CAPITOLO 38
MATT
«Buongiorno.» Esclamo, entrando in cucina. È un buon giorno? Cazzo, se lo è. Ho ancora la sensazione del corpo di Alissa premuto contro il mio, l'odore dei suoi capelli nelle narici, il suo profumo sulla mia pelle e nel letto, e il suo sapore sulle labbra.
Dylan è appoggiato con i gomiti al bancone e Alissa mangia dei cereali seduta su uno sgabello della penisola centrale. È bella da lasciare senza fiato, anche di prima mattina e con tre ore di sonno alle spalle. Le osservo le gambe nude, una accavallata all'altra, e la voglia di accarezzare e baciare la sua pelle di nuovo mi assale. Ne sento la necessità, come se non potessi farne a meno.
L'unico problema è che Alissa non mi guarda affatto al momento. Il che mi fa storcere leggermente il naso dal fastidio. Al solo pensiero che possa rimpiangere quello abbiamo fatto, la bile mi sale dritta in gola, insieme a una sensazione di angoscia.
Dylan mi fa un cenno di saluto con la testa e poi beve dalla sua tazza di caffè. Cerco di fargli capire con gli occhi e con movimenti leggeri della testa di lasciarci soli, ma non sembra afferrare al volo la mia richiesta silenziosa. Lancio un'occhiata ad Alissa, i cui occhi sono ancora immersi nel vuoto e torno a fare gesti a Dylan, che dovrebbe essere una persona intelligente e perspicace teoricamente. Finalmente l'illuminazione giunge al suo cervello e la sua bocca si estende in un sorriso soddisfatto, mentre solleva i gomiti da sopra il bancone.
«Ok... vado... vado a svegliare Harper.» Annuncia, facendomi alzare gli occhi al cielo, di fronte alla sua discrezione pari a quella di un elefante in un negozio di cristalli. Alissa lo guarda e dalla sua espressione sembra quasi supplicarlo di non lasciarla da sola con... me? Sembra spaventata, in ansia. Cazzo. Perché reagisce così? Solo per me è stato fantastico baciarla e dormire con lei fra le mie braccia e con il suo profumo di cocco che mi stuzzicava le narici? Eppure, io so che ha provato le stesse emozioni che ho vissuto io. L'ho percepito, mentre le accarezzavo la pelle. L'ho sentita rabbrividire sotto il tocco delle mie dita, ansimare quando mi allontanavo dalle sue labbra e ho sentito il suo cuore battere tanto forte quanto il mio mentre la baciavo. E ora, eccola lì che evita il mio sguardo come se fossi una bestia indegna di essere anche solo guardata dai suoi occhi puri e bellissimi.
Mi acciglio, versandomi anch'io un po' di caffè e prendendo il posto di Dylan di fronte a lei, appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina.
«Buongiorno, zucchero.» Mi guarda, mentre le sorrido malizioso.
«C-ciao.» Balbetta. È in completo imbarazzo, le sue guance sono rosse e continua a evitare i miei occhi. «Hai dormito bene?» Mi domanda, mentre si alza con il pacco di cereali in mano. Nemmeno un minuto di conversazione e già si prepara per scappare via da me, ma evidentemente ancora non mi conosce bene. Non la lascerò sfuggire, non dopo stanotte e, soprattutto, non dopo aver percepito con chiarezza che lei mi desidera, come io desidero lei. La mia pazienza ha raggiunto qualsiasi limite immaginabile e ora credo che mi si sia presentata la possibilità che stavo aspettando. E io non ho nessunissima intenzione di lasciarmela scappare. Ho aspettato, ho cercato di rispettare la sua relazione quanto più mi è stato possibile, ma ora non c'è niente che possa farmi fare marcia indietro.
«Una meraviglia.» Rispondo, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo e portandomi alle labbra la tazza. La mia maglietta su di lei e le sue gambe scoperte sono puro piacere per i miei occhi. Potrei rimanere ore qui a guardarla senza mai nemmeno battere ciglio.
Poso il caffè sulla superficie nera del bancone e mi avvicino a lei. Appena poggia la mano sulla maniglia della credenza per aprirla, le mie finiscono sui suoi fianchi e la mia bocca si posa sul suo orecchio. Non mi interessa se si è pentita, se non mi vuole guardare, se a lei non è piaciuto quanto è piaciuto a me, io ho bisogno di toccarla, di sentire la sua pelle sotto le mie dita, di respirare il suo odore.
La sento irrigidirsi sotto il mio tocco e il suo respiro si fa più affannoso.
«Non sei tornata al letto da me.» La rimprovero con un sussurro. Un brivido le scende lungo la schiena, convincendomi ancora di più che anche io ho un certo effetto su di lei. Il modo in cui mi guardava stanotte era già un chiaro segno, ma questa è la conferma di cui avevo bisogno. Non le sono indifferente, e il suo corpo me lo dimostra ogni volta che le sono vicino. Eppure, la sua mente è distante. Lontana da me, lontana da questa notte e lontana dal nostro fottuto bacio. A cosa pensa? Quanti modi il suo cervello sta escogitando per torturarsi?
«N-non mi...» Deglutisce a fatica. «Non me ne hai dato il tempo.» Riesce a dire a voce talmente bassa, da essere appena udibile. Comincio a baciarle il collo e lei inizia ad ansimare, stringendo ancora la maniglia della credenza con una mano e la confezione dei cereali con l'altra. Le mie dita si avventurano sotto la sua maglietta, cominciano ad accarezzarle la pelle appena sopra le mutandine del costume, e un gemito basso le sfugge dalle labbra meravigliose. E questo basta al mio amichetto tra le gambe per mettersi sull'attenti e al mio cervello per iniziare le peggiori fantasie. Lei, piegata su questo cazzo di bancone e io che la prendo da dietro, mentre le mie mani accarezzano ogni centimetro del suo corpo. Il mio uccello continua a gonfiarsi nel mio maledetto costume, e mi prega di liberarlo dalla sua prigione e di affondarlo in lei. E voglio che lei lo senta, che percepisca l'effetto che ha su me. Voglio che capisca che riesce a ridurmi in un piccolo pervertito che non sa controllarsi, come avessi ancora quattordici anni. Porca puttana. Sto. Letteralmente. Perdendo. Il. Controllo.
«Matt?» La sua voce è fievole ed esprime un misto di desiderio e preoccupazione.
«Mmm?» Rispondo, distratto dal suo collo, mentre le dita scivolano sulle sue gambe nude.
«Matt?» Ripete, completamente disorientata. Non riesce nemmeno a parlare, sembra si sia teletrasportata in un altro universo, quello in cui lei smette di preoccuparsi di ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare e si lascia andare ai suoi istinti.
«Aspetta.» Dice poi, bloccando le mie mani e allontanandole da lei. «Credo che... dovremmo parlare.» Parlare? Perché cazzo dobbiamo sempre parlare? Io voglio fare. Tutto. Voglio fare tutto con lei. E adesso. Su questa cazzo di cucina, sul tavolo o in camera. Dove vuole lei. Ma io la voglio ora. Il mio corpo la vuole, la brama, la desidera in ogni momento, anche quando è lontana chilometri da me. Quindi perché, perché dobbiamo parlare proprio adesso? Possiamo rimandare le chiacchiere a più tardi, o possiamo sempre scambiarci qualche parola mentre la scopo come se dovessimo morire tra due ore. Gesù, io non resisto più. Come fa a non capirlo? Riuscire a controllarmi questa notte è stata una delle imprese più ardue che abbia mai dovuto affrontare. L'ho fatto per lei, per non metterla troppo sotto pressione. E anche perché non volevo che pensasse che il mio scopo fosse solo quello di infilarmi dentro il suo adorabile bikini nero. Ma adesso, il mio autocontrollo credo voglia andare a farsi fottere.
Mi rassegno, comunque, facendo un passo indietro e tenendo per me i miei pensieri. Lancio un'occhiata in basso al mio fedele compagno, disperato quanto me, e lo obbligo a starsene buono perché non è nemmeno questo, il giorno in cui finalmente raggiungeremo il Nirvana.
Sospiro e mi poggio al bancone con un fianco, rimanendo girato verso di lei, che fa lo stesso con me.
«Ok, parliamo.» Le concedo. Si schiarisce la voce e si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ascolta, io...»
«Buongiorno!» Un raggiante Cole ci raggiunge in cucina, impedendo ad Alissa di continuare.
«Buongiorno.» Le risponde lei, con un grande sorriso, prima di girarsi, riprendere i cereali e alzarsi sulle punte per metterli di nuovo nella credenza. Nell'allungare le braccia verso l'alto, la sua maglietta si alza e scopre parte del suo meraviglioso fondoschiena. Lo osservo per un attimo, ma poi mi ricordo della presenza di Cole e di come l'ha guardata e toccata ieri sera e mi volto a squadrare – letteralmente – lui. Ovviamente i suoi occhi sono fissi sul culo di Alissa, e le mie mani fremono per prenderlo a pugni. Non abbiamo ancora parlato di quello che stava per combinare ieri sera, e di certo non gliela farò passare liscia. Insomma, capisco perché sia attratto da Alissa, ma lei è proprietà privata. Off limits per lui e le sue stronzate. Sono mesi che mi frantumo le palle sentendo parlare del biondo traditore, direi che mi sono guadagnato dei diritti maggiori rispetto a lui.
«Vado a vestirmi.» Annuncia Alissa, andando verso l'uscita della cucina. Sorride a Cole e gli accarezza un braccio, quando gli passa accanto.
Inspiro profondamente e chiudo per un secondo gli occhi, cercando di rimanere calmo. Non è gelosia, chiariamo, è che mi fa incazzare il fatto che l'unico che ignori sia sempre e solo io. E sì, mi fa incazzare di brutto anche che lo tocchi, soprattutto dopo la scenetta a cui ho assistito alla festa. E ora il mio cervello me la sta anche riproponendo nei minimi dettagli. Lei che strofina il suo lato B sul cazzo del mio amico, con addosso solo un misero costume. Lui che la guarda come se non avesse mai visto una donna in tutta la sua vita, e poi Alissa che si alza sulle punte per... Cazzo, stava davvero per baciarlo?
Mi scrocchio le dita, fissando il moro tenebroso di fronte a me, con la strana voglia ficcargli due dita in un occhio, così che non possa più guardarla come sta facendo anche ora, mentre lei esce dalla porta.
«Provaci e sei morto.» Minaccio Cole, appena si gira verso di me. Alza le sopracciglia, in espressione confusa, fingendo di non sapere a cosa mi riferisca. Non gli ho mai parlato di... questa cosa che sento per Alissa, ma in qualche modo gli ho sempre fatto capire che doveva tenere le sue grinfie lontane da lei.
«Non so di che parli, amico.» Ribatte ridacchiando, mentre abbandono la cucina. Se non avessi una voglia matta di raggiungere Alissa, tornerei indietro per affrontare subito il discorso. Ma ora ho bisogno di sapere cosa passa per la bella testolina di colei che mi ha fottuto il cervello.
Quando entro nella mia stanza, Alissa è girata di spalle e indossa ancora la mia maglietta che su di lei equivale a un orgasmo.
«Puoi fare una doccia, se vuoi.» Le propongo. O potremmo farla insieme, vorrei aggiungere, ma mi costringo a tacere. Si volta a guardarmi e si porta le braccia al petto intimidita. Porca miseria, un passo in avanti e duecento indietro.
«No, la faccio a casa.» Continua a evitare il mio sguardo e io sto per dare di matto.
«Okay, parla.» Ordino, bruscamente. La mia gentilezza è evaporata, così come la mia pazienza. Dentro di me ribolle solo rabbia. Alissa sospira e si passa una mano tra i capelli.
«Non... non doveva succedere.» Sentenzia, e un pugno in piena faccia avrebbe fatto meno male.
«Perché?» La mia voce è sempre più fredda e lei sembra sempre più intimidita.
«Perché non è giusto.»
«Giusto per chi?» Ignora completamente la mia domanda e torna a parlare.
«È totalmente sbagliato, e per moltissime ragioni.» Si appoggia alla parete dietro di lei, fissando i suoi piedi.
«E quali sarebbero queste ragioni?» Sono furioso e al tempo stesso molto curioso di sentire uscire l'ennesima cazzata dalla sua bocca.
«Alex, per esempio.» Sbotta, puntando i suoi occhi nei miei.
«Alex?» La guardo incredulo, portando le mani ai fianchi. «Che cazzo c'entra Alex?»
«Tu le piaci, Matt. Non l'ho mai vista così presa per un ragazzo. E io non posso farle... questo.» La sua voce è fragile.
«Questo non può essere un nostro problema.» Protesto, perché, cazzo, è un problema suo se si è presa una cotta per me. Io non le ho mai promesso niente e non è colpa mia se si è immaginata cose che non potranno mai succedere. Ci siamo solo divertiti, e lei questo lo ha sempre saputo.
«Sì, invece. È un mio problema, Matt.» Perché? Perché vengono sempre prima gli altri? Perché per una cazzo di volta non pensa a sé stessa? Perché? Perché mi parla della sua fottuta amica, mentre io riesco solo a pensare a quanto sia sexy con la mia maglietta addosso?
«Le ho già detto che non provo niente per lei.» Mi avvicino e il suo petto comincia a sollevarsi e abbassarsi più rapidamente, ma non si muove e rimare con la schiena attaccata al muro. «E tu cosa provi, Alissa? Cosa vuoi?» Le accarezzo la guancia, facendole abbassare gli occhi a terra.
«Non ha importanza.» Scrolla le spalle, si solleva dal muro e cerca di raggirarmi. Ma la blocco per le braccia e la spingo di nuovo contro la parete. Le afferro il mento per costringerla a guardarmi e mi chino verso di lei, fino a starle a qualche centimetro dal viso con il mio.
«E quello che voglio io? Nemmeno quello conta?» Le domando in un sussurro roco, gli occhi fissi sulle sue labbra tentatrici. Non mi importa niente di Alex, vorrei che mi fregasse qualcosa, sarebbe tutto più semplice. Lei non mi respinge, mi vuole e me lo dimostra. Ogni volta che mi vede, fa di tutto per starmi vicino e cercare di farmi cambiare idea sul suo conto. Ma io non voglio perché il mio cervello bacato è fissato su questa ragazza, che però fa di tutto per tenermi lontano da lei. E io ancora non ne ho capito il motivo.
«No.» Risponde, ma il suo corpo dice esattamente il contrario. Freme sotto il mio, che la tiene bloccata contro la parete. Mi avvicino ancora alle sue labbra, fino a confondere il mio respiro accelerato con il suo.
«Non me ne frega un cazzo se è sbagliato e neanche delle tue maledette ragioni. Io voglio te.» Confesso, prima che la ragione mi abbandoni completamente. Le sue mani tremanti si stringono attorno al tessuto della mia maglietta e i suoi occhi mi fissano come se volessero penetrarmi anche l'anima.
«Matt.» Il mio nome risuona come una preghiera tra le sue labbra. Non so per cosa mi stia supplicando esattamente, se per baciarla o per lasciarla andare. Ma a me non interessa. Scelgo di interpretare la sua richiesta a modo mio e mi getto sulle sue labbra invitanti, come se baciarle fosse indispensabile per la mia sopravvivenza. Voglio lei, più di qualsiasi cosa abbia mai desiderato nella mia vita. Non ho mai sentito il bisogno di legarmi a una persona, di avere una relazione, ma lei... Ho bisogno di starle vicino perché quando non è con me, io mi sento irrimediabilmente incompleto. Sento la mancanza di qualcosa, perché Alissa ha rubato un pezzo del mio cuore e non vuole ridarmelo indietro. Lo tiene stretto tra le sue mani e ha pieni poteri su di lui. E non solo su di lui. Lei controlla tutto il mio corpo, la mia mente, è ovunque.
Le sue mani tremanti si posano sul mio petto, riscendono sui mie addominali. Le dita piccole tracciano i contorni dei miei muscoli, per poi posarsi sui miei fianchi per attirarmi maggiormente contro di sé. Le mie, le accarezzano le cosce e risalgono fino a posarsi sul suo sedere. Dio, se questo è il paradiso, io voglio morire subito. Cattura il mio labbro inferiore e lo succhia come se volesse staccarmelo. Gemo e il mio uccello pulsa in risposta, impaziente di essere liberato. La desidera quanto la desidero io. Stringo la presa sul suo culo e la sollevo per farle stringere le gambe attorno alla mia vita.
«Oddio.» Sussurra, come se stesse combattendo una lotta interiore. Per lei, io sono il diavolo tentatore che le fa perdere il controllo. Sono peggio dell'alcol che la rende instabile. Mi stringe le braccia attorno al collo e il mio corpo si spinge sempre più contro di lei, mentre le nostre lingue continuano ad esplorarsi. Lecco le sue labbra, prima di spostarmi sul suo collo. Assaporo la sua pelle, che odora ancora di cloro, e il suo corpo si ricopre di pelle d'oca.
«Ho voglia di scoparti proprio qui, contro questo muro.» Ammetto, premendo la mia erezione contro il suo inguine per farle capire quanto io sia pronto per lei. Mi basta solo un segno da parte sua, perché deve volerlo quanto me.
Alissa sussulta, nel sentire la mia affermazione e il desiderio che provo per lei, che spinge proprio sulla sua intimità.
«Oddio.» Ripete, ma stavolta lo dice come se stesse morendo per l'eccitazione. Le lecco la base del collo e trascino la mia lingua su, verso il suo orecchio. Le prendo il lobo tra i denti, mentre una mano si fa strada sotto la sua maglietta e si posiziona sopra a uno dei suoi seni.
Bacio con foga la guancia, la linea delicata della mandibola, prima di ritornare sulla sua bocca. Ma prima che riprenda a baciarla, scioglie l'abbraccio attorno al mio collo e posa le sue mani sul mio petto.
«Fermo.» A malapena riesce a parlare. La sua voce è bassa, roca, spezzata dal desiderio. La mia bocca arresta la sua corsa, la fronte si posa sulla sua guancia e la mia mano libera il suo seno e l'altra il gluteo per farla rimettere a terra.
Respiro a fondo, consapevole che sto per ricevere l'ennesimo pugno nello stomaco. Ha chiesto di fermarmi, e questo vuol dire che la sua parte razionale ha ripreso nuovamente il controllo. E quella parte di lei mi odia. Mi vuole morto, perché sa che io sono la persona sbagliata per lei. Quella che la farebbe soffrire ancora una volta.
«Scusa.» Mormora, affranta.
Sollevo la testa per guardarla negli occhi. Quei maledetti occhi marroni che sono riusciti a fottermi alla grande. Il suo petto continua ad alzarsi ed abbassarsi alla velocità della luce, le sue labbra sono gonfie e leggermente schiuse, ed è bellissima.
«Che succede?» Le domando, mostrandomi comprensivo. Non voglio che pensi che sia arrabbiato. Perché non lo sono. Frustrato, sì, certo, ma non ce l'ho con lei.
«Io...»
«Sono io il problema? Non ti...» La interrompo e, Dio, non credo alle parole che stanno per uscire dalla mia bocca. Sembro un ragazzino di fronte alla sua cotta e che ha paura di essere rifiutato. Se mi vedesse mio fratello in questo momento mi prenderebbe per il culo fino al giorno della mia morte. «Non ti piaccio?» Stringo gli occhi, mentre pongo la domanda più difficile che abbia mai fatto. Come cazzo mi ci sono ridotto così? E soprattutto, quando? Non ho mai dubitato del mio sex appeal, non ho di certo mai avuto problemi con le donne. Al contrario, ne ho sempre avute anche troppe, tanto che a volte mi è stato anche difficile gestirle insieme. Non per vantarmi, ma mi è sempre e solo bastato sfoggiare il mio sorriso per farle scivolare nel mio letto. E lei riesce a mettere in dubbio tutto. Anche le mie sicurezze.
«No! Cosa dici?» Risponde di getto, con una smorfia quasi indignata, come se fosse assurda solo pensarla una cosa del genere. Butto fuori tutta l'aria che non mi ero nemmeno accorto di trattenere in attesa della sua risposta. «Non sei tu... è solo che...» Alissa abbassa gli occhi e un'idea mi balena all'improvviso nella testa. Le prendo il viso tra le mani e appoggio la fronte sulla sua.
«Dimmi che ti senti in colpa per Alex e che non stai pensando a Liam, ti prego. Dimmi che non è per lui che non vuoi più baciarmi.»
Silenzio.
Tiene ancora lo sguardo basso e si morde il labbro inferiore. Cazzo, cazzo, cazzo!
Lascio il suo viso e sbatto il palmo della mano contro la parete vicino alla sua faccia, facendola sussultare.
«Non ci posso credere!» Grido. «Cosa cazzo vuoi, Alissa? Almeno tu lo sai? È lui che immagini quando mi infili la lingua in bocca?» Torna a guardarmi, gli occhi lucidi.
«Non parlarmi così.» Mi punta un dito sul petto e cerca di mostrarsi forte e autoritaria, ma la voce le trema. E quasi mi pento di essere stato tanto duro, ma ora la collera ha preso pieno possesso di me. Io non sono il suo giocattolino, non sono il suo chiodo schiaccia chiodo, e di certo non sono la seconda scelta di nessuno.
«E come diavolo dovrei parlarti?» Sbotto. «Che vuoi da me, Alissa? Dimmi cosa cavolo vuoi da me, perché io faccio fatica a capirlo.» Mi allontano e gli do le spalle, passandomi le mani nei capelli e scompigliandoli ancora di più di quanto non fossero già.
«Non lo so.» Confessa, con voce tremante e insicura.
Mi volto di nuovo verso di lei e ingoio tutte le imprecazioni che spingono per abbandonare la mia lingua. Non lo sa? E chi dovrebbe saperlo, se non lei?
Raccoglie i suoi vestiti e le sue scarpe che avevo poggiato su una sedia stanotte e, prima di rendermi conto che sta scappando dalla discussione, si chiude in bagno.
«Merda!» Borbotto, mentre dentro di me sale la folle voglia di spaccare qualcosa. Mi siedo sul letto e mi concentro sulla respirazione, ma non funziona. Mi alzo di nuovo e comincio a battere sulla porta del bagno.
«Alissa, apri.» Nessuna risposta. «Apri, per favore.» La serratura scatta e la porta si spalanca, facendomi ritrovare un Alissa vestita con i suoi abiti e la mia maglietta tra le mani. I tacchi sono alti e le slanciano le gambe, non le bastano a raggiungere la mia altezza, ma mi basterebbe chinarmi di qualche centimetro per mangiarle la bocca di nuovo. E Dio solo sa quanto ne abbia voglia. Anche se sono incazzato nero, per quelle labbra perdonerei di tutto.
«Ho solo bisogno di tempo, per capire.» Dice, restituendomi la mia maglietta. Sospiro e annuisco, esasperato, lanciando la maglietta, di cui non mi frega assolutamente niente, sul letto. «Ora, è meglio che vada. Credo che prenderò un taxi.» Va verso la porta con me al seguito.
«Posso accompagnarti io.» Propongo, ma so già che la sua risposta sarà no.
«No, tranquillo.» Si ferma di fronte la porta d'ingresso e mi guarda, imbarazzata. «Ok, vado... ciao.» Sembra una bambina, così impacciata e insicura, al contrario della donna sensuale che ha dimostrato di poter essere stanotte.
Poso una mano sulla sua guancia e le do un ultimo, perché ho la strana sensazione che non sentirò le sue labbra sulle mie per un bel pezzo. Si allontana dopo qualche secondo, mi fa un sorriso forzato e se ne va, lasciandomi come un idiota a fissare una fottuta porta chiusa.
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