2 - Passato

Un trambusto tremendo Γ¨ tutto ciΓ² che mi ricordo di quel momento che vorrei dimenticare. Non il dolore, non la paura. Un trambusto coperto da un urlo acuto che sento ogni notte nei miei incubi.Β  Non credo che sarΓ² mai in grado di scappare da questo supplizio.
È stato un banale incidente a portarmi via la mia picola famiglia. Ne accadono spesso, ma non so perché sia capitato proprio a me, proprio quel giorno. Da allora la mia vita è alquanto monotona.
Mia madre morì quel giorno di 5 anni fa. Dopo l'incidente venni affidata ad un orfanotrofio che si occupava dei bambini bisognosi di cure "speciali". La maggior parte di loro erano bambini che, come me, erano rimasti coinvolti in incidenti di vario tipo.
Ho 13 anni al momento, e la mia mente ha ormai accettato la perdita. Mia madre non era imparentata con me in realtΓ , ma poco importa il sangue confrontandolo all'affetto sviluppato dopo essere vissute insieme per 8 anni.
Ho sempre saputo che lei era mia madre solo per nome. Fin da piccola mi raccontava dei miei veri genitori, suoi carissimi amici. Mia madre era morta dandomi alla luce, e di mio padre si erano perse le tracce nello stesso periodo. Ma oltre questo non diceva altro, nonostante si lasciasse sempre sfuggire un'intonazione della voce che implicava altre cose tenute nascoste. Non so cosa, ma non credo mi interessi saperlo. Saranno pure i miei genitori, ma sono come estranei per me, dato che non li ho mai conosciuti.
Adesso sono sono in una struttura medica per ragazzi con "bisogni speciali". Sono finita qui dopo essere stata dimessa dall'ospedale, perchΓ© l'incidente mi ha causato una paralisi delle gambe. E dopo aver visto i poveretti che vivono con me in questo edificio, non me la sento di lamentarmi. Del resto la mia vita Γ¨ ben poco affetta da questa mia particolaritΓ . E, cosa piΓΉ importante, la tecnologia recentemente sviluppata consente di guarire da una paralisi. L'unica cosa che mi separa dalla mia guarigione Γ¨ l'assenza di fondi, ma il solo sapere di questa possibilitΓ  mi rallegra.
Questa struttura che offre rifugio a tanti con situazioni peggiori della mia puΓ² essere definita un piccolo paradiso. Vista da occhi esterni Γ¨ un semplice orfanotrofio per ragazzini che non verrebbero accettati altrove, un posto vuoto e senza colori. E, per quanto riguarda i colori, Γ¨ vero. Ma solo nel senso strutturale. Infatti l'edificio Γ¨ dominato dal bianco e dal grigio, sia per i muri che delimitano lo spazio all'aperto della struttura, che per le pareti esterne; tutto per mantenere un’aura di professionalitΓ  che sparisce quando si mette piede all'interno. Appena varcato il cancello principale ci si trova davanti ad un sentiero piastrellato che conduce direttamente al portone dell' edificio, aperto fino al coprifuoco. Il resto del giardino, ad esclusione di un porticato molto apprezzato durante i giorni piΓΉ caldi, Γ¨ coperto da erba verdeggiante mantenuta corta in modo meticoloso, rendendo facile a tutti i "residenti" il percorso fino alle strutture e ricreative: una specie di parco giochi dotato di tutte le giostre accessibili anche ai ragazzi con qualche disabilitΓ . Nel lato opposto del giardino, invece, i responsabili della struttura mantengono diversi tipi di alberi da frutto e frutti di bosco, cosΓ¬ da coinvolgere i bambini durante la stagione della raccolta e preparare una macedonia per merenda.
Mi sono concentrata sul giardino perché, al momento, mi trovo lì. Sono sotto ad un albero intenta a sfogliare un libro che ho già letto, alla ricerca di un particolare capitolo che volevo rileggere. Una volta trovato mi immergo in quel mondo di cui vorrei essere un abitante solo per poter assistere alle meraviglie raccontate dalla penna abile di uno scrittore con i miei occhi.
L'immagine magica nella mia mente svanisce quando una voce squillante di bambina inizia a chiamare insistentemente il mio nome. La direttrice mi stava cercando, diceva. Ringrazio la bambina e mi avvio verso il portone.
L'interno della struttura, come avevo giΓ  accennato prima, contrastava ma monotonia dell'esterno con un putiferio di colori che erano stati in qualche modo sistemati in modo da essere perfettamente abbinati l'uno all'altro. L'ingresso Γ¨ principalmente una stanza per accogliere gli ospiti, dotata di poltroncine bianche con cuscini azzurri e tavolini beige. Diversi quadri astratti e piante in vaso rallegrano l'atmosfera rendendolo quasi simile ad un salotto. Un tappeto grigio chiaro con le setole morbide e lunghe rende la zona poltrone ancora piΓΉ accogliente, ma io evito categoricamente quella parte di stanza per evitare di sporcare l'arredo con le ruote della mia sedia a rotelle. Si, se non si fosse ancora capito, sono costretta in sedia a rotelle dall'epoca dell'incidente.
La direttrice era nel suo studio, posto alla fine del corridoio delle ragazze del primo piano. Durante il percorso il mio occhio cade inevitabilmente sulla porta della mia stanza, chiusa e silenziosa. A quest'ora del pomeriggio, poco dopo pranzo, Γ¨ raro che i residenti escano dalle loro stanze. Infatti, mentre dalle altre camere arrivano le voci delle bambine e delle ragazze che si confrontano con i loro compagni di camera. Le stanze sono infatti organizzate a gruppi di 3, con corridoi diversi per ragazzi e ragazze. La stessa cosa si ripete per i restanti due piani, anche se il secondo Γ¨ quasi vuoto. Io non ho compagne di stanza, se ne sono andate qualche anno fa, e quindi la mia camera Γ¨ sempre silenziosa.
Arrivata alla porta dello studio sento tre voci parlare, di cui riconosco quella della direttrice. Busso alla porta e aspetto un po', il tempo di consentire l'arrivo della direttrice. Dopo una trentina di secondi lei apre la porta e sorride caldamente: -Vieni cara, entra pure - dice.
La direttrice Γ¨ una donna robusta, e pare che un tempo fosse un'atleta. A seguito di un incidente una delle sue gambe Γ¨ rimasta distrutta, rendendole impossibile proseguire la sua carriera, e ha deciso quindi di prendersi cura di ragazzi con problemi simili ai suoi. Lo so, sembra una storia da film, ma pare sia la veritΓ .
La direttrice si sposta per permettermi l'ingresso, gamba permettendo, e io mi faccio strada nello studio, sentendomi subito osservata. Mentre la donna alla porta torna lentamente al suo posto io mi concentro sui due estranei. Una donna e un uomo abbastanza giovani tutto sommato, entrambi con un'altezza discreta, notabile anche mentre erano seduti. Entrambi fanno per alzarsi, con l'obiettivo di salutare probabilmente, poi ci ripensano e si siedono, presentandosi da seduti per non mettermi in soggezione. Apprezzo il gesto, onestamente.
La donna, Marie, ha dei voluminosi capelli biondo scuro e occhi color nocciola, con una carnagione abbronzata. Indossava vestiti formali, palesemente costosi, ed era truccata in maniera impeccabile.  Aveva un'espressione amichevole che sembrava irradiare una fiocca luce calda. È lei ad iniziare a parlare, presentandosi come modella e partner lavorativo di una famosissima azienda (di cui, ovviamente, so solo il nome, che ho anche dcordato).
Marie procede poi ad introdurre il marito, o almeno suppongo che lo sia. Lui ha dei capelli castano scuro e occhi neri. Stava tentando di sorridere, ma sembrava alquanto imbarazzato. Sembrava una persona simpatica e forse timida. Robert, così si chiamava, pare essere il preside di una prestigiosa scuola di cui, invece, ho sentito molto parlare. La Antinius è un istituto privato che è stato il punto di partenza di molte menti geniali dei nostri tempi, tra cui la persona che ha trovato un modo per curare condizioni come la mia.
Dall'espressione sul volto della direttrice avevo intuito come tutto quello sarebbe finito. Penso che la coppia voglia adottare qualcuno dalla struttura. Ma perchΓ© delle persone fortunate come loro vorrebbero adottare persone dimenticate come noi? E soprattutto, perchΓ© sono stata chiamata io?
Non mi sto certo lamentando, eh. Solo che Γ¨ una cosa improvvisa che non avevo mai preso in considerazione potesse accadere. Da quel che ho visto finora, Marie e Robert sembrano tagliati a fare i genitori. E io non credo di essere pronta a sostituire mia madre, nonostante io sappia che, se fosse ancora qui, mi esorterebbe a scegliere di andare avanti con la mia vita e lasciarla andare.
Il silenzio diventa pesante nella stanza, senza nessuno che osa aprire bocca per evitare di rompere il sottile equilibrio che si Γ¨ creato attorno a me, persa fino a poco fa nei miei pensieri. E come immagino stessi fino a poco prima io Robert ha lo sguardo fisso nel vuoto, perso nei meandri della mente.
Marie è invece più attiva, sorride imbarazzata alla direttrice, che risponde con il solito caldo sorriso, con uno sguardo che dice "mi dispiace per questa situazione". Ma lei non ha motivo di essere dispiaciuta. È colpa mia se l'atmosfera è diventata pesante, così tanto da comunicare con sguardi ed espressioni soltanto.
Devo prendere coraggio, almeno per presentarmi. Sono sicura che la direttrice abbia mostrato alla coppia il mio fascicolo. Sapranno già che non sono brava con le persone. Non c'è motivo di essere agitata quindi, o no? Eppure quando parlo le parole escono dalle mie labbra con un tono di voce duro che assolutamente non volevo usare. Così sembrerà che li ho presi in antipatia.
Per rimediare cerco di sorridere, sperando che non sembri forzato. Marie e Robert, riscosso dal suono della mia voce, sembrano solo sollevati che io abbia parlato.
L'aria si alleggerisce e la direttrice prende parola: - Cara, sono sicura che tu abbia capito perchΓ© sei stata chiamata qui. Questa gentile coppia vorrebbe adottarti. Che ne dici, eh?-
Torno a riflettere. Penso al funzionamento del sistema di adozione. Se il bambino o i "genitori" non si trovano a proprio agio il primo Γ¨ libero di fare richiesta di tornare alla struttura entro un anno dalla firma delle carte. Sapendo questo, non c'Γ¨ motivo di rifiutare per paura che le cose vadano male.
Presa la decisione, non mi resta altro da fare che racimolare tutto il coraggio rimasto per dare la mia risposta, possibilmente con un tono di voce cortese. Ad essere onesta, non so se sia riuscita nel mio intento. Credo che sia andato tutto bene, comunque, dato che la coppia sorride.
La direttrice mi manda a farle valigie mentre loro discutono di "questioni da adulti". Percorro il corridoio ancora una volta, forse per l'ultima. Non riesco a capire cosa provo mentre entro nella mia stanza, pronta a svuotarla delle già poche cose che la riempiono. Non so se sono felice o triste. O meglio, non so dare un nome all'emozione. Potremmo definirla un misto di ansia e qualcos'altro, che neutralizza e amplifica il nuovo sentimento allo stesso tempo. Quello che sento mi appesantisce il cuore, ma mi rinfresca la mente. Mi guardo allo specchio, sperando di trovare delle risposte. Tutto ciò che trovo è il mio solito riflesso: pallida come uno spettro, capelli bianchi e occhi grigio/azzurri. Potete pensare che sia bello avre un aspetto del genere, così diverso dagli altri. La verità è che ho passato solo guai per questo aspetto da bambola scolorita.
Quando ero piccola, prima dell'incidente, i genitori dei bambini con cui ero in classe pensavano che mia madre mi avesse fatto tingere i capelli; la mia famiglia era stata quindi etichettata come "cattiva influenza" e i miei compagni di classe avevano ricevuto il divieto di avvicinarsi a me. A causa di questo, ho avuto poche possibilità di imparare a comunicare con il prossimo. È capitato anche che venissi presa in giro, e questo di certo non ha aiutato.
Lo specchio porta brutti pensieri, meglio allontanarsi, e quindi mi ritrovo ad osservare la mia scrivania. Ho lasciato un bel disordine in giro, sono sicura che mi scorderΓ² qualcosa qui alla struttura.
Decido di ignorare il problema maggiore (la scrivania, appunto) e mi concentro sull'armadio, che comunque non Γ¨ messo molto meglio. Il mio armadio Γ¨ composto di pochi capi di vestiario tutto sommato, ma il disordine in cui sono tenuti li fa sembrare il triplo del numero.
Prendo un borsone nero da sotto al letto, ovviamente sfatto, e inizio a metterci dentro vestiti alla rinfusa, perchΓ© tanto si sarebbero scombinati ugualmente. Fatto ciΓ² inizio a recuperare tutto ciΓ² che avevo sparso in giro per la stanza. Alla fine, la borsa Γ¨ stata riempita. Il problema adesso Γ¨ che non posso piΓΉ evitare il mostro disordinato composto da forgli, quaderni, matite, penne, libri e chissΓ  che altro.
Raccolgo tutti i fogli nelle cartelline, metto i libri e i quaderni scolastici nello zaino che uso per la scuola e poi prendo l'ultima borsa che ho per metterci dentro i pochi oggetti preziosi che ho: una palla di vetro con stelline al posto della neve finta e un angioletto al posto del pupazzo di neve; un enorme libro che racchiude tutte le scoperte dell'uomo e il procedimento con cui ottenere ancora una volta quel risultato; una saga di 7 libri fantasy di quando mia madre era ragazza, pieni di scritte che a volte non hanno neanche un senso. Inutile dirlo, la borsa si riempie con 5 dei libri della saga. Setaccio la stanza sperando di trovare un'altra borsa di cui mi ero dimenticata. Tutto ciΓ² che trovo Γ¨ una vecchia sacca rosa bucata, che Γ¨ decisamente inutilizzabile e che dovrΓ² andare a buttare.
Mentre sono in crisi qualcuno bussa alla porta. Mi dirigo in fretta ad aprirla e trovo Marie, ancora con il suo sorriso radioso stampato in faccia.
- Per caso serve un aiuto?- domanda gentilmente. Volevo rispondere di no solo per non darle fastidio, poi noto che porta con sΓ© una borsa abbastanza grande da contenere gli oggetti a cui non ho trovato posto.
Annuisco in risposta e la lascio passare. Lei non solo mi aiuta a sistemare gli oggetti nella borsa, ma si offre di darmi una mano a rifare il letto, operazione che odio, mentre io controllo di non aver scordato nulla.
Controllata e sistemata la camera ci dirigiamo verso la porta, con Marie che continua a raccontarmi annedotti divertenti accaduti sul suo posto di lavoro. Io non parlo perchΓ© non so cosa dire, ma le mie risposte composte da sorrisi abbozzati e movimenti del corpo sembrano sufficienti per lei.
Non so perchΓ©, ma Marie mi sembra degna di fiducia. Nel senso che mi Γ¨ venuto naturale aprirmi con lei. Sento che lei sia in qualche modo simile a me, anche se non so sotto quale aspetto.
Uscendo Marie urta accidentalmente qualcosa sulla porta, che cade a terra provocando un rumore legnoso. Mi accorgo che, in effetti, stavo per dimenticare qualcosa. L'oggetto caduto è una targa, di quelle che si appendono alle porte per segnare il nome del proprietario.  È fatta in legno scuro ed è decorata con una cornice di stelline dorate. E al centro di tale cornice, c'è inciso il mio nome, rifinito con la stessa pittura dorata della vernice: Rhye.

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Capitolo 2! Purtroppo l'introduzione alla storia Γ¨ un po' lenta, nel prossimo capitolo apparirΓ  l'elemento fantasy.
Alla prossima settimana.

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