CAPITOLO 2
ALISSA
Durante il viaggio di ritorno, non posso fare a meno di pensare a Liam. Non riesco a smettere di rimuginare sulle parole che mi ha detto nello spogliatoio "per noi il corpo umano non è di certo un mistero".
No certo, il corpo degli altri, ma il mio... beh, quella è tutt'altra storia. Ho sempre avuto grandi problemi a sentirmi bene con il mio corpo, al liceo non ero magra e ho passato davvero dei brutti momenti. Ero sempre "l'amica di quella carina", "la ragazza con un bel viso, peccato però per il fisico...", "quella cicciottella", "il maschio mancato". Questi commenti si sono infiltrati nella mia testa e non l'hanno più lasciata. Avevo molti amici maschi perché paradossalmente da loro mi sentivo meno giudicata che dalle ragazze. I ragazzi mi trattavano come una di loro, dato che non avevo un briciolo di femminilità, sia nel vestirmi che nel modo di comportarmi. Mi prendevano spesso in giro, pensando che non me la prendessi. Infatti rispondevo sempre con molta autoironia, facevo finta di scherzarci su, e quando arrivavo a casa mi rinchiudevo in camera a piangere. L'unica amica femmina che avevo era Alex, che ha sempre cercato di aiutarmi. Mi riempiva sempre di complimenti per farmi sentire meglio e mi accompagnava al centro commerciale per aiutarmi a scegliere vestiti più carini, che puntualmente rimanevano chiusi nel mio armadio. Non facevano per me, non mi sentivo a mio agio con quegl'abiti, così preferivo indossare i miei soliti jeans e le mie solite magliette o felpe anonime. Preferivo essere invisibile piuttosto che attirare l'attenzione su di me con un abito troppo vistoso. Vivevo nel costante incubo che in qualunque posto andassi, le persone fossero lì per giudicarmi. Nonostante adesso sia più magra e mi vesta meglio, ho ancora molti problemi a mostrare il mio corpo, soprattutto se a guardarmi è un ragazzo come Liam, che deve essere abituato a certi standard di bellezza, dato il suo aspetto e la sua intelligenza. Mi odio per avere dei pensieri del genere, perché ognuno è bello a suo modo e la vera bellezza è data dalla personalità di una persona, non dal suo aspetto esteriore. Almeno questo è il mio pensiero, anche se, probabilmente, non è stato quello di tutte le mie cotte adolescenziali, che si sono limitate a guardare la forma e non la sostanza.
Ma basta, rimuginare non serve a niente. È passato tanto tempo dagli anni del liceo e io sto lavorando su me stessa per cercare di acquisire un po' più di sicurezza e di sopprimere un po' della mia timidezza.
Immersa nei miei pensieri, non mi accorgo neanche di essere arrivata davanti casa. Mia madre e Harper sono ancora al lavoro, Abbie, la mia sorellina più piccola, è in camera sua. Appena sente la porta chiudersi, si affaccia per le scale, tanto da avermi nel suo campo visivo. Mi asciugo velocemente la lacrima sulla mia guancia e mi dipingo in faccia il solito sorriso.
«Allora? come è andata?» Mi domanda, correndo giù per le scale per raggiungermi.
Mi butto sul divano sospirando. «È andata...» Rispondo, senza troppo entusiasmo. Lei si siede sull'altro lato del divano, guardandomi con i suoi occhi marroni simili ai miei anche se leggermente più chiari. «Ho conosciuto alcuni colleghi, sono simpatici. È un sogno che si realizza, ero come una bambina in un negozio di caramelle. È stato fantastico.»
Mia sorella sorride. «Bene, sono sollevata perché dalla tua espressione, sembrava esattamente l'opposto.»
Evito di dirle di Liam e dei castelli in aria che mi sono fatta durante tutto il viaggio in traghetto. A lei, solitamente, non piace che io abbia questo tipo di pensieri su di me. Può essere più piccola di me, ma è una ragazza molto determinata e un'accanita femminista. Mi prenderebbe a pugni se solo mi azzardassi a lamentarmi del mio aspetto e a demoralizzarmi perché non mi sento abbastanza per il genere maschile. Lei non li vuole nemmeno sentire questi discorsi, perché secondo lei, la società non può imporci nessun canone di bellezza. E poi, da brava sorellina, pensa che io sia perfetta nella mia semplicità. E non perde occasione per dirmelo. Se solo riuscissi a crederlo anche io...
«No, sono solo stanca...»
Ovviamente Abbie non ci crede, ma lascia correre e, improvvisamente, il suo viso si accende come se avesse avuto l'idea del secolo.
«Merenda?» Domanda, con gli occhi che le brillano.
Non me lo faccio ripetere due volte, mi alzo immediatamente dal divano. «Ovviamente!» Ci precipitiamo in cucina per ingozzarci un po' di schifezze.
Il secondo giorno di lavoro è andato meglio. Il turno di pomeriggio è un po' più tranquillo della mattina. Ben ha contribuito a rendere il lavoro più divertente e leggero. Sto cominciando ad abituarmi e a conoscere i pazienti. Mi sento bene e sono felice. Lavorare al St. Andrews è esattamente come me lo aspettavo, se non meglio. Ma è anche molto stancante, e non vedo l'ora di arrivare a casa e mettermi direttamente a dormire. Mi levo la giacca e la sciarpa e le sistemo sull'appendiabiti all'ingresso. Entro in cucina e prendo un bicchiere d'acqua, poi vado in soggiorno, illuminato solo dalla luce della TV. Appena entro, il cuore mi va dritto in gola, le gambe vacillano e il respiro mi rimane bloccato nei polmoni.
Matthew Scott, detto Matt per gli amici più stretti, è nel mio soggiorno con gli occhi marroni puntati verso il televisore. I capelli castani gli ricadono spettinati sulla fronte, segno che le dita lunghe li hanno toccati spesso durante il corso della giornata. La sua statura possente occupa metà divano e il tavolino basso su cui ha appoggiato i piedi è stato spostato un po' più avanti, per permettere alle sue gambe lunghe, muscolose e fasciate da quei jeans neri, che lo fasciano come una seconda pelle, di stendersi.
Se non fosse ancora abbastanza chiaro, è lui quello su cui la mia mente fantastica praticamente giorno e notte, senza pausa. Lui è tutto ciò che potrei mai desiderare nella mia vita, perché oltre a essere indubbiamente bello, è intelligente e spiritoso e sempre con il sorriso sul volto. Ma è anche il migliore amico di mia sorella Harper, che si è giusto addormentata con la testa sulle sue cosce. Lavorano insieme alla Sutton Enterprising, lui è un ingegnere informatico e si occupa di tutto ciò che per me è impossibile da capire, come creare un software. Non si conoscono da tanto tempo, solo da nove mesi, ma hanno legato molto. La prima volta, l'ho visto fuori il suo ufficio. Ero andata a prendere mia sorella al lavoro, perché la sua macchina era rotta. L'ho osservato, tenendomi ovviamente a distanza di sicurezza, e lì ho capito che lui sarebbe stato l'uomo della mia vita.
Si, nei miei sogni naturalmente.
Ho subito cercato il suo profilo Facebook tra gli amici di mia sorella e una volta scoperto il suo nome, l'ho trovato anche su Instagram. Aveva il profilo privato, così l'ho seguito con l'account di Abbie. Sarebbe stato più facile se avessi usato il telefono di Harper per vedere il profilo di Matt, ma sul momento non ci ho pensato. Da brava stalker, controllavo - controllo - tutti i giorni il suo profilo, per aggiornamenti vari, nuove storie, nuove foto. Dopo un paio di settimane me lo sono ritrovato a casa. Ero in pigiama, avevo il trucco sbavato, e i capelli sporchi. Stavo per laurearmi e mi ero appena lasciata con il mio ragazzo, quindi ero giustificata. Lui ha fatto finta di non vedere il mio stato pietoso e si è presentato con la sua solita gentilezza. Ho cercato di mantenere la calma, ma avevo le mani tremanti e non facevo che balbettare. Sono scappata in camera mia, dopo circa tre minuti e ho maledetto Harper per il resto del... beh, la maledico ancora, in realtà. Avrei voluto vederla, se avessi fatto io una cosa del genere. Da quel giorno comunque, viene spesso e quasi mi sono abituata alla sua presenza. Anche se vederlo ogni volta è una pugnalata al cuore, dato che lui mi vede solo per quella che sono: la sorella più piccola, e pure sfigata, della sua migliore amica. La sua gentilezza, infatti, si è limitata a quei tre minuti la prima volta che ci siamo visti. Mentre ora, mi prende sempre in giro, non con cattiveria o per offendermi, ma come se fossi anche sua sorella minore. Mi tratta come se fossi ancora una bambina che ha bisogno di essere difesa dal mondo. Mi piace il suo modo di prendersi cura di me, ma lo odio anche perché mi ricorda che lui non mi vedrà mai diversamente. Con questi pensieri tristi in testa, non ho voglia di vederlo e rischiare di deprimermi un po' di più. Faccio un passo indietro, ma sbatto alla porta e lui si gira verso di me.
«Ehi, Ali! Ce l'hai fatta a tornare. Stavo per denunciare la tua scomparsa.» Parla a bassa voce per non svegliare Harper.
«Ciao, Matt.» Bisbiglio come un'idiota e lui mi sorride, facendomi quasi liquefare sul pavimento. Sospiro sognante, ma lui riporta l'attenzione dei suoi occhi scuri sulla tv e non si accorge delle condizioni in cui mi ha ridotto con un semplice e veloce sguardo. Faccio per andarmene, ma mi blocco. «Potresti... Potresti almeno toglierti le scarpe?»
Mi guarda, poi guarda le sue scarpe sul tavolino. «Che bacchettona! Sei peggio di tua madre...» Ridacchio e scuoto la testa. Non si leva le scarpe, ma almeno toglie i piedi dal tavolino e li poggia per terra.
«Buonanotte, Matthew.» Lo saluto, con il cuore che mi batte come un martello pneumatico nel petto.
«Ehi, dai scherzavo, vieni qui.» Poggia la birra sul tavolino e batte con la mano sulla parte libera del divano accanto a lui. Dopo un attimo di esitazione, vado a sedermi vicino a lui e mi mette un braccio attorno alle spalle. Cerco di continuare a respirare normalmente, ma con scarsi risultati. So che è girato verso di me, ma non riesco a guardarlo in faccia. Comincerei a sudare, il mio cuore andrebbe in tilt e il mio cervello anche. Così mantengo lo sguardo fisso sulla televisione.
«Captain America?» Gli domando, voltandomi a guardarlo con gli occhi a cuoricino.
«Sì.»
«Ora capisco perché si è addormentata.» Indico Harper con un cenno del capo. Io adoro i film Marvel, ma Harper non li può vedere.
«Già, lei preferisce i vampiri che brillano al sole.»
Rido. «Beh, non è Chris Evans, ma anche Robert Pattinson non è malissimo.»
«Ma va! Sono meglio io.» Lo dice proprio mentre Captain America trattiene un elicottero, solo con le sue braccia.
«Certo... Mi chiedo perché non abbiamo scelto te per il film, infatti.» Per me, è davvero migliore di tutti i supereroi esistenti al mondo, ma il suo ego enorme basta a farmi mentire spudoratamente. Mia sorella si agita leggermente, si gratta la guancia, ma non si sveglia. Matt ridacchia e torna a guardare il film e io continuo a guardare lui. Il suo viso è perfetto anche al buio, illuminato solo dalla leggera luce della televisione. Mi lancia un'occhiata con la coda dell'occhio.
«Che c'è?» Sbatto le palpebre. Cavolo, lo sto fissando e se n'è accorto. Un classico.
«Niente.» E distolgo lo sguardo.
«Perché mi guardi?»
«Cosa? Smettila di tirartela, non ti sto guardando.» Sei una pessima bugiarda, Alissa, e lui lo sa.
«Sembrava di sì.» Si trattiene dal ridere. Comincio a mordermi le unghie, non sapendo cos'altro fare, e lui i prende la mano, appoggiandomela sulla coscia e lasciando la sua sopra la mia.
«Non mangiarti le unghie.» Che dicevo? Mi tratta come una bambina. Ho ventitré anni, santo cielo, posso decidere da sola se mangiarmi le unghie o no. Mi fa saltare veramente i nervi. Ma non dico niente, perché è piacevole sentire la sua mano sopra la mia. Ogni volta che Matt mi tocca, anche se non come io vorrei, il mio corpo si anima e lo stomaco sembra attorcigliarsi su sé stesso.
«Dov'è Sophie?» Cerco di non pensare alla sua mano e alle farfalline fastidiose che mi svolazzano ovunque e porto la conversazione su un argomento sicuro.
«Dorme, in camera sua.» Sbadiglia, e si stropiccia gli occhi, lasciando libera la mia mano.
«Come mai sei venuto oggi? Non vieni mai durante la settimana.»
«Abbie non c'è, e tua madre è al lavoro. Harper non voleva stare sola, così sono venuto a farle compagnia.» Ed è per questo che sono pazza di te, vorrei gridargli, ma mi limito ad annuire.
«Dov'è Abbie?» Dovrebbe essere lui a chiedermelo, dato che Abbie è mia sorella. E non il contrario.
«Da Giuly.» Certo, o Giuly è qui, o Abbie è da Giuly. Ovvio.
Continuiamo a guardare un po' il film, il suo braccio ancora avvolto attorno alle mie spalle e quella sensazione di benessere che aleggia attorno a noi.
«Se sei stanco, puoi andare a casa adesso.» Mi volto verso di lui, non ricevendo risposta. Ha la testa piegata di lato, appoggiata allo schienale del divano, e gli occhi chiusi. Si è addormentato anche lui. Il suo volto è rilassato, le labbra leggermente schiuse. Mi alzo, cercando di non essere troppo maldestra e di non svegliarlo. Prendo il suo braccio da sopra le mie spalle e cerco di sistemarlo sulle sue gambe. Prendo una coperta di pile, gliela poggio addosso e gli sposto una ciocca di capelli da sopra la fronte. Mi afferra la mano e mi blocca, facendomi sussultare per la sorpresa. I suoi occhi si spalancano e incontrano i miei. Per un momento, sembrano accesi di un qualcosa che non riesco a decifrare, che presto si trasforma in rabbia. Rabbia nei miei confronti, probabilmente per averlo toccato. So di non averne il diritto, che non sono assolutamente nessuno per lui, ma a volte per me avere un contatto con lui è quasi essenziale. E fa male sapere che invece a lui non dà altro che fastidio.
«Che fai?» Chiede, la voce resa roca dal sonno e io mi mordo il labbro, a disagio.
«Niente... scusa. Ti sei addormentato, ho pensato avessi freddo.» Mi lascia la mano e guarda la coperta sopra di lui. Si alza di scatto, nervoso, gettando la coperta sul divano e dimenticandosi di Harper sulle sue gambe. La testa di mia sorella ricade sul divano, facendola svegliare.
«Ma che...?» Harper si mette a sedere, confusa, e la coperta che aveva addosso le ricade sulle gambe. I capelli castani che le arrivano fino alle spalle sono completamente arruffati, e gli occhi, della mia stessa sfumatura di marrone, semichiusi e abbottonati dal sonno.
«Vado via.» Dice Matt brusco. Non capisco perché si sia innervosito tanto. Mi dispiace di averlo svegliato, ma stavo solo cercando di aiutarlo.
Matt si avvia verso l'uscita e Harper lo segue. «Perché? Ma che ore sono? Quanto ho dormito?» Li sento parlare dall'ingresso, mentre ripiego le due coperte, ma non riesco a capire cosa stiano dicendo. Prendo la bottiglia di birra che Matt ha lasciato sul tavolino e vado a buttarla in cucina, passando per il corridoio dove loro stanno parlando, o meglio bisbigliando. Matt mi guarda passare, le mani in tasca, gli occhi incollati a me fino a quando non sparisco in cucina. Prendo un bel respiro, cercando di capire cos'è che l'abbia fatto scattare così. È raro vedere Matt arrabbiato, lui è sempre così allegro. E pensare che il mio tocca l'abbia infuriare così tanto mi distrugge il cuore in mille pezzettini.
Quando sbuco di nuovo in corridoio, loro sono ancora lì. Mi chiedo cos'abbiamo tanto da dirsi, dato che si vedono tutti i giorni al lavoro.
«Beh, io vado a dormire. Buonanotte.» Indico le scale dietro di me. Annuiscono all'unisono e tornano a parlare tra loro. Sospiro e salgo le scale per andare in camera.
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Matthew Scott ★
Abbie Williams ♥
Harper Williams ♥
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