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Non appena vidi dalla finestra un falco che solcava il cielo tiepido d'alba, ebbi la conferma della saldezza dei miei nervi.

Aracne aveva avuto ragione e, per davvero, si era manifestato nel riflesso dello specchio, una sorta di maschera deformata del mio recente dolore, un'alternativa cinica per reagire al lutto che avrei potuto rigettare, ma che ho accolto in preda all'irrazionalità. Oramai l'errore era stato fatto e non potevo tornare indietro, pena conseguenze spiacevoli riguardanti me e la mia famiglia.

Ovviamente, tutto era immerso nel silenzio e nessuno si sarebbe spinto a levarsi e ad impedirmi di uscire, così mi vestii con quello che riuscii a trovare e uscii.

Il cielo, di un bianco spento, prometteva neve e sembrava che la sua opacità avrebbe soffocato il mondo, lo avrebbe sovrastato con la sua pesantezza. Le colline avevano cessato di respirare primavere rosa, le montagne si erano approfittate del clima minaccioso per affermare la propria supremazia sul creato: le cime aguzze erano scettri di sovrani estinti da tempo immemore, di cui non si ricordava più l'esistenza, anche se gli spiriti dei morti a volte ci provavano, con ogni sforzo possibile; tra le nuvole, insieme al volatile, volteggiavano i corvi e qualche cigno che stava emigrando verso Nord.

Perchè mai degli uccelli così innocenti si univano al viaggio con altri simili così sinistri? Sembrano me, in procinto di scoprire le tenebre in compagnia delle tenebre....

Mentre pensavo a queste cose, salii in groppa a Ellie, il mio cavallo e partii, seguendo il falco che si stava allontanando sempre di più. Nessuno mi avrebbe più cercato, se non tre giorni dopo, con un annuncio sul giornale riguardante la mia scomparsa improvvisa.

Pensieri veloci correvano nella mente, come il mio destriero dal manto scuro e il vento che mi graffiava la faccia, cercando di farmi ritirare con il gelo: mi chiedevo perchè mai Edmond mi avesse mentito su Terramare e tutto il resto della storia e sul perchè quel signore oscuro avesse scelto me come mezzo per raccontare la sua versione dei fatti; magari il mio fidanzato aveva raccontato troppi scandali sul suo conto e ora che era morto cercava di usarmi come forma di ripicca verso il narratore...una motivazione squallida, non c'è che dire.
Da Aracne me la sarei aspettata una forma così grave di accidia, da meritare il giudizio severo di Dio e che Edmond non aveva tralasciato di menzionarmi. Al solo pensiero, scossi la testa così forte da far tintinnare i miei orecchini.

Il castello non era lontano, ma, quando arrivai dopo aver costeggiato un bosco di frassini, mi sembrò di aver percorso centinaia di miglia. La cosa strana era che non c'era una strada maestra che segnasse la via: ero stata lasciata al caso, al destino di potermi perdere. Ciononostante, ce la feci e, con il cuore che mi batteva forte, aspettai che il ponte levatoio si sollevasse per farmi passare. Sotto sotto volevo tornare a casa, ma non sapevo il modo.

Dopo un quarto d'ora passato a tremare per il freddo, finalmente il ponte levatoio si abbassò con uno scricchiolio così forte da spaventare i corvi ed avanzai, pregando il Cielo che non mi accadesse niente. Dall'alto, le torri in rovina mi osservavano nella caducità che le contraddistinguevano.

Quando il portone si aprii, mi trovai in una sala grande; austera, con le pareti di pietra nera e le fiaccole spente. Davanti a me, le scale coperte da morbidi tappeti portavano ad un dedalo di corridoi apparentemente privi di uscita, senza quadri e senza luci rassicuranti, con scale così fragili che potevano rompersi e farti cadere nel vuoto.

Mi sembrava di essere la protagonista di un incubo destinato a perdurare nell'eternità. Il cuore mi batteva forte e sentivo nelle viscere che il mago si stesse nutrendo della mia paura, per svuotarmi e farmi sua, senza uno scopo preciso. Come sempre.

Di scala in scala, cercai di aprire tutte le porte che incontravo, ma invano: i lucchetti erano chiusi e, qualora avessi tentato l'impresa, avrei rischiato di spaccarle.

No, era stata tutta un'allucinazione; ero finita qui per perdere tempo, si stavano preoccupando tutti, sembravo una ragazza viziata, dovevo tornare indietro. Di documenti non si vedeva l'ombra, solo il sogno di trovarli e mettere fine a tutta questa storia.

Stavo per avere una crisi di rabbia quando una porta si aprii in un sinistro cigolio. Il fiato-allora- mi mancò ed entrai subito, ringraziando l'entità misteriosa che in quel momento così delicato aveva prestato soccorso.

Era il suo studio, era stato lasciato tutto così com'era un tempo, solo la polvere era recente e aleggiava sui vecchi volumi inseriti in ordine negli scaffali di quercia, sulle finestre alte con le sbarre lucenti, sulle pareti bianche colorate da arazzi medioevali rappresentanti città contaminate dalla pestilenza, sulla scrivania invasa da altri libri e su cui un teschio si corrodeva gradualmente, non curato da nessuno. Vicino ad esso, una candela di cera spandeva il suo calore di rame.

Mi sedetti in silenzio, pensando che tutto questo fosse ancora una volta uno scherzo malato prodotto dalla mia mente. Tuttavia realizzai che il castello esisteva; lo studio esisteva e che un diavolo diverso dagli altri mi aveva legato a sè senza che me ne fossi accorta , indovinando il mio vero nome nel silenzio degli anni.

Infatti mi chiamavo Galinda, ma per non sottomettermi a nessuno usavo il mio nome non intimo, Glinda. Non so come Aracne avesse indovinato il mio nome segreto, ma sapevo che era necessaria la scrupolosa obbedienza nei suoi confronti. Un altro errore di Edmond? Che durante le nostre feste, per il troppo vino, avessi detto il mio vero nome?  Non avevo voglia di chiedermelo e di darmi la risposta...

Davanti a me, in effetti, c'erano vari libri lasciati incompiuti. Tutti del mostro. Erano diari, lettere, saggi sulla magia nera, poesie e monologhi deliranti probabilmente stesi nei mancati momenti di lucidità. La calligrafia con cui erano stati registrati era elegante; curata; quasi maniacale nella disposizione delle lettere e della punteggiatura, come se sbagliare avrebbe fatto crollare il mondo perfetto che l'autore si era costruito con sacrifici e rinunce varie.

Allora, il mio uomo voleva il controllo come me, senza ordine era un fiore lasciato in balia delle tempeste più crudeli. Come me, proprio come me.

Sembravamo due facce della stessa medaglia, era inquietante....

Ritornando a concentrarmi sulle carte, presi la penna d'oca che trovai ben sistemata per il mio arrivo, oltre che dei fogli vuoti e cominciai a leggere e allo stesso tempo a scrivere, per dare senso alla mia avventura.

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