4|Thomas Scissorhands
Titolo: Thomas mani di forbice
Genere: Romantico, drammatico, slice of life, fantasy.
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU Edward mani di forbici di Tim Burton. I genitori di Newt ho preso quelli di Thomas Brodie Sangster(nome e cognome inclusi). Per l'ambientazione Newt ha origini americane. Saranno presenti scene del film in chiave Newtmas un po' modificate.
NdA: Thomas mani di forbice alias la mini long vestita da OS più lunga che abbia scritto, ha richiesto 90 pagine di word(mi sono pur sempre ispirata da un film di 2h). Perdonate gli orrori, ma dopo tanto tempo lontano dalla scrittura, sono ritornata con questa OS e la lunghezza non ha aiutato ad evitare le sviste. Spero di sentirvi e che l'apprezziate:)
✁Thomas Scissorhands✁
Newt era tornato dopo tanti anni, da quel tragico giorno era partito non volendo più saperne di quella città. L'aveva eliminata da ogni cartina geografica, come se non fosse mai esistita...magari avesse avuto il coraggio di depennarla anche dal suo cuore, dalla sua mente.
I suoi occhi erano fissi sulla stufa a pellet che il cognato aveva pensato bene di collocare nell'angolo; le fiamme ardevano alte, riscaldando e illuminando la stanza di quel tanto che non c'era bisogno di accendere la luce.
"Perché nevica se la temperatura segna 15 gradi? Da dove viene tutta questa neve, zio Newt?" domandò il piccolo Charles meravigliato, accucciandosi sotto ben due coperte.
Chuck aveva sette anni ed era il figlio di sua sorella Lizzy e del suo migliore amico Minho.
Lo avevano adottato quando aveva solo pochi mesi; era stato il suo migliore amico a trovarlo durante una delle sue solite corse mattutine, a qualche isolato dietro casa, abbandonato in una coperta vicino a un contenitore dei rifiuti.
Quando gli occhi a mandorla incontrarono quelli blu piangenti del pupo, fu amore a primo vagito.
Completamente incantati da quella creatura piccola e indifesa, Minho e Lizzy lo portarono in ospedale e assicuratosi che il bambino stesse bene, iniziarono le pratiche di affido, diventando una famiglia.
Una famiglia bella e calorosa che ogni anno trascorreva il Natale a Londra, dallo zio Isaac, ma non quella volta.
Colpito da una pesante influenza, Chuck aveva stravolto la prassi, costringendo lo zio "inglesizzato" a prendere un volo per l'America; così, dopo tredici anni, Newt -con un nodo in gola e una sofferenza che gli attanagliava lo stomaco-era tornato nella sua città natale, tanto familiare quanto odiata.
Alla constatazione del nipote, storse il naso, scettico.
Nevicava?
Si voltò verso la finestra alle sue spalle, con aria disillusa; in pieno inverno a Lutz si sfioravano i venti gradi, era scientificamente impossibile una nevicata.
Scientificamente sì, ma se c'era il suo zampino...
Lui.
Fu travolto da una scarica di brividi come un mare in burrasca, percependoli scendere dalla nuca alla schiena solleticando anche le braccia.
Un sorriso impercettibilmente gli apparì sulle labbra. Uno di quelli malinconici, nostalgici.
Dipendeva da loro, ovviamente.
Quegli infami dei ricordi. Quanto potevano far male a distanza di anni? Era così frustante non disporre di un interruttore per premere off o addirittura cancellarli.
E cosa più fastidiosa, erano quei sorrisi prodotti da essi, che a distanza di tempo avevano ancora la forza di illuminargli gli occhi.
Si chiese come poteva un addio sofferente come quello che c'era stato tra loro risuonare ancora dolce e amabile; Non c'era stato odio in quel distacco, né risentimento, solo il rimpianto di non essersi vissuti, non pienamente. E tanto era bastato a rovinargli l'esistenza.
A nulla era valso andare via, cambiare continente, viaggiare di stato in stato; quei maledetti erano sempre stati lì, sepolti in una parte recondita di sé.
Come aveva potuto pensare minimamente di poter scappare da sé stesso? Già...perché anche se divisi, Thomas aveva fatto parte della sua vita, era una parte di lui.
Palesemente in difficoltà, ignorò la domanda e per alcuni istanti dimenticò anche Charles.
Poggiò prima un gomito e poi un altro al davanzale, la testa tra le mani e l'aria trasognata; Si sentiva di nuovo bambino, cullato da una dolce melodia che accompagnava la danza dei candidi fiocchi di neve che volteggiavano nell'aria gelida di dicembre.
Trattenne il respiro, mentre senza bussare, un ricordo si stava facendo strada nei canali della sua mente, riportandolo indietro nel tempo;
Aveva soli diciassette anni e mentre leggeva un libro ai piedi del suo albero di Natale, avvolto dal caldo plaid natalizio, si trovò per un secondo a distogliere lo sguardo da quell'avvincente racconto per ammirare la grossa vetrata; era stato un gesto fatto in maniera distratta per riposare gli occhi stanchi, ma che si rivelò sorprendente.
Venne inspiegabilmente catturato da qualcosa che scivolava dal cielo. Qualcosa di indefinito, di magico.
Scrollò via lo scialle e, incurante di indossare soltanto una leggera camicia bianca con dei pantaloni del medesimo colore, uscì in giardino, paralizzandosi.
Lui dalle forbici al posto delle mani, in equilibrio sulla grande scala di legno, modellava la nuova opera d'arte: una statua di ghiaccio raffigurante un angelo.
Newt la studiò a bocca spalancata, cercando di seguire i lesti movimenti di quello che armeggiava con le forbici, lo faceva sembrare come se fosse la cosa più naturale al mondo.
"È incredibile, sembra che gli somigli ..." gli scappò, estasiato. Pareva assurdo ma più guardava quella scultura, più riteneva che ci fosse una somiglianza con sé stesso.
L'artista si voltò a guardarlo, abbozzando un sorriso bonario.
Oltre la neve che scendeva a Lutz, anche quello era un miracolo.
Il "ragazzo speciale", come lo soprannominava la cittadina di Lutz, sorrideva di rado, nonostante la popolarità che aveva ottenuto grazie ai suoi talenti artistici di cui non aveva mai fatto motivo di vanto, restava quello di sempre: umile, lo sguardo basso e taciturno.
Ciò che nessuno sapeva era che Thomas viveva costantemente con la paura di sbagliare, essere inopportuno, frainteso. Era pur sempre quello che tutti etichettavano "strano" o che, sprezzanti, avevano addirittura appellato come "mostro."
"È lui che somiglia a te." Precisò dopo lunghi istanti d'attesa con occhi teneri, poi riportò lo sguardo sulla statua ridefinendola nei minimi particolari.
Quell'informazione colpì dritto al cuore di Newt, togliendogli di bocca tutto ciò che avrebbe potuto dire. La sua mente era vuota, c'era soltanto l'ammirazione che provava per Thomas, immensa ed indescrivibile. Quelle parole, scagliate come frecce, gli fecero sorridere il cuore e alleggerire l'anima. Thomas era l'unico che-senza intenzione, perché gli usciva naturale- era in grado di farlo stare...bene.
Respirò a pieno quella felicità, e senza neanche accorgersene, spalancò le braccia al cielo, cominciando a danzare sotto i fiocchi di neve. Era la prima volta che nevicava a Lutz, ed era tutto merito di Thomas.
Era così contento che non gli sarebbe importato se il mondo fosse finito l'istante successivo. Stava vivendo un'emozione che non aveva mai sentito prima e in futuro più provato.
Volse lo sguardo nostalgico verso quella direzione. Il castello era ancora lì, in cima alla montagna. Avvertì una morsa allo stomaco che salì rapida stringendogli il cuore, senza pietà, proprio come tredici anni prima, al loro addio.
Chiuse gli occhi, tirando su le lacrime che crudeli, senza esitazione, avrebbero bagnato le sue pallide guance. Sembrava ieri che s'era staccato da lui.
"Zio Newt? Allora?" insisté il piccoletto, tossendo subito dopo.
Quel brusco tossire richiamò all'attenzione il trentenne, che con un sospiro profondo, s'avvicinò al nipote toccandogli affettuosamente la fronte. L'infezione portava a un aumento della temperatura corporea, ed era giusto tenerla sotto osservazione.
"Fagiolino, dovresti riposare...altrimenti Babbo Natale vedendo che sei sveglio, supererà questa casa." Ammonì dolce, sedendosi di fianco.
Chuck incrociò le braccia al petto, in viso un'espressione di completo disappunto, agguerrita.
"Babbo Natale verrà, ho fatto il bravo quest'anno, e non sarà di certo una luce a non farlo scendere nel nostro camino." Proferì determinato, a braccia conserte.
Quegli occhietti vispi non si lasciavano sfuggire nulla. Era piccolo ma furbo, sapeva farci e, nelle sue condizioni, Newt anche se avesse voluto ribattere, non lo avrebbe fatto.
Accennò una risata per smorzare il nervosismo, era palese anche al bambino che aveva qualcosa da nascondere, e che avrebbe voluto più parlare con Teresa Agnes -la vicina ficcanaso e più insopportabile di tutto il quartiere- piuttosto che raccontare di lui.
"Beh...vedi...Devi sapere che ...molto spesso le gocce di pioggia iniziano la caduta verso terra in forma di cristalli di ghiaccio." argomentò insicuro, torturandosi le mani dall'agitazione e balbettando ogni due secondi senza un apparente motivo.
"Ehm ... A-attorno a questi cristalli si aggregano delle goccioline d'acqua che vanno a formare il fiocco di neve. Se negli strati più bassi della troposfera, cioè l'atmosfera più vicina alla superficie, la temperatura è sufficientemente bassa, si verificherà una nevicata, altrimenti solo pioggia." dichiarò, abbozzando infine un sorriso sornione a trentadue denti.
Chuck aveva il cipiglio basso, l'espressione annoiata e poco convinta; portò la mano alla bocca imitando uno sbadiglio.
"Un A+ maestro." Rispose sarcastico, citando la professione dello zio, docente di scienze del college. "Peccato che mi riferivo a un'altra storia." Tossì ancora, e stavolta quasi si strozzò. Si curvò in avanti, ansante.
Newt si allungò, sedendosi di fianco sul grosso letto, lo fece sollevare con la schiena mettendolo in una posizione che avrebbe migliorato -per quanto possibile- la respirazione.
"Mamma mi ha parlato di forbici..." sussurrò a bassa voce, quasi come se avesse rivelato un segreto o detto una parolaccia.
Newt si irrigidì di colpo, le braccia immobili attorno alle spalle del bambino
"Ma cosa possono mai c'entrare con la neve?" aggrottò la fronte, più stranito che incuriosito.
Aveva avuto un sussulto, che a Chuck non era passato inosservato e che aveva ignobilmente usato a suo vantaggio.
"Vista la tua reazione, c'entrano eccome!" aveva sbottato con un sorriso fiero.
Era da tempo che il fagiolino non aveva quel brio e di certo non sarebbe stato Newt a spegnerlo.
Volente o nolente, dopo tanti anni, era giunto a quel bivio: parlare di sé, raccontare la parte più significativa della sua adolescenza o generalmente vita.
Mandò giù un groppo di saliva, sudaticcio. Avrebbe preferito di gran lunga la forca, ma ormai non poteva sfuggire allo sguardo indagatore di suo nipote, né poteva ribellarsi, Chuck avrebbe usato tutto il fiato che aveva in corpo per saperne di più.
Per facilitarsi il lavoro pensò bene di utilizzare nomi fittizi così da celare l'identità dei veri personaggi, e soprattutto la sua, il protagonista; Lui sarebbe diventato Kim, una ragazza. Il suo grande amore ,Edward, e il suo ex ragazzo, alla fine rivelatosi l'antagonista per eccellenza, Jim.
"Una volta, tanti anni fa, nel castello in cima alla montagna, c'era un uomo..." Iniziò, titubante. "Era un vecchio inventore e tra le tante cose che creava, si racconta che diede vita ad un uomo...Un uomo con tutti gli organi." Charles sbarrò gli occhi, incredulo.
"Già...hai capito bene, aveva un cuore, un cervello, tutto...quasi tutto." Precisò poi, mentre il suo sguardo si oscurava a causa della nube dei ricordi.
"Un giorno, una donna di nome Tasha si trovò in quel castello, non mi è ancora chiaro come ci fosse finita..." aggrottò le sopracciglia, ancora curioso.
"Tasha? Come la nonna?" fece eco il bambino, esterrefatto. Mannaggia, aveva dimenticato di cambiarlo.
"Sì, Chuck ...proprio lo stesso nome..."si morse il labbro, la verità era dura da affrontare.
"Quella donna fu colpita dalla sua dolcezza e dalla sua rarità, che solo sapendo il suo nome e poco più lo portò a casa sua, dalla sua famiglia."
"Che scelta avventata." Replicò il bambino, preoccupato. "La nonna non l'avrebbe mai fatto. Mai accettare caramelle dagli sconosciuti, lo diceva sempre... ricordi, zio? "
Ricordava, certo che sapeva i ragionamenti di sua madre, ecco perché non aveva mai capito perché con lui era stata diversa.
Newt annuì come risposta, carezzando i morbidi ricci dell'adorato nipote.
"E l'inventore ha lasciato che la sua creazione andasse via con quella donna?" Charles sembrava essersi immerso nella storia, Newt s'affezionò a quel guizzo che teneva accesi i suoi magnifici occhi blu. L'influenza lo aveva sciupato e demoralizzato, ma sembrava di buon umore con quel racconto.
"Beh, piccolo...L'inventore era morto da tempo ...l'aveva lasciato da solo e incompleto." Rammentò malinconico, fissando i dipinti che ornavano le pareti azzurre della stanza.
"Incompleto? Aveva un cuore e un cervello...era umano, no?"
Anche se a Newt era sembrato difficile raccontare quella storia, pian piano si stava sbloccando, sentendosi meglio con sé stesso; forse in quegli anni aveva sofferto così tanto proprio perché non aveva esternato a nessuno le sue emozioni, nascondendo il dolore che aveva accresciuto il malessere.
"Più umano di molti che hanno tutti gli organi, credimi. A lui mancavano le mani, pensa che al loro posto c'erano delle forbici." Rivelò, mentre le sue dita giocavano con i ricci del bambino.
"Delle forbici?" Chuck sembrò eccitato, sbatté i piedi dall'euforia e congiunse le mani, curioso al massimo. "E come faceva a mangiare? A bere? A vivere senza problemi?" continuò, spaesato. " E soprattutto: qual era il suo nome? Uomo senza mani, man-ici?"
Proferì diversi nomignoli impronunciabili, sforzandosi di indovinarlo. Credeva che lui, in quanto diverso e non del tutto umano, non avesse un nome degno. Newt ignorò le altre domande, avrebbe dato risposte nel corso della storia. Fece un sospiro, dalla vigilia del Natale di tredici anni prima non aveva più pronunciato quel nome.
Chiuse gli occhi e prima che potesse rendersene conto, le sue corde vocali sibilarono quelle sei lettere in due respiri; "Thomas..." enunciò piano, come se dirlo rompesse la bolla di silenzio e lo svegliasse dal passato, facendolo comparire nel presente, lì con loro. Il ritorno dei ricordi.
Ricordi che non erano mai andati via.
Ricordi che non avevano mai dormito.
"Il suo nome era Thomas." Ripeté chiudendo gli occhi, mentre nel centro del petto si propagava una fiamma di calore.
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Era l'una di notte di una sera di dicembre, e Newt era tornato dal campeggio prima di quanto avesse previsto con sua madre nell'ultima telefonata. L'intera famiglia stava dormendo, aveva le chiavi, perché bussare?
Era nel suo viale, stava salutando il suo ragazzo che gli mandava baci nel vento e i suoi amici che facevano battute, mentre si sistemavano per riprendere la guida.
Alby e Minho erano gli amici dell'infanzia nonché del cuore. Ben lo aveva conosciuto alle medie e si erano innamorati, facendo poi coppia. Infine, c'era Brenda, la new entry; era la migliore amica di sua sorella Lizzy, la quale poverina non si era unita alla gira fuoriporta perché arretrata con il programma di algebra. Tra lei e il coreano ancora non era scattata la scintilla, o almeno così credeva Newt.
"Che dite, andiamo? Volete che vi prenda un letto?" aveva canzonato l'asiatico, tentando di tagliare corto le effusioni amorevoli che Ben rivolgeva al suo ragazzo: baci nel vento, il cuore con le mani, occhiate sdolcinate. Sapeva essere davvero morboso, quasi asfissiante; avevano trascorso due settimane insieme a stretto contatto e si sarebbero visti la mattinata successiva. Ben sapeva essere davvero opprimente.
Infastidito dal commento di Minho, Newt lanciò miseramente il borsone che cadde poco più in là, senza neanche avvicinarsi al mezzo. Il suo fisico esile e gracile non gli aveva mai dato soddisfazioni in prestazioni fisiche quali sport.
"Doccia fredda, Newt, e fila al letto." Aveva consigliato Alby al lato del guidatore, si era addirittura sporto fuori dal finestrino, con le mani a coppa intorno alle labbra.
"Per dormire." Aveva concluso l'asiatico, strizzando l'occhio e accennando una linguaccia simpatica.
"Cafoni." Aveva ammonito il biondo, palesemente imbarazzato. Come a peggiorare il tutto, il suo ragazzo che aveva notato la vergogna, aveva urlato di rimando;
"Sei bellissimo amore quando arrossisci." Avrebbe voluto sprofondare, ma prima avrebbe dato volentieri a ognuno una sberla, compreso il suo ragazzo. L'unica che avrebbe risparmiato sarebbe stata Brenda, manesca com'era, avrebbe avuto la peggio. E poi era la migliore amica di sua sorella. Mai mettersi contro due donne.
"Con te farò i conti domani." Si rivolse al suo ragazzo, voltando le spalle al gruppo e dirigendosi verso il porticato.
"Oh, oh. Calmiamo i bollenti spiriti, Newtie!" l'ultima battuta fu quella di Brenda, alla quale seguirono risatine soffuse.
Poteva avere amici peggiori? Era stato un bel campeggio, sicuramente; grazie ad Alby e Minho si era rappacificato con Ben, ma senza privacy e continuamente vittima di battute sessuali, aveva iniziato a infastidirsi. Un po' di pace e serenità in famiglia non gli avrebbe fatto male.
Aprì silenziosamente la porta di casa accompagnato dal clacson come segno di saluto e dal sottofondo del motore che via via si allontanava dalla propria abitazione. Rapido sgattaiolò verso la propria camera, poggiò il borsone a terra, accese la lampada che aveva sul comò e chiuse la porta alle sue spalle.
"Casa dolce casa." Proferì fiero, cominciando a denudarsi.
Si liberò della leggera felpa rossa, poi seguirono le scarpe e i calzini. Tolse anche la t-shirt oversize a righe blu e celesti, restando in canottiera bianca. Portò all'indietro i folti capelli color miele, massaggiandosi le tempie.
Si avvicinò allo specchio, osservando il suo viso: scarno e stanco. Lo stress da campeggio era palese come quel minuscolo brufolo che aveva sul mento ma che avvertiva enorme.
Non li sopportava proprio, e senza pensarci troppo, prese a schiacciarlo.
Concentrato ad avere la meglio sul foruncolo, non prestò attenzione a ciò che c'era dietro di lui.
Quando attimi dopo, il suo sguardo finì all'angolo dello specchio, sbarrò di colpo gli occhi, congelato.
Nella penombra della stanza, alle sue spalle, nel suo letto, c'era qualcuno dall'aspetto mostruoso.
Spalancò gli occhi terrorizzato, mentre lo sconosciuto tentava invano di sparire, tirando le coperte al viso.
Isaac lanciò un urlo che inaspettatamente venne sopraffatto da quello dell'estraneo, quest'ultimo visibilmente in panico, aveva cominciato a dimenarsi, distruggendo il suo materasso ad acqua.
"Un mostro, un mostro! C'è un animale umano nel mio letto!" Lanciò l'allarme terrificato, spalancando la porta della sua camera e correndo a gambe levate nello stretto corridoio.
Sua sorella Lizzy, che dormiva alla stanza a fianco, fu la prima ad accorrere. L'aria assopita mentre grattava la folta e lunga chioma bionda.
"Ssh fratellino, va tutto bene, sta' calmo." Aveva accennato serena, strofinandosi gli occhi. "Mamma, papà!" aveva gridato poi con poca enfasi, sperando che almeno uno dei due genitori si fosse degnato di risolvere la situazione.
I signori Sangster si palesarono secondi dopo, spalancando la porta; Tasha indossava i soliti ridicoli bigodini che davano forma all'acconciatura bizzarra che tutte le cittadine di Lutz avevano, e la sua vestaglia super colorata sarebbe stata un dramma per un gruppo di daltonici.
Suo padre, Mark, invece aveva una vestaglia più sobria completamente marrone sploff, sul viso un'espressione rilassata che non si addiceva per niente a uno che era appena stato svegliato da urla a squarciagola in piena notte.
"Dov'è?" proferì più volte l'adulta, lanciando occhiate ovunque.
"Sta' tranquilla cara, lo recupero io." Aveva risposto confortante il padrone di casa, allacciandosi la vestaglia e strusciando le pantofole verso la camera del figlio.
"Ciao anche a voi, eh!" Enunciò ironico Isaac, esterrefatto." Sono appena rincasato e ho trovato un essere indefinito nel mio letto, e voi mi ignorate?" urlò, basito. Gli occhi sbarrati in un'espressione di shock.
"Newt, non chiamarlo così." Rimproverò sua sorella, dandogli una lieve gomitata.
"Quindi voi sapete che quel coso è in casa nostra? Non è un ladro o qualcuno che si è intrufolato senza che voi sapeste?! Era nel mio letto." Scandì le ultime quattro parole, i battiti accelerati e il cuore in gola. Era paonazzo in viso. La rabbia scorreva assieme all'orrore nelle vene.
"L'ho portato io qui." Proferì ferma e decisa una voce. Era così assurdo che a parlare fosse stata proprio lei, la diffidente signora Tasha Sangster.
"Tu? Stento a crederci, mamma." Rispose il figlio, visibilmente incredulo.
"È una situazione particolare...Te ne avrei parlato domani mattina, il tuo arrivo non era previsto per ..." lanciò un'occhiata al polso, anche di notte non si privava mai del suo fedele quadrante. "L'una e mezza di notte, Newt." Inarcò un sopracciglio, indagatrice.
"Ci siamo anticipati." Concluse alla svelta, senza dare troppe spiegazioni.
"Sei sempre più strano ultimamente." Notò la donna, guardando poi in direzione della secondogenita. Lizzy si era addormentata poggiata miseramente allo stipite della porta, a breve si sarebbe accasciata nelle gambe. Nessuno in quella famiglia poteva davvero definirsi normale.
"Io? Sono fuori per due settimane, e al mio ritorno scopro che mia madre miss diffidente diventa un buon samaritano e porta spaventapasseri a casa. Pallido e terrificante. Scommetto che ti ha fatto qualche stregoneria." Ipotizzò attento dopo aver parlato rapido come un fiume in piena; "Già, qualche incantesimo..." borbottò, prendendo a mangiucchiarsi le pellicine delle dita.
"Oh, figliolo, smettila di dire sciocchezze." Tagliò corto la genitrice.
L'adolescente cominciò a camminare per il corridoio, avanti e indietro. "Ti calmi? Ci manca soltanto che fai un solco nel pavimento." rimproverò la donna, avvicinandosi alla figlia e trascinandola amorevolmente in camera.
"Dov'è finito?" chiese nervoso, temendone la risposta. Voleva evitarlo, vederlo scomparire. Fosse stato per lui lo avrebbe cacciato a calci.
"Tuo padre l'ha accompagnato in garage, dormirà lì visto che in camera tua non può stare." Avvisò con tono colpevolizzante, sfregandosi le braccia per il freddo.
"Vuoi darmene una colpa? In camera mia non posso starci neanche io, perché non so come abbia fatto, ma mi ha bucato il letto. C'è acqua ovunque." Enunciò spazientito, le braccia incrociate al petto e il viso poco amichevole, contratto in un'amara espressione. "Un estraneo e pure armato?" urlò d'un'ottava, incredulo. Non riconosceva più la sua famiglia, era lì da pochi minuti e già non capiva più niente. "Te lo sei scelto bene." sibilò, cominciando a mangiucchiarsi le unghie.
"Basta con le lamentele, Isaac. E lascia stare le tue povere mani. Questa notte dormirai nella camera di tua sorella, poi domani andremo a comprare un materasso nuovo, e te lo presenterò." L'ultima parola fu proferita da Tasha con un sorriso dolce e, dopo aver sistemato le lenzuola, con una leggera pacca sulla spalla di suo figlio, proferì; "Sento che diventerete ottimi amici."
Newt le lanciò un'occhiata in cagnesco, uno sguardo che urlava con tutto il risentimento: "Scordatelo."
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La parete frontale ospitava un orologio fin troppo rumoroso, e le lancette scorrevano lentamente. Tutto troppo fastidioso.
Aveva provato a contare le pecore, ad addormentarsi pensando l'intimità con Ben, scene dei suoi soliti film mentali prima di dormire, ma niente...continuava a sentirsi irrequieto.
Eppure, il letto era una superficie più comoda del manto d'erba dove aveva poggiato la sua schiena nelle ultime due settimane.
Sapeva di chi era la colpa, tutta di quello strano essere che aveva dormito nel suo letto chissà quante volte, e che irriconoscente, lo aveva distrutto senza scrupoli con armi anomale.
Si girò e rigirò, litigando più volte con le lenzuola; provò a concentrarsi su come impiegare il tempo durante le noiose feste natalizie, ma neanche quello riuscì a riprenderlo; quel mostro dal viso indefinito occupava la sua mente, terrorizzandolo e facendolo rimanere sveglio, vigile.
L'agitazione era così palese che anche sua sorella, dormiente, riuscì a percepirla;
"Newt, va' a dormire in soggiorno." Bofonchiò in dormiveglia, girandosi all'altro lato.
Forse non aveva tutti i torti, agitato com'era non si sarebbe addormento, non in fretta; magari avrebbe preparato una tisana, qualcosa che avrebbe conciliato il sonno. Era sveglio, tanto valeva provarci.
Fissò il blocco schermo del suo smartphone, una foto di Ben e lui abbracciati al lago. Erano felici e sorridevano a trentadue denti.
Avrebbe tanto voluto scrivergli e sfogarsi, probabilmente il suo ragazzo, esterno da quelle mura, non era vittima dell'incantesimo di quell'essere terrificante. Di sicuro l'avrebbe sostenuto e rassicurato. Aprì la notifica dei messaggi, e non rimase stupito trovandone uno proprio da Ben. Dopotutto chi poteva scrivergli a quell'ora?
Neanche la buonanotte? Devo proprio averti fatto arrabbiare tanto.
C'era uno smile che rideva fino alle lacrime e un post-scriptum finale;
Mi farò perdonare, e so anche in che modo. L'occhiolino faceva intendere il resto.
Scosciato e riluttante, Newt si trascinò giù dal letto, arrancando come un'anima in pena verso la cucina.
Era pronto a scrivergli dell'accaduto, poteva ancora vedere nella penombra i peli drizzati sulle braccia per lo spavento, ma qualcosa lo interruppe; un rumore delicato ma udibile, simile a una porta che scricchiolava e che veniva richiusa con estrema attenzione. Doveva trattarsi della porta di casa.
Lasciò il cellulare sul tavolo, precipitandosi in soggiorno. Accese la luce e non notò nulla di diverso. Titubante su cosa fare, tentennò per alcuni istanti, poi girò la maniglia e aprì la porta di casa.
Azioni su cui non rifletté minimamente, fu tutto molto...meccanico. Spontaneo. Istintivo.
In strada, avvolto nell'ombra, lontano dalla luce fioca del lampione traballante, una figura si allontanava. Era lui. Per la prima volta lo aveva visto in piedi, aveva più o meno la sua altezza e fisicamente era solo più...muscoloso.
"Ehi, tu!" chiamò senza riflettere, squarciando il silenzio di una notte come le altre a Lutz; i piedi scalzi battevano sul freddo viale ricoperto da mattoncini. L'aria tiepida l'avvertiva fastidiosa e pungente per le braccia scoperte, si sfregò, cercando di produrre calore;
Perché l'aveva chiamato? Sin da subito non seppe darsi risposta. Forse perché temeva che si stesse dando alla fuga dopo un furto. O perché si sentiva offeso di aver ricevuto un riconoscimento del genere dopo che la sua famiglia lo aveva accolto amorevolmente in casa.
Il tizio girò di poco la testa, ma a contrario dell'aspettativa del biondo, accelerò il passo.
"Ehi!" riprovò, cercando di rimanere sempre sullo stesso tono, ma la nota di fastidio per essere stato ignorato era percepibile nella voce più spigolata.
"Fermati." quasi imperò, trattenendosi dall'urlare; le sue vicine, brutte e pettegole, pur di spettegolare erano capaci di destarsi a notte inoltrata e schiamazzare fino all'alba. Ridicole e pessime.
Newt sbuffò sonoramente, spazientito; scese gli scalini del porticato, avvicinandosi al cestino di rifiuto e colpendolo con le mani. Voleva provocare rumore, richiamare la sua attenzione.
Ma niente da fare. Nessuna risposta. La più assoluta indifferenza.
Si fermò a fissarlo, mentre si allontanava sempre più. Aveva uno strano modo di camminare, simile ai pinguini.
Forse dipendeva dal suo abbigliamento bizzarro, una tuta robotica con sopra abiti ancora più buffi; una camicia che gli andava troppo larga e che aveva riconosciuto appartenere a suo padre e dei pantaloni classici sempre larghi e di suo padre, mantenuti con delle bretelle.
La capigliatura era folta e spettinata, paragonabile a qualcuno che aveva preso una bella scarica elettrica. Era quasi...divertente se non fosse stato per quello che Newt notò dopo.
"Ma cosa diamine ha?... " Parlò tra sé, gli occhi chiusi in due fessure per mettere a fuoco.
All'altezza dei fianchi, le sue mani tenevano qualcosa di lungo e affilato, poteva trattarsi di un insieme di lame, un'ascia o utensili da cucina. Non riuscì a vedere bene, era ormai distante per avere una risoluzione definita.
Che lui ricordasse, non c'era nulla in casa che potesse avere un grosso valore, e se vi era, di sicuro non si trattava di coltelli.
Sospirò a cuor leggero constatando che quello non aveva portato via nulla. Si voltò verso la porta di casa, intento a rientrarvi; a breve il suo incubo avrebbe svoltato l'angolo, sparendo dalla sua vista e vita. Finalmente avrebbe preso sonno e l'indomani, alla domanda dei suoi famigliari se avesse visto o sentito qualcosa, avrebbe detto di non saperne nulla.
Tutto studiato.
Così se lo lasciò alle spalle, salì i gradini e giunse al porticato, varcando la soglia.
Mancava un millimetro per segnare definitivamente quella separazione. Uno scatto della chiusura della porta e quello sarebbe rimasto fuori dalla sua casa, della sua vita. Del loro incontro o meglio scontro sarebbe rimasto solo un ricordo sbiadito che sarebbe andato via nel corso dei giorni, mesi o anni. Che importava, in fondo a lui andava bene così. Era ciò che aveva voluto dal primo momento che l'aveva scontrato.
Eppure, Newt non seppe spiegarsi come né tantomeno il perché, agì facendo l'esatto contrario.
Si era forse trattato di un ordine irrazionale dettato dal proprio cuore senza farne parola con la mente?
Qualcuno forse lo avrebbe chiamato istinto, ma con lo scorrere del tempo, si rese conto che era stata solo una mossa, la più giusta, suggerita dall'aver riconosciuto un'anima simile alla sua che, bisognose l'una dell'altra, inconsapevolmente, si erano sempre cercate.
Irrazionale, stupido e insensato fece quello che mai avrebbe pensato. Spalancò la porta che sbatté alle sue spalle, e cominciò a correre a perdifiato, a grosse falcate.
Era sempre stato veloce nella corsa, unico sport che gli aveva dato qualche soddisfazione, anche nei fronteggi a scuola nelle gare di atletica.
Nonostante gli estenuanti avvenimenti che avevano segnato la sua giornata e la sua serata, in poco tempo riuscì ad avvicinarsi allo sconosciuto.
Allungò un braccio per afferrarlo, ma il pavimento gli mancò sotto i piedi. Avvenne tutto molto rapidamente.
Lo stomaco venne avvolto da una morsa di spavento per la perdita d'equilibrio, gli occhi sgranarono dalla paura e la consapevolezza che si sarebbe schiantato al suolo incombeva nel petto.
Cadde rovinosamente di pancia, sull'asfalto, rotolando sulla ruvida pavimentazione e sbucciandosi le ginocchia.
"Ah!" lamentò alla visione di una goccia di sangue fuoriuscire dall'escoriazione. "Caspio!" Digrignò a denti stretti per il fastidio, tastando la ferita. Non sembrava preoccupante, confidò che si trattasse solo di un lieve bruciore passeggero, nessuna rottura.
Imperterrito a non perdere di vista lo 'spaventapasseri', s'alzò di scatto. Altro grosso errore.
Le gambe gli tremarono e la testa, girando vertiginosamente, gli mostrò pallini di diversi colori che offuscarono l'immagine che aveva dinanzi. Traboccò in avanti, ma non si schiantò nuovamente. Riassestò l'equilibrio.
"Che giornata di sploff ..." asserì, toccandosi le tempie. Avvertita un gran dolore, come se avesse dei piatti da batteria che sbattevano vicini alle sue orecchie. Gli occhi chiusi e pesanti si sarebbero concessi lunghe ore di sonno.
"St-stai...bene?" enunciò qualcuno di fronte a lui. Aveva una voce bassa, calda e rassicurante, quasi celestiale. Insolita. Piacevole da ascoltare.
Chi poteva vagare per le strade di Lutz a quell'ora di notte? Alzò lo sguardo e istintivamente fece un salto all'indietro, impaurito.
"Oh, cazzo." sbottò, gli occhi spalancati per lo shock. A pochi centimetri da lui, protese nella sua direzione, quasi come a sfiorarlo, c'erano delle grosse forbici collegate al corpo di quell'essere che aveva dormito nel suo letto.
Mandò giù diversi groppi di saliva, cominciando a respirare affannosamente. Era scettico, incredulo e...terrorizzato. "D...dove sono le mani?" domandò, continuando a indietreggiare, in panico.
Quello che probabilmente aveva la sua età, abbassò lo sguardo, un'aria triste aleggiava sul suo volto inespressivo. "Sono queste." mostrò con tono basso, muovendole lentamente.
Newt come ipnotizzato mosse la testa in segno di sì per poi scrollarla a destra e sinistra come no.
"No, no, no. Questo è sicuramente un incubo...Sì, sono ancora in campeggio con Ben, ho fumato ed è tutto frutto della mia immaginazione. Quella caduta mi ha giocato brutti scherzi. Tu non sei reale..." farfugliò, indietreggiando sempre più.
Il cuore gli batteva all'impazzata, la sudorazione era aumentata in modo direttamente proporzionale alla sua paura.
"N...N..." balbettò lo sconosciuto, ma il biondo lo interruppe bruscamente.
"Sta' zitto, okay? Che tipo di invenzione è questa? Sono delle forbici. E t...Tu mi hai bucato il letto con queste cose." comprese, portandosi le mani nei capelli.
Lanciò occhiate ovunque, in cerca di qualcuno che gli desse conferma che avesse davvero quell'essere davanti a sé.
"La mia famiglia ti ha assunto per un...che ne so, scherzo? Sappiate che non è divertente." disse poi, prendendo fiato. Stava parlando alla stessa velocità che andavano i battiti del suo cuore.
Fece giravolte su sé stesso, alla ricerca di qualcuno con cui condividere quella visione, ma nella notte buia e insolita di dicembre, a Lutz, c'era solo lui e Thomas per la strada.
"M-mi dispiace." si scusò mortificato il moro, avanzando. Ma più lui faceva passi avanti, più Newt indietreggiava.
"Per cosa esattamente?" aggredì, impavido. "Per aver soggiogato la mia famiglia? Per aver dormito nel mio letto? Per averlo distrutto? O perché stavi scappando via dopo una calda accoglienza che la mia famiglia ti ha riservato? Che ne so...magari stai andando in cerca di donne che saranno le tue vittime, come Jack lo squartatore." urlò, continuando ad allontanarsi.
Il suo interlocutore faticava a stargli dietro, ma nonostante gli insulti e la voce poco amichevole, pacifico continuava a sussurrare; "N...Newt, per favore."
"Oh...perfetto, sai anche il mio nome. " si fermò, coprendosi le mani, sconfitto. La bocca schiusa, le braccia ai fianchi e un'espressione da: 'chi diavolo sei? spiegami ogni cosa'
"Ho...ho fissato le tue foto, cioè...visto, si ho visto le tue foto." Thomas batté gli occhi più volte, paonazzo per la vergogna. Quante volte il suo maestro gli aveva detto di non dire mai veramente ciò che gli passava per la testa? Avrebbe potuto offendere o creare situazioni imbarazzanti, come quella.
"Hai detto fissato...è inutile che tenti di correggerti, meraviglioso, sei anche un maniaco." Constatò risoluto. Voleva soltanto tornarsene a casa e non vederlo mai più. Come gli era saltato in mente di inseguirlo? Si sentiva l'essere umano più stupido dell'America. Indietreggiò ancora e poi ancora, incurante di guardare.
"N...Newt atten-"
"Ti ho detto di non chiamarmi!" sbottò esaurito, e prima che riuscisse a rendersi conto di ciò che gli stava capitando, era nuovamente scivolato, stavolta all'indietro. Un tonfo spaventoso fece preoccupare lo sconosciuto che si avvicinò a grandi passi, attento a non calpestare il corpo di Newt supino sull'asfalto.
"Vuoi..." provò, impacciato. Quale aiuto poteva mai dargli? Era privo di una delle cose più importanti della razza umana.
"Che cosa? Una mano?" continuò Sangster ironico, provando a sedersi. La testa gli doleva come ogni parte del corpo. Era proprio una nottata maledetta.
"No ...un braccio" consigliò il moro, porgendoglielo. "Fai leva sul mio braccio, non ti faccio male."
"Non mi toccare." Ammonì acido, dandosi una spinta con il bacino per indietreggiare, allontanandosi. Fece poi leva sulle proprie braccia per alzarsi, ma qualcosa non andò secondo i calcoli.
Incontrollato e sofferente lanciò un urlo contenuto, una fitta soffocante lo torturava all'altezza del piede. "Cazzo, cazzo, cazzo." Imprecò a corto di fiato.
Aveva letto da qualche parte che in momenti del genere, più parolacce si dicevano più il dolore si alleggeriva, ma non era assolutamente veritiero. Il viso si colorò di rosso, risultato degli immani sforzi senza successo. Un'azione che gli risultava semplice e rapida come quella di mettersi in piedi, in quel momento appariva quasi irrealizzabile. Quel dolore lancinante si irradiava alla caviglia, facendola pulsare di dolore.
"Che succede, Newt?" cercò il moro, il tono docile e misurato. Avrebbe voluto avvicinarsi e aiutarlo, ma temeva di essere spinto via, rifiutato.
In un primo momento il biondo lo ignorò, si trovava in una bolla solitaria, concentrato sul suo dolore.
Il cuore in gola e il respiro affannato. La paura di non essere più in grado di camminare. Le lacrime pungenti stuzzicavano gli occhi, le avrebbero rilasciate a momenti, non era più capace di trattenerle.
Toccò la parte dolorante, già lievemente gonfia. Gli occhi arrossati e l'espressione martoriata in viso.
"È stata tutta colpa tua." Rantolò, in preda all'esasperazione. Il dolore era atroce e avere qualcuno con chi prendersela forse lo avrebbe fatto sentire meglio.
"N...Newt, aggrappati a me." Sussurrò il moro, inginocchiandosi proprio di fronte a lui. Newt era così fragile, così vulnerabile...quasi poteva specchiarsi nel suo dolore.
"Ti ho detto di andartene. Vattene, mostro." Ringhiò cattivo, come un cane colpito dalla rabbia. "Sparisci." Alzò di un'ottava la voce, ma Thomas sapeva che non era sincero, che era il risultato di un dolore difficile da gestire, così, studiando le parole che gli avrebbe detto, cercò di smussare la sua irascibilità;
"Me ne andrò, ma prima ti riaccompagno dalla tua famiglia." Pattuì, malinconico. "Glielo devo, sono stati molto gentili con me." Rincarò, con un nodo in gola. Non voleva lasciare quel ragazzo, da quando l'aveva visto per la prima volta, nelle foto sul caminetto della famiglia Sangster ne era rimasto colpito. Non solo perché era bello, ma perché guardandolo, Thomas provava delle emozioni mai sentite prima. Aveva sempre sperato di conoscerlo, ma non in quel modo.
Thomas alzò la testa e, come riflesso o come coincidenza, Newt si trovò a fare lo stesso. Erano a distanza zero. Trattennero entrambi il fiato, per un secondo.
Dopo una serata movimentata trascorsa a fuggire e rincorrersi, il giovane Sangster lo vide, a meno di un palmo dal suo viso, illuminato dalla luce fioca del lampione più prossimo.
I suoi occhi erano di un castano scuro, un colore comune pensò, eppure non ne aveva mai visto di più espressivi, che lasciavano il segno, capaci di scavare un fosso al centro del petto bruciando ogni cosa trovasse quella fiamma ardente, divoratrice. Lui che studiava arte, e che dipingeva ritratti, ne capiva. L'individuo davanti a sé era la personificazione del bello e dannato, sceso dagli inferi, il peccato che lo avrebbe condotto alla rovina. Una bella rovina.
Il viso era tondo e pallido, i lineamenti stonavano con la sua aria da demone, apparivano dolci come quelli di un bambino, forse dipendeva dal naso che con la punta all'insù gli riservava un'aria più tenera. Le labbra, carnose il giusto, erano stirate in un sorriso che non gli riuscì tanto bene, probabilmente non era abituato; dei nei si manifestavano sulla guancia destra e chissà, forse l'unione avrebbe formato una costellazione.
Si fissarono per un tempo inquantificabile, fu poi il biondo-che notato il suo prolungato stato di trance- decise di interrompere il contatto visivo, palesemente arrossito. Deglutì, privo di parole.
Thomas gli riservava occhiate stranite, curiose. Era imbarazzato anche lui, ma avrebbe accantonato ogni emozione. Basta sentimentalismi, doveva pensare a Newt, al suo bene e a riportarlo a casa.
Era già un buon punto che quello, notato la vicinanza, non l'aveva nuovamente scacciato.
"Non ho bisogno di te." Sentenziò, ma il tono era più morbido, dopotutto, come poteva essere crudele in seguito a quello sguardo?
L'incontro dei loro occhi era stato travolgente, come se avessero visto l'uno il riflesso dell'altro nelle proprie iridi, spogliandosi da insicurezze, pregiudizi. Come se si fossero riconosciuti, cercati inconsapevolmente per troppo tempo, e con la stessa inconsapevolezza, trovati.
C'era chimica, e Thomas ignorò subito quelle cinque cattive parole. Non erano vere come tutte le perfidie che prima gli aveva sputato addosso.
"Lo so..." assecondò, seguendo il suo piano da sottomesso. "E nessuno saprà che un mostro ti ha aiutato, ma lascia che ti porti a casa." Proferì cadenzando ogni singola parola, come se stesse dando istruzioni a qualcuno che camminava sulle mine. Una calma da invidiare. La sua voce poi così calda e rassicurante ben presto avrebbe fatto cedere le barriere di Newt.
Anche se quello aveva un aspetto insolito, diverso, sentiva di potersi fidare. E odiava doversi ricredere. Lui non sbagliava mai.
La paura che teneva in subbuglio il suo stomaco a quelle parole sembrava sfumare. Alzò di poco la testa, fregandosene che quello avrebbe visto le sue guance intrise di lacrime.
Il viso gonfio e arrossato, i capelli oro miele bagnati dal sudore e dalle lacrime salate; per Thomas non c'era essere umano più bello e speciale, ne aveva visti tanti grazie agli innumerevoli libri dell'infinita biblioteca del suo inventore, ma nessuno, comprese le divinità greche, poteva avvicinarsi alla bellezza e l'innocenza del giovane Sangster. Un angelo.
Newt tirò su con il naso, non staccando lo sguardo dal suo killer o probabile salvatore.
"La...la mia caviglia." Ammise, sfiorandola delicato, mentre un'altra lacrima gli rigava il viso. "Io...Non la sento più."
Il cuore di Thomas ebbe un sussulto, temendo il peggio. Era preoccupato o meglio terrorizzato, ma cercò di nasconderlo, di trasmettere ottimismo. Non avrebbe peggiorato lo stato d'ansia di Newt anzi avrebbe fatto di tutto per spazzarlo via.
"Tranquillo, è l'urto...ti rimetterai." Confortò, ricorrendo alle solite frasi da circostanza. "Ora, piano e attentamente, passa un braccio attorno al mio collo." Diede istruzioni, cauto.
Sarebbe stato più facile se avesse avuto delle mani anziché quelle cose lunghe e ostacolanti, ma non sarebbero stato un limite che gli avrebbe impedito di aiutare Newt. Doveva, perché per Thomas non esisteva il contrario. Newt tirò su con il naso, asciugandosi le lacrime.
"Bene...ora fai leva sulla gamba non colpita. Io ti reggo sempre con il braccio." Sottolineò, sperando che Sangster si ammorbidisse nei movimenti. Era troppo teso.
"Sempre che tu non mi uccida prima con queste cose." Proferì sarcastico, issandosi pian piano.
Stava accennando smorfie di dolore, ma nessun lamento.
Era un passo avanti, Thomas gli avrebbe dato corda se punzecchiarsi lo avrebbe distratto dalla sofferenza.
"Non ti ucciderei mai." Dichiarò sincero, poggiando il suo braccio attorno al fianco del biondo.
Lo avrebbe tenuto così. Al contatto, un brivido li percorse entrambi, ma Newt fu la vittima peggiore.
Un calore mai provato prima, una sensazione di totale sicurezza seppure quelle lame taglienti ispirassero l'opposto.
"Bugiardo, ti ho detto cose orribili. Vorresti farmi a pezzi." Newt la buttò sull'odiarsi, per allontanarsi da quella sensazione di benessere e inspiegata attrazione.
Per quell'essere strano di cui non conosceva neanche il nome non poteva d'improvviso provare qualcosa. Era una sua debolezza momentanea, una vulnerabilità, un crollo di nervi dopo giornate di stress...Nulla di reale. Ed era giustificabile.
"Forse fanno così gli umani." Rispose a tono quello diverso, avanzando a passo di formica e trascinando il peso morto del biondo. Una folata di vento gli scompigliò i capelli, e Newt sentì il suo profumo, il suo odore...perché sapeva maledettamente di buono?
"È un popolo meraviglioso, non voglio sminuirlo, né calunniarlo...ma non capisco perché si debba ricorrere alla violenza per futili cose. Una lite, un'uccisione. Siamo nati per occupare il pianeta Terra, per svilupparlo e fare qualcosa di spettacolare nelle nostre vite, perché togliersele l'una con l'altra?"
Più che una domanda rivolta verso Newt, era una domanda aperta. Una che il moro si era posto tante volte senza trovare mai risposta. Il suo inventore, per non farlo trovare impreparato, aveva iniziato dai racconti dei miti greci fino a giungere ai tempi odierni, per mostrargli quanto oltre fosse in grado di spingersi la cattiveria umana.
Troppo poetico? Beh, per lo meno era riuscito nel suo intento: distrarre Newt dal dolore, anche se aveva fatto molto di più. Era riuscito a farlo riflettere, e soprattutto a farlo ricredere sul suo conto. Il biondo pendeva dalle sue labbra, la sua riflessione lo aveva ammaliato, notando di condividerla in pieno.
"Però tu, Newt...tu non sei come vuoi far credere." Liberò la sua opinione, poi balzò facendo un piccolo salto, per superare il marciapiede di casa. Trascinò Newt con accortezza che gli scivolò di poco, di risposta, il ferito rilasciò un grugnito sofferente.
Thomas lo strinse più a sé. Altro contatto. Nuove emozioni.
Sangster respirò più pesante, a bocca aperta. Quei brividi sembravano risucchiargli l'ossigeno, aveva bisogno di aria soprattutto ora che i loro visi erano di nuovo a una vicinanza allarmante.
Newt avrebbe voluto tanto chiedergli 'perché, come ti sembro?' ma ciò lo avrebbe mostrato indifeso, curioso di sapere un giudizio da quell'essere, reputandolo importante.
"Attento a non stringermi troppo." Dichiarò acido, notando la presa più salda. "Potresti rompermi la canottiera." Precisò, infastidito.
"Figurati. Non è mia intenzione spogliarti." Arrivò dritto al punto quello speciale, facendolo avvampare.
Il biondo abbassò il capo, ma fu inutile. Thomas aveva notato il suo imbarazzo, se n'era accorto perché aveva allentato la presa dalla sua bretella e voltato la testa verso il nulla.
Le sue piatte labbra si curvarono in un minuscolo sorriso per Newt 'arrogante e imbarazzato', ma non c'era poi tanto da essere allegri, ormai erano giunti al porticato.
"Oh cazzo, devo per forza bussare. La porta si è chiusa." Realizzò Sangster, rilasciando un sonoro sbuffo. "Non volevo che sapessero-"
"Reggiti, provo a fare una cosa." Proferì l'ospite, e mentre Newt stringeva la presa alla sua bretella e lui lo teneva stretto con il braccio a sé, con la forbica destra fece una cosa che non aveva mai provato.
Le infilò nella toppa, le girò prima da un lato e poi dall'altro proprio come una chiave e... zac, con stupore di entrambi, la porta si aprì senza essere minimamente forzata.
Newt lo guardò ammirato, sorpreso. "Sei stato...beh, sei stato grande..." riconobbe, saltellando su una gamba.
Thomas cominciò a staccarsi piano, lasciandolo in equilibrio. Un piede attaccato al suolo e l'altro, quello dalla caviglia ferita, piegato con la gamba. Avrebbe saltellato o zoppicato. Era fuori discussione poggiarlo a terra.
"Bene, come promesso ti ho portato a casa." Soggiunse, il fiato corto e preoccupato. Sapeva cosa sarebbe successo a breve, sarebbe sparito dalla vita di Newton. Era parte della promessa.
"Mi ha accompagnato a casa uno sconosciuto di cui non so neanche il nome." Realizzò il biondo, provando ad avanzare. Il dolore c'era, ma poteva sopportarlo.
"È un modo subdolo per chiedermi indirettamente come mi chiamo?" rispose il moro, zittendolo. Già, Newt aveva un'espressione da pesce lesso. Di colpo era diventato rosso peggio di un peperone.
"Sì. "diede risposta senza filtri. Era stato beccato, tanto valeva atterrare con stile. "Tu sai il mio. Io devo sapere il tuo. Parità. Mai sentito parlarne?"
"Certo, certo...strano però che sia tu a tirare in ballo questo argomento." Newt inarcò la testa, confuso da quella constatazione.
"Lo trovo incoerente, visto che per gran parte del tempo mi hai sputato addosso aggettivi poco simpatici come... mostro, maniaco, essere indefinito...Non potrebbe esserci parità. Tu sei superiore, no?"
"E se mi fossi sbagliato?" replicò Sangster, mordendosi le labbra.
"Ammetti che avevo ragione, quindi?" approfittò il moro, un guizzo gli illuminò lo sguardo che adesso, lontano dalla luce, era nero come la pece. "Non sei come vuoi far credere." Ripeté, guardandolo fisso negli occhi.
"Non so a cosa tu faccia riferimento con 'non sono come voglio far credere' ma è totalmente sbagliato, forse sono peggio di come credi. Ti ho inseguito solo perché pensavo avessi rubato, è questa la verità." Stava mentendo, lo sapevano entrambi.
Thomas perse il luccichio nei suoi occhi, erano di nuovo pozzi neri senza fondo. Chinò le spalle, la schiena curvata in avanti e l'espressione da cane bastonato, la postura tipica di una persona delusa che aveva posto troppo speranze, illudendosi.
"Anche ladro..." aggiunse, amareggiato. "Beh, il mio nome è Thomas e nonostante tu mi abbia etichettato tanti bei aggettivi, ho mantenuto la mia promessa. Ti ho accompagnato a casa e, da ora, sparisco dalla tua vita."
Newt aggrottò la fronte, una ruga era al centro delle sue sopracciglia. Non voleva che se ne andasse.
"Dimmi un'altra cosa." Intrattenne. Thomas alzò il capo, ma stavolta non gli rivolse lo sguardo. Fissava un punto inesistente davanti a sé. "Perché stavi scappando se non sei un ladro?"
Il moro calò lo sguardo verso il manto d'erba del giardino, avrebbe voluto non rispondergli, ma non poteva. Newt era caduto per inseguirlo, anche se per constatare che fosse un ladro o meno, era stato lui la causa del suo dolore. Gli doveva una risposta, e anche sincera.
"Vista la tua ospitalità, ho preferito andare via. Era giusto che ci fosse l'unanimità. Non volevo crearti problemi, la tua reazione è stata...evidente, molto chiara." Dettagliò, guardando ovunque tranne che Newt.
Erano sul pianerottolo, la porta socchiusa. Il biondo era già all'interno, mentre Thomas aveva sceso qualche scalino, prossimo ad andare via.
"Non posso chiederti di dimenticare le cattiverie che ti ho detto dal primo momento che ti ho visto, sarebbe comodo...ma posso scusarmi...e dirti che mi dispiace. Mi dispiace davvero. Abbiamo iniziato con il piede sbagliato, Thomas. Io ci ho rimesso letteralmente la caviglia." provò poi a scherzare, sdrammatizzando. Curvò la bocca in un sorriso di circostanza, voleva smuovere qualcosa nel moro, un sorriso sarebbe stato gradito.
Il moro, che nell'ultima parte del discorso aveva fatto di tutto pur di non guardarlo, quando sentì pronunciare il proprio nome dalle labbra di Newt, incontrollabilmente puntò i propri occhi sull'esile figura.
"Accetto le scuse. Mi fa piacere lasciarci senza rancori." Nonostante il groviglio di emozioni contrastanti, preferì rimanere sulla difensiva, il tono glaciale e i passi che si allontanavano da casa Sangster. Stava di nuovo andando via, di nuovo scivolando dalle sue mani.
Newt provava un senso di rabbia incontrollabile, non per quello ma verso sé stesso. Era stato mostruoso nei confronti di Thomas, eppure, quello non aveva esitato ad aiutarlo e a riportarlo a casa. Era buono, gentile, non come lui, perciò aveva ancora una speranza. Avrebbe insistito, non l'avrebbe perso così, facendolo scivolare come sabbia tra le dita.
"Sono stato io lo stronzo tra i due, Thomas." Enunciò fermo, senza filtri. "E so una cosa." Disse infine, sperando che ciò avrebbe richiamato l'attenzione di quello.
Il ragazzo dalle mani di forbici gli rivolgeva le spalle, il viso verso la strada.
"Tu non vuoi andartene. Sei stato con la mia famiglia, e prima del mio arrivo, stavi bene." Notò, zoppicando verso di lui.
"Tu no, però." Si girò Thomas in un rapido scatto, gli occhi più gonfi e visibili sotto la zazzera scomposta bruna. Stava forse per piangere? Newt raggelò, ora era Thomas che sembrava vulnerabile, debole. "E io farò ciò che vorrai." Proferì in un soffio, stupendo il biondo e lasciandolo interdetto per alcuni istanti.
Era una frase che poteva essere interpretata soltanto in un senso. Una richiesta insolita, che lasciava intendere che Thomas era pienamente nelle mani di Newt, della sua volontà. Che avesse provato le sue stesse emozioni?
"Voglio che resti, Thomas." Proferirono lentamente le sue labbra in un sussurro dolce, senza filtri, senza veli.
Il cuore batteva così forte che era l'unico suono udibile alle sue orecchie.
"Per favore, resta." ripeté speranzoso, tentando di scuotere l'indifferenza dell'altro.
Thomas si voltò a guardarlo, in silenzio. I loro sguardi si dissero più di quanto sarebbero riuscite le parole. Newt mosse il capo in cenno di sì come per incoraggiarlo, l'espressione sinceramente mortificata.
Thomas guardò dietro di sé, doveva fare una scelta.
Salì in silenzio gli scalini che lo dividevano da Newt, in modo quasi indifferente.
Ma Thomas non era apatico, anzi il suo cuore stava battendo così forte che temeva uscisse fuori a momenti.
Ad essere sinceri, dei due, non si capiva quale cuore sarebbe esploso prima.
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"No, aspetta. Ricapitoliamo. I tuoi hanno adottato un robot dall'aspetto umano ma con delle forbici al posto delle mani? Come un cazzo di uomo bicentenario, quello interpretato da coso...come si chiamava..." Lee cominciò a torturarsi le mani, quanto era odioso avere un nome sulla punta della lingua e non riuscire a ricordarlo?
"Robin Williams" aiutò Alby, bevendo il suo milk-shake. "Ma quello era un film." Precisò poi confuso, spalancando gli occhi per l'assurda notizia. Non riuscivano a capacitarsi che il loro amico avesse un personaggio del futuro in casa.
"Sì, ma non finì bene..." ricordò il coreano, rattristandosi d'un tratto. Minho era capace di balzare da stati euforici a momenti depressivi in un brevissimo lasso di tempo. "Davvero struggente, soprattutto quando ci piazzano l'amore in quei film del caspio. Lo fanno per farti piangere." Lamentò con angoscia.
Newt non riusciva a cogliere perché l'amico stesse accennando a quel film, che c'entrava con quello che stava affrontando? Eppure, era curioso di come si concludeva la storia. Fece un cenno al coreano di proseguire;
"Il robot si innamorò della figlia del signore che l'aveva adottato, non ricordo se anche lei, ma fatto sta che si persero per sempre. Lui continuò ad amarla e lei andò avanti con la sua vita..."
"E menomale...un po' di realtà. Mi spieghi come può continuare una storia d'amore così?" ragionò Alby, sbuffando palesemente per quell'argomento sentimentale. "Come avrebbero scopato?" Ecco, il dubbio di tutti. Non proprio tutti, ad esempio Newt, lui si dissociava.
"Amore platonico? Mai sentito parlarne?" Ribatté l'asiatico, aprendo le braccia, melodrammatico. Forse quella definizione era l'unica che aveva appreso nel loro corso di studi, notò il biondo. Ma dubitava che Minho fosse del tutto informato su quel concetto.
"Guarda la scienza, basati sui fatti. Non credo che un robot necessiti di andare in bagno, di conseguenza non lo avrà. Non avendolo, non ha istinti. Invece, trovo molto curioso il tuo coinquilino, Newt. È umano quindi..." A parlare era stato Alby, che con una logica strana cercava di vederci chiaro sulla faccenda del ragazzo con le mani di forbici.
Newt, che teneva la testa da tutt'altra parte, per intenderci sul pianeta Thomas-ma non ne era ancora a conoscenza-, fu scosso da una spallata distruttiva dal robusto ragazzo.
"Cosa?" domandò, spaesato.
"Alby intende se il tuo coinquilino ha il cazzo." Tagliò corto Minho, senza filtri o timore di essere sentito.
Stavano passeggiando in pieno giorno, di ritorno da scuola, nel parco.
Ai lati del largo viale c'erano file infinite di alberi che stavano lasciando cadere le foglie ormai arancioni. Un sole, caldo e fastidioso, batteva sulle figure dei tre, che stavano letteralmente squagliando come ghiaccioli.
Newt sgranò gli occhi. Quella domanda non gli era proprio balenata in testa, come facevano ad essere così perversi?
"Non dirmi che tu non ci hai pensato." Alby lo colpì di nuovo, e l'esile fisico del biondo quasi vacillò. Già era messo male con la caviglia, almeno i suoi 'fratelli' potevano essere clementi? "Insomma, tutta la notte azzeccati e non gli hai guardato là?" insisté il bruno, incredulo.
"Pensi che lo avrà?" incalzò poi Minho, eccitato. Ma che tipo di perversione avevano quei due?
Newt gli rivolse un'occhiata inorridita, erano due maiali.
"Non fare quello scandalizzato. Sei tu che succhi gelati, tra noi." Sottolineò, sollevando le sopracciglia in un'occhiata d'intesa. "Lo vogliamo sapere solo perché...è orribile avere istinti e non poter far da sé." Proseguì, mostrandosi dispiaciuto, solidale per il ragazzo diverso.
"Già, come il povero capitan uncino." Si accodò Alby, guardando in un punto fisso davanti a sé. "Il bidè con la mano sbagliata, se ci penso mi sento malissimo..."
I tre amici lanciarono un urlo provando a immedesimarsi per poi scoppiare a ridere in una fragorosa risata; cominciarono a colpirsi scherzosamente, iniziando a correre per vedere chi sarebbe arrivato prima alla fontana del parco.
Newt non partecipò a quella gara stupida, non poteva per la caviglia che gli doleva ancora, così li seguì a passo di formica, cullato da tanti pensieri.
Thomas. Thomas. Thomas.
Non era affatto attraente per pensare a cosa avesse nelle mutande.
✁ ✁ ✁
Newt fu abbracciato da dietro, all'improvviso. Un braccio possente gli cingeva i fianchi, era simile alla scena che aveva condiviso con Thomas la sera prima, ma non aveva nulla a che vedere con i brividi provati, le emozioni indescrivibili, la sensazione di calore, di protezione, eppure era Ben, il suo ragazzo.
"Ehi..." lo salutò il rossiccio, lasciando un bacio sulla guancia. "Ma che hai fatto al piede?" notò poi, la faccia preoccupata, lo sguardo fisso alla caviglia zoppicante. Newt accennò un sorriso di circostanza, facendogli segno di portarlo alla panchina. Si avvicinarono a quella più vicina e Newt si lasciò cadere, prendendo posto. Ben restò in piedi, di fronte a lui.
"Nulla Ben, sono solo caduto dagli scalini del porticato." Sminuì, lo sguardo basso e le guance rosse. Bugia. Non poteva dirgli di essere scivolato in mezzo alla strada per aver inseguito Thomas.
Caspio, non gli aveva ancora raccontato di lui.
E...cazzo. Il messaggio della buonanotte. Non gli aveva risposto.
"Ma quando ti abbiamo accompagnato, ti abbiamo visto entrare senza problemi..." Il suo ragazzo corrucciò la fronte, sospettoso.
"Ma guardali, i fidanzatini più sdolcinati di Lutz." Trionfò Minho, e stavolta Newt gli avrebbe dato un bacio.
Il coreano si era palesato nel momento migliore, salvandolo.
"Ben, guarda che ti ho visto arrivare. Mi aspettavo che ci raggiungessi, che mi superassi." Schernì, dando un lieve pugno al petto di quello più alto e muscoloso.
"Lo avrei fatto volentieri, Minho, ma ho visto il mio amore in questo stato." Arrivò anche Alby, e mentre il coreano era una rosa fresca, lui era molto affannato. Piegato in due riprendeva fiato.
"Devi smetterla di andare al Mc Donald's" sgridò Minho, basandosi sulla declassata dell'amico, dapprima ottimo corridore ad attuale pigro da divano.
"Nessuno stato, Ben. Sono caduto, ma mi reggo in piedi. Mamma ha preparato un unguento stamattina, la caviglia già sta meglio." Enunciò nervoso, più che rassicurare l'altro, voleva fargli capire che non voleva quello sguardo di pietà. Lo detestava, e Thomas per quanto insopportabile, lo aveva guardato senza apprensione o derisione.
"Beh, che ne dite di tornare a casa? Puzzo come un procione morto ed è inconcepibile, per Minho Lee è un oltraggio." Ironizzò il coreano che subito fece ridere l'africano, mentre tra Ben e Newt c'era una grande tensione. Rimasero inespressivi. Che il rosso avesse percepito che qualcosa non andava? Probabile, aveva avuto due segnali rilevanti: 1) Newt non aveva risposto al suo messaggio. 2) La caduta non era collocata temporalmente come doveva.
"Per me va bene, anche perché se la sento un altro po', potrei svenire. Gangster, ci vediamo stasera a casa tua, no? Così ci presenti il tizio dalle mani di forbici." Concluse Alby con un sorriso a trentadue denti. La G al posto della S era volontaria, un simpatico appellativo che andava avanti da anni.
Newt non ce l'aveva fatta a tenere all'oscuro i suoi migliori amici. Aveva raccontato per filo e per segno tutto ciò che era accaduto da quando aveva messo piede in casa: dal terrificante incontro, al rientro.
Seppure dubbiosi del diverso, i due, non avevano avuto una brutta prima impressione del ragazzo citato, anzi, Alby lo aveva reputato davvero stupido. "Ma che rincaspiato è questo qui? Dopo tutte le cattiverie che gli hai detto, io ti avrei ucciso, altro che accompagnato sotto braccio a casa." Gli erano sembrati bendisposti a conoscerlo, ma Ben...sapeva che il suo ragazzo non l'avrebbe presa bene.
"Il tizio dalle mani di forbici?" ripeté, sconnesso. "Cos'è? Un'altra di quelle creazioni fallimentari di tua sorella?" accennò un sorriso sghembo, l'aria divertita e derisoria.
Minho storse il naso, infastidito. Lizzy amava la scienza, e aveva sbagliato diversi esperimenti in laboratorio, ma questo non faceva di lei un fallimento umano, Ben non doveva permettersi di definirla così.
"No, è un essere umano che ha delle forbici al posto delle mani." Sputò innervosito, marcando con la voce 'umano'.
"E mia sorella non ha mai fallito nulla." Precisò, sollevandosi di scatto. Traboccò in avanti per lo scarso equilibrio dovuto alla caviglia dolorante, Minho avanzò per afferrarlo, sostenendolo.
"Newt non intendevo offendere te né tua sorella. Abbiamo scherzato tante volte sui suoi errori. Ha quasi dato fuoco a casa tua perché non sapeva regolare il microonde. Non farne una questione personale, piuttosto...chi sarebbe questo che dice Alby?" Ben fissava Newt con un guizzo di curiosità negli occhi, e sembrava trasparire anche un velo di...minaccia? Le braccia poggiate ai fianchi gli davano un'ulteriore aria da presuntuoso, saccente e il sorriso di poco prima era completamente svanito.
Newt rivolse un indecifrabile sguardo ai suoi amici, non voleva parlare di Thomas con Ben. Ma era pur vero che non avrebbe potuto nascondergli per sempre la sua esistenza.
"Non lo conosco bene. È stata mia madre a portarlo a casa, quindi è un tipo okay." Tagliò corto, fingendo di pulire la sua giacca a vento. Lo sguardo del suo ragazzo era troppo indagante e voleva sfuggirgli.
"E suppongo tu l'abbia conosciuto ieri." Collegò i pezzi di puzzle. "Che coincidenza, non hai risposto alla mia buonanotte. E dimmi...c'entra qualcosa con la tua caviglia?" Ben era davvero invadente, soprattutto in quella posa da ispettore all'interrogatorio con il delinquente; le mani ai fianchi e i muscoli facciali rigidi che trattenevano una scenata di gelosia o pazzia a momenti.
"Assolutamente no." Rispose sbrigativo, stufo di quella conversazione. "Ora voglio tornare a casa" troncò atono, in mezzo ai suoi amici che lo affiancavano. Alby a destra e Minho a sinistra.
"Lascia che ti accompagni io almeno." Propose, ma Newt fu irremovibile.
"Ci sono già loro. Ci vediamo stasera, alle 7:30 a casa mia." Concluse, salutando il suo ragazzo solo con un cenno della mano. Alby e Minho mostrarono altrettanta freddezza e, assicuratosi che Newt stesse bene, s'incamminarono a passi di formica verso la casa dell'amico ferito.
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Attorno alla tavola, Lizzy Sangster aveva sistemato otto sedie. Una a capotavola, l'altra a quello opposto e tre da un lato e tre dall'altro. Thomas necessitava spazio, o meglio le sue forbici, quindi occupava il primo capotavola, di fronte, si sarebbe trovato il signor Sangster. Lizzy sarebbe stata seduta tra sua madre e Minho, mentre Newt avrebbe preso posto accanto a Thomas, affiancato da Ben e Alby chiudeva la fila.
Il biondo era sdraiato sul divano, dei cuscini dietro la schiena gliela tenevano sollevata; da quell'angolo della cucina aveva tutto sotto controllo. Il suo sguardo vagò dai battibecchi tra sua madre e sua sorella a suo padre che cercava di seguire la partita di football nonostante il caos prodotto dal pentolame per poi finire al trio inconsueto: Alby, Minho e Thomas. Quest'ultimo, a contrario di ogni aspettativa, sembrava gradire la compagnia dei due.
"Che ne dite di giocare a forbici, carta e sasso?" propose inaspettatamente, suscitando curiosità negli amici di Newt e di Newt stesso, che lo aveva sentito chiaramente.
"Beh, Thomas no..." rispose Alby, sollevando le spalle, in difficoltà.
"Perché?" chiese ingenuo il ragazzo dalle diverse caratteristiche.
"Con te è noioso." Sbottò l'asiatico senza peli sulla lingua, per niente perfido.
Accennò una risata che travolse tutti, persino Thomas sorrise di buon gusto. Anche Newt non riuscì a trattenere il ghigno divertito per quello scambio di battute. A quella risata, come un richiamo, come un riconoscersi, Thomas sollevò lo sguardo verso di lui.
Di nuovo occhi negli occhi. La classica soggezione inspiegabile. La classica...attrazione, come un polo al magnete.
"Ti sto facendo il solletico?" chiese Ben, inarcando un sopracciglio e interrompendo il massaggio.
Ma Newt non lo sentì. Viaggiava in un'altra orbita, diretta sul pianeta Thomas. L'aria trasognata e assente.
Il rossiccio seguì la traiettoria del suo sguardo, non rimase sorpreso vedendo chi stava fissando né che veniva ricambiato con la stessa intensità. Un moto di rabbia gli salì al cervello, sangue saturo d'ira.
"Vuoi continuare tu, Thomas? "invitò graffiante, alzando la voce senza reprimere l'odio verso quello chiamato. La voce spigolata e poco amichevole fu colta da tutti i presenti.
"Ah dimenticavo, non puoi." Calcò il coltello nella piaga, velenoso come un serpente. La signora Sangster, che aveva sempre fatto il tifo per suo figlio e Ben, in quel momento cominciò a ricredersi. Ben poteva mascherarsi tra i suoi coetanei, ma un genitore vedeva sempre più oltre, e quella cattiveria, Tasha Sangster non gliel'avrebbe perdonata.
Newt, invece, aveva stretto i pugni tentando di controllarsi. Stava trattenendo un respiro colmo di rabbia e disprezzo verso il ragazzo che credeva fino ad allora di amare. Non poteva permettere che trattasse Thomas come un...
"Mi dispiace, avevo completamente dimenticato la tua...malformazione." scusò fintamente dispiaciuto, scorrendo lo sguardo verso tutti i presenti. Alzò la mano come per discolparsi, per poi portarla sul piede del proprio fidanzato e riprendere il massaggio.
"Basta." Newt si scostò come se fosse stato scottato, ma era molto di più. Era deluso da un comportamento come quello, meschino e infantile. Provò ad alzarsi, il suo ragazzo si avvicinò per aiutarlo, ma Newt si divincolò di nuovo, incurante che Ben facesse brutta figura dinanzi alla sua famiglia, anzi, guardandolo fisso negli occhi proferì; "Ce la faccio anche da solo. Non ho bisogno di te."
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La tavola era bandita da dozzine di pietanze, Minho l'aveva definito 'l'antivigilia' non perché fosse il 23 dicembre, ma la tanta roba che c'era, faceva pensare a una prova culinaria prima della grande serata. Alby si stava già complimentando con la signora Sangster, a sua detta, ' i cibi avevano un aspetto delizioso', per niente paragonabili alle sploff della mensa.
Prima di prendere posto a tavola, il signor Mark si era catapultato nell'impresa di far sorridere Thomas, palesemente giù dopo lo scontro di poco prima con Ben. All'inizio lo intrattenne con battute squallide, alle quali, il ragazzo per quieto vivere sorrideva sebbene non ne avesse capita neanche mezza, poi però prima di sedersi, l'uomo di casa si avvicinò al suo orecchio e proferì serio;
"Pivello, non lasciare mai che qualcuno ti dica che sei un handicappato. Intesi?" Si accertò di ricevere un cenno affermativo da parte del giovine e poi, con un sorriso e una pacca sulla spalla, si accomodò a tavola.
Al centro della tavola troneggiava un gran tacchino arrosto, accerchiato da vere prelibatezze, motivo per cui gli occhi di Minho e Alby avevano preso a sfavillare e a breve, tutti avrebbero assistito alla loro colata di bava agli angoli della bocca.
"Lizzy, com'è andata oggi a scuola?" A rompere il ghiaccio fu la signora di casa, per spazzare via l'aria...tesissima.
L'interrogata spostò la lunga treccia sulla spalla, mostrando un ampio sorriso; "Magnifico, ho recuperato algebra e durante la lezione di scienze Thomas...è stato spettacolare. Sono rimasti tutti a bocca aperta, ho mostrato i suoi lavori." Rivelò la giovane Sangster fiera, rivolgendo un sorriso di gratitudine al ragazzo speciale, il quale ricambiò.
A Newt piaceva il guizzo che albergava in quelle iridi verdastre, Elizabeth parlava di Thomas come se fosse una creatura divina e forse...Lo era davvero. Lanciò un'occhiata verso il ragazzo speciale, il quale stava infilzando un fagiolo. Avrebbe voluto aiutarlo, ma confidava nella sua buona volontà. Thomas lo beccò sul fatto e Newt smorzò un sorriso, di incoraggiamento.
"E a voi ragazzi?" domandò il signor Sangster, non aspettò neanche la risposta che interrogò Ben. "Come sta tuo padre, Ben?"
Il rossiccio mosse il capo a destra e manca, irresoluto. "È da un po' che non lo vedo, gira sempre all'estero, per le compravendite...quelle cose noiose di marketing." Disse evasivo senza staccare lo sguardo dal proprio piatto, tentava di acciuffare le carote con la forchetta, ma gli sfuggivano.
"Gli affari vanno bene quindi." Sentenziò il padrone di casa, attento.
"Già...e ha sempre più paura che vengano i ladri. Ha aggiunto altri anti-furti, ormai casa mia è peggio del Louvre." Sbuffò sonoramente, facendosi dietro con la sedia con un colpo d'anca.
"Fa ciò che è giusto, tiene al sicuro il ricavato dei suoi sacrifici." Constatò l'adulto, pienamente d'accordo.
"Sì, ma gli avevo chiesto un camper, non ha voluto darmi niente, neanche una lira. Un figlio ogni tanto bisogna accontentarlo, no?" aprì le braccia, sconfortato.
Il signor Sangster masticava i mini hot-dog dell'antipasto, facendo spallucce. Non avrebbe mai speso parole contro la classe dei genitori, ma forse, se lui fosse stato il padre di Ben, non avrebbe negato che qualche schiaffo in più lo avrebbe fatto crescere meglio.
"Finché ci sono io, tu e Newt scroccate da me." S'intromise Alby, accennando un ghigno, ma nessuno si aggregò. Si ricompose poco dopo, notando la figura; "Tom, mi daresti una fetta, per favore?"
Il ragazzo con le due ingombranti protesi a forma di forbici, a tavola, le fungeva da coltello: tagliuzzava la carne e la passava di piatto in piatto. Tutti accettarono, tranne Ben.
"Con quelle cose ci tagli le siepi, fai le acconciature ai cani...è poco igienico. Scusa." Aveva liquidato. Newt invece aveva acconsentito, ma per via dell'emozione, Thomas nel porgergliela, l'aveva fatta scivolare, sporcando i pantaloni del biondo.
"Sta' tranquillo." Rassicurò subito, prima che iniziasse a venir giù una valanga di insulti da parte di Ben. Quest'ultimo avrebbe usato ogni minimo sbaglio per far apparire Thomas in cattiva luce. Prese a pulirsi con il tovagliolo di fianco al piatto.
"Avremo potuto estendere l'invito anche a Teresa, perché non ci ho pensato..." ricordò la signora Sangster mortificata per la cattiva azione compiuta nei confronti della vicina. Tutti sollevarono lentamente le teste dal piatto, rivolgendole occhiate in cagnesco.
Nessuno riusciva a sopportare Teresa Agnes, detta anche la 'tettona che andava con chiunque'. Era la traditrice per eccellenza sia nei rapporti amorevoli che amichevoli. Una falsa pettegola che riusciva soltanto a mettere zizzania.
"A proposito Thomas, oggi com'è andata? Non mi hai detto cosa avete studiato." Indagò Tasha Sangster con sorriso bonario.
Solo in quel momento Newt mise a fuoco. Capì che Thomas conosceva Teresa, che avevano instaurato un buon rapporto tanto che andasse a trovarla quotidianamente e studiassero insieme, cosa poi non gli era chiaro...
"Hai parlato poco dopo il rientro...va tutto bene?" proferì apprensiva la donna, accarezzando dolcemente il braccio del ragazzo. Era impallidito più di sempre e aveva un certo...tremolio.
Newt lo guardò preoccupato, corrugò la fronte, curioso. Gli altri, compreso il signor Sangster, Lizzy, Ben, Minho e Alby continuavano a mangiare senza pensieri.
"Eravamo in camera sua, mi ha fatto sdraiare sul suo letto, ha detto che così avrei appreso meglio, poi si è seduta su di me e ha cominciato a spogliarsi." Thomas proferì quelle frasi con una certa naturalezza, come se fosse normale mettersi a cavalcioni e spogliarsi. La sua ingenuità non lo avvertiva della gravità del gesto, facendogli riportare in pubblico come un fatto di ordinaria quotidianità.
L'adulta sbarrò gli occhi per la meraviglia, seguita da tutti gli altri che bruscamente interruppero la propria cena. Minho quasi si strozzò con la coscia di tacchino, mentre Lizzy sputò il bicchiere d'acqua;
"Scusami" disse a Ben, sedutole di fronte. Il rosso le riservò un'occhiata piena d'astio.
"Quindi le hai viste?" domandò quello scuro di pelle, scusandosi poi con i genitori di Newt per la richiesta indiscreta "Teresa Agnes ha delle bombe che io..."
"Alby!" Rimproverò il biondo, ma non per l'oscenità di sé ma per quel nome. Non gli era mai andata a genio Teresa, meno che in quel momento. Ora lo odiava del tutto. Azzuffò con la propria forchetta l'insalata nel suo piatto ma non sembrava avere intenzione di mangiarla, la stava...
"Newt, stai massacrando quella povera verdura." Notò sua sorella, confusa. Certo, tutti erano scioccati da ciò che Teresa aveva fatto, con Thomas soprattutto ma Newt sembrava esserne coinvolto, chiamato in causa.
"Hai ragione è che...non ho fame, il dolore alla caviglia, sapete com'è...mi toglie l'appetito."
Le ultime tre parole le disse inchiodando i suoi occhi in quelli di Thomas.
Fu abbastanza per far capire a tutti che non era quella detta la vera causa della sua inappetenza.
Dopo quello scambio di battute e tensione alle stelle, grazie alle battute di Minho, gli aneddoti della signora Sangster e i racconti di Elizabeth, la serata prese per fortuna una piega piacevole; persino l'aria tesa che c'era stata con Ben sembrò affievolirsi.
Newt rideva e scherzava, di tanto in tanto si abbracciavano affettuosi, senza spingersi oltre, mentre Ben sembrava apprezzare quell'avvicinamento dopo il burrascoso distacco, il suo ragazzo sapeva di non essere del tutto sincero.
Sentiva come se quelle azioni fossero fatte per difendersi, per evadere dai pensieri di inspiegata gelosia.
Thomas non era entrato solo nel suo letto ma anche in quello di Teresa, e se c'era stato qualcosa che non aveva riportato?
Beh, almeno Alby poteva ritenersi soddisfatto, aveva svelato l'arcano. Thomas era interamente umano, eccezione per le forbici. Dove lui aveva fallito ignaro su cosa nascondessero le mutande del suo coinquilino, Teresa aveva provveduto. Ah, quella...
I suoi cattivi pensieri vennero interrotti dalla proposta che fece sua sorella Lizzy: giocare a Monopoly.
Minho si spostò con la sedia, posizionandosi all'angolo tra Thomas e lui, ignorando le voci; "Se ti metti all'angolo, non ti sposi" Chissà, forse all'epoca non reputava importante il matrimonio o era già troppo brillo per pensarci.
"Io gioco con Thomas, le mosse le faccio io per te, amico. "Si era offerto cordiale, e il moro non aveva potuto far altro che ringraziare. "Così capisco anche come si gioca..." aveva risposto con un flebile sorriso.
Passarono ore a giocare e a divertirsi, Newt per un po' dimenticò anche la caviglia dolorante, soprattutto grazie all'alcol.
Alzarono un po' tutti il gomito con lo spumante, ma l'asiatico ebbe decisamente la peggio. Cominciò a ridere senza senso, appisolandosi di tanto in tanto sulla tavola come se fosse colpito dal diabete; a malincuore, Alby e Ben capirono che era giunto il momento di togliere le tende. Salutarono e ringraziarono la famiglia Sangster per l'ospitalità e l'ottima cena, caricando l'asiatico nel camper di Alby. Nel tragitto, Minho completamente fuori di sé, parlò per gran parte del tempo, lasciandosi sfuggire un segreto;
"Quel Thomas è davvero un figo...quelle forbici sanno fare proprio tutto, persino aprire le serrature." Borbottò anche altre frasi senza senso, ma Ben non si focalizzò. Gli bastava quella. Era ciò di cui aveva bisogno.
Subdolo e approfittatore, l'avrebbe usata a suo interesse.
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Newt era immerso nella lettura della più grande tragedia di William Shakespeare, quando sussultò sentendo qualcuno giungere alle sue spalle.
Era in piedi davanti alla finestra, i raggi lunari sovrastati da qualche nuvola guastafeste davano l'impressione che fosse più tardi. Era circa mezzanotte e, di nuovo, non era riuscito a prendere sonno.
"Non riesci a dormire?" domandò Thomas alle sue spalle, pareva preoccupato.
Il biondo ne restò sorpreso, la casa era silente ed essere gli unici svegli gli faceva pensare al loro incontro. Era cambiato in poco tempo, non aveva più paura del bruno anzi, sentiva di volerlo sempre più vicino, confidenza che mai gli avrebbe ammesso.
Non osò voltarsi, ma fu felice di condividere quel momento con Thomas. "È per la caviglia?" chiese ancora, facendo un minuscolo passo in avanti.
Fu a quella domanda che Newt decise di voltarsi, rivolgendogli finalmente il viso.
"No, non c'entra." Ammise con tono basso, socchiudendo il libro. Avrebbe voluto proseguire, dirgli che non era per colpa della caviglia se non aveva cenato, ma Thomas aveva già intuito, come sempre i loro sguardi si erano detti tutto ancor prima di aprire bocca.
"Immaginavo..." constatò il moro, lanciando uno sguardo verso la finestra. "William Shakespeare?" gli occhi caddero quasi subito sul libro, a causa del buio non poteva leggere il titolo, ma doveva conoscerne la copertina perché solo intravedendola, non sbagliò; "Romeo e Giulietta." Non era una domanda, bensì un'affermazione.
Sangster esitò per l'imbarazzo. Era una tragedia letta più da ragazze, lo sapeva, eppure, lui non riusciva a non amarla.
La fugacità della vita, la morte di due giovani che si amavano tanto...e la beffa più grande di tutte: la morte di entrambi e le famiglie da sempre contrastanti, riunite. Perché un amore doveva sacrificarsi? Per volere di chi? Perché l'amore doveva essere ostacolato? A diciassette anni non lo capiva e forse non l'avrebbe mai saputo.
"Ami il tuo Romeo?" Domandò Thomas all'improvviso, scuotendo il giovane dai pensieri in maniera assai violenta. Newt si sentì violato, come se Thomas stesse scavando con una pala all'interno di sé, per captarne pensieri, sentimenti, emozioni. Avrebbe voluto rimproverarlo per l' invadenza e l'insolenza, ma si trattava soltanto di una domanda, avrebbe potuto anche lasciarla irrisolta.
"A volte sembra più Tebaldo, ma non è cattivo." Si discolpò, quasi come si stesse confessando. Voleva scusarsi per le cattiverie dette dal suo ragazzo, a inizio serata.
Mani di forbici scosse la testa in cenno di sì più volte, l'espressione lievemente delusa. "Lo capisco, ognuno di noi ha un lato oscuro e un lato luminoso." Assecondò, diplomatico. "Ma non hai risposto alla domanda..." Gli occhi nocciola del biondo lo fissarono senza fiatare, increduli che Thomas fosse così imperterrito e invadente. Gli era sembrato un tipo che si faceva i fatti suoi e che non forzava nulla.
Si avvicinò, l'espressione che aveva fu impossibile da descrivere per il biondo. Erano troppo vicini. "Tu lo ami, Newt?" soffiò, a pochi passi dal padrone di casa. Newt deglutì, palesemente in soggezione. Girò di poco la testa per sfuggire ai suoi pozzi neri inquisitori. Non riusciva a capire da dove diamine provenisse quel senso di calore incontrollato, che percepiva soltanto quando Thomas era nei paraggi. Si sentiva bloccato come se quello governasse le sue emozioni, intrappolato da fili invisibili che, stringendogli la cassa toracica, impedivano ai polmoni di respirare correttamente e al cuore di battere in maniera naturale. Andava all'impazzata come i suoi pensieri, sconnessi e rapidi da non essere afferrati.
'Perché mi fai questo effetto?' Era ciò che Newt chiedeva a se stesso ogni volta che Thomas gli fosse fin troppo vicino. Si sentiva sconnesso, non più padrone del proprio corpo, gli sembrava che il bruno avesse il pieno controllo di sé. Gli si avvicinava e il suo cervello andava in tilt. Ma no, non avrebbe permesso che si fosse insinuato nella sua mente giorno e notte, diventando la sua crush, innamorandosi di un essere anormale con cui non aveva futuro, dal quale non poteva essere toccato. Si destò da quelle infinite paranoie, decidendo di non rispondere alla domanda di Thomas,. Era un duro, gli sarebbe riuscito senza problemi.
"Leggo Shakespeare perché è un grande drammaturgo oltre che poeta...Grazie a lui ho scoperto di amare l'Inghilterra e credo la visiterò." Newt stracciò così il silenzio, preferendo cambiare argomento per l'aria pesante e la soggezione che li circondava. Guardò le sue scarpe, per distrarsi, ignorando che quello che aveva davanti gli provocava scariche elettriche di passione; "Romeo e Giulietta non è l'unica sua opera che ho letto, ho apprezzato molto anche Re Lear, Amleto..." Elencò, sperando che la conversazione non fosse finita lì. Non voleva parlare di cosa provava per Ben con Thomas, ma non voleva neanche che questi se ne andasse.
Il moro smorzò un flebile sorriso di circostanza, cercando di reprimere al meglio quell'emozione che gli si fermava in gola, facendogliela sentire secca. Il rifiuto, ecco...una cosa del genere.
"Le ho lette, ma ad esse ho preferito i sonetti. Ne conosci?" domandò d'un tratto, sorprendendo il biondo più di quanto già non fosse.
"Sì, non tutti ovviamente, li ho trovati magistrali, alcuni più di altri..."
Quel ragazzo lo affascinava su tutti i fronti. Non aveva soltanto talenti collegati alle forbici, con le quali creava capolavori di giardinaggio, acconciature a cani e donne, aveva molto di più.
"Il 116 è il mio preferito." Informò, e mai Newt avrebbe pensato che Thomas, l'avrebbe recitato lì, su due piedi;
"Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana."
Thomas fece una pausa, dando la giusta tonalità a quei versi d'amore così colmi di sentimento. Stava per riprendere con la strofa successiva, ma Newt sorprendendolo, lo batté sul tempo;
"Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza." Continuò, la voce tremolante per l'emozione.
Tacitamente si alternarono, Thomas proferì il verso successivo, senza sbagliare la minima parola;
"Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio."
"Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato." Proferirono all'unisono, con la medesima intensità, fissandosi negli occhi. Erano da soli, illuminati dai flebili raggi lunari che oltrepassavano la finestra, come luce che sfugge alle tenebre.
Quel momento si era rivelato così intenso che anche se la stanza fosse stata gremita di gente, per Newt ci sarebbe stato solo Thomas. Ignari, avevano dato vita a una connessione mentale.
Restò in silenzio, mai aveva provato cotante emozioni in una volta sola. Stavolta fu Thomas a parlare per primo, pienamente sbalordito;
"Wow..." Enunciò con sguardo ammaliato, profondo. Fissava il ragazzo davanti a sé come se fosse un'apparizione divina. Il biondo grattò l'orecchio, girandosi a guardare altrove. Era imbarazzato. "Siamo stati bravi. Non credevo che tu..." enunciò schietto, senza celare neanche una nota di meraviglia;
"Nemmeno io pensavo che tu..." Newt era disorientato, colpito, sbalordito.
"Beh, il mio inventore teneva a cuore la mia istruzione, mi leggeva sempre opere, romanzi...io non potevo farlo perché con queste-" indicò le forbici" mi era difficile sfogliare le pagine, le avrei distrutte...- un velo di tristezza gli oscurò lo sguardo, ma la celò con una risata priva di umorismo. "Così ogni sera mi leggeva qualcosa...Ho solo ricordi belli di lui...Se le avessi avute, avrei potuto tenere anche io i libri così." si riferì a Newt, che stringeva il suo caro libro nella mano. "Prima di andare via me le mostrò."
Newt inarcò la testa, confuso e curioso.
"Le mani..." svelò, sorridendo a malapena; "Disse che aveva un regalo per me, che le avrebbe installate...Erano bellissime, proprio come le tue, cinque dita, niente di diverso da voi umani. Avrei potuto accarezzare un cane, afferrare oggetti, aiutare qualcuno ad alzarsi se fosse caduto, fare un massaggio...Sarebbero bastati pochi minuti per ultimarle e rendermi uguale a voi..." Il suo sguardo si incupì ulteriormente, Newt capì che quello che stava rammentando non portava alla luce bei ricordi; "Ma qualcosa accadde...Sgranò gli occhi, colpito da un malore improvviso, e privo di forze si accasciò a terra." Il mento del bruno tremolava forse a breve sarebbe scoppiato in un pianto. "Non si svegliò più."
Newt si avvicinò, carezzandogli leggermente la spalla. Fu una carezza fatta senza pensare, istintiva, proprio come la sua rincorsa.
"Mi dispiace." confidò con tutta la tristezza nel cuore, era davvero sconvolto da quella storia; "Sono sicuro che sarebbe fiero di te, Tommy." Proferì poi con altrettanta sincerità.
Thomas sollevò lo sguardo, esterrefatto da quelle parole. Improvvise quanto destabilizzanti.I suoi occhi luccicavano come non mai, erano illuminati, diversi, pieni di speranza. Belli. Newt avrebbe voluto tanto fargli un ritratto.
"Io lo sono." Concluse, dedicandogli un sorriso.
Il più bello e sincero che Newt Sangster avesse fatto in quei giorni.
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Newt non riusciva a credere di essere accondisceso a ciò che Ben gli aveva chiesto. La settimana prima di fargli quella proposta si era comportato così bene nei suoi confronti e in quelli di Thomas, che il biondo si era ricreduto sul suo conto.
Persuasivo e amorevole animò; "È un gioco da ragazzi, tesoro, nessuno lo verrà a sapere. Ho bisogno di vendere qualcosa di quei noiosi cimeli che hanno i miei, potremo avere un camper tutto nostro, senza disturbare Alby. Hai sentito come ha detto a casa tua? Noi scrocchiamo, è ufficiale: gli diamo fastidio. Thomas si fida di te ed è giusto che sia tu a chiederglielo. Non è rischioso, ho disattivato tutti gli anti-furti. I miei hanno così tanto oro che non noteranno qualche grammo in meno. Le sue forbici sono capaci di aprire una porta senza forzarla, nessuno ci scoprirà. "Quell'ultima frase ripetuta più volte riuscì a far cadere Newt nel tranello, trascinando Thomas verso la sua fine.
A casa di Ben arrivarono con l'amato camper, il padrone di casa, il suo ragazzo, Minho, Alby e Thomas. Entrarono dalla porta principale, senza destare sospetti. I genitori di Ben erano ancora in viaggio, e la città di Lutz troppo silenziosa per i preparativi delle feste. Nessuno avrebbe notato gli 'strani movimenti', si dimostrava la serata ideale per attuare un colpo del genere.
I ragazzi superarono il corridoio, giungendo alla stanza centrale, quella blindata. Ben si fece di lato, lasciando a Thomas lo spazio necessario per lavorare;
"Ora tocca a te amico mio, aprila." Aveva incoraggiato falsamente, dandogli una pacca sulla spalla; Il moro sorrise a quel cambiamento, ora, se gli fosse accaduto qualcosa di brutto, sapeva di lasciare Newt con un fidanzato affidabile.
Senza indugiare, inserì le forbici nella toppa girandole prima da un lato e poi dall'altro.
Senza troppo stupore, l'accesso si aprì sotto i loro occhi, Ben sorrise soddisfatto.
Rapido, spintonò Thomas all'interno con sé, molto probabilmente gli sarebbe servito per un'altra serratura, qualcosa però stravolse il suo piano. Non tutti gli allarmi erano stati disinstallati. Una sirena fastidiosa cominciò a suonare incessantemente, mettendo k.o i timpani e allarmando via via tutto il quartiere. Prima che la porta si serrasse, Ben, che era più vicino alla soglia riuscì a sgattaiolare.
Thomas no. Restò da solo, intrappolato; persino le tapparelle elettriche delle finestre si abbassarono, impedendogli di fuggire in ogni modo possibile.
Riuscì a percepire le urla di Newt disperate, chiedeva a Ben di aprire, di inventarsi qualcosa.
"Non puoi lasciarlo lì." Sollecitava, tirando la maniglia, avrebbe provato qualsiasi cosa pur di tirarlo fuori di lì. Anche Minho e Alby erano dello stesso parere, ma più razionali; avevano i minuti contati, se fossero rimasti, avrebbero avuto grattacapi con la polizia, macchiando il loro futuro. E rischiare per uno che non sarebbe mai stato completamente accettato dalla società, era troppo. Da stupidi.
Al suono delle volanti il primo a dileguarsi fu Alby seguito, a malincuore, dal coreano.
Newt restava ancora lì. Dietro alla porta, quel maledetto ostacolo che lo divideva da Thomas.
Ben lo issò contro la propria volontà, sollevandolo sulle proprie spalle. Era l'unico modo per portarlo via di lì.
Sangster continuò a scalciare, a divincolarsi, colpendo con mani e piedi il suo ragazzo, riversando con quei gesti tutto l'odio che nutriva nei suoi confronti.
Si era fidato e aveva fatto male.
Si sentiva in colpa per Thomas, lo aveva consegnato alla giustizia nel modo più ripugnante possibile.
'Thomas non lo merita. Thomas è buono' Ripeteva la sua mente, martoriandolo per il rimorso. Di cosa si pentisse non importava a nessuno.
Thomas era lì da solo, e la polizia l'avrebbe portato via.
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Charles aveva letteralmente la bocca spalancata, gli occhi erano socchiusi per il sonno, ma nonostante la tentazione di Orfeo, era molto curioso sull'epilogo della storia, ragion per cui si sforzava a restare sveglio.
"Non posso crederci, Jim ha ingannato Kim." Trasse, scioccato e dispiaciuto. "Povero Edward...questo insegna che non bisogna fidarsi delle persone, vero zio? Ti dicono bugie e ti fanno del male." Concluse, restio. Di certo Newt non avrebbe voluto impartire una lezione del genere al giovane Chuck, ma non era male fargli aprire gli occhi prima del previsto.
"Già, Chuck..." proferì, nostalgico. "Posso dire che hai appreso la lezione." Abbozzò un sorriso forzato, giocherellando con i morbidi e profumati capelli del piccolo.
"E finisce così, Edward resta in prigione per sempre?" chiese allarmato, terrorizzato che al protagonista fosse riservata una fine così crudele.
"Per fortuna, no...La signora Tasha racconta alla polizia la vita solitaria e asociale condotta da Thomas prima della sua conoscenza. Racconta anche che è cresciuto senza una guida, e che quindi non sa distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato come rubare... Grazie a lei e ad altre vicine che spendono parole positive per lui, Edward viene rilasciato e torna a casa..."
"Evvai!" Lanciò un grido di gioia, emozionato. Era palese che se Charles avesse conosciuto Thomas lo avrebbe adorato.
"E Jim? Dimmi che ha fatto una brutta fine." Charles chiuse gli occhi in due fessure, lo sguardo truce e imperturbabile.
Newt guardò fuori alla finestra, le immagini gli scorrevano vivide dinanzi gli occhi, dopo tredici anni erano ancora nitide nei suoi ricordi.
Sì, Ben aveva fatto una brutta fine, e se la meritava tutta.
✁24 dicembre di 13 anni prima. ✁
Lutz era in fermento per la Vigilia di Natale, per le strade non c'era molto gente, ogni famiglia occupava il tempo come riteneva giusto: chi, con i propri cari era intento a cucinare le migliori specialità della tradizione, altri si recavano a messa, e altri ancora bussavano alle porte dei vicini per far assaggiare il proprio stufato e scambiarsi così gli auguri. Era questo che stavano facendo Mark, Tasha ed Elizabeth.
Newt, invece, aveva preferito restare a casa, in compagnia della sua fedele e cara lettura, l'unica che riusciva a calmarlo in momento di crisi. Crisi, quella che aveva vissuto con Ben era molto di più. Il suo ex era un un subdolo approfittatore meschino che aveva ingannato tutti, ma cosa peggiore aveva incolpato un innocente, servendosi della sua ingenuità per fargli commettere un reato. Per fortuna, Thomas era stato rilasciato; ora se ne stava in giardino a fare qualche sua altra creazione, era ciò che lo distraeva dopotutto.
Dal giorno dell'incidente, Thomas aveva parlato sempre meno, soprattutto con Newt. Quando poi inevitabilmente si erano trovati faccia a faccia nello stresso corridoio, e non avevano potuto fingere di non vedersi o ignorarsi come facevano ultimamente, il biondo gli aveva rivolto una domanda ben precisa;
"Perché l'hai fatto?" Non si riferiva soltanto all'essere andato a casa di Ben ad aprire quella porta, ma anche per aver coperto il rosso, con la polizia. Thomas aveva confermato la dichiarazione del suo ragazzo; " Eravamo a casa, una cena tra amici, e lui mi ha derubato."
Aveva mentito spudoratamente, e c'era riuscito fin troppo bene. Nessun tremolio, solo determinazione e sconforto, quasi come se fosse deluso. Un bugiardo seriale.
Il poliziotto non aveva ascoltato gli altri presenti, un diverso come Thomas avrebbe avuto torto anche avendo ragione. Sangster l'aveva notato nelle occhiate che rivolgeva a Thomas, urlavano soltanto una cosa: schifo.
Quando poi il moro gli aveva risposto senza alcuna esitazione "Per te." Newt era corso nella propria stanza, dove era rimasto chiuso per giorni interi rifiutandosi di parlare e mangiare. I sensi di colpa lo stavano distruggendo.
Thomas aveva mentito per lui, aveva difeso Ben per la sua felicità, se lo avesse incolpato, quello avrebbe dovuto scontare qualcosa e Newt non lo avrebbe visto. Avrebbe sofferto.
'Quanto puro e buono poteva essere Thomas? E quanto era stato sciocco lui da trattarlo male?'
Il pomeriggio della Vigilia decretò una giornata diversa. Newt si era fatto coraggio e aveva deciso di abbandonare la sua camera.
Per quel Natale aveva buoni propositi; avrebbe parlato con Thomas, avrebbero chiarito e chissà...recitato un altro sonetto di Shakespeare.
Stava leggendo il sonetto 46, quando con la coda dell'occhio, al di fuori della finestra notò qualcosa di strano; interruppe la lettura, precipitandosi all'esterno.
La bocca si aprì in un sorriso incredulo, gli occhi si sgranarono più del normale. Estasiato prese a fissare ciò che ergeva al centro del suo giardino: un enorme scultura di ghiaccio raffigurante un angelo.
Lo smussamento degli spigoli, la precisione nei dettagli, il muoversi delle forbici stavano dando vita a dei candidi fiocchi di neve.
C'erano dieci gradi ed era scientificamente impossibile una nevicata.
Newt si soffermò a guardare Thomas, l'unico artefice di tanta bellezza.
Il giovane Sangster liberò gioia da tutti i pori, cominciando a saltellare come un bambino; la gioia sovrastava ogni dolore, dalle fitte lancinanti che ancora gli mandava la caviglia a quelle all'altezza del petto causate da Ben.
Cullato da una dolce melodia si lasciò andare sotto quell'adorabile pioggia di fiocchi di neve, dando inizio a una danza. Si sentiva leggero come una piuma, capace di dominare il mondo. In grado fare qualsiasi cosa, persino l'impossibile...come quella nevicata.
Thomas, aveva spostato lo sguardo dalla sua opera per porlo su quella mozzafiato ai suoi piedi.
Stava osservando Newt con il solito sguardo, ma stavolta i suoi occhi non avevano più filtri, restrizioni, questa volta traboccavano di un amore smisurato, incontrollato, senza veli.
Desiderava che la sua memoria catturasse quell'immagine, come una polaroid. Aspirava a una macchina del tempo che li fermasse lì, felici e insieme. Quell'attimo racchiudeva la poesia di cui parlavano i più grandi poeti: Newt che sorrideva come un bambino, volteggiava travolto dal candore della neve.
Thomas voleva unirsi a quella danza di liberazione; scese dalla grossa scala di legno, voleva essere affiancarlo, inebriarsi di quel momento, condividerlo con il ragazzo che lo aveva colpito ancora prima di conoscerlo, solo vedendo delle foto.
Newt, come ad accoglierlo allungò la mano, forse per aiutarlo, forse perché voleva che ballassero insieme, ma dall'altro lato della strada, una voce crudele parlò. Li tediò, distraendo entrambi.
Bastò quell'attimo di sventatezza, le forbici protese più avanti del dovuto, che aguzze squarciarono qualcosa di morbido. Una mano. La sua.
Una goccia di sangue macchiò la neve che ricopriva il manto d'erba.
Era successo. Thomas aveva ferito Newt.
Si era trattato di uno squarcio netto, secco come solo una lama tagliente era capace di fare.
Newt guardò silente la ferita riportata ma non se ne curò, non lo colpevolizzò;
"Mostro!" urlò Ben dall'altro lato della strada, scappando via.
"N...Newt-" incespicò Thomas, a corto di parole. Era accaduto ciò che più temeva: ferire la persona che amava. Era stato così attento a proteggerlo dagli altri, che aveva dimenticato sé stesso, il pericolo più grande. Gli occhi si inondarono di lacrime, Newt intanto era entrato in casa per raccattare una pezza che avrebbe usato per fermare il flusso.
"N...Ne-Newt..." Enunciò Thomas in un tremolio, i continui sussulti facevano pensare ad un attacco epilettico.
"Tranquillo Tommy, è solo un taglio." Rassicurò il biondo, notando la profonda commozione nello sguardo ombroso.
"Io...Io non volevo, mi dispiace...mi dispiace. È colpa mia, solo colpa mia." Continuò agitato, guardandosi attorno, spaesato. Gli occhi sbarrati dal terrore in cerca di qualcosa di introvabile, misericordia probabilmente.
"Ehi, sta' tranquillo...va tutto bene." Newt gli si avvicinò, la benda gli fasciava il palmo della mano. Prese il viso del moro tra le mani, imponendo di guardare sé stesso. "Non è affatto colpa tua, Tommy. È stato un imprevisto, può succedere."
"Può succedere? Non succede con il tuo ragazzo, no? Non succede con ogni altro essere umano. Io ho queste cose e sono un mostro. Ben ha ragione" Sbraitò in collera, il viso pieno di rabbia. Avrebbe voluto distruggere tutto, i suoi vestiti, il suo volto, le sue forbici...Voleva punirsi.
Ma davanti a sé c'era la persona più importante della sua vita, l'unica che sarebbe riuscita a calmarlo, e l'unica a cui non avrebbe inferto alcun male. Nessun tipo di dolore. Fisico o morale.
"Ben? È lui il mostro della storia, Thomas. T-tu sei il miglior essere umano che ho conosciuto fino ad oggi, e quando sto con te so che non potrà mai accadermi nulla di pericoloso, mi sento al sicuro con te, Tommy." Calcò determinato, sicuro.
"La sera che ti ho conosciuto non ti ho inseguito perché credevo fossi un ladro, ti ho rincorso è vero, ma non sapevo neanche io il perché. Poi l'ho capito...non volevo perderti." Rivelò, sorridendo tra le lacrime, tirò su col naso, e fermò il pianto con una passata di polsi.
Riportò di nuovo le sue mani al viso di Thomas, quel bel viso martoriato da quelle protesi troppo ingombranti e pungenti.
"A dire il vero, sono tante le cose che non ti ho detto." Dichiarò sincero, fissandolo. Gli occhi nocciola brillavano come stelle, e quei pozzi scuri si ravvivavano a loro volta, specchiandosi.
"Ragazzi, c'è un problema. Un grosso problema." Elizabeth si concretizzò in soggiorno, furente, camminava a grosse falcate, spazzando via il momento romantico. L'unico e forse l'ultimo. Newt era stato così coinvolto in quell'attimo con Thomas che non aveva sentito sua sorella arrivare;
L'abito dalle tonalità rosse e verdi, stretto intorno al suo esile corpo, volteggiò diverse volte prima di fermarsi. I due si voltarono trafelati, quelle parole non promettevano niente di buono.
"Ben ha chiamato la polizia, vogliono catturare Thomas."
Newt corrugò la fronte, turbato.
"Ha dichiarato che Thomas ha aggredito entrambi. Lui è riuscito a scappare, mentre tu...tu sei ferito alla mano." Detto ciò, Elizabeth si avvicinò al fratello e non poté che notare la pezza impregnata di sangue; "Allora è vero." Indietreggiò, intimorita.
"Assolutamente no, sorellina. Mi sono avvicinato troppo a Thomas, lui non se ne è accorto ed è successo. Solo un inconveniente a cui Ben era presente e, spietato, ne ha approfittato." Sintetizzò il biondo, i nervi a fior di pelle e la voce instabile. "Per vendicarsi che l'ho mollato." Concluse, inflessibile.
"Che bestia!" Esclamò Elizabeth, indignata. Si avvicinò alla finestra, la mano davanti alla bocca per trattenere la paura. "Si stanno avvicinando, io esco fuori, racconterò a mamma e papà la verità, ma tu, Thomas..." Sapevano cosa Lizzy stesse per dire, ma la piccola Sangster non proseguì. Era difficile anche per lei.
Quello che sentirono Newt e Thomas non fu facile da interpretare neanche da loro stessi. Emozioni che come avvoltoi li divoravano, fiamme ardenti di un incendio li avvolgevano e lì consumavano lì, nello stesso istante nascevano e morivano.
Thomas rabbrividiva, ma non temeva per sé stesso bensì per Newt. Nessuno avrebbe saputo prendersi cura del suo Newt.
"N-Newt..." Detestava parlare, in quel momento avrebbe voluto non farlo. La voce vacillante non solo gli impediva di parlare senza interruzione, ma gli dava un'aria da debole, feribile, indifesa.
"D-Devo andare..." farfugliò, avrebbe voluto inginocchiarsi lì a terra e piangere, ma non lo fece. Si mostrò forte. Uno dei due doveva esserlo. Non avrebbe mostrato il suo lato debole a un Newt a pezzi, le lacrime irrefrenabili grondavano dagli occhi, senza freni.
"Lo so." rispose atono, privo di ogni apparente emozione. "Ma stringimi." Sibilò. Non era un ordine, né una richiesta ma un invito che bramava da fin troppo tempo. Un invito insolito, inaspettato. "Per favore, Tommy. Per favore. Ho bisogno che tu lo faccia." Incalzò, sussultante.
Thomas avvicinò le forbici al viso del biondo, una sola mossa sbagliata e avrebbe ucciso il suo grande amore;
"Non posso." Confutò, impotente.
Newt mosse più volte la testa ai lati, negando quella risposta. Non avrebbe permesso che quelle protesi li avrebbero ostacolati ancora una volta; così, vicino alla finestra dove avevano segretamente confessato il loro amore nella recitazione dei versi di Shakespeare, ostinato, gli sollevò delicatamente le braccia.
Si avvicinò al suo petto e lasciò a Thomas chiudere la stretta. Le ingombranti forbici erano sulla sua chioma bionda, ma non gli avrebbero mai e poi mai fatto del male. Quello era un abbraccio. Quella era casa.
La testa di Newt era accoccolata sul caldo petto di Thomas, le lacrime ormai scendevano da sé, incontrollabili, non poteva farci niente.
Thomas avrebbe voluto sfiorare quella chioma che sapeva di miele, tranquillizzarlo, dirgli di che sarebbe andato tutto bene, tenere l'adorabile viso del biondo tra le sue...mani, accarezzare quelle gote rosse, ma non poteva.
Non poteva fare nulla, non avrebbe mai potuto. Una lacrima solcò la sua guancia marmorea, ma il biondo non se ne accorse.
Lo strinse ancora di più a sé, gli occhi socchiusi in un'espressione di sofferenza, consapevole di aver trovato l'amore e di non aver avuto nemmeno il tempo di capirlo, che l'aveva perduto per sempre. "Prenditi cura di te, Newt. Meriti di essere felice."
✁ ✁ ✁
Newt lo aveva lasciato libero, non ricordava dove l'aveva letto ma una frase di un libro lo aveva segnato particolarmente; "Se ami davvero qualcuno, devi lasciarlo andare."
Aveva lasciato che Thomas andasse via, aveva lasciato che sfuggisse dal tepore delle sue braccia, ma l'aveva permesso solo ed esclusivamente per il suo bene. A Lutz non era al sicuro, non lo sarebbe mai stato. Lì la gente aveva una mentalità retrograda, campava di pregiudizi, e la paura del diverso li avrebbe condotti a incolparlo per qualsiasi cosa, anche la più sciocca.
Aveva rinunciato al grande amore della sua vita solo per permettergli di vivere. Sapeva che se Thomas fosse rimasto a casa, l'avrebbero preso, catturato e chissà dove l'avrebbero condotto. Preferiva saperlo lontano ma vivo, che morente tra le braccia.
Imperterrita, la polizia sembrava non fermarsi, dirigendosi verso la montagna; quando Tasha Sangster rincasò, avvisando suo figlio che anche Ben era sulle tracce di Thomas, il giovane sussultò; senza dare spiegazioni, con la caviglia dolorante corse all'auto, salendovi. Non avrebbe lasciato Thomas da solo nelle grinfie della polizia né soprattutto del suo ex.
Imboccò strade secondarie, evitando di imbattersi in qualche pattuglia. Lasciò l'auto sotto un albero distante, che non avrebbe dato troppo nell'occhio a chi sarebbe sopraggiunto. Una maestosa cancellata ufficializzava l'accesso alla proprietà abbandonata.
C'era un giardino al pari di una reggia addobbato da tante opere magistrali che avevano come autore Thomas, cespugli che erano diventati animali inanimati: dinosauri, cani, cigni che si davano un bacio, gatti...Poi, completamente in discordanza con quella piacevole visuale, sulla destra ergeva un palazzo tetro, del tutto abbandonato, nascosto da una fila d'alberi dalla ricca vegetazione.
Lo raggiunse a passi d'elefante, digrignando i denti ad ogni fitta lanciata come una scarica dalla caviglia ferita. Non trovando nulla al piano inferiore, attento, salì le scale scricchiolanti. Il pavimento era traballante, qualche trave poteva cedere da un momento all'altro quindi preferì avanzare a passi di formica, con prudenza. Quando giunse al piano superiore e lo trovò in un angolo al buio, vivo e seduto su una poltrona malridotta, riprese a respirare;
Thomas si destò dai suoi pensieri, si chiese fosse reale quella visione. Newt era davvero lì con lui? O stava già forse impazzendo per la solitudine?
"Thomas...credevo che non ce l'avresti fatta..."Ammise sollevato, inginocchiandosi per stargli più vicino. Erano passati solo minuti e già avvertiva la sua mancanza.
Le labbra si curvarono in un sorriso che svanì poco dopo. "Stanno venendo?" Chiese, rassegnato. Newt ignorò quella domanda dalla risposta banale, occupando il tempo che gli restava per loro. Ne avevano sprecato fin troppo.
"Non pensiamoci. Dovevo salutarti..." Rivelò, toccando la folta chioma scura e scendendo alle guance.
Thomas chiuse gli occhi quando la tenera mano si posò sulla propria guancia. Sarebbe stato l'ultimo tocco, l'ultimo contatto con il ragazzo che amava. Quanto era ridicolo desiderare che durasse per sempre.
"Farai bene a sbrigarti, allora." Come nei peggiori finali, quella voce si scoprì appartenere a Ben.
Newt si alzò di scatto, mentre Thomas spalancò gli occhi, mettendosi in piedi. Non era un miraggio, era Ben e per di più armato.
Avventato sparò subito il primo colpo, la pallottola vagò in direzione di Thomas, ma per fortuna lo mancò.
Era pronto a sparare ancora, ma Newt lo impedì, intromettendosi e facendo sì che la canna fosse rivolta verso l'alto così da colpire il tetto. Quei momenti scorsero rapidi, veloci, inafferrabili.
Un altro colpo partì e all'urto, una trave cadde rovinosamente, investendo Thomas in pieno. Newt lanciò un urlo, temendo il peggio.
Ben, che aveva scorto le gambe di Thomas muoversi, gli si avvicinò approfittando che fosse a terra per colpirlo.
Attimi di terrore, di sconforto. Newt implorava il suo ex di ragionare, di lasciare Thomas in pace, ma al suo avvicinarsi Ben lo spinse violentemente, facendolo cadere.
Dopo gli innumerevoli calci scagliati allo stomaco di Thomas, Ben afferrò una spranga e si avvalse di quella per continuare la sua tortura. Uno, due, tre colpi.
Thomas soffriva in silenzio, non lanciava nessun urlo di sgomento. Newt, indignato, racimolò tutte le forze per rimettersi in piedi e impugnare un'asse di legno. Colpì Ben alla schiena, lo aveva fermato ma non stordito.
"Vattene Ben, o ti ucciderò io stesso con queste forbici." Minacciò, inginocchiatogli di fronte; afferrò il braccio di Thomas- che stava lì a terra sdraiato e sfinito,- puntando le lame affilate alla gola dell'ex. Ma Ben si riprese. Portò le proprie gambe piegate al petto per poi lanciarsi con forza in avanti, colpì Newt, che cadde di nuovo. Preso in pieno.
Il rosso era di nuovo in piedi, mentre i due amanti erano entrambi fuori combattimento. Il rossiccio si mosse in avanti, lo sguardo perfido e malvagio significava soltanto una cosa: avrebbe ucciso anche Newt.
Thomas si alzò in una sola mossa e con un silenzio impressionante, si palesò tra Newt e Ben, cogliendo quest'ultimo di sorpresa. Senza esitazione, con tutto il disprezzo, affondò la forbice nel petto di quell'essere insulso, facendola girare lentamente, proprio come aveva fatto nella toppa della stanza di casa sua.
Il sangue iniziò a sgorgare come una fontana al centro del petto, Thomas lo fissava imperturbabile, mentre la vita e la vendetta abbandonavano il corpo di Ben.
Lo trascinò alla finestra, e una volta raggiunta, lo lasciò cadere, assieme ai cocci di vetro. Da quella stessa vetrata, i due innamorati fissarono il corpo esanime del loro Tibaldo.
Urla strazianti provenivano all'esterno del castello, qualcuno aveva già intravisto il corpo. I due restarono in silenzio, non c'era bisogno di parole.
"Arrivederci." Soffiò Thomas risoluto in un sussurro sofferto. Sapeva che sarebbero andati a prenderlo, voleva mettere Newt in salvo, farlo dileguare.
Il biondo non rispose, lo fissò per lunghi istanti, come per memorizzarlo, per non dimenticare neanche il minimo particolare del suo volto.
Dal loro primo incontro, ogni volta che si trovava a fissarlo, aveva il desiderio di fare una cosa che puntualmente non portava a termine.
Stavolta, sarebbe andato fino in fondo. Non avrebbe avuto rimpianti.
Timoroso e un po' goffo, si avvicinò a Thomas, baciandolo. Un bacio breve, intenso e tormentato.
"Io ti amo." Confessò, mentre sul viso cadeva l'ultima lacrima. Coccolò per l'ultima volta quel viso martoriato dalle cicatrici e senza più guardarsi indietro, corse via.
Al piano inferiore trovò delle forbici simili a quelle che Thomas indossava.
Non avrebbe potuto amarlo alla luce del sole, ma avrebbe potuto salvarlo per sempre.
C'era tanta gente in strada, subito dopo il cancello, in prima fila trovò agenti di polizia. Quello che doveva essere il capo, abbassò a terra il megafono, notando i vestiti bianchi di Newt impregnati di sangue. Il suo viso terreo non prometteva niente di buono.
Sollevò la forbice, e prima che qualcuno iniziasse a fare domande, insensibile stroncò; "Sono morti entrambi."
25 dicembre
"Zio Newt, zio Newt...dopo mi racconti il finale della storia di Edward?" domandò Charles, raggiungendo Elizaneth fuori in giardino per fare il suo pupazzo di neve. Incredibile, ma aveva nevicato tutta la notte.
"Ah, ecco perché erano le dieci di mattina e ancora non si svegliava, solitamente la mattina di Natale freme per scoprire cosa gli ha portato Babbo Natale." Constatò Minho sospettoso, rivolgendo un'occhiata indagatoria al cognato. "E un attimo... chi è Edward?" Domandò, aggrottando il cipiglio. Newt lo guardò per un attimo, volgendo poi lo sguardo da tutt'altra parte.
"Non dirmi che..."
"Sì, ma tranquillo. Ho cambiato i nomi..." liquidò il biondo, sulla difensiva.
"Newt, ma sei rincaspiato? Gli hai raccontato quella scena così tragica?" Minho quasi ebbe un colpo, sgranò i suoi piccoli occhi neri.
"No, si era già addormentato. Ora però dovrò inventarmi un finale da favola..."
"Ovvio, altrimenti me lo traumatizzi." Tagliò corto, portando le braccia al petto e lo sguardo su Elizabeth e Charles, alle prese con il primo pupazzo di neve a Lutz;
"Lo pensi ancora?" domandò alla sprovvista, il tono serio e apprensivo.
Nei suoi occhi a mandorla era percepibile un velo di nostalgia, nonostante non l'avesse aiutato a casa di Ben, Newt sapeva che Minho ne era davvero pentito, come Alby.
Newt rilasciò un sospiro, gli pesava tanto ammetterlo. A dire il vero gli pesava tanto respirare quando pensava a Thomas.
"Ogni giorno. Non ho mai smesso." Ammise, alzando lo sguardo al cielo, in direzione di quella montagna. Sapeva che lui era ancora lì.
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