2| I came back for you
Coppia:Thomas(Stiles)/ Newt
Crossover: The maze runner/ Teen wolf
Avvertimenti:Thomas human x Newt werewolf
Rating: Verde
Genere: Romantico, soprannaturale, what if?
NdA: Stiles -Thomas- è catturato dalla Wicked all'età di tredici anni. Quest'idea è nata vedendo la quinta stagione di TW, quando è entrato in scena Theo Raeken, ho riconosciuto lo stesso doppiatore di Newt e così sono iniziati i filmini mentali. È stato complicato racchiudere diversi momenti come flash, ma spero che il risultato si avvicini alla decenza. Spero di sentirvi e che i parallelismi e le unioni siano chiare:)
I came back for you
Era da circa qualche mese che Stiles aveva ripreso in mano la sua vita, quella reale, senza la Wicked, virus, esperimenti, immuni e spaccati.
Aveva ritrovato suo padre, lo sceriffo Stilinski, e insieme abitavano in una piccola casa a Beacon Hills. Sua madre purtroppo non era sopravvissuta, come la maggior parte della popolazione non immune, il virus l'aveva portata a impazzire, facendo di lei uno spaccato, privo di ragione.
Era deceduta poco dopo il rapimento di suo figlio-probabilmente lo shock aveva accelerato tutto, facendole perdere quel po' di lucidità rimasta-, il cadavere, seppure le insistenti e continue ricerche nei boschi e nelle città limitrofe, a distanza di anni, non era ancora stato ritrovato.
Questo aveva portato altro dolore nei cuori dello sceriffo e di suo figlio che, non solo avevano perso la moglie e la madre, ma non avevano una tomba cui portare fiori, un cimitero dove recarsi la Domenica ricordando gli attimi trascorsi insieme.
Stiles aveva passato poco tempo con sua madre, quel virus gli aveva crudelmente strappato via tutti i momenti che sarebbero venuti in seguito, con l'inizio del liceo, le prime cotte, i consigli assurdi da parte di ambedue genitori.
Avrebbe voluto che lei ci fosse ancora, che tutto fosse stato tale e quale a prima. Prima dell'eruzione.
La fine aveva avuto inizio in un pomeriggio di gennaio, il tempo non era dei migliori e, infatti, sopra la tuta blu aveva messo uno dei suoi soliti cappotti di qualche taglia più grande, un cappello e una sciarpa.
Approfittò che suo padre fosse al distretto e che sua madre si fosse finalmente addormentata per sgattaiolare fuori di casa e recarsi dal suo migliore amico, Scott McCall, anche lui infetto. Entrambi avevano tredici anni.
Quando vide Scott gli si strinse il cuore.
Il ghigno divertito e spensierato del suo amico si era trasformato in una smorfia di dolore perenne.
Sputava sangue, le vene si erano ingrossate in modo impressionante, evidenziandosi sulla pelle bronzea, in particolare sulle braccia e al collo.
Gli occhi erano diventati di un nero pece, paragonabili a pozzi senza fine, il viso aveva assunto un colorito completamente diverso dal suo incarnato, diventato spaventosamente pallido. Non gli restava molto proprio come sua madre.
Da buon amico Stiles gli fu vicino fino al tardo pomeriggio, e tutto andò bene; Scott si mostrò docile a contrario dell'ultima visita, ove aveva inveito contro di lui, rischiando di aggredirlo.
I problemi sorsero sul tragitto verso casa, quando imboccato un vicolo poco illuminato, tre uomini gli sbarrarono la strada, circondandolo. Erano completamente vestiti di nero e indossavano ambigue maschere antigas.
Provò a divincolarsi, ma senza successo, dopotutto era soltanto un ragazzino; in poche mosse lo braccarono, e mentre uno lo teneva per le spalle e l'altro per le gambe, il terzo gli aveva iniettato un liquido al collo, sedandolo.
Nel giro di pochi istanti perse completamente i sensi, avvertendo la sensazione di cadere nel vuoto.
Al risveglio-che probabilmente avvenne dopo qualche ora- si trovò in un letto di una stanza completamente bianca, sommerso da cavi collegati a macchinari.
Sentì qualcuno parlare poco distante, provò ad alzarsi, per dare un viso a quelle voci, per capire se aveva già visto quel posto. Ma l'ambiente gli sembrò anonimo.
I macchinari erano senz'altro di alta tecnologia, riconobbe soltanto quello più normale: il monitor vitale che mostrava i suoi battiti cardiaci a ritmo di bip, tipico negli ospedali.
Su tre pareti erano affissi disegni di scatola cranica umana e di altri organi che non riconobbe, il muro di fronte al suo letto ospitava una vetrata a finestra, permettendo di essere visti dall'altra stanza.
Attraverso il vetro colse un'anziana donna che lo fissava, i capelli biondi le cadevano ordinati sulle spalle, il rossetto rosso era ben visibile sulle labbra sottili e l'incarnato pallido. Doveva trattarsi di una dottoressa visto il camice bianco.
Stiles era troppo confuso, frastornato, ricordò a malapena del virus e il terrore lo invase, credendo di essere in ospedale perché infetto.
La donna notò il suo panico e lasciò immediatamente la postazione, precipitandosi da lui; abbozzò un sorriso amichevole, mentre con un ago gli pizzicava sul braccio, per prelevare un campioncino del suo sangue.
In un primo momento il ragazzo si fidò, la dottoressa che scoprì chiamarsi Ava Paige gli sembrava innocua ed era presente tutte le notti che si svegliava urlando, in preda agli incubi.
Non importava quale fosse l'ora, Ava lo raggiungeva, ripetendogli che era
al sicuro, e che se fosse rimasto alla Wicked, tutto sarebbe andato bene, nessuno dei suoi amici o parenti sarebbe stato in pericolo.
Quelle parole che a tredici anni lo confortarono, con il passare del tempo assunsero il suono di un ricatto, di una minaccia. Quando toccava determinati argomenti, vittima della curiosità, la cancelliera era fin troppo evasiva, con una scusa banale cambiava argomento. Quell'atteggiamento sospettoso lo portò a indagare, rubò diversi badge per intrufolarsi in stanze in cui gli era vietato l'accesso.
Scoprì cose raccapriccianti, per cominciare: la Wicked non salvava quelli come lui, bensì li studiava, sperimentando su di loro come cavie. Secondo: assieme ad altri, era soprannominato immune -al virus che aveva decimato un'intera popolazione-denominato come soggetto con una lettera e un numero a seguito. Terzo: doveva trovare una soluzione, al più presto.
Cercò di reprimere tutto il disprezzo ogni qualvolta incontrasse Ava o Janson-quello che reputava scagnozzo della cancelliera, e al comando delle guardie di sicurezza-nei corridoi o alle visite, ma col procedere la donna notò il suo atteggiamento, e diede ordine di internarlo, impedendogli di fare qualsiasi cosa.
A differenza di quando aveva tredici anni, stavolta furono tre gli uomini a bloccarlo, Stiles riuscì a ferirne uno fomentando la rabbia negli altri due, che gli iniettarono un liquido al collo. Nel giro di pochi secondi perse i sensi.
Dopo l'effetto di quell'iniezione, si svegliò scombussolato in un luogo che non ricordava. Si trovava in una gabbia proprio come un topo, solo più grande e rumorosa riconducibile a un ascensore.
La scatola aveva cominciato a traballare, salendo a velocità incontrollata verso qualcosa di ignoto.
Gridava terrorizzato, in cerca d'aiuto; si calmò solo quando giunto in superficie, notò di non essere da solo.
Ragazzi, aventi all'incirca la sua età, lo fissavano curiosi. Qualcuno era sicuro di averlo già intravisto, ma non ricordava dove.
A dire il vero non ricordava niente: né i suoi genitori, amici, il suo nome o la stessa Wicked. Solo il giorno seguente ricordò di chiamarsi Thomas e si presentò ai compagni di sventura con quel nome.
Strinse amicizia con Minho, il vanitoso velocista coreano, Alby il primo a essere finito nella radura e quello con più esperienza, Gally lo stronzo, Chuck il più piccolo, Frypan che già a quindici anni dimostrava di avere talento con i fornelli, Teresa, l'unica ragazza presente e con cui aveva una certa ... telepatia (?) e per finire ma più importante Newt, il secondo al comando, il collante.
Dal primo sguardo era accaduto qualcosa tra i due, Thomas aveva percepito una calda sensazione invadergli il petto, sembrava quasi che dopo un tempo indefinito fosse finalmente al sicuro, come se la sua anima inspiegabilmente dannata avesse trovato la pace.
Newt anche aveva percepito lo stesso e, infatti, poco dopo nominò Thomas velocista, affrontando il disaccordo della maggior parte dei radurai.
Newt seguì Thomas in silenzio e ovunque, affidandogli la sua vita e quella degli altri.
Tra loro si sviluppò un rapporto profondo, un legame che nessun altro membro della radura possedeva.
Quando il moro si sentiva afflitto, gli bastava guardare il collante per capire che tutto sarebbe migliorato, e lo stesso era per Newt.
Si sostenevano a vicenda, si completavano, e quell'intesa non mutò neanche nell'ultimo periodo di vita di A5 che, vittima del virus, aveva cominciato a perdere il controllo per futili motivi, diventando violento. Una volta aveva rischiato di fare del male allo stesso Thomas.
"Credo di non riuscire più a nasconderlo ... " debuttò, appena si trovò da solo con il leader. Scostò il cappotto rosso, mostrando il braccio tumefatto.
Iniziò a raccontare di come l'eruzione aveva cominciato a manifestarsi: prima brividi e tremolii poi scatti d'ira e vuoti di memoria. La rabbia, poi, era costantemente presente nella sua testa, scatenando un odio incontrollabile verso il mondo.
Thomas si sentì paralizzato, era una notizia che mai avrebbe voluto ricevere.
Aveva perso Chuck, Winston, per non contare anche Alby e Ben. Era stata dura superare i loro lutti, figurarsi quello di Newt.
Si fece coraggio, rincuorandosi, avrebbe trovato una via d'uscita perché di lati negativi ne erano tanti, ma l'eruzione era pur sempre allo stato iniziale, potevano ancora darsi da fare e trovare la cura, nel frattempo sarebbe stato il siero ad alleviare gli effetti e i dolori.
Trascorsero diversi giorni nei qua però a contrario di ogni speranza, non ci fu nessuna buona notizia, nessun miglioramento. Le pazzie aumentavano e Newt era stanco di mentire ai suoi amici, di scusarsi e dire loro: "È un periodo no, sono soltanto suscettibile, passerà ... "
Decise di raccontare la verità a tutti, ma anche in quell'occasione, Thomas non lo lasciò solo. Sapeva che sarebbe crollato sotto gli sguardi scioccati di Minho e Frypan e
fu proprio lui a parlare.
Lo fece in maniera dolce, utilizzando termini ottimisti, mantenendo una calma impressionante tra i membri del gruppo, stesso Newt pareva più rilassato, come se in quel momento si fosse dimenticato che aveva i minuti contati. Il discorso rattristì tutti, ma diede anche coraggio, anche allo stesso infetto.
"Caspio Tommy, sei davvero bravo con le parole, per un attimo ho creduto che esistesse davvero." Gli aveva detto, dandogli affettuosamente una pacca sulla spalla e lasciando la tenda e Thomas solo con la sua malinconia.
Caparbi, nei giorni seguenti, tutti i radurai camminarono sotto il sole più cocente e la notte più buia, senza riposo per trovare la cura, ma tutto fu vano.
Non esisteva: chi veniva infetto dall'eruzione, non aveva via di scampo.
Il tempo passò, lento e agonizzante, né Thomas né Newt confessarono i sentimenti che provavano l'uno per l'altro, forse per timore di non essere capiti o semplicemente perché non avevano abbastanza coraggio. Scelsero di celare tutto, arrivando al drammatico momento.
Si trovavano al palazzo degli spaccati quando Newt chiese esplicitamente al migliore amico di mettere fine alle sue sofferenze, per impedire che lo spaccato che stava nascendo in lui avrebbe preso il sopravvento, facendo del male a Tommy e al resto del gruppo.
Thomas sapeva che con il passar dei giorni l'amico non sarebbe stato più lui, trasformandosi in uno spaccato senza identità, completamente matto.
Fu con quel pensiero che, dopo diversi tentennamenti, parole spese, e l'essersi assicurato che Newt fosse completamente convinto, con un nodo alla gola e un grosso peso sul cuore, gli puntò la pistola alla tempia.
Si rivolsero l'ultimo sguardo, identico a quello del primo incontro, colmo di emozioni, che diceva più di quanto avrebbero fatto le parole. Entrambi piangevano, ma Newt appariva più forte.
Quando sorrise tra le lacrime, Thomas capì. Le mani tremanti scivolavano sul grilletto, sicure che ci fosse una possibilità. Newt non poteva morire, Thomas non poteva permetterlo.
Ma quella frase, l'ultima, gli fece capire che non c'era via d'uscita, proprio come in un labirinto: Per favore, Tommy. Per favore." Proferì il biondo, senza forze, sfiancato da una corsa impossibile da terminare a causa della stanchezza impossibile da ridurre.
Thomas chiuse lentamente gli occhi, deglutendo a fatica, poi, prima che potesse ripensarci, premette il grilletto.
Il vuoto, il freddo più totale.
Aveva perso qualcosa, era difficile descrivere una sensazione così agonizzante. Si sentiva morto, come se avesse sparato al suo cuore, aprendo una voragine nel petto impossibile da colmare.
Il gelido suono dello sparo rimase con lui giorno e notte, perseguitandolo.
Fu l'oggetto dei suoi incubi, delle allucinazioni quotidiane; con la morte di Newt anche lui aveva smesso di vivere, ma dubitava che la morte avesse avuto il potere di spazzare via un legame forte e speciale come quello che c'era tra loro, il suo migliore amico sarebbe sicuramente rinato in un fiore, in una stella, in qualcosa di meraviglioso.
Il mondo aveva bisogno di persone come lui, con uno spirito di squadra, di protezione verso gli altri, Newt era davvero il collante; teneva uniti tutti, e da quando Thomas lo aveva conosciuto, aveva capito che teneva insieme anche i pezzi del proprio cuore, pezzi che dalla sua scomparsa stavano via via cadendo.
Traballante tornò dai compagni, senza rivelare quell'azione mostruosa.
Da quel tragico giorno, Thomas non fu più lo stesso. Aveva costantemente l'aria assente, e le strigliate di Minho, Brenda e Frypan erano inutili.
Il viaggio continuò, giungendo all'ultima città. Mossi dalla curiosità entrarono in una struttura, dall'aspetto pareva essere un laboratorio gigante.
Trovarono sieri etichettati "recupera memoria", i ragazzi si guardarono scettici, sarebbero davvero stati capaci di ripristinare i ricordi prima del labirinto? C'era soltanto un modo per scoprirlo. Sia Thomas sia gli altri decisero di provarci. Sfilò l'ago di una siringa fuori dal beccuccio di protezione e l'un l'altro si iniettarono il liquido al collo.
L'amore che provava per Newt era più grande e importante di tutto, e adesso che lo aveva perso, il senso della vita che aveva acquisito incontrando quel ragazzo dai capelli color miele, era svanito, lasciandogli l'infinito di niente. Ora che Newt non c'era più, non aveva niente da perdere.
L'iniezione non fece male, anzi, cancellò tutto il dolore, non solo quello fisico.
Liberò la mente da tutti i pensieri, da tutti i ricordi. Il siero fece effetto quasi immediatamente, bruciando le cellule interessate della memoria e facendo rinascere quelle del passato.
Nessuno sapeva che il siero avrebbe ripristinato i ricordi prima della Wicked, eliminando quelli vissuti con essa.
Thomas crollò a terra stordito così come gli altri, e quando si svegliò, si alzò lentamente.
"Devo tornare a Beacon Hills, è quella casa mia." bofonchiò, rivolgendo un'occhiata stranita ai ragazzi davanti a sé. Li squadrò con attenzione per vedere se li avesse visti prima d'allora. Niente, non sapeva chi fossero, e come quello, ogni cosa gli era estranea.
Il labirinto per Thomas era un concetto astratto senza un'apparente via d'uscita.
Non sapeva chi fossero i velocisti.
Non ricordava Minho, Frypan, Chuck.
E Newt non era mai esistito.
_________
Un ventilato giorno di settembre cambiò tutto, facendo sommergere la verità.
Il periodo estivo era ormai agli sgoccioli e a breve la scuola sarebbe riaperta. I due amici, come ogni pomeriggio, stavano correndo nel bosco di Beacon Hills. La corsa sarebbe stata un ottimo allenamento per le selezioni della squadra di Lacrosse, sempre che fossero riusciti a entrarvi.
Ormai era un sogno cui entrambi ambivano da piccoli, ma restava sempre irrealizzato.
Scott indossava la solita canottiera nera con pantaloni del medesimo colore, tipico completo dei suoi allenamenti. Stiles, invece, aveva scelto per una felpa blu a strisce bianche con pantaloni grigi. Ai piedi entrambi indossavano scarpe da running.
"Ti ricordavo più lento, crescere fa bene." Schernì Scott senza il minimo fiatone, reprimendo un ghigno divertito per le espressioni affaticate del compagno.
L'inalatore di McCall era stato sostituito da occhi luccicanti e artigli, e la morte? Un lontano ricordo. Niente virus, niente stato terminale.
"Ed io ti ricordavo uno sfigato, ma eccoti, sei diventato un lupo mannaro che assieme a mio padre salva ogni giorno Beacon Hills." Appurò Stiles come se fosse la cosa più normale al mondo, poi aggrottò la fronte, confuso."È tutto così assurdo."
McCall rallentò permettendo all'amico di raggiungerlo, quello si fermò, portando le mani a fianchi, il respiro cominciava a poco a poco ad assestarsi.
"Già, ma anche l'esistenza del virus non è stata da meno... "
I vecchi e brutti ricordi riaffiorarono vividi nella memoria di Scott, ormai era un lupo mannaro e ricordare appariva reale, quasi come se stesse rivivendo quegli attimi che avevano segnato la sua vita per sempre.
Anche per Stiles non era stato semplice, dopo un vuoto di memoria di quattro anni, era tornato a casa sua, trovando il suo migliore amico morente e privo di speranza, davanti a lui, in perfetta salute.
Nei primi minuti di shock, restò immobile come terrorizzato, come se avesse un fantasma davanti a sé, poi, una volta elaborato 'il miracolo o qualsiasi altra cosa fosse', era corso ad abbracciarlo, in una soffocante ma calorosa stretta.
McCall, tempestato di domande, era stato costretto a raccontargli subito dell'accaduto, sperando che Stiles lo avesse creduto al primo colpo.
Dopo pochi giorni dalla scomparsa di Stiles, infatti, Scott afflitto, aveva pensato di mettere fine alla sua vita. Stanco del virus che lo sfiancava ogni giorno, si era recato nel bosco in cui adesso stavano correndo, con una corda.
A distanza di tempo non sapeva con precisione se quel gesto estremo fosse stato dettato dalla stanchezza o dalla pazzia, fatto sta che mentre annodava la corda al ramo di un albero, qualcosa di indefinito gli era saltato addosso, ferendolo.
In un primo momento aveva pensato a un animale selvaggio dei boschi visto la ferita profonda, solo quando vide di esserne guarito miracolosamente, capì di aver avuto a che fare con il soprannaturale.
A morderlo, infatti, era stato un muta-forme, con l'esattezza un alfa di lupo mannaro.
"Forse anche lei avrebbe potuto... " osservò Stiles, gli occhi spenti parvero illuminarsi per poco. Tirò su con il naso, distrutto.
"Quel virus mi ha portato via mia madre." ripeté, drammatico. Il suo ritorno a Beacon Hills era stato sereno quanto doloroso.
"Ogni giorno leggo negli occhi di mio padre la gratitudine perché io sia vivo, e il dolore infinito per la sua morte."continuò a bassa voce, portando lo sguardo verso il cielo, per bloccare le lacrime che da lì a breve gli avrebbero rigato le guance.
"Non le sono stato vicino quando lei è ... "proferì angosciato, scostando i capelli all'indietro e respirando a fatica.
Scott capiva in parte quel dolore, era stato infetto sì, ma sua madre era viva, non aveva contratto il virus. Non aveva affrontato il lutto familiare come l'amico, e ogni parola sarebbe sembrata una presa in giro, una frase detta tanto per parlare. Restò in silenzio per un attimo, poi accennò qualche passo in avanti verso l'amico, dandogli anche una pacca sulla spalla.
"So quanto tu stia male e soffra per quello che è accaduto, ma credimi, io l'ho vissuto, e in me stava nascendo una bestia senza controllo. Non riconoscevo neanche più mia madre, diverse volte l'ho aggredita, mi rendeva un mostro." Raccontò, sperando che con quelle parole sarebbe riuscito a confortarlo, facendogli capire che era stato di gran lunga meglio così.
"Ri ... ricordavi ciò che facevi?" domandò l'umano, interrogativo.
McCall esitò, per quanto forte fosse diventato forte, ricordare quel momento della sua vita che si era imposto di eliminare, era difficile quanto soffocante.
"All'inizio sì, ma con il tempo iniziò a peggiorare, non riconoscevo nessuno, il posto mi era estraneo e con esso le persone." Narrò con voce più determinata, quasi come se quella vita non appartenesse più a lui.
"Una volta aggredii anche te, ricordi?" domandò per ultimo, speranzoso di sbloccare i ricordi dell'amico.
Stiles mantenne fisso lo sguardo sulle foglie cadute, andavano dalla tonalità verde a quella gialla alcune si avvicinavano al marrone, poi mosse meccanicamente la testa in cenno affermativo.
Dal nervosismo si stava torturando le mani.
"Ricordo soltanto che venni a farti visita, al ritorno poi, in un vicolo vidi degli uomini, mi circondarono ... poi il buio." Mormorò confuso, battendo la gamba sul terreno cedevole.
"Sono trascorsi quattro anni... vorrei soltanto capire dove sono stato, se ho conosciuto qualcuno... Qualcosa deve pur essermi successo!"Proruppe, con occhi sgranati e impauriti.
Stava impazzendo, letteralmente. Si sentiva come se qualcuno gli avesse risucchiato i ricordi, a stento sapeva chi fosse e si sentiva spoglio, privo della sua personalità, insignificante senza i suoi momenti vissuti.
"Meno che non ti abbiano internato e sedato ogni volta, abusando dei tuoi ricordi." Terminò Scott, non aveva tante prove, il suo migliore amico poteva essere stato dappertutto.
"Solo dei pazzi avrebbero potuto farlo." Controbatté Stiles, incredulo.
Scott abbassò la testa, segnale che sapeva qualcosa.
"Beh ... con delle zampe a posto delle gambe mi è più facile correre, quando il mondo veniva distrutto, anch'io ero mosso dalla curiosità per scoprirne il motivo. Ho sentito parlare di cose mostruose, forse più raccapriccianti di ciò che è successo a me. Sono diventato un lupo mannaro, è vero, ma la coscienza è rimasta quella che avevo, ho tuttora il libero arbitrio, posso scegliere se far parte del bene o del male, ma quando qualcuno è privato dei ricordi, perde la sua identità, e può mettersi a servizio di gente orribile e condurre battaglie contro la morale."
"Stai dicendo che nel mio periodo di assenza, è probabile che mi sia schierato con la world in catastrophe killzone experiment department?"
Scott indugiò, girò gli occhi da tutte le direzioni, drizzò le orecchie per udire se qualcuno fosse nei paraggi, quando constatò che fossero da soli, cominciò a parlare.
"Essa ha dato inizio all'eruzione, per avere tutta quella mobilità come pensi abbia fatto? Sai quanti cadetti aveva? Migliaia, e sono stati tutti soggiogati, nessuna persona sana di mente si sarebbe alleata di sua spontanea volontà. La stessa Wicked ha permesso l'esistenza di lupi mannari, forse ti dirò una cosa che ti turberà parecchio, di cui siamo a conoscenza soltanto io e lo sceriffo." Sussurrò, a pochi centimetri dal viso dell'altro.
"Oh perfetto ... quante altre cose ancora non so?" attaccò ironico,ma Scott sapeva come si sentiva Stiles: deluso, ferito.
Stilinski dal canto suo capiva che era stato via troppo tempo, sapeva che quel "via" non fosse definito, non sapeva con chi aveva vissuto, né cosa aveva fatto. E anche se assurdo, doveva mettere in conto quell'ipotesi: poteva aver lavorato per la Wicked, società che aveva creato il virus e ucciso sua madre.
Scott ignorò il risentimento nella voce del compagno, prendendo parola.
"È complicato, ma cercherò di renderlo più semplice." Proferì mogio.
"Si vociferava che tutti i fallimenti della Wicked ovvero tutti quelli che non erano sopravvissuti al virus dell'eruzione-creato dalla stessa società- non attendevano la morte, bensì un altro esperimento, più pericoloso e che avrebbe ucciso in pochi secondi i più deboli." Esordì, rivolgendo occhiate sconnesse all'amico per accettarsi che stesse prestando attenzione.
Stiles non era mai stato così concentrato, dimostrazione ne fu il suo intervento.
"Un esperimento più pericoloso che avrebbe ucciso i più deboli..." ripeté tra sé a voce alta.
"E cosa sarebbe successo a quelli con un po' più di forza?" analizzò, inarcando la testa da un lato. Nei suoi occhi c'era un guizzo di curiosità, la piena voglia di scoprire e iniziare a riempire il puzzle con i pezzi giusti.
Scott alzò le braccia, facendo un passo avanti. Non bastarono parole, Stiles capì.
"Sarebbero diventati lupi mannari?" terminò, augurandosi di aver capito male.
Quello dalla pelle olivastra mosse il capo su e giù, acconsentendo.
"A quanto pare per la Wicked valeva il proverbio: gli ultimi saranno i primi. Gli immuni potevano anche non ammalarsi, ma i non immuni una volta superata la seconda fase, avevano la possibilità di diventare lupi mannari, quindi più forti e con sensi sviluppati. Inoltre, a quel che so, il siero della mutazione a disposizione della Wicked era limitato, e avevano progettato un altro modo per far sì che questa trasformazione avvenisse: un morso inflitto da un alfa."
"Quindi ... c'è la possibilità che mia madre sia diventata come te." Concluse, e un ampio sorriso si palesò sul viso dell'umano, per Scott vederlo sorridere appariva come un miracolo, ma non gli avrebbe dato false speranze.
"Stiles ... ogni lupo mannaro ha un determinato odore, nessuno somiglia a un altro, è come il DNA umano. Essendo un vero alfa percepisco tutto in maniera più chiara, sia odori sia suoni. Tuo padre ha continuato a cercare Claudia con i suoi mezzi mondani, ed io tramite il mio fiuto ho annusato i suoi vestiti, ma non siamo giunti a nulla."
"E vi siete arresi?"imperò, agitato.
Scott s'immobilizzò, portando l'indice davanti alla bocca, in segno di silenzio.
"Che cosa c'è ... è una domanda troppo dettagliata? Un altro segreto che vi ostinate a tenermi nascosto?" interrogò, lo sguardo serio e incorruttibile.
"Stiles sta zitto, qualcosa non va." Scott strinse le narici, focalizzando il suo fiuto sull'effluvio circostante.
"Oh sì, i soliti trucchi da lupo mannaro per sviare una conversazione, maturo da parte tua." espresse Stilinski, ironico, incrociando le braccia al petto.
Mantenne quell'aria spavalda e sicura di sé per pochi secondi poi mostrò il terrore.
Alle spalle di Scott c'era un animale grosso e mostruoso, di taglia maggiore a quelli che finora avevamo visto.
Era una bestia enorme dagli occhi blu luminosi, il pelo color nero e si teneva su due zampe.
Scott si voltò lentamente alle sue spalle, sia per l'espressione pietrificata che aveva L'amico, sia per l'odore, ormai chiaro e definito. Ringhiò, trasformandosi in un batter d'occhio, ponendosi davanti all'umano.
"Stiles scappa, corri più che puoi." ringhiò, cacciando gli artigli e cominciando a ululare. Stava chiamando il suo branco, sarebbe stato impossibile fronteggiare da solo la bestia del Gévaudan.
"Ce la farò." gli promise, mentre l'amico d'infanzia lo fissava interdetto, imbambolato. "Scappa, Stiles." Ringhiò ancora, facendo indietreggiare l'amico.
L'umano mosse meccanicamente più volte la testa. Si voltò in direzione opposta, cominciando a camminare per poi accelerare la corsa.
Da non molto lontano, si sollevò l'ululato di altri lupi. Scott ce l'avrebbe fatta, il suo branco stava arrivando.
___________
Correre.
Stiles era così buffo quando lo faceva, non poteva vedersi ma sicuramente, in una circostanza spaventosa come quella, doveva avere una faccia terrorizzata e al tempo stesso divertente. Aveva anche altri pregi oltre la simpatia, l'intelligenza ad esempio; seppure sprovvisto di poteri soprannaturali, grazie alla sua arguzia, il branco dei mannari aveva risolto diversi casi.
La corsa, invece, non era mai stata qualcosa di cui vantarsi, era penoso e la detestava, anche se in quel momento, gli parve che le gambe scattassero da sé, sfrecciando tra gli alberi del fitto bosco senza affanni.
L'aria mite con la velocità sembrava gelarsi, sferzava contro il suo viso, pungente, fastidiosa. Le braccia si muovevano a ritmo delle gambe e per un attimo pensò che correre fosse la cosa più semplice fatta fino allora.
I passi sprofondavano nell'umido terreno, già ricordava una simile sensazione, ma non il posto né la compagnia. Cominciò a respirare con il naso, tenendo la bocca chiusa, non gli avrebbe giovato respirare l'aria che pian piano cominciava ad avvertire fredda. Quella tecnica gli avrebbe dato più resistenza.
Una goccia, un'altra ancora. Il classico prologo di un temporale improvviso quanto fastidioso.
Furono diverse le volte in cui Stiles rischiò di schiantarsi contro i massicci tronchi degli alberi del bosco, a causa dell'andatura lesta e dello slalom continuo tra le innumerevoli piante. Per fortuna ogni volta aveva decelerato in tempo.
Quando si trovò a un bivio, ampliò la visuale avanti a sé, sperando di scorgere un sottobosco o qualcosa dove l'enorme bestia non avrebbe potuto raggiungerlo. Doveva salvaguardarsi, i suoi amici erano tutti dei palestrati con occhi luccicanti, lui non aveva né il fisico, né poteri soprannaturali.
Raggelò sentendo improvvisamente un ululato, un lamento spaventoso che pareva avvicinarsi, tremò dalla paura, per se stesso quanto per i suoi amici.
"Avrei dovuto imparare i loro ululati." Pensò rammaricato, se avesse saputo distinguerli, avrebbe capito chi in quel momento stava chiedendo aiuto. Continuò a correre seppure affannato, la velocità a causa degli sforzi e del freddo, si era visibilmente ridotta. Doveva trovare un rifugio al più presto o sarebbe stata la vittima perfetta.
Rallentò per voltarsi indietro, temendo di essere colpito alle spalle, sospirò sollevato scoprendosi solo. Quando però si girò in avanti per riprendere la corsa, alla sua destra, qualcosa di fulmineo e umanamente impossibile da imitare gli si gettò addosso, sovrastandolo.
Spaventato, di scatto serrò gli occhi, dalla bocca fuoriuscì un urlo soffocato, bloccato da zampe pelose e sconosciute.
Entrambi caddero su un sentiero scosceso e fangoso, dando via a una scivolata lunga quanto dolorosa; per qualche metro ruzzolarono senza freni, a una velocità inarrestabile, fu l'animale che, appena riuscito a prendere il controllo, con i suoi artigli, raspò nel terreno, frenando la caduta.
Stiles finì sdraiato con la pancia rivolta verso l'alto e la schiena contro il terriccio morbido. Probabilmente si era rotto qualcosa, ma non ci badò più di tanto, per il momento il terrore di chi lo aveva spinto sovrastava tutto.
Aprì gli occhi vedendo qualcosa addosso a lui. Si allontanò immediatamente come scottato, issandosi con il sedere.
Ora che entrambi erano fermi e non c'erano foglie, erbacce che gli sfregavano in viso, poté vedere chiaramente cosa gli si fosse gettato contro.
Si trattava di un lupo vero e proprio, non come i suoi amici che si trasformavano soltanto in parte. La sua natura probabilmente si poteva avvicinare a quella di Malia, un coyote mannaro, ma la bellezza era unica e incantevole.
Un lungo pelo folto color pece rivestiva l'esile corpo, una piccola chiazza bianca si presentava sul petto, tra le zampe anteriori.
Gli occhi gialli tipici di un beta erano fissi sull'umano, ma a contrario delle sue attese, Stiles non vi notò rabbia, risentimento o appetito. L'animale sembrava soltanto... sorpreso.
"Chi sei?" domandò atono, la bocca schiusa dalla sorpresa mista al terrore. Avrebbe voluto mostrarsi più autoritario, ma quello davanti a sé avrebbe potuto sbranarlo nel giro di secondi. Meglio non rischiare. Spolverò i pantaloni della tuta macchiati ormai da terreno secco e bagnato, mettendosi in piedi.
Il lupo chiuse gli occhi aprendoli poco dopo. A giudicare dall'espressione, l'incontro doveva essere stato una sorpresa anche per lui.
"Un coyote mannaro che ti ha appena salvato la vita." Si presentò, saltando come un tuono dietro le spalle del ragazzo, ritornando al suo aspetto umano.
Stiles sapeva molto bene che chimere e coyote mannari dopo essere tornati umani erano completamenti nudi, ricordava quando aveva incontrato Malia, quindi non si voltò, evitando di vedere qualcosa di indesiderato. Lo sconosciuto raccattò i propri abiti: un jeans e una felpa rossa.
"Salvato?" ripeté Stiles, tenendogli le spalle."Sbucare all'improvviso nel bosco e scaraventarmi per l'aria, roteare per metri e metri, lo reputi salvare?" rinfacciò incredulo, mentre quello si stava infilando i pantaloni.
Mentre il muta forme era intento a rivestirsi, Stiles non negò di aver avuto un'idea davvero appetibile: scappare, ma con la pioggia, il cielo brullo e un animale del genere alle calcagna sarebbe stato impossibile oltre che un suicidio. Si morse il labbro, intrappolato.
"Sì, ti ho salvato. Da solo stavi andando incontro alla bestia del Gévaudan e, se non fossi intervenuto, per te sarebbe stata morte certa." Spiegò, afferrando la spalla dell'umano senza preavviso.
Il diciassettenne si sentì trascinare con gran forza all'indietro, provò a dimenarsi, ma si arrestò quando vide un muso grande e grosso palesarsi tra le siepi accompagnato da un ringhio possente quanto terrificante. Sudò freddo dalla paura.
"Perfetto, sente la tua puzza." Profetizzò il salvatore, arricciando il naso per sentire gli odori circostanti.
"Io non puzzo affatto." Ribatté Stiles offeso, provando a divincolarsi dalla presa stretta del licantropo, ma senza successo.
"Non era mia intenzione mancarti di rispetto, ma è l'odore di voi ... umani." Il tono si affievolì, non era più deciso come prima, bensì malinconico. "Probabilmente anch'io avevo quest'odore prima di..."
Stiles inarcò la testa, sospettoso. Avrebbe voluto chiedergli "Prima di cosa?" ma un lamento si sollevò a pochi metri da loro. Apparteneva alla bestia del Gévaudan che stremata era caduta a terra, accerchiata da diversi lupi: il branco di Scott.
Mentre la pioggia cadeva, Stiles sentì le parole misericordiose di Scott, il vero alfa stava concedendo pietà alla bestia creata dai dottori del terrore. Ad affiancarlo c'era il suo beta inseparabile Liam Dunbar, Kira la kitsune e attuale fidanzata, Malia Hale e Chris Argent. Ognuno maneggiava la propria arma di combattimento. Ma mancava qualcuno, uno di spicco.
"Un coyote mannaro mai visto prima." Soggiunse Derek Hale con voce poco amichevole, palesandosi improvvisamente tra Stiles e l'ultimo arrivato.
Eccolo, il lupo mannaro da un passato ombrato e dall'animo tormentato aveva fatto la sua entrata in scena, sorprendendo più il muta forme che l'umano, ormai Stiles era abituato a quegli ingressi trionfali.
All'umano non fu concesso tempo di parlare che l'ex alfa si precipitò in direzione dello sconosciuto, per un pelo il coyote vi sfuggì.
"Derek, che cavolo fai!?" ammonì il ragazzo, infastidito da quella violenza. Sapeva le leggi dei lupi e nessuna riportava un attacco, senza averlo ricevuto.
"È nuovo, e guarda caso è apparso con la bestia, di sicuro sarà un alleato dei dottori del terrore." Spiegò, facendo segno a Stiles di mettersi dietro di sé. Il ragazzo non si mosse dalla sua posizione."Nel corpo della bestia non c'è nient'altro che un esperimento riuscito, tu sei umano, potresti essere il prossimo." Continuò Hale, cercando di distogliere l'umano da quella conversazione.
"Non io." Replicò il biondo, determinato."Non starlo a sentire, Thomas." proferì ancora, spazientito.
Stiles restò sconvolto, imbambolato. Non aveva mai visto quel ragazzo, ma la voce era fin troppo familiare come il nome che aveva pronunciato.
"Mi sa che ti ha confuso." schernì Derek, reprimendo una risata derisoria. Mostrò i canini affilati, gli artigli pronti per l'attacco. Prese la rincorsa ma Stiles si frappose tra i due, costringendolo a frenarsi.
"Fermo." ordinò con voce fin troppo decisa. Stiles non aveva nessun potere soprannaturale in grado di farlo fronteggiare al pari con Hale, sapeva che se Derek avesse voluto, avrebbe ferito anche lui nello scontro, ma non se ne curò. Non voleva che un innocente fosse coinvolto in una battaglia cui molto probabilmente non aveva a che fare, quello che lo aveva risparmiato sul tragitto della bestia, non poteva essere suo nemico.
"Hai sentito il richiamo del Nemeton? Tutte le creature soprannaturali sono accorse a Beacon Hills ma questa città appartiene a noi, non a voi." Tuonò quello dalla corporatura massiccia guardando prima lo straniero e poi l'umano.
"No, Hale." Rispose naturale il muta forme, senza espressioni perplesse che mostrassero la sua tensione. "Sono qui perché ho seguito il suo odore." Dichiarò, puntando gli occhi nocciola in quelli castani del moro.
Hale sbraitò qualcosa di incomprensibile prima di sputare acido. "E cosa avrebbe il suo odore?"portò le braccia conserte al petto, visibilmente infastidito.
Stiles, invece, non fiatò.
Il coyote gli sembrava sincero, ma non poteva credergli al primo colpo, senza prove, in difficoltà deglutì, portando la mano nella tasca destra dei pantaloni, estraendone un foglio. Il proprio sguardo rimase fisso su quello del lupo dal manto nero, notò subito l'espressione diversa. Poteva essere un segnale, forse conosceva quel foglio.
"Sono tornato qui da un po', non so dove sia stato per quattro anni, ma questo foglio ERA nella mia giacca, non l'ho mai mostrato a nessuno. È una lettera, inizia con caro Thomas, non so perché l'abbia io, non ricordo dove l'ho presa."
Fece qualche passo in avanti verso lo sconosciuto, ma quello indietreggiò, rifiutando.
"È tuo. Sono stato io a dartelo." Espose senza timore, schiarendosi la voce e passandosi la lingua tra le labbra. Quel movimento era assai familiare, per un attimo Stiles si sentì travolto da un flash per poi tornare sul pianeta terra, alla normalità. Corrugò la fronte, basito.
"È una lettera che ho scritto io, ed era destinata a te." Rivelò, il tono privo di espressione, emozione."Te l'ho consegnata prima di morire." dettagliò, deglutendo e avanzando verso i due." Puoi ascoltare le mie pulsazioni, se diffidi." Il biondo si stava riferendo a Derek che rifiutò senza neanche pensarci.
"Per quel che ne so, i battiti possono essere celati, è inutile. E tu dovresti smetterla di credergli." Rimproverò Derek, dando una gomitata all'umano.
Stiles si torturò le mani, mordicchiandosi il labbro. Come avrebbe fatto a scoprire la verità senza collaborazione? Provò con una domanda, più per formalità che per aiuto.
"Per cosa sei morto?"
Vide il biondo sorridere, doveva ammetterlo: era una domanda assurda, tanto più farla a un ragazzo in piedi davanti a sé.
"Non ero immune al virus." Rispose diretto, con un'espressione impacciata. "E prima che l'eruzione mi rendesse un mostro, ho chiesto a te di uccidermi." Narrò, con il capo basso. "Quando sei andato via, alcuni dottori mi hanno trovato e mi hanno iniettato nel sangue un siero che mi ha reso ciò che sono. Sono stato felice, l'ho vista come una seconda possibilità." Ci fu una pausa. Ricordare sembrava morire di nuovo.
"Il primo pensiero è stato tornare da te." Enunciò, facendo drizzare sia le orecchie di Stiles sia quelle di Derek." Sul tragitto ho incontrato Minho, non mi ha riconosciuto. Pensavo fosse per l'aspetto animalesco, ma quando gli ho parlato del labirinto, mi ha dato del nerd, dicendo che passavo troppo tempo a giocare alla playstation. Ho capito che forse non era stato l'unico a dimenticare ..." tirò su con il naso, pareva commosso. "Ho sperato che almeno tu ricordassi ma in caso contrario ero preparato. Le chiamano seconde vite dopotutto ..."
"I dottori di cui parla sono gli stessi che stiamo combattendo con la bestia, lui è un loro esperimento, magari un candidato per diventare la prossima bestia del Gévaudan." Riprese subito Derek, diffidente.
"Stiles non vedi che ti sta soggiogando? Perché sei così stupido?"
Stilinski aveva lo sguardo vago, cercava qualcosa che probabilmente non avrebbe mai più avuto indietro. Nella sua mente c'era buio e vuoto e la sensazione era orribile, sofferente. Impercettibilmente dei passi si avvicinarono alle spalle dell'umano ma travolto dai pensieri non gli diede peso.
"So che saprai fare ciò che è giusto. L'hai sempre fatto." Esalò in un soffio il biondo, abbozzando un sorriso di circostanza.
Stiles aprì la bocca, spiegando il foglio, era sicuro che nella lettera fosse scritta una frase simile, ma prima che riuscisse a mostrarla, il coyote scomparve come un lampo davanti ai suoi occhi.
Si voltò per vedere dove fosse andato, ma non lo scorse, trovò il suo migliore avvicinarsi con gli altri. Aveva l'aspetto un po' ammaccato ma si reggeva comunque in piedi. Fu felice di vederlo sano e salvo.
"Eri qui?" domandò spaventato, il classico tono apprensivo da fratello maggiore. Scott gli poggiò una mano sulla spalla. "La bestia avrebbe potuto colpire te, l'unico essere indifeso." Specificò, sollevando le mani al cielo. Aveva smesso di piovere e quella era l'unica buona cosa in una giornata catastrofica come quella.
"Non lo ero." negò innervosito, sorprendendo l'intero gruppo. Non aveva mai sbroccato fino allora. La stessa Lydia Martin che era appena accorsa con il vice sceriffo Parrish sembrava incredula a un comportamento così suscettibile da parte dell'umano più innocuo del pianeta: Stiles Stilinski.
Scott presentò la sua espressione interrogativa, esigendo una spiegazione. Il capobranco aveva di fianco a sé l'intero gruppo, al lato di Stilinski c'era soltanto Hale, che aveva le braccia incrociate al petto e un'espressione contrariata.
"Lo vedo, c'è Derek, ma ti ricordo che ultimamente non è nel pieno delle sue forze." Puntualizzò Scott, preoccupato per entrambi amici.
"Non mi riferivo a lui." Avvisò ad alta voce Stiles, devastato. A breve forse sarebbe scoppiato a piangere. Sentiva la testa completamente vuota dai pensieri e soprattutto dai ricordi. Necessitava scoprire la verità, voleva sapere cosa aveva fatto in quel tempo ombrato, con chi aveva trascorso quattro anni.
"È stato un coyote mannaro a salvarmi." rivelò, il mento e le mani gli tremolavano dall'emozione."Il più bello che abbia mai visto." ammise con il capo chino, allontanandosi.
Senza curarsi di lupi mannari, alfa o beta che vi erano, segugio infernale, banshee, coyote mannaro e kitsune, Stiles tornò a casa da solo, con soltanto quella lettera stropicciata e dolce a fargli compagnia.
____________
Colpi secchi e decisi bussarono alla porta di casa McCall alle tre del mattino. Per una volta avrebbe voluto dormire anziché inseguire chimere, kanima e compagnia bella, ma pareva destinato a restare sveglio. Si girò nel letto, combattendo con Morfeo. I colpi dal portoncino si spostarono alla sua finestra, qualcosa di piccolo e dalla grandezza di un sasso veniva ripetitivamente gettato contro.
Liberò qualche grugnito e, riluttante, si buttò giù dal letto, trascinandosi al piano inferiore. Era da solo in casa, Melissa aveva il turno all'ospedale, dubitava che si trattasse di lei.
Sciaguratamente aprì senza neanche guardare all'occhiello, avrebbe potuto essere qualcuno che voleva vederlo morto. Un attimo: da quando i nemici bussavano alla porta di casa? Ah sì, uno c'era stato: Peter Hale, quando aveva invitato sua madre a cena per arrivare a lui. Che uomo meschino!
Per fortuna sulla soglia di casa trovò una figura innocua e amichevole che non vedeva da circa una settimana: Stiles.
L'umano non era uscito dalla sua camera, aveva staccato il cellulare, tenendosi lontano anche dai social networks. Si era rinchiuso nella sua stanza, senza comunicare neanche con suo padre. Completamente estraniato dal mondo.
Con la testa in totale confusione, aveva imbrattato la lavagna dei casi di Beacon Hills con uno schema: punti che doveva chiarire.
La prima tappa era la memoria, una volta recuperata quella, avrebbe scoperto se e cosa aveva a che fare con un certo Minho, il coyote mannaro e Thomas. Da come il muta forme ne aveva parlato, pareva essere proprio lui. Che cosa bizzarra!
Scott si grattò gli occhi, allargando poi la bocca in un sorriso, anche se gli aveva rotto il sonno, era felice di vederlo.
"Tu puoi farlo." Esordì Stiles entusiasta, senza accennare un saluto e senza dare il tempo al dormiente di capire a cosa stessa facendo riferimento. Vista sotto un aspetto divertente, quella scena poteva essere paragonata al famoso"si può fare" di Frankestein.
"Cosa?" diede risposta Scott, grattandosi la testa.
"Farmi tornare la memoria." Enunciò ovvio.
Scott si sentì di colpo sveglio come se gli avessero gettato addosso un secchio di acqua ghiacciata. "Cosa?" domandò incredulo. "No, no, no. Scordatelo." disfece, spostandosi dalla porta e permettendo all'amico di entrare in casa. "L'ho fatto soltanto una volta, e può essere mortale."
Stiles restò fermo sul pianerottolo, l'espressione delusa ma non sfiduciata.
"Non m'interessa, correrò il rischio." Proferì determinato, senza alcun timore.
"Come fai a dire che correrai il rischio?C'è in gioco la tua vita." Ribatté il proprietario di casa, sorpreso da quell'ingenuità.
"E allora? Secondo te, vivere senza memoria, è meglio? Non sai chi sei né cosa hai fatto. Ti muovi, parli, ma sei morto dentro." Sputò a raffica, liberando finalmente se non tutto, una parte del suo malessere. "Se non vuoi aiutarmi, resterò qui fuori finché non avrai cambiato idea." Enunciò, indicando il porticato. Scott lo guardò come per dire "stai scherzando, vero?"la stagione autunnale era vicina, non avrebbe mai permesso che il suo migliore amico restasse al freddo.
Contro il suo volere si trovò a cedere. "E va bene...entra." Invitò con un cenno della testa. In quel momento nel cuore di Stiles si accese una fiamma di speranza.
Gli artigli scavavano cauti alla nuca del diciassettenne. L'entrata era stata più fastidiosa che dolorosa, sembrava che il collo fosse invaso e scavato da formiche, che s'insinuavano al suo interno. Scott era in parte trasformato, lo sguardo rosso fuoco vagava attento alla ricerca del nervo giusto, delle cellule e di tutto l'apparato interessato. Scott capì di essere vicino quando Stiles cominciò a sentirsi stordito, abbassò la testa in avanti addormentandosi sulla sedia.
Sarebbe stato meglio il letto pensò McCall, ma ormai era troppo tardi. L'amico ormai era catatonico.
Un laboratorio. Esperimenti. Una scatola che saliva verso l'alto. Un gruppo di ragazzi. Nomi che si susseguivano in una sequenza familiare: Alby, Chuck, Newt, Minho, Ben, Gally, Winston, Frypan, Jeff, Clint, Teresa.
Una radura circondata da mura insormontabili, uno spazio verde di quattrocento acri che li teneva al sicuro dal labirinto, dai dolenti.
Non ricordava nulla della sua vita come tutti gli altri. Solo dopo aver sbattuto la testa per via del gioco con Gally, ricordò di chiamarsi Thomas.
Stiles tremò, preoccupando l'amico. McCall provò a chiamarlo, ma non avrebbe mai potuto sentirlo.
Newt lo aveva nominato velocista a seguito dell'aggressione di un dolente a Ben. Grazie al suo istinto, Thomas aveva tardato la morte di Alby, infilandosi all'ultimo nel labirinto, in soccorso di Minho e del capogruppo. Era stato il primo a uccidere un dolente, collegando i vari indizi che avevano portato il superamento della prima fase.
Ci fu un altro tremolio più forte del precedente, stava vedendo davanti agli occhi la morte di Chuck, il più piccolo si era messo davanti a lui, salvandogli la vita. Voleva impedirlo, voleva guardare il passato ed evitare che accadesse, alterando così il futuro. Se Chuck non avesse parato il colpo con il proprio corpo, probabilmente era ancora vivo, vivendo la sua vita nella sua spensieratezza di bambino.
Degli uomini sbucarono dal nulla e, sena concedere ai ragazzi il tempo di elaborare il lutto, li braccarono, facendoli salire su un aereo. Indossavano le stesse divise di quelli che lo avevano catturato appena tredicenne. Si sentì soffocato dallo stesso senso di oppressione, di trappola. Voleva ribellarsi, evitare che quelli li conducessero dove aveva capito: la base della Wicked.Stava scavando nei ricordi, memorie astratte intangibili e immutabili.
Per fortuna i radurai strinsero amici con un certo Aris, grazie al quale scoprirono come scappare, mettendosi alla ricerca degli uomini della montagna. Durante il viaggio persero un altro amico, Winston. Era stato attaccato da un gruppo di spaccati, quelli non immuni al virus, ed era stato infetto. Dopo l'ennesimo lutto e affrontato la terra bruciata, trovarono finalmente la gente della montagna: Brenda, George e Vincent che diedero un gran contributo. Grazie a loro riuscirono a fronteggiare la Wicked, seppure ci furono due perdite rivelanti:il rapimento di Minho e il tradimento di Teresa, sostenitrice della W.C.K.D.
Era forse la sua ragazza? Si domandò. Quella scoperta sembrava averlo stravolto come un treno a tutta velocità che gli si schiantava contro.
I mesi passarono e assieme alla gente della montagna, i giovani radurai pianificarono la missione di salvataggio di Minho. I momenti tra Newt e Thomas aumentarono, intensificandosi. Non erano mai stati indifferenti l'uno all'altro e lo si poteva notare dagli sguardi e dai sorrisi che si ricambiavano.
Al riguardo Stiles si sentì confuso. Era il coyote mannaro, ma non sembravano soltanto parti di un gruppo o amici, pareva che tra loro ci fosse qualcosa in più. Se così era, perché il coyote non glielo aveva rivelato? Si sentiva forse impacciato? Temeva una sua reazione negativa? Beh, come dargli torto, era stato già scortese e gli aveva soltanto salvato la vita figurarsi se gli avesse parlato di una loro relazione. Non trovò risposta fin quando non arrivò alla parte più cruenta e struggente.
La notizia che l'eruzione aveva colpito anche Newt lo stravolse, sia nel passato sia nel presente.
In immagini nitide ricalcò tutti i momenti: le risate, gli sguardi complici, la confessione del suicidio nel labirinto prima che lui arrivasse, ogni istante trascorso insieme anche quello in cui non accadeva nulla di particolare, i battiti accelerati ogni qualvolta si avvicinasse al collante, quello strano groviglio di emozioni nello stomaco quando gli sorrideva ... fino ad arrivare agli ultimi giorni, dove erano presenti soltanto scatti d'ira e pianti strazianti.
Tutto il tempo Stiles aveva tenuto gli occhi aperti, ma in quel momento, quel preciso istante in cui stringeva la pistola tra le mani, li chiuse, Scott ignaro dell'accaduto, provò a scrollarlo per le spalle ma senza successo.
Una lacrima scivolò sulla sua guancia vedendo la lettera. Collegò tutti i tasselli. Era tutto vero. Il coyote mannaro che lo aveva salvato dalla bestia e con cui aveva parlato soltanto pochi minuti aveva ragione. Si era davvero chiamato Thomas, e loro si conoscevano fin troppo bene.
Era stato lui a ucciderlo, mettendo fine alle sue sofferenze. Come aveva fatto a uccidere il ragazzo che amava?
Sgranò gli occhi, risvegliandosi dallo stato di trance. Respirò a fatica come se fosse appena tornato in superficie dall'oceano dei ricordi persi. Si sentiva disorientato, destabilizzato, e un idiota. Boccheggiò, l'emozione gli aveva mangiato le parole e soffocato l'aria.
"Finalmente, ero preoccupato." Sospirò Scott, vedendolo sveglio.
"Devo andare da lui." Imperò, alzandosi di scatto.
"Lui chi? Sei turbato, Stiles." Controbatté il mannaro, mettendosi in piedi davanti a lui per impedirgli di fare sciocchezze.
"Devo andare da lui, la vita mi ha dato un'altra possibilità." Esclamò, sorridendo emozionato. Tremava e le lacrime di gioia gli rigavano le guance.
"Ti riferisci al coyote mannaro per caso?" ipotizzò l'alfa visibilmente in difficoltà." Stiles ... cosa hai visto? Non hai mai tremato così per Lydia."
"Lei non era l'amore della mia vita." Proferì, superando l'amico e precipitandosi verso la porta d'ingresso.
"Dove vai?" domandò perplesso, accennando una corsetta per raggiungerlo.
Stiles si arrestò, la mano stringeva la maniglia del portoncino. Si voltò verso l'amico, gli occhi pieni di lacrime, sorridevano.
"Non posso restare qui." disse rammaricato. "Non potrai fermarmi."
Quello dalla pelle olivastra fece spallucce, tranquillo."Non è mia intenzione." Rispose, sorprendendolo. "Ma il mio olfatto ti farebbe comodo." Accompagnò la frase con un occhiolino, guadagnandosi il consenso e il sorriso sincero di Stiles. Entrambi uscirono di fretta e furia, diretti alla jeep.
Il sole stava sorgendo nel cielo, finalmente illuminando anche la sua esistenza.
____________
Durante la guida, immagini sfocate fecero strada nei suoi ricordi. Un palazzo azzurro, il suo gruppo che vi faceva irruzione, e Minho che gli iniettava il siero della memoria, e poi il crollo a terra. Ora era tutto chiaro.
"Da qui devi procedere a piedi." Consigliò Scott, notando il sentiero tortuoso.
"Ottima osservazione o bucheremo." Stiles frenò, spegnendo il motore.
"Ti basterà seguire il viottolo. L'odore è vicino, si troverà al centro del bosco." Informò quasi preciso, smorzando un sorriso di circostanza.
Stiles mosse la testa in cenno affermativo, scendendo dal veicolo. Salutò l'amico con un ampio sorriso, Scott non l'avrebbe aspettato, aveva tanto da dire a Newt.
Superò l'auto, percorrendo il viottolo a passo rapido, fremeva dal desiderio di trovarlo, di scusarsi, di rivelare finalmente il suo amore. Non gli sarebbe importato di una cattiva reazione, di un rifiuto. Il suo amore era forte per entrambi. Avrebbe amato per entrambi. Svoltò diversi bivi, attento a non scomparsi né scivolare a causa del terreno cedevole per il fango e il muschio.
Stiles fu colto all'improvviso trovandolo tempestivamente. Newt era di spalle, accovacciato e rivolto verso una pozzanghera, probabilmente creata dal temporale dei giorni precedenti. Inspiegabilmente vi stava gettando delle pietre.
Thomas avrebbe voluto piangere, ma preferì trattenersi, lasciando parlare il cuore.
"Mi ricordo di te." L'eco risuonò tra gli alberi, e il coyote s'immobilizzò. Newt continuò a dargli le spalle, mentre lungo la schiena scendevano irrefrenabili brividi. Il suo Tommy gli aveva sempre provocato quelle emozioni.
"Mi ricordo di te, Newt." Ripeté, imponendosi mentalmente di non piangere, di non crollare. A contrario di lui però, il biondo tremava, colpito. Forse stava sorridendo o forse era una smorfia per non piangere.
"Ricordo che i miei occhi si sono posati per prima su di te, quando tutti voi, i radurai, mi guardavate curiosi fuori dalla scatola. Non ricordavo nulla di me, e quando abbiamo scoperto che avevo collaborato con quei bastardi, tu non mi hai voltato le spalle. Ti sei fidato di me. Il tuo appoggio è stato essenziale, se non lo avessi avuto, non saremo mai arrivati alla fine."Dichiarò, con occhi innamorati.
"Se dovessi ricominciare da capo, lo farei, ma al tuo fianco." evidenziò, il tono tremante. "Perché sei l'unico a darmi la forza." Pose l'accento al plurale, facendo un altro passo."Senza di te, Newt, io non ce l'avrei mai fatta."
Il biondo si voltò, e il cuore di Thomas cominciò a battere più forte. Ora era vivo.
"Se è vero quello che dici, perché mi hai dimenticato, Tommy?" quel soprannome, Stiles aveva sentito anche quello rivivendo i ricordi. Era quello il nome perfetto: non Thomas, non Stiles. Tommy, come lo chiamava il suo Newt.
"Non sapevo che quel siero avrebbe influito sui ricordi della radura ma Scott mi ha ridato tutto. Tutti i momenti vissuti con gli altri e con te." Avanzò e il biondo fece lo stesso.
"Non avrei mai voluto mettere fine alla tua vita." Dichiarò, mentre più di una lacrima scendeva copiosa sulle guance. "Io ... stavo per dirti una cosa prima di farlo." In quell'attimo ricordò ancora una volta quel drammatico momento.
"Uccidimi o io ucciderò te. Uccidimi. Fallo!"
"Newt"
"Fallo prima che diventi come loro."
"Io ..." era stato a un punto dal confessargli il suo amore, ma non ce l'aveva fatta.
"Per favore, Tommy. Per favore."
Quando tornò alla realtà, vide il biondo a pochi passi da lui, a una distanza quasi azzerata.
Afferrò la sua mano, portandola sul proprio petto, al lato del cuore. Non sapeva il motivo di quel gesto tanto azzardato, se si fosse soffermato, probabilmente, avrebbe ritratto la mano. Non ci badò, lasciando fare al suo istinto. Anche Newt sembrò sorpreso da quel contatto.
Lo guardava estasiato, i suoi occhi da cucciolo erano il panorama più bello del mondo.
"Io ... ti amo, Newt." Confessò, liberando i pesi che martoriavano il suo cuore.
Gli occhi nocciola del biondo si allargarono in un'espressione sorpresa, inebriata, affascinata. La sua mano accarezzò dolcemente il viso del moro, avvicinandosi al punto che le loro fronti si sfioravano. Il sole stava nascendo in quel momento, il colore aveva i colori dell'alba: giallo e arancione tra le colline di Beacon Hills.
"So che avrei dovuto dirtelo ma non ce l'ho fatta. Ero così concentrato a trovare a una cura, a ridurre le tue sofferenze che non ho pensato alla cosa più semplice: avrei potuto curarti con il mio amore, standoti vicino e dividere il dolore." Confessò, abbassando il capo.
Entrambi piangevano in silenzio, le lacrime scendevano irrefrenabili ma erano più di gioia che di tristezza.
"Lo hai fatto." Asserì Newt, sorridendo.
Le loro tempie erano l'una contro l'altra, i nasi si sfioravano e i respiri si mischiavano.
"Ti amo anch'io, Tommy." Sussurrò Newt a mezzo respiro, staccandosi per contemplare l'amore della sua vita.
In un richiamo le loro bocche si avvicinarono sempre più fino a congiungersi. Un bacio che iniziò con lo sfiorarsi di labbra per poi diventare travolgente, colmo di passione, emozioni e sentimenti. Thomas circuì l'esile corpo del biondo tra le sue possenti braccia, stringendolo a sé come il tesoro più ricercato al mondo. Quel bacio di trasporto li portò a baciarsi in modo frenetico, lascivo. Le mani dell'uno vagavano frenetiche sul corpo dell'altro: il petto, le braccia, il collo.
Le emozioni scoppiavano nel petto di entrambi. Si trovarono sdraiati a terra come il loro secondo incontro, rotolandosi e coccolandosi. Thomas a terra e Newt su di sé. Si baciarono per ore, alternando gli attimi di respiro con risate e sorrisi. Un amore del genere non poteva essere fermato neanche dalla morte.
E Newt in fondo lo aveva saputo sin dalla terra bruciata: un giorno ci sarebbe stato un posto là fuori per loro.
E lo avevano trovato.
Insieme.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top