, ma spuntavano dal nulla come minuscoli missili e devastavano ogni cosa. Ora come ora, avrei preferito andare a provare corsetti per una rappresentazione d'epoca piuttosto che quegli abiti. In effetti, i corsetti mi avrebbero fatto sentire meno intrappolato nel mio corpo dell'abito che avrebbe segnato per sempre il resto della mia vita.
Non sarei dovuto entrare. Se non fossi entrato a casa di Y/n, adesso non avrei avuto l'immagine mentale di lei in pigiama. Prima mossa sbagliata. Se non fossi entrato non mi sarei sentito a casa. A casa nel caos discreto della vita di Y/n. Dove la roba veniva lasciata cadere invece di essere riposta con cura nel suo posto prestabilito. Dove c'era la moquette, vera moquette morbida invece di assi del pavimento prive di personalità. Dove appese in giro per casa c'erano fotografie qualunque di momenti felici qualunque messe in cornici qualunque, invece di costosissime opere d'arte moderna in costosissime cornici d'acciaio spazzolato, disposte in posizione perfetta da un interior design.
Quando mi ero seduto sul divano di Y/n, mi ero lasciato cadere d'istinto sui numerosi cuscini e avevo sollevato i piedi, prima di rialzarmi di scatto e sedermi con la schiena dritta. Non posavo mai i piedi sul divano nella mia casa pulita, elegante e moderna. Mai. Rendermene conto mi aveva fatto battere il cuore fortissimo, come se avessi commesso un peccato terribile. Davvero terribile. Ma non avevo fatto altro che mettere i piedi sul divano di un'altra donna, avevo dovuto ricordare a me stesso.
Ero stato mentre facevo qualche respiro profondo per cercare di recuperare la calma che l'occhio mi era caduto sullo scatolone che giaceva aperto sul pavimento davanti a me. I resti della vita di Y/n erano davvero spettacolari nella loro follia e casualità. Ma soprattutto, brillavano della sua personalità. Vedere quello scatolone mi aveva fatto rimpiangere di non averne uno simile. Non mi veniva in mente una sola cosa che potesse anche solo avvicinarsi a riassumere i miei vent'anni. Faticavo a trovare grandi momenti che avrei voluto preservare per i posteri. Cosa diavolo stavo facendo della mia vita? Guardare la scatola dei ricordi di Y/n era stata la seconda mossa sbagliata.
Ma peggiore di tutto era stato sentire il racconto della sua storia con Seokjin. Una relazione universitaria che avrebbe dovuto sbocciare in un'unione duratura ma era stata ostacolata dall'intervento di una terza persona. Le sue parole mi fluttuavano nella mente come un banco di pesci disorientati.
«Smettila», mi dissi ad alta voce nel tentativo di fermare il turbinio dei pensieri. Mi guardai severamente nel riflesso della vetrina. «Basta così», sussurrai mentre facevo un respiro profondo, aprivo la porta e varcavo la soglia.
«Guardami», urlò Hoseok nell'istante in cui mi vide arrivare. «È proprio quello che ci serve per animare questo matrimonio», disse, facendo un piccolo inchino. «Figo, no?»
«Sembri una checca», dissi, scrutando il mio testimone che, con addosso uno smoking bianco accompagnato da una camicia a righine rosa confetto e una cravatta viola acceso, stava in piedi nel mezzo di Moss Bros. «Se pensi di vestirti così sei un cretino. Crederanno che siamo noi due a sposarci, anziché io e Suran».
«Oh, forza, amico, provaci, potresti restare sorpreso. Non vuoi vestirti di bianco come la sposa?»
«Ehm, no. Sai che io e i vestiti bianchi non andiamo d'accordo. A meno che, certo, non ci sia un bavaglino coordinato da abbinare. In ogni caso, Suran mi ha dato istruzioni severe e precise riguardo a cosa indossare. Ho tutto scritto qui».
«Fantastico, cazzo», disse Hoseok con un sospiro. «Becchino con un allegro accenno di borgogna, allora», disse mentre si toglieva la giacca immacolata.
«Non si può mai sapere», dissi. «Potrebbe aver azzardato qualcosa di un po' più audace per adeguarsi alla tua immagine alla moda».
«Suran? La classicissima Suran? La fascia di seta da mettere sullo smoking equivale probabilmente a una bestemmia, per lei».
«Vuole solo che sia tutto in ordine», dissi sulla difensiva. «In fondo la star della giornata è lei, non tu».
«Davvero? Allora perché partecipo, me lo ricordi?»
«Perché, anche se sei un completo coglione, sei il mio migliore amico e mi piacerebbe molto che fossi presente».
«Oh, sì. E poi potrò insultarti davanti a un pubblico; adesso ricordo come mi hai convinto».
«
No, potrai fare sfoggio della tua sensibilità quando dirai a tutti che bravo amico sono stato negli ultimi vent'anni».
«Col cazzo. Ne vedrai delle belle. Compresa una pubblica esposizione della storia di quando te la sei fatta addosso nel rettilario dello zoo di Seoul durante quella gita scolastica».
«Non me la sono fatta addosso, mi sono seduto sul bagnato, quante volte devo dirtelo?»
«Davvero? Be', allora questo renderà più semplice l'addio al celibato».
«Che c'entra l'addio al celibato?»
«Be', stavo pensando di farlo a tematica vestiti bagnati. Pensavo che potremmo dire alle belle ragazze di versarti la birra sul pacco perché tanto i vestiti bagnati ti piacciono. In cambio, tu potrai bagnare le loro canottiere, sai, tipo una gara delle magliette bagnate».
«Sei disgustoso».
«Oh, dài. Non vuoi vedere le tette di qualche ragazza sotto un top trasparente prima di costringerti a una vita di astinenza sessuale? So che è impossibile portare Mister Moralismo in uno strip club».
«No, non voglio. Non potremmo semplicemente andare in un ristorante indiano?»
«Un ristorante indiano! Un ristorante indiano! Ho una reputazione da difendere, io. Potrei tenere alta la testa se organizzassi un addio al celibato che consiste semplicemente nell'andare in un ristorante indiano?».
Lo fissai per un attimo.
Stavo di nuovo pensando. Perché non riuscivo a smettere di pensare, dannazione? «Perché i matrimoni sono un tale casino?», chiesi infine, esasperato da me stesso. «Perché non ci si può semplicemente sposare e andare avanti con la propria vita?»
«Posso aiutarla, signore?», chiese un commesso, comparendo di colpo al mio fianco.
«Sì», sbottai. «La prego, vorrei vestirmi da idiota per il giorno più importante della mia vita. Può aiutarmi?»
«Certo, signore», rispose il vecchietto senza fare una piega. «Come quale tipo di idiota vorrebbe vestirsi?»
«Questo», dissi, mettendogli in mano il foglietto su cui Suran aveva elencato con precisione quello che voleva che lui e Hoseok indossassero.
L'uomo studiò per un attimo il pezzetto di carta, mentre io fissavo Hoseok con aria di sfida.
«Vorrei complimentarmi con la sua futura sposa per la scelta. Non c'è dubbio che lei sarà la star dello spettacolo. Se vuole attendere qui un momento, prenderò i vostri vestiti», disse l'uomo, rivolgendomi un sorriso rassicurante e stringendomi la spalla.
«Grazie», risposi, per poi lasciarmi cadere sulla poltrona di pelle consunta e prendermi la testa tra le mani.
«È stato divertente. Di solito non sei così divertente. Ti senti male?», chiese Hoseok.
«No», dissi da dietro le mani.
«Allora qual è il problema, raggio di sole?», chiese Hoseok. «Stai avendo qualche ripensamento o ti hanno fatto un trapianto di personalità?».
Alzai lo sguardo e mi chiesi cosa diavolo avrei dovuto dire al mio migliore amico. Non sapevo cosa dire a me stesso, figurarsi articolare il problema per qualcun altro.
«Non lo so», ammisi infine in tono disperato. «Tutto questo trambusto, credo stia solo iniziando a pesarmi un po'».
«Be', allora riduci un po' il carico. Non devi essere il cavolo di principe Carlo, sai?»
«Ma è quello che vuole Suran. Non posso negarglielo». Fissai l'amico per un lungo momento. «Ma se non fosse quello che voglio io?», chiesi infine.
«Mmm, capisco», disse Hoseok, avvicinandosi e crollando di peso su un poggiapiedi. «Stai dicendo che non sai cosa vuoi in termini di vino bianco o rosso al ricevimento, o parliamo di un livello molto più profondo? Tipo la scelta tra una bionda o una bruna, magari?».
Mi fissai le scarpe prima di rispondere senza sollevare lo sguardo.
«Forse sono al livello bionda o bruna», dissi. Avevo voglia di piangere.
«Porca paletta», disse Hoseok, balzando in piedi. «Quest'uomo non è un santo, dopotutto. Lei chi è? Te la sei già scopata?»
«Non mi sono scopato nessuno. È solo che c'è qualcuno che mi sta facendo avere dei ripensamenti, tutto qui. Non c'è assolutamente alcuna possibilità che tra noi succeda mai qualcosa, ma il semplice fatto di pensarci mi sta un po' confondendo».
«Scopatela, toglitela dalla testa e sposati. Semplice. Perdinci, questa roba da testimone mi viene proprio naturale, non credi?», disse Hoseok, lanciando un gran sorriso al commesso che era appena tornato con i nostri completi.
«Scusi, signore, diceva?», chiese educatamente lui.
«Lo sposo sta avendo dei ripensamenti causati dall'occhio birichino che gli è caduto su un paio di seni caldi che non appartengono alla sua futura sposa. Io gli sto consigliando, nel mio ruolo di testimone, di scoparsela».
«E posso chiedere in quale modo questo potrebbe aiutare a risolvere il suo dilemma?»
«Se la toglierebbe dalla testa. L'ultima occasione. Restando libero di sposarsi. Fine».
L'uomo spostò lo sguardo da Hoseok a me, che sedeva con il mento tra le mani e lo sguardo cupo fisso di fronte a sé.
«Se la scopi», disse. «Ora, volete provare questi vestiti da pagliaccio o devo rimetterli a posto in attesa di qualche decisione fondamentale?».
Mi alzò senza dire nulla, gli strappai di mano le stampelle e scomparii nello spogliatoio.
«Non mi sto scopando nessuno», la mia voce arrivò da dietro la tenda.
«Questo è ovvio», disse Hoseok.
«Cosa vorresti dire?»
«Che non ti ho mai visto così teso, amico, solo questo».
«Che cosa ti aspetti?»
«Be', a essere sinceri mi aspettavo il mio amico. Il calmo, rilassato e tranquillo Yoongi. O Mister Ragionevolezza, come mi piace chiamarlo. Solo da dietro una tenda, certo, mai dritto in faccia. E invece mi trovo davanti il super stallone in persona. Ci sto mettendo un po' a entrare nell'ottica. Stai sconfinando nel mio territorio. Pensavo di essere io quello con le palle, tra noi».
«Non sono un super stallone. Non ho fatto niente».
Be', forse è quello il punto, amico. Non hai fatto niente. Sei un santo da praticamente tutta la vita. Merda, sei andato a letto solo con Suran. Chi lo fa, di questi tempi? Il papa, ecco chi».
«Non penso che il papa sia andato a letto con Suran», intervenne il commesso.
«Ha ragione. Non si sono mai incontrati. Grazie di averlo sottolineato», disse Hoseok.
«Prego. È tutto compreso nel servizio», rispose lui, e se ne andò di nuovo.
«Senti, chi potrebbe biasimarti se prima di impegnarti ti dessi un po' alla pazza gioia? Meglio adesso che quando sarai sposato. Guarda, non te l'avevo mai detto ma, se può aiutarti, è quello che ho fatto io».
«Fatto cosa?»
«Ho avuto un'avventurella poco prima di sposarmi con Soo-young».
«Stai scherzando? È disgustoso». Scostai la tenda di scatto e mi avvicinai con sguardo malevolo.
«Vedi. Per questo non te l'ho detto. Sei così moralista, a volte. E be', è stato un po' imbarazzante. Ma non è quello il punto. Il punto è che ho avuto un'avventura, mi sono tolto l'idea dalla testa e adesso sono un uomo felicemente sposato. Nessun problema».
«Soo-young lo sa?»
«Merda, no. Mi taglierebbe le palle. Conosci il suo caratteraccio».
«Esatto», dissi. «Immagina come si sentirebbe. Non puoi fare una cosa simile alle persone che dovresti amare. Non puoi farlo e basta». Mi voltai per guardarmi allo specchio. Non sembravo un pagliaccio. Non sembravo un idiota. In realtà avevo un aspetto piuttosto attraente, pensai. Suran aveva scelto uno stile che metteva in risalto le mie spalle larghe e la vita snella ed ero sollevato che avesse optato per una cravatta invece di un ridicolo foulard da collo. E grazie al cielo, niente panciotti ispirati alle carte da parati rugose degli anni Cinquanta. Stavo bene.
Il commesso apparve al mio fianco e annuì con aria d'approvazione.
«Sta bene», disse. «Sembra pronto. Lo è?», chiese.
Mi voltai a guardarlo.
«È evidente che sua moglie la conosce a fondo», proseguì l'uomo. «Non pensa che abbia scelto bene?»
«Sì», borbottai infine. «Penso di sì».
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