Parte 38


Hinata's POV

Metto in borsa solo un po' di frutta e una bottiglietta d'acqua mentre mi appresto a lasciare la casa di Kenma, dopo aver consumato la colazione-pranzo che mi avevano lasciato.

Chiudo a chiave come mi aveva raccomandato di fare e appunto mentalmente il numero civico giusto del suo appartamento.

Era una giornata calda ed umida a Tokyo.
Potevo vedere l'orizzonte ribollire e sentire un fastidioso senso di appiccicaticcio per tutto il corpo.

Il posto che sto cercando si chiama Cabin Naka-Meguru, un pub proprio vicino la stazione e di conseguenza molto vicino anche alla mia posizione.

Mentre mi incammino, utilizzando Google Maps per orientarmi meglio, controllo il saldo sulla mia carta:

+10500

"Mamma, bastavano solo i soldi per il treno..."

Controllo anche gli orari di partenza, per arrivare fino a Sendai da Tokyo:

18:30
20:30
21:30

Credo proprio prenderò l'ultimo treno, per poi vedere se la mamma verrà a prendermi a Sendai o se prendere un bus.

Il locale era davvero di fianco l'entrata est della stazione.
Era abbastanza trafficato nonostante fossero da poco passate le 14:00

In un'agitata attesa davanti la porta, c'era una ragazza alta e magra, con un cappello di paglia sulla testa e gli occhiali da sole.

Indossava un abito leggero giallo a fiori, con le mezze maniche, sandali ai piedi e una borsetta rossa che continuava ad aprire e chiudere.

Fumava nervosamente, controllando l'orologio al polso.
Faceva due passi in una direzione, si fermava un po' e poi tornava indietro.

Il suo stato d'animo mise in fermento anche me.

Vederla nuovamente mi faceva sentire strano ed inadeguato.
Inoltre dentro di me covavo una rabbia furiosa.

Non avevo mai avuto sentimenti del genere, di solito non sono mai stato un tipo iracondo o rancoroso.
Ma la vista di quella donna mi fece ardere di una collera sopita che neanche sapevo di avere.

Stringo la tracolla della borsa e prendo un bel respiro.

Quando mi vede avanzare nella sua direzione, butta a terra la sigaretta e la spegne con un piede.

-Piacere...- dice, tendendomi una mano.

Guardo la sua mano, tremante, poi guardo lei.
Non muovo un muscolo per afferrarla e stringerla.

"Non se ne parla. Non se ne parla minimamente."

Lei ritira il braccio, offesa, e mi fa cenno di seguirla all'interno del locale.

Ci accomodiamo in un tavolino infondo al ristorante, trovando refrigerio nel getto fresco dell'aria condizionata, da quella afosa giornata estiva.

Mi sentivo bollire non solo per le temperature ma anche per lei.

Mentre prendo posto, davanti a lei, toglie  i suoi occhiali da sole, rivelando due occhi chiari così simili a quelli del fratello.

Ed ecco che mi sento pervadere da un nuovo sussulto di stizza.
Guardarla in viso, ricordando l'episodio della festa d'inizio d'estate e tutti quelli che seguirono, semplicemente mi disgustava e mi faceva male.

Vedere lei, agghindata in un abito floreale, sistemarsi il rossetto mi provocava incontenibili sensazioni di nausea, soprattutto nel pensare alle condizioni in cui versavi.

-Che cosa mangi?- mi chiede, prendendo il menù e mettendoselo davanti la faccia.

-Non sono qui per mangiare, non sono qui neanche per fare conversazione. Ho fretta, molta fretta.- rispondo, senza staccarle gli occhi di dosso.

Doveva sentirsi abbastanza inadeguata sotto il mio sguardo tagliente, poiché non riusciva a sostenerlo.

Non so che cosa mi prendeva, non sono mai stato così duro e freddo nei confronti di qualcuno.
Generalmente sono molto ottimista, empatico ed emotivo, ma con lei mi sentivo svuotato e indifferente.

Se non avesse fatto il tuo nome per telefono, avrei chiuso la chiamata non appena la sua voce avesse raggiunto i miei timpani.

-Lo immaginavo... sarai sorpreso nel... vedermi qui oggi.-

-Abbastanza.-

Il cameriere si avvicina a noi, io ordino una bevanda al latte, per non far perdere tempo ai ristoratori e senza occupare il tavolo inutilmente mentre lei ordina del cibo.

Non appena ci lascia nuovamente soli lei riprende a parlare.

-Shoyo... posso chiamarti Shoyo?- dice, alzando per un solo momento gli occhi su di me.

Non rispondo, ancora una volta, mi limito a guardare l'ora, facendole intuire che non avevo tempo da perdere in inutili formalità, soprattutto con lei.

-Forse tu pensi che io sia senza cuore... per quello che è accaduto a Tobio... ma se lui è qui, è solo grazie a me.- inizia.

-Quindi mi hai cercato per far sì che ti ringraziassi?- stringo i pugni sotto al tavolo.

Non posso cedere a queste provocazioni.

-Anche.-

Fa una breve pausa.

-Mi dispiace... sono davvero dispiaciuta per quel che è successo...bisogna pensare a come andranno le cose da questo momento in poi...-

Non riesco davvero a contenermi, non riesco a tenere a freno il formicolio delle mia lingua e lo scorrer impetuoso dei miei pensieri.
Le mie emozioni straripano dentro di me, facendomi vomitare tutto il dispiacere ed il veleno che avevo cercato di inghiottire.

-Ti dispiace ?? TI DISPIACE?-
Sbatto una mano sul tavolo, attirando l'attenzione del proprietario.

-Sei qui seduta bella agghindata a dirmi che ti dispiace ?!?
Non basta dispiacersi... non ha senso dispiacersi a questo punto.
Ne parli come se non ti riguardasse, come se non fosse una cosa sulla quale non hai una parte di colpa!!
È colpa tua! È TUTTA COLPA VOSTRA.-

Lei abbassa lo sguardo.

-Perché nessuno riesce a capire... perché non vuoi vedere che quella persona sta soffrendo....come se potesse realmente scegliere cosa essere!!!
Ma riesci davvero a guardarlo negli occhi e dirgli: te lo meriti perché sei gay?- sbotto nuovamente.

-Io... non riesco a guardarlo negli occhi.- sussurra.

-Ah bhe, si spiega tutto. Se ne avessi il coraggio tu vedresti quanta solitudine e quanto dolore è costretto a sopportare.
Non parleresti delle sue scelte.
Ti interrogheresti sulle tue e ti chiederesti se esiste ancora redenzione per la tua anima.- le dico in un sibilo di rabbia.

-Sono stata io che l'ho portato in ospedale proprio perché non potevo volgere lo sguardo altrove, quando l'ho visto a terra, nel suo stesso sangue.
Sono stata io a chiedere il trasferimento a Tokyo, per fargli avere cure migliori.-

-E non sei stata forse anche tu ad arrivare a questo?- chiedo.

Il cameriere con circospezione ci lascia i nostri ordini, senza dire una parola, senza indugiare oltre nella brutta aria che tirava.

- Io non credevo che gli si potesse scagliare contro in questo modo... non credevo che potesse arrivare ad ammazzarlo.
Credevo lo avrebbe solo strigliato, come al solito... non credevo... ho avuto paura che Tobio morisse.- dice tremante

-Ma Tobio è morto solo che non puoi saperlo, perché non hai visto il modo in cui si aggrappa alla vita, nonostante non abbia neanche la forza di respirare.-
Sento le lacrime ruotare nei miei occhi e farmeli bruciare, così come brucia il mio animo.

Sono già esausto, sono già stanco di essere nel posto in cui sono.
Non sopporto più la vista di questa persona, non riesco ad ascoltare le sue parole insensate e le sue scuse campate all'aria.
Non c'è modo di scusare una violenza aggressiva del genere.
Non c'è modo di perdonare la brutalità con cui è stato trattato.
Non c'è modo di dimenticare l'abbandono ed il rifiuto che gli è stato inflitto.

-Io...non l'ho mai voluto... credevo fosse un suo capriccio per andare contro gli insegnamenti della famiglia...-

Inizia a piangere, mente io porto le mani alla bocca.

Dentro di me non riesco a collegare le informazioni che mi sta dando con la sua reazione.

Come riesce a piangere sapendo che lei ha partecipato a questo massacro?

Mi sento mancare nel momento in cui realizzo che a ridurlo così non è stato altro che suo padre, in uno scatto di ira, dovuto agli avvenimenti della sera precedente al suo rientro a casa.

"Casa... riesci davvero a chiamarlo casa, quel luogo?"

Sento il cuore che mi si stringe, sento difficile poter respirare.

"Lo avete ucciso due volte:
La prima quando gli avete voltato le spalle, la seconda quando lo avete lasciato a terra esanime.

Non conta se poi lo hai soccorso.
Non conta se lo hai abbandonato in un letto d'ospedale, credendo di aver fatto del bene."

-Cosa... cosa vuoi da me? Perché mi stai dicendo questo?-
Dico, sussultando dalla rabbia e cercando di contenere la mia difficoltà respiratoria.

Vorrei scagliarmi contro di lei, vorrei con tutto me stesso colpirla, per trovare sollievo al formicolio delle mie mani.

- Perché mi sono resa conto di aver sbagliato. E meriti di sapere che cosa gli è successo..-

Mi alzo dal mio posto, lasciando i miei ultimi ¥ sul tavolo, pagando sia per me che per lei, per le nostre consumazioni.

-Io non voglio nulla da te.
Qui si tratta di lui, non di me o di te. Di lui.
Lui meritava di sorridere e di essere felice.
Meritava di giocare in campo il nostro prossimo torneo.
Meritava di essere amato dalla sua famiglia, anche se... anche se era innamorato di una persona che non potevi accettare.- le dico, avvicinandomi al suo viso per farle sentire meglio.

-Ho capito quello che stai cercando.
Ho capito che adesso i sensi di colpa ti stanno corrodendo l'anima.
Ma non lo puoi ottenere, quello che vuoi.
Non da me.
Vorrei davvero dirti che ti perdono, ma non riesco.
Posso accettare che me lo abbiate portato via.
Posso accetare che preferireste vedermi morto, piuttosto che assieme a lui.
Non riesco a perdonarvi, però, per avergli fatto tutto questo, per averlo lasciato morire da solo.-

-Io volevo solo... chiedere scusa...- dice trattenendomi dal polso.

-Goditi il tuo pranzo.
Io sto andando in ospedale, perché lo amo e non intendo più scusarmi per questo.-

Con un gesto mi libero dalla sua stretta.
Esco dal pub mentre bevo le mie stesse lacrime.
Sono furente e devastato allo stesso tempo.

Ha subito tutto questo solo perché è innamorato di una persona che i suoi genitori non riescono ad accettare.
La risposta migliore che l'ignoranza trova è sempre la violenza.

Ed io sono stanco.

Stanco di questi pregiudizi, stanco di dovermi vergognare e nascondere, stanco di dover mentire sui miei sentimenti.
Sono stanco di dover giustificarmi con persone che neanche conosco, riguardo a come intendo vivere la mia vita.

Sono sfinito di vedere e di provare tutta questa sofferenza e angoscia.

È questa la società moderna?
È davvero questa la direzione verso la quale si sta evolvendo?
È questo il mondo in cui sono costretto a vivere?

Sono schifato dalla presunzione, sono disgustato dai preconcetti e dai tabù.

Non esiste una giustificazione valida o anche lontanamente passabile per una violenza del genere.

Se penso che è stato suo padre a ridurlo in quel modo... mi sento pervadere da un senso di vergogna immenso.
Mi ripugna essere al mondo assieme ad una persona capace di una inumanità del genere.

"Davvero l'apparenza e il rigoroso rispetto delle regole è più importante della vita di una persona?"

Non riesco a capacitarmi.
Non riesco ad accettarlo.

Ancora furente, mi ritrovo a mandare un messaggio a Kenma.

Shoyo Hinata
"Mi sarebbe piaciuto venire in palestra con voi, ma i miei piani sono cambiati.

Stasera prendo il treno e torno a casa.

Avrei voluto dirtelo e salutarti come si deve, mi dispiace... sono davvero di pessimo umore.
Rimedierò, in qualche modo."

Entro nella stazione di Meguru, con addosso un umore pessimo e terribilmente sotto le scarpe.

Il mio telefono vibra.

Kozume Kenma
"Vieni in palestra proprio perché sei di cattivo umore. Il Coach Nekomata non c'è oggi."

Sospiro.

Vorrei davvero andare a scaricare il mio senso di oppressione in palestra.

Mi ritrovo a controllare gli orari delle visite al Tokyo Metropolitan Hospital.

Terapia intensiva —> lunga degenza: 18:00-19:00

Guardo l'ora: 14:25

Decido alla fine di prendere il treno verso Ueno e andare giusto qualche ora in palestra assieme ai gatti.

Nel vedermi arrivare tutti i membri della squadra di pallavolo del liceo Nekoma sono esterrefatti e in visibilio.
Kuroo, fingendo che quella fosse la prima volta che ci vedevamo, mi passa un braccio intorno le spalle e mi guida dentro.
I suoi occhi sono scintillanti e penetranti, quasi volesse trasmettermi qualcosa con il solo guardarmi.

Non era mai stato così insistente sulla mia persona.
Da una parte cercava di non guardarmi troppo direttamente dall'altra invece mi cercava sempre di sottecchi.

Quasi come se nascondesse qualcosa, che non voleva io scoprissi ma al contenuto desiderava togliersi quel peso dalla coscienza.

Giocare con i ragazzi del Nekoma si rivela essere un allenamento senza precedenti.
Il loro livello era altissimo ed il loro allenamento abbastanza sfiancante.
Schiacciare sulle alzare di Kenma era abbastanza strano ma anche divertente.
Era bravo seppur si impegnasse al minimo.

Tornare in campo dopo i recenti avvenimenti mi fece giocare con più grinta del solito.
Mi basta immaginare la faccia in lacrime di Miwa, per schiacciare con precisione matematica da qualsiasi angolazione.

Per un solo momento credo di essermi sentito il solito Hinata: quello a cui bastava la pallavolo per essere felice.

Non ritornerei a quei tempi per nulla al mondo.
Non potrei mai cancellare quello che è stato tra di noi, non potrei mai dimenticarti.

Porto Kenma in disparte mentre gli altri riprendevano fiato, abbeverandosi alle loro borracce.

-Kenma, non so come ringraziarti per quel che hai fatto per me.- gli dissi, avvicinandomi alla porta della palestra.

-Non c'è bisogno. Puoi anche tenere i vestiti.- mi risponde.

Arrossisco.
Effettivamente non avevo pensato di aver messo nella borsa i miei vestiti sporchi di questi giorni e di star indossando i suoi.

-Sei un ottimo amico. Non lo dimenticherò mai.- gli dico, sbilanciandomi per dargli un abbraccio.

Dopo un attimo di esitazione anche lui si lascia andare.
Il corpo di Kenma era molto esile, seppur definito.

-Puoi venire quando vuoi, Hinata.- mi dice alla fine mentre, con evidente imbarazzo, si allontana per riprendere l'allenamento.

Gli altri ragazzi mi salutano con la mano, chiamandomi a gran voce.

Mi ha fatto davvero bene staccare la spina per qualche ora.

Dalla stazione di Ueno, mi dirigo alla mia meta, con un rinnovato senso di tristezza.

Il viaggio dura meno di un'ora poiché le coincidenze tra i treni erano fortunatamente tutte in orario.
Sono le 18:05 e mi maledico per aver perso quei preziosi 5 minuti in tua compagnia.

Il reparto dove sei ora non prevede che io indossi un camice, ma sempre copri scarpe guanti e mascherina.
Mi preparo e prendo nuovamente quell'ascensore angusto, questa volta fino al 4 piano, dove sulla sinistra si trova la lunga degenza.

C'è un via vai di persone quest'oggi in questo reparto, tutte con le mie stesse protezioni.
Il solito pavimento verdastro fa rimbombare i miei passi ovattati.
Le mura sono bianche con contorni blu che sembravano rinnovate da poco.

Questa volta la tua camera è la numero 7.

Mi sento il cuore in gola nell'avvicinarmi alla porta arancione socchiusa.

Questa volta mi accogli con gli occhi puntati sulla porta.

"Mi stavi aspettando?"

I tuoi occhi sulla porta mi fanno capire che stavi sperando io entrassi da un momento all'altro.

Forse avevi paura che non ti trovassi più a quel piano o forse credevi che non sarebbe arrivato quel domani che ti avevo promesso.

Sei leggermente più rialzato e hai addosso il camice tipico dei pazienti dentro un'ospedale.

Mi sento più sollevato nel non vedere le fasciature sul tuo addome.
Non hai più tutti quei macchinari che ti controllano il battito cardiaco.
Non hai neanche più quella scatoletta sul tuo indice, così come non hai la mascherina dell'ossigeno.

I tamponi nel tuo naso sono stati rimossi e alcuni tubicini entrano nelle tue narici, che ti aiutano nella respirazione.

-Sei uno splendore oggi.- ti dico, trattenendo l'emozione ed avvicinandomi.

-Mi hanno... tolto la morfina oggi.- dici in un sussurro.

Mi sento meglio  nel sentire la tua voce, seppur sempre in un bisbiglio, meno sofferente di quella di ieri.

Mi siedo su una sedia vicino al tuo letto, portandola più vicina che posso.
Lentamente sfioro la tua mano, risalendo delicatamente il tuo polso e poco del tuo avambraccio.

-Di chi ... sono questi... vestiti?- mi dici guardandomi il viso.

-Ah.. sono di Kenma. Sono stato a casa sua stanotte.-

Nonostante ci sia un solo occhio libero che puoi usare, ti vedo sforzarti nel fare un'espressione di puro fastidio.
Non riesco a trattenere una piccola risata.

-Davvero sei geloso?- mi abbasso leggermente la mascherina, per farti vedere qualcosa in più del mio viso e per farti vedere come sto sorridendo.

-No... figurati.- rispondi, guardando in un altra direzione.

Scoppio a ridere.
Non riesco a trattenermi.
Saperti geloso è l'ultima cosa che avrei immaginato di sentire oggi.

Inizio a raccontarti la mia giornata, omettendo di aver incontrato tua sorella.
Ti parlo di come Kuroo abbia cucinato un piatto delizioso ieri e di come questa mattina mi abbia lasciato anche la colazione.

Parto con il mio solito flusso di parole incontrollabili e comincio anche a mimarti alcune mosse per farti capire il mio allenamento di poco fa.

-Kenma.... non sa alzare per...te.- dici ad un certo punto, interrompendo il mio racconto.
Vedo i tuoi occhi scintillare di nuovo di quella luce verdastra di gelosia.

-Solo tu sai alzare per me.- ti dico, guardandoti teneramente, cercando di rassicurarti.

Vorrei baciarti, vorrei farti sentire di più la mia presenza nella tua vita, che non sia questo stare semplicemente seduto di fianco a te.
Vorrei poter fare di più.
Forse anche per espiare le mie colpe di non aver fatto di più per te, prima che finissi qui.

"Presto"

Presto torneremo come prima.
Presto torneremo insieme.

*Il prezzo medio di un biglietto per lo Shinkansen da Tokyo a Sendai è ~8500¥

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