𝓮𝓹𝓲𝓵𝓸𝓰𝓾𝓮: 𝓽𝓱𝓮 𝓴𝓲𝓷𝓰'𝓼 𝓱𝓸𝓻𝓼𝓮𝓫𝓪𝓬𝓴 𝓻𝓲𝓭𝓮
"Esecuzione".
Era l'unica parola che importava, in quel momento.
Probabilmente era ciò che Yannick Windsor più aspettava, l'unico motivo per cui nei suoi anni di vita avesse saputo sorridere seppur in modo così falso, così patetico.
Celati dietro un sorriso, una maschera, un personaggio fittizio mai esistito, quei propri ventisette anni non parevano reali a nessuno.
Con quale velocità una persona nemmeno definibile di mezza età aveva conquistato il mondo? Era la domanda che si erano posti in tanti, tantissimi.
Se solo non fosse stata la realtà che ogni giorno li affliggeva, probabilmente l'avrebbero presa come una bugia.
Dopo il blitz all'interno del Governo, dopo aver scovato con le mani nel sacco un Governatore di fronte al proprio tavolo, finalmente, il proprio desiderio era stato esaudito.
Nessuno, nemmeno egli avrebbe mai potuto scordare la sensazione di surrealismo che quel momento aveva portato. Il proprio battito cardiaco come esterno, udibile quasi non fosse all'interno del proprio corpo ma al di fuori, ed il proprio respiro irregolare, per la prima volta non perfettamente in sintonia con tutto quello che era andato a costruirsi.
In quegli anni che erano andati a susseguirsi, aveva fatto sì che la società avesse bisogno di un pilastro su cui reggersi. Ogni mattino non era capace di osservare le proprie mani che non se le immaginava macchiate di un inesistente rosso cremisi, sangue di tutte le persone che aveva dovuto usare come proprio trampolino di lancio per giungere a quel trono.
Si era fatto un percorso con quei corpi, e sapeva che, il giorno in cui se ne fosse stato rimosso uno, avrebbe perso il proprio bilancio.
I fogli sparsi all'interno del proprio ufficio, l'ordine che da sempre era regnato oramai un ricordo: l'allarme rosso, il segnale che tutti i sistemi erano stati violati era stato solo l'inizio verso quella che sarebbe stata la propria caduta.
Non se l'era immaginata, così.
Non se l'era immaginata in una splendida giornata di sole nella quale gli uccellini del mattino ancora potevano sentirsi una volta aperta la finestra, non se l'era immaginata mentre la propria scacchiera personale era stata riposta in uno degli ordinati cassetti.
Anche lui, Yann, per la prima volta, aveva perso la propria compostezza.
In un modo incredibilmente sottile da risultare sia evidente in quella maschera di perfezione che impercettibile.
Facile da riconoscere, per la persona che era stata destinata a combatterlo sin dall'inizio dei tempi.
"Aster".
Un nome che sulle proprie labbra era tanto amaro quanto dolce.
Un rivolo di sudore era sfuggito dalla propria fronte verso il basso nella stessa traiettoria che immaginava il proprio sangue avrebbe preso, mentre la propria mente correva ai rifugi più disparati.
Rimanere seduto era un oltraggio di fronte alla situazione in cui si era trovato, in cui era rimasto faccia a faccia con un membro dell'altra fazione.
La prima cosa che fece, prima di ogni parola, prima di ogni movimento, fu far risuonare la punta della propria scarpa sul pavimento, preludio al movimento che in seguito avrebbe fatto, alzarsi.
Avrebbe voluto uno scontro memorabile, una battaglia all'ultimo sangue, ma nel momento in cui aveva definito quello come il proprio show, il momento in cui aveva aiutato la propria controparte, lo yang al proprio yin, bianco su nero, aveva fatto la propria prima mossa.
Voleva venire fatto a pezzi e distrutto in un modo che avrebbe portato Chaos al mondo intero.
Ma, per una volta, aveva pensato male.
In fondo, una partita di scacchi si vince quando il Re non riesce a fuggire.
Scacco matto.
Due. Parole.
Le due parole perfette, che anche in quell'istante di tensione riuscirono a riportare sulla sua bocca stampata il sorriso da governatore misurato.
Scacco matto.
Di tutte le volte che aveva desiderato farlo a pezzi, fermarlo, disintegrarlo, la mancanza di movimento degli White Thieves lo smosse, profondamente.
Entrambi sicuramente sarebbero stati capaci di udire il lavoro delle guardie e dei sistemi di sicurezza d'emergenza innescati nel tentativo di sopprimere questo attacco sul nascere, sicuramente era ironico come avessero fallito.
La porta era ancora aperta, e da essa sbucarono le testoline curiose di diversi di quei combattenti, fra cui seppe riconoscere quelle che più e più volte si erano fatte riconoscere.
Conoscere i nomi dei propri nemici era un codice d'onore, a tal punto in cui fu fiero di sé stesso per aver saputo riconoscere Hansel, Eva, Flora...?
Alcuni di quei volti segnavano una bambinesca curiosità che li avrebbe forse spinti a domandare al proprio leader che ne sarebbe stato, altri compiaciuto orgoglio e onorevole silenzio.
In qualsiasi caso, non avrebbero parlato.
Per quanto fosse assordante il chiasso che là fuori si stava svolgendo, per quanto sapessero tutti che a porte spalancate anche cittadini comuni sarebbero potuti entrare senza problemi, i passi compiuti in quel momento furono i più rumorosi.
Tap.
Tap.
Così inarmonioso, così inasimmetrico, il sorriso di Yann era cerimonioso contrariamente ad una espressione che era incapace di decifrare.
Tap.
Tap.
La scacchiera era rimasta intatta e non toccata dalle mosse precedenti, tutti i pedoni in posizioni differenti.
Studiandola, quella fine era stata la più logica.
Eppure, era stato così cieco, così fiero da non riuscire ad accorgersene.
Tap.
Tap.
La appoggiò sul tavolo.
Senza parole.
Il pezzo del Re Bianco prese il posto del Re Nero, buttandolo fuori dalla propria posizione.
Avevano vinto.
Perseguendo la sua legge.
Ed egli aveva una promessa da mantenere.
Anche il giorno dell'esecuzione di incredibilmente soleggiato, il venticello che ancora una volta gli scompigliò l'acconciatura ricordandogli che era un giorno cerimonioso per gli altri.
Erano stati sottili, nella propria richiesta.
Un salto temporale, anzi, no, che si tornasse indietro nel tempo ancora una volta come aveva fatto sia con A Midsummer Night's Dream che con The Red Necklace.
A quando tutto ancora era giusto.
Non l'avevano pretesa una spiegazione, gli White Thieves, poiché in fondo l'avrebbero scovata.
Odiava il mondo come odiava la propria personalità, la Persona che aveva creato.
Politica, corrotta, che aveva portato alla distruzione della famiglia reale da cui discendeva la propria linea.
Windsor, come la Regina, che aveva visto il proprio spezzarsi nel preciso istante in cui la società collassò.
Non fu lui dopotutto ad averla distrutta per intero, ed era ciò che la gente non comprendeva.
Aveva perso tutto, così il proprio statuto di evidente principe un giorno, ma, forse, quella crepa nel governo allora presente fu abbastanza per aiutarlo a sfruttare gli avvenimenti futuri, ed a trasformare quel graffio in una vera e propria ferita.
Non aveva richiesto un ultimo passo, bensì un ultimo desiderio.
Rinnegatogli, però, evidentemente non meritevole, aveva fatto a modo proprio di farlo avverare a prescindere, come aveva da sempre compiuto.
Non gli era servito origliare attraverso il buio di una cella per sapere che gli White Thieves avrebbero eradicato dal fondo il proprio desiderio malsano, eppure, per quanto sapesse che, desiderando di tornare indietro avrebbero cancellato la sua esistenza totalmente, non aveva potuto non dare un presagio della propria venuta.
Non avrebbe visto il mondo senza sé coi propri occhi, ovviamente, e per tale motivo aveva desiderato la propria ultima impronta.
Caricando fogli sulle proprie mani, impegnati come non mai a riportare allo splendore di un tempo quel mondo corrotto, tutti l'avrebbero ignorato.
Solamente in pochi, se non uno, sarebbero stati capaci di comprenderne l'origine.
Nella vecchia base militare, ora sede dei White Thieves e funzione per il governo.
Solitario, sulla superficie della scrivania d'ufficio.
Il Re, Nero.
Solitario.
L'ultimo pezzo ad essere caduto da quella tavola di orrori.
L'ultima vittima di un crimine.
La vittima del crimine perfetto.
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