Capitolo 10
YOONGI'S POV:
Mi appoggiai allo schienale e feci un grosso sospiro di sollievo. Cos'aveva quella ragazza? Doveva mancarle qualche rotella, decisi, per essere così stupida in fatto di uomini. In effetti il punto non era lei, ricordai. Era l'amore a renderla stupida. Grazie al cielo ero finalmente tornato in me e avevo deciso di accantonare la mia improvvisa angoscia al riguardo. Avevo soppesato tutto con attenzione e non ero riuscito a trovare alcuna prova che l'amore fosse l'ingrediente essenziale di un matrimonio lungo e felice. La maggior parte delle coppie divorziate dichiaravano di essere state appassionatamente innamorate al momento delle nozze, e questo dove le aveva portate? Meglio dimenticarsene e basta. Concentrarmi sul fatto che c'erano un milione di motivi logici per sposare Suran, anche se non ero del tutto sicuro che l'amore fosse tra questi. Compatibilità, interessi condivisi, analoghe capacità intellettive, lo stesso senso dell'umorismo. Ragioni buone e solide che ci avevano fatti restare insieme per sedici anni. Più di quanto durassero la maggior parte dei matrimoni.
Gettarsi anima e corpo nell'aiutare Y/n con la sua ultima macchinazione aveva nuovamente impegnato con successo il mio cervello, evitandomi altri momenti di riflessione. La portata della cosa e l'importanza del mio ruolo mi avevano tenuto sveglio la notte, ma quella era una buona ragione per fissare il soffitto alle tre del mattino. Molto meglio del mio precedente dibattito inferiore.
Presi il cellulare per fare la chiamata che avrebbe messo in moto la parte successiva del piano. Adesso che avevo conosciuto Namjoon, anche solo tramite il microfono di Y/n, il mio iniziale nervosismo per quello che stavamo per fare a un altro tifoso era scomparso. Chiamai il mio amico nella cabina dei presentatori e poi mi apprestai a godermi la partita. Quando arrivarono agli ultimi minuti del primo tempo, tornò a sincronizzarsi per vedere come andavano le cose tra Y/n e Namjoon. Il silenzio era assoluto, a parte l'occasionale commento sul calcio di Namjoon. "Y/n starà morendo di noia", pensai. Poi udii un forte bussare e la porta che si apriva.
«Scusate il disturbo», sentii dire al mio amico Jimin, il presentatore sportivo. Sono Park Jimin, il presentatore del primo tempo. Il mio assistente ha fatto un errore e ci siamo trovati senza partecipanti per il gioco a quiz Il più grande tifoso del FC Seoul durante l'intervallo del primo tempo. C'è qualcuno interessato?»
«Oh, sì», rispose Namjoon, spostando, da quel che potevo intuire, rumorosamente la sedia alzandosi. «Ho sempre desiderato partecipare. Ogni volta azzecco più risposte dei falliti che salgono sul podio».
«Fantastico. Lei non avrebbe voglia, vero?», proseguì Jimin, rivolgendosi ora a Y/n. «Mi serve ancora un'altra persona».
«D'accordo», acconsentì lei.
«Eh, Y/n... Io non penso che...», iniziò Namjoon.
«No, lo farò. Ci sto. Sarà divertente».
«D'accordo», disse Jimin. «Meraviglioso. Possiamo fare maschi contro femmine. Alzare un po' la posta in gioco. Ci vediamo giù nell'atrio tra cinque minuti».
«Ti faranno domande difficilissime, Y/n. Ti sconfiggerò senza problemi», disse Namjoon appena Jimin fu uscito dalla stanza.
«Bastardo pallone gonfiato», borbottai.
«Non saprei», disse Y/n. «Sono una grande tifosa, sai».
Sentii Namjoon ridere un po' troppo.
«Se lo dici tu, Y/n. Se lo dici tu. Ma ti avverto, nessuno mi batte quando si tratta del FC Seoul. Di certo non una ragazza».
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Guardai al centro del gigantesco campo la minuscola figurina di Y/n, che stava impietrita sul podio accanto a Namjoon, impegnato a fare foto con il cellulare e salutare felice l'enorme folla.
«Signore e signori», disse Jimin nel microfono con voce tonante. «Oggi il nostro tentativo di trovare il più grande tifoso del FC Seoul vede schierati maschi contro femmine. Riusciranno le ragazze a dimostrare che il calcio non è solo un gioco da uomini, o saranno i ragazzi a rivendicare il loro territorio?».
Dagli spalti si levò un boato pauroso e guardi Namjoon pavoneggiarsi sul podio, le braccia alzate come se avesse già vinto.
«Puoi farcela», sussurrai. «Non hai nulla di cui preoccuparti. Stai andando benissimo. Lasciagli credere che vincerà lui».
«Me la sto facendo sotto», fu la risposta bisbigliata di Y/n. «Ci saranno un milione di persone che mi fissano».
«Concentrati, Y/n, concentrati», dissi. «Cinque minuti e hai finito. La fine è vicina. So che puoi farcela».
Non ammisi che anche il mio stomaco stava facendo le capriole dall'ansia.
«Allora, puoi dirmi come ti chiami e da quanto tempo sei un tifoso del FC Seoul?», chiese Jimin, piazzando il microfono in faccia a Namjoon.
«Mi chiamo Namjoon e seguo il FC Seoul da quando avevo tre anni e mio padre ha iniziato a portarmi alle partite. È lassù in curva nord. Ciao, papà», strillò, prima di fermarsi davanti al podio per urlare con tutta la voce: «Sarò del FC Seoul fino alla morte», agitando freneticamente le braccia finché tutto lo stadio prese a scandire il coro.
Seoul fino alla morte,
Seoul fino alla morte,
Sai che resterò,
Certo che resterò,
Del FC Seoul fino alla morte.
Il rumore era assordante e vidi Y/n guardarsi intorno più impietrita di qualche attimo prima.
«E tu?», le chiese Jimin quando il frastuono si fu smorzato.
«Ehm, io sono Y/n Lee e sono una tifosa tipo da sempre», rispose lei, per poi alzare il pugno con espressione poco convinta e borbottare un flebile: «Forza FC Seoul».
Feci una smorfia dal mio posto. Quel piano avrebbe fatto meglio a funzionare, o non mi sarei mai più potuto far vedere in pubblico con lei.
Sembrava incredibile che una simile folla potesse fare tanto baccano e l'istante dopo sprofondare in un silenzio così devastante.
«Giusto, allora ripassiamo le regole, d'accordo?», propose Jimin. «Farò due domande a testa. Vince chi azzecca più risposte, ma in caso di pareggio passeremo alla domanda decisiva. Capito, gente?»
«Fatti sotto!», urlò Namjoon in risposta.
«Sì, d'accordo», sussurrò Y/n.
«Bene, allora partiamo. Cominciamo da te, Namjoon. La tua prima domanda è: in che anno il FC Seoul ha vinto il suo primo campionato?»
«1937», rispose lui senza neanche fermarsi e riflettere.
«Corretto», urlò Jimin mentre lui faceva un balzo e cominciava a correre vittorioso intorno al podio. Dalla folla si levarono grida di apprezzamento.
«Okay, allora, Y/n», disse Jimin in tono gentile. «La tua domanda è questa. Che cosa fece nella stagione seguente che nessun'altra squadra è mai riuscita a fare?».
Lo stadio strapieno rimase quasi in silenzio mentre lei lo fissava inespressiva.
«Vuoi che ripeta la domanda?», chiese il presentatore.
Y/n annuì in silenzio e tra la folla iniziò a diffondersi un mormorio di derisione.
«La stagione successiva a quella in cui vinse il suo primo campionato, cosa riuscì a fare il FC Seoul che nessun'altra squadra ha mai fatto?».
Lei lo stava ormai guardando con aria piuttosto disperata.
«Sono quasi sicuro che siano stati retrocessi», dissi nel microfono. Avevo la nausea, forse quella non era stata davvero un'ottima idea. Potevo essere devoto al FC Seoul da tutta la vita, ma rispondere alle domande sotto pressione era difficile. Persino se non ero io quello sotto i riflettori. Guardai Y/n chinarsi a parlare nel microfono. Trattenni il fiato.
«Sono stati retrocessi, Jimin?», disse lei con un lieve tremito nella voce.
Dalla folla si alzò il debole suono di un applauso rispettoso prima che Jimin rispondesse.
«Esatto», ruggì, dandole una pacca sulla schiena. Y/n sorrise da un orecchio all'altro, sembrando finalmente a proprio agio sul podio. Namjoon scrollò le spalle con indifferenza, quasi pensasse che la sua era stata solo fortuna.
«Okay Namjoon. Le cose adesso si fanno difficili. Riuscirai a tenere duro in nome dei maschietti?», chiese Jimin.
«Posso tenere duro per tutti», rispose lui ammiccando.
«D'accordo, allora, la tua seconda domanda. Il FC Seoul chi ha dovuto sconfiggere per vincere il suo unico trofeo asiatico, la Coppa delle Coppe?»
«Il JP Voltes FC delle Filippine», rispose subito lui, iniziando a saltellare sul posto e a festeggiare prima ancora che Jimin confermasse che era la risposta giusta.
«Ben detto, Namjoon. Risposta giusta. Ora, Y/n, per restare in gara devi rispondere bene a questa. In quale città il FC Seoul ha vinto la Coppa delle Coppe?»
«Shanghai», dissi nel microfono. Grazie al cielo. Forse l'avremmo scampata.
Abbassai lo sguardo su Y/n che stava immobile sul podio senza dire nulla.
«Shanghai», ripetei. «Shanghai».
Y/n lanciò uno sguardo disperato verso la mia tribuna.
«Che cazzo sta facendo?», protestai, balzando in piedi frustrato. Il cavo attaccato alle cuffie si animò, danzandomi allegramente intorno. «Cazzo, cazzo, cazzo», urlai, accorgendomi che si era scollegato e Y/n non poteva sentirmi. Inserii di nuovo lo spinotto nell'attacco e urlai: «SHANGHAI», poco dopo che Jimin ebbe ripetuto la domanda per l'ultima volta.
«Tokyo», la sentii farfugliare disperatamente una frazione di secondo prima che io mi ricollegassi.
«NOOOOOO, SHANGHAI», urlai mentre Y/n alzava la mano di scatto verso il suo orecchio sinistro con espressione scioccata.
Da dietro le dita, la vidi scoppiare in una risata isterica e dare un pugno scherzoso alla spalla di Jimin.
«Scherzavo, Jimin. Ovviamente la città in cui li hanno sconfitti è Shanghai», disse agitando trionfante il braccio.
«Non è giusto», dichiarò Namjoon. «L'ha sentito urlare dalla folla».
«Oh, andiamo, Namjoon, sono sicuro che Y/n non abbia sentito nulla».
«No, certo che no», disse lei.
«Sì, certo», ribatté Namjoon. «Digli di smettere di urlare le risposte», proseguì, facendo un cenno derisorio verso la curva nord.
Di colpo da tutti il campo echeggiarono urla di disapprovazione. "Si stanno rivoltando contro quello stronzo arrogante", pensai. Perfetto.
«Ora cerchiamo di essere sportivi, d'accordo?», disse Jimin. «O non tolleri di essere battuto da una ragazza?». Sul suo volto apparve un sorrisetto malizioso. Namjoon lo fissò inespressivo mentre le urla di disapprovazione si smorzavano in una risata.
«Quindi adesso passiamo alla domanda decisiva per lo spareggio», disse Jimin. «Chiederò a entrambi la stessa cosa e quello che si avvicina di più alla risposta giusta vince il titolo di Più Grande Tifoso del FC Seoul. Siete pronti?»
«Sì», risposero in coro Y/n e Namjoon.
«Da quando si è iniziato a tenere il conto verso la fine dell'Ottocento, quanti calciatori hanno giocato per il Seoul Football Club?», chiese Jimin.
La folla trattenne il fiato. Era una domanda difficilissima. Mi sentii sul punto di vomitare. Era davvero, davvero difficilissima.
«Allora, Namjoon, tu che dici?», insistette Jimin dopo aver lasciato loro qualche minuto per riflettere.
Namjoon aveva chiuso gli occhi per la concentrazione. Li riaprì prima di rispondere: «Direi più o meno ottomila e cinquecento».
«E tu che ne pensi, Y/n?», chiese Jimin.
«Penso abbia esagerato un po'», bisbigliai. «Ho la sensazione che durante la guerra non abbiano giocato. Di' un numero un po' più basso».
«Ehm, penso che io azzarderò ottomila», disse Y/n, con la voce di nuovo tremolante.
"Merda", pensai. Troppo. Si era abbassata di troppo.
«È la tua risposta definitiva?», chiese Jimin.
Y/n annuì in silenzio.
«Be', sappiate che ci siete andati entrambi molto vicini», disse Jimin. «Vincerà Y/n a nome della rappresentanza femminile, o Namjoon verrà sconfitto da una ragazza? Un po' di silenzio, per favore, sto per rivelare la risposta definitiva».
La folla si zittì mentre io pregavo, su nella mia minuscola cabina.
«La risposta alla domanda "Quanti calciatori hanno giocato nel FC Seoul" è... Ottomila duecentoquattordici».
Ci fu una pausa mentre tutti cercavano di calcolare chi avesse vinto. Y/n e Namjoon rimasero incollati ai loro posti, incerti su cosa significasse quella risposta.
«Questo significa che, questa settimana, il titolo di Più Grande Tifoso del FC Seoul va a... Y/n, per un pelo. Mi spiace molto, Namjoon, ma oggi sei stato davvero battuto da una ragazza».
Toccò a Y/n adesso correre vittoriosa intorno al podio sotto lo sguardo inorridito di Namjoon, che rimase immobile, chiaramente scioccato, mentre la folla iniziava a scandire un altro coro.
Battuto da una ragazza.
Battuto da una ragazza.
Battuto da una ragazza.
Battuto da una ragazza.
Lui sollevò gli occhi sgranati sulla curva nord, da dove era partito. Migliaia dei suoi amati compagni di tifoseria puntavano il dito accusatore in aria e lo irridevano nel peggior modo possibile. Lui impallidì e sembrò ritirarsi su se stesso, come se quella disgrazia avesse risucchiato tutta la sua arroganza e la sua sbruffoneria. Y/n se ne accorse evidentemente e non poté fare a meno di ridere. La portata di quell'umiliazione credo che superava persino i suoi sogni più sfrenati.
«La Più Grande Tifosa del FC Seoul ha qualcosa da dire?», chiese Jimin, spingendo il microfono davanti al suo volto sorridente.
«Certo che sì», rispose lei, voltandosi verso la beffarda curva nord e alzando le mani in aria. «Vorrei ringraziare questa magnifica folla».
In risposta al suo complimento si levò un'esaltazione assordante.
«Ma che cazzo», urlò Namjoon, afferrando il microfono.
«Niente parolacce, per favore», intervenne Jimin. «Ci sono bambini presenti».
«Sono io il Più Grande Tifoso del FC Seoul», ruggì lui. «È impossibile che lei sia una vera tifosa». Man mano che lo shock lasciava il posto alla rabbia, il suo pallore mortale veniva sostituito dal rosso rabarbaro. «Cristo santo, quando uscivamo insieme non sapeva neanche chi fosse Osamr Barba. È la Più Grande Fan di Rick Astley, non del FC Seoul. Mi annoiava a morte con quel tizio, per questo l'ho mollata».
Y/n rimase a bocca aperta.
Io rimasi a bocca aperta.
«Allora ti ricordi», la sentii sussurrare.
Lui le rivolse uno sguardo di totale disprezzo.
«Certo che mi ricordo», disse in tono di sfida.
Y/N'S POV:
Non potevo crederci. Tutto quello che mi aveva detto di sopra era una bugia, e non solo: mi aveva di nuovo definita noiosa in pubblico. Pensavo che batterlo davanti agli altri tifosi sarebbe stato sufficiente a insegnargli una lezione, ma era evidente che dovevo fare di più. Non era finita lì. Non avevo avuto intenzione di spingermi a tanto, ma Namjoon se l'era cercata. Feci un passo avanti e piantai il dito nel simbolo della squadra che lui sfoggiava con orgoglio sul petto.
«Ti definisci tifoso», sibilai. «Ricordo cos'hai fatto l'estate in cui siamo usciti insieme», dissi, strappandogli di nuovo il microfono. «Perché non mettiamo tutti a conoscenza del tuo terribile segreto?».
Fu Namjoon, a quel punto, che trattenne il fiato impallidendo di colpo per la seconda volta quel pomeriggio.
«Non osare», urlò, avventandosi su di me. Per fortuna, Jimin decise che era il momento di intervenire.
«Calma, calma», disse, posandogli una mano decisa sulla spalla. «Non è così che ci si comporta, no?».
Mi schiarii la voce e mi preparai a fare un annuncio.
«Nooooooooooooooo», strillò Namjoon, crollando in ginocchio di fronte a me. «Non farlo», mi implorò, congiungendo le mani. «Tutto tranne questo, ti prego».
Era patetico.
Così diverso dall'espressione arrogante che aveva mostrato poco prima.
«Non qui», gemette. «Non puoi dirlo qui, ti prego. Mi crocifiggeranno».
Assaporai ancora un attimo il suo volto terrorizzato, poi mi chinai per parlargli all'orecchio.
«Non è piacevole, vero?», sussurrai. «Non è piacevole essere umiliati di fronte alle ultime persone al mondo che vorresti assistessero alla tua umiliazione, vero? Io ho provato la stessa identica cosa quando mi hai mollato e adesso è il mio turno».
Namjoon si accasciò sui talloni e mi fissò, impallidendo ancora di più. Mi alzai e sollevai il microfono per rivolgermi alla folla.
«Nell'estate del 1988 il FC Seoul subì una schiacciante sconfitta 4 a 1 da parte del Dalian Pro che li lasciò a languire in fondo alla seconda divisione», annunciai in tono chiaro e deciso. Lo studio mormorò, ricordando quel periodo. «Namjoon assistette a quella partita e, mentre se ne andava, prese una decisione imperdonabile».
Il mormorio divenne un borbottio.
«Decise di disertare e ritirare il suo sostegno al FC Seoul».
Il borbottio si fece ancora più forte.
«Noooooo», urlò Namjoon, coprendosi le orecchie con le mani.
«Non è questa la cosa peggiore», continuai. «Ha ripudiato il FC Seoul nel momento del bisogno e ha tifato...», m'interruppi per aumentare l'enfasi, «Ulsan Hyundai per cinque giorni interi», terminai in tono trionfante.
Il borbottio si trasformò in un boato mentre lo stadio assumeva l'aspetto di un'arena di gladiatori. Ogni angolo trasudava minaccia mentre gli altri tifosi del FC Seoul lanciavano grida di disappunto e scherno, rifiutando Namjoon con quanta più foga possibile. Il rapporto che aveva con loro, con il calcio e con FC Seoul era cambiato per sempre. Non esisteva peccato peggiore che tifare per la squadra cittadina rivale.
«Hai qualcosa da dire a tua discolpa?», chiese Jimin, solenne, trascinandolo in piedi per affrontare l'ira degli altri tifosi.
«Ero giovane», piagnucolò Namjoon. «Pensavo che lo Ulsan Hyundai avesse più possibilità di vincere qualcosa». Nascose il viso tra le mani, incapace di affrontare migliaia di volti arrabbiati. «È stato solo per cinque giorni», borbottò.
Quando le bottigliette di plastica e i cartoni di polistirolo iniziarono ad atterrare sul campo, Jimin comprese che forse era il caso di interrompere.
«Che ti serva da lezione», disse, scuotendo cupo la testa. «Quanto a te», si rivolse verso di me. «Tu incarni lo spirito di questa squadra. Un esempio brillante di impegno e lealtà. Signore e signori, vi chiedo un applauso per la vincitrice di oggi del titolo di Più Grande Tifosa del FC Seoul, l'unica è inimitabile Y/n Lee!».
La folla vociò il suo apprezzamento. Sotto lo sguardo incredulo di Namjoon, presi a girare per il podio, pavoneggiandomi con tutta la sicurezza e la gioia che lui aveva mostrato qualche minuto prima. Lui si tirò indietro di scatto quando, fermandomi davanti a lui, mi chinai a sussurrargli ancora una volta all'orecchio.
«Approfitta di questo momento, Namjoon», dissi. «Sospetto sia l'ultima volta che potrai mettere piede in questo stadio. Goditelo». Detto questo, saltai giù dal podio e attraversai di corsa il campo.
YOONGI'S POV:
A quel punto, capii che dovevo andare subito a cercarla. Uscii dalla cabina dei commentatori e scesi di corsa tre piani di scale prima di salirne un'altra serie che portava nella tribuna. Sotto di me, gli addetti alla sicurezza stavano accompagnando Y/n oltre la barriera ai margini del campo. Tra poco sarebbe scomparsa.
«Y/n!», gridai. Lei non si voltò. Non mi aveva sentito.
«Aspetta, Y/n», urlai, precipitandomi verso il campo, ignaro degli sguardi straniti che mi seguivano.
«Y/n!», gridai di nuovo. Finalmente lei si voltò e, notandomi, iniziò a farsi strada tra due addetti alla sicurezza che cercavano di farle attraversare sana e salva la folla con il suo trofeo. Un'ambita maglietta firmata.
«Yoongi», urlò, correndomi incontro su per le scale. «Ce l'ho fatta, ce l'ho fatta».
C'incontrammo a metà della scalinata della tribuna 104 e ci abbracciammo, saltando su e giù per la gioia.
«Ce l'ho fatta», continuava a ripetere lei. Si tirò indietro.
«Hai visto la sua faccia?», chiese. «Non credeva ai suoi occhi. È magnifico, Yoongi», disse con il volto rigato di lacrime. Non ci feci caso. Sapevo che erano lacrime di gioia. Lei avanzò per abbracciarmi di nuovo ed io la strinsi a mia volta.
La stavo ancora abbracciando quando mi accorsi che non sapevo bene quando avrebbe dovuto smettere e neanche se avevo voglia di farlo. C'era qualcosa che scaldava il cuore in una donna che piangeva di gioia sulla tua spalla. Indietreggiai di scatto come se lei avesse preso fuoco.
«Allora», dissi, sentendo il bisogno di distruggere il momento. «Un'ultima domanda».
«Quale sarebbe?», chiese lei, tirando su con il naso.
«Posso avere la maglietta?», chiesi, indicando il pezzo da collezione che lei stringeva tra le dita.
«Certo», urlò lei. «Non l'avrei mai vinta senza di te».
Me la porse.
A quel punto, un uomo di mezza età seduto lì accanto si sporse verso di noi.
«Lei dev'essere l'uomo più fortunato del mondo», mi disse. «Non solo sua moglie ama il calcio, ma le procura anche una maglietta firmata. Io non riesco a convincere la mia neanche a farmi avere Sky Sport», brontolò.
«Non è mia moglie», dissi.
«Non sono sua moglie», disse Y/n.
L'uomo ci guardò confuso, prima di illuminarsi. «Vedo», disse lentamente. «Allora non è solo fortunato, è un fortunato bastardo», disse, scuotendo la testa incredulo.
«No, lei non capisce», protestai.
L'uomo inarcò le sopracciglia come se capisse perfettamente.
«Forza», disse Y/n, strattonandomi la manica. «Dobbiamo andare a festeggiare».
«No», dissi con fermezza, facendola sobbalzare. «Non posso, Y/n», proseguii. «Ho promesso a Suran che questa sera l'avrei portata al The Loft. Non posso presentarmi di nuovo ubriaco. Non dopo l'ultima volta».
Alle nostre spalle, l'uomo tossì.
«Certo», concesse. «Ti ho preso in prestito abbastanza, per oggi. Come potrò mai sdebitarmi?».
L'uomo tossì di nuovo.
Decisi di ignorarlo. «L'hai già fatto», dissi, sollevando la maglietta.
Lei rise. «Be', ci vediamo lunedì». Si sporse in avanti per un ultimo abbraccio. Ci stringemmo per un secondo di troppo.
«Ciao», dissi quando ci separammo.
«Ciao», disse lei con un piccolo cenno con la mano.
Fui il primo a voltarsi, e dovetti ricorrere a tutta la mia forza di volontà per non girarmi di nuovo a controllare se lei mi stava guardando mentre salivo le scale.
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