Parte 36
TOKYO
Hinata's POV
Il telefono fece circa 8 squilli a vuoto, prima che una voce distante e sovra pensiero rispose.
K:"Ohi."
"Ehi Kenma."
Ci fu un momento di silenzio da parte del mio interlocutore.
K:"Shoyo. Scusa ero impegnato."
"Kenma non ho molta batteria, ascoltami bene: mi trovo vicino la stazione di Kami-Kitazawa. Posso venire da te?"
Nuovamente silenzio misto a confusione dall'altra parte del telefono.
K: "Sei a Tokyo? Che cosa ci fai lì?"
"Te lo spiegherò dopo. Posso venire da te?"
K:"Prendi la linea Magenta fino Shinjuku, poi cambia e prendi la Verde fino Meguru.
Ti aspetto lì.
Sono 40 minuti."
Il telefono mi permise di carpire le informazioni essenziali prima di morire completamente.
Me lo rimisi in borsa e mi incamminai nuovamente verso la fermata di Kami-Kitazawa.
Le gambe mi dolevano e la pancia mi brontolava.
Come se mi fossi appena risvegliato ad uno stato comatoso, tutte le emozioni e la stanchezza trattenute fino a questo momento, mi piombarono addosso.
Potevo sentire un lancinante mal di testa, gli occhi farmi male, i muscoli del mio corpo non rispondere agli input.
Come se avessi appena ripreso a respirare dopo essermi trattenuto sott'acqua troppo a lungo.
Boccheggio alla disperata ricerca di ossigeno mentre i miei polmoni ardono all'interno.
In attesa del treno, mi fermai a prendere un sandwich dall'aspetto non molto rassicurante, da un distributore.
Kenma mi avrebbe sicuramente offerto la cena, ma non riuscivo più a reggermi in piedi.
Presi anche una bevanda zuccherata nella speranza di darmi la spinta finale, prima di arrivare a casa del mio amico.
Il viaggio in treno, lungo la linea Magenta, risulta abbastanza tranquillo.
Sono esausto, quindi non presto molta attenzione alla gente intorno a me, nonostante senti le loro voci fastidiosamente alte.
"Forse mi sto trasformando in Kageyama.
Non sopporto il tono di voce di nessuno."
A questo pensiero il cuore mi si stringe, nel ricordare come il tuo sguardo mi seguì fino alla porta mentre andavo via.
Stavi davvero trattenendo le lacrime, ma non volevi farmelo vedere.
Stavi soffrendo tantissimo ma cercavi di mascherarlo.
"Sei stato ancora una volta il più orgoglioso dei due. Io ho pianto quasi tutto il tempo, tu sei riuscito perfino a sorridermi."
Dove la trovi questa forza d'animo, nelle condizioni in cui sei?
Come sei riuscito a non sprofondare nell'abisso, in questi 20 giorni di solitudine?
Il cambio con la linea Verde, prevede qualche decina di minuti di attesa.
Sprofondo su una panchina poggiando la testa al muro.
Sento che potrebbe crollarmi a terra da un momento all'altro, poiché la sento molto instabile sul mio collo.
Due ragazzi, molto timidi ed impacciati si siedono sulla mia stessa panchina, l'unica con ancora qualche posto libero.
Alcune persone intorno a noi mi impedivano di vedere i binari, ma il tabellone segnalava che per la mia corsa restavano altri 17 minuti di attesa.
-La devi smettere, non devi toccarmi.- bisbigliò uno all'orecchio dell'altro.
Ci fu qualche risolino soffocato, da parte di un ragazzo.
I due ragazzi erano rossi in viso e si guardavano teneramente.
Uno, più alto e robusto, cercava di mantenersi distaccato e indifferente; si guardava intorno con circospezione.
L'altro invece, più bassino e mingherlino, lo osservava sognante, provando più volte a prendergli la mano.
Mi scappa un sorriso, seppur molto triste.
Non posso fare a meno di rivedere noi due in questi ragazzi.
Non posso fare a meno di correlare il tuo imbarazzato modo di fare quando io cercavo di sfiorarti la mano davanti ad altre persone, a quello di questo ragazzo.
Di come ti arrabbiavi se ti accorgevi di avere il mio sguardo addosso per molto tempo, sgridandomi di conseguenza.
Di come io, mettendo il broncio, ti facevo preoccupare minacciandoti di non parlarti più; e di come poi, in gran segreto da tutti, mi spingevi nel ripostiglio per baciarmi.
Ci hanno portato via anche i nostri fugaci momenti, i nostri segreti ed il nostro clandestino incontrarci.
Ci hanno impedito anche di amarci di nascosto.
Dovevamo sottrarci alla vista dei molti, lo abbiamo fatto eppure non è bastato.
Il tempo che rubavamo per stare assieme, adesso siamo stati costretti a restituirlo.
-Prendila...- dissi, spinto dalle mie emozioni in subbuglio, voltandomi verso i due ragazzi.
Loro mi guardarono confusi, arrossendo.
Indicai le loro mani, con un cenno della testa.
-Prendila la sua mano, se vuoi farlo.- ripresi.
Quello più magro, dai capelli dritti e scuri, mi guardò con occhi pieni di felicità e commozione.
"Anche io avrei voluto che qualcuno me lo dicesse."
L'altro si irrigidì e prese a sistemarsi gli occhiali con fare nervoso.
-Ah ma... no... che sciocchezza... noi siamo solo...- inizia a balbettare, arrossendo violentemente.
-Prendila la sua mano, se vuoi farlo. Perché un giorno potresti volerlo, ma potresti non averne più l'occasione di farlo. Lui potrebbe non essere accanto a te. Non sprecare le occasioni per essere felice, perché potrebbero non essere molte.- gli dissi, volgendo poi nuovamente lo sguardo al tabellone.
"Avrei voluto sentirmelo dire anche io."
Avrei voluto sapere che il tempo non fosse qualcosa che ci era dovuto.
Era un dono, un regalo, un qualcosa di estremamente prezioso che non andava sprecato.
Così da godere di ogni attimo, di glorificarlo e non sprecarlo pensando ai pregiudizi altrui.
Senza avere paura e timore, io lo avrei vissuto più intensamente assieme a te.
Avrei voluto che uno sconosciuto mi dicesse di prenderla la tua mano in pubblico, di dartelo quel bacio in più, di guardarti di più negli occhi.
Poiché un giorno tutto questo sarebbe potuto non esserci più ed io avrei potuto finire per soffrirne.
Credevo che avremmo avuto tempo per fare le cose piano, credevo che avremmo avuto a disposizione un'oceano di attimi, per far abituare gli altri alla nostra relazione, per procedere con calma.
Avevo torto marcio ed avrei voluto saperlo prima.
I due ragazzi in silenzio si presero per mano, nascondendosi dapprima dietro le spalle di quello più robusto.
Ed io lo vidi: quello sguardo, quella luce, quel piccolo bagliore.
Vidi come gli occhi di quello più alto brillarono non appena si lasciò andare al tocco dell'altro.
"Amatevi, senza spaventarvi."
Amatevi ora che ne avete il tempo.
Amatevi senza rinunciare a nulla.
Fa molto più paura una vita passata nel silenzio della negazione, che un solo secondo passato ad ascoltare il battito unisono dei vostri cuori.
Amatevi senza aver timore, poiché non esiste paura più grande dell'incapacità di amare.
Non abbiate paura di accettare l'amore nella vostra vita, sotto qualsiasi forma di presenti alla vostra porta.
Lasciatelo entrare ed ubriacatevi del suo dolce amaro sapore.
Si alzano in piedi e vanno a prendere il loro treno, senza mai lasciarsi, stringendosi calorosamente.
Quello magrolino mi lasciò uno sguardo, muovendo solo il suo labiale.
"Grazie."
Io gli risposi con un sorriso, senza neanche sapere da dove mi arrivasse la forza di farlo.
Mi attardo ad osservarli, entrare nel treno e prendere posto.
Dopo poco anche il mio treno arriva alla banchina.
Lentamente mi rialzo e mi persuado a muovermi fino ad un posto vuoto.
Prendo una seduta libera nella quale ricado pesantemente, portandomi le mani alla testa.
Non ho ancora metabolizzato la serie di eventi che mi sono successi, uno dopo l'altro, nelle ultime ore.
Mi sembra assurdo, il solo pensiero.
Mi sento estraniato, ancora una volta, dal mondo esterno e dall'opprimente verità che mi porto sulle spalle.
La stazione di Meguru era abbastanza grande, quasi interamente bianca e ben illuminata.
Forse avrei dovuto chiedere a Kenma che uscita avrei dovuto prendere.
Dubbioso, mi ritrovo all'esterno di quella principale, dove il pavimento a scacchiera, di mattoni, si estendeva a perdita d'occhio.
La vita scorreva frenetica all'esterno; la gente iniziava a staccare da lavoro e, riversandosi nella strada, andavano verso i locali o verso le loro abitazioni.
I ragazzi si davano appuntamento con gli amici.
I ristoranti iniziavano a prepararsi al servizio serale.
In lontananza, appoggiato ad una colonna piastrellata, vedo un ragazzo dai capelli biondicci sulle punte, legati in una crocchia bassa e disordinata.
Indossava una t-shirt nera, con dei pantaloni fino al ginocchio marroni.
Portava una mascherina sul viso e le sue immancabili cuffiette collegate alla sua console portatile.
Era inconfondibile, nonostante non potessi vedere il suo viso per intero, non potevo sbagliare: era proprio lui.
-Ehi, sono qui.- dissi avvicinandomi.
Lui, senza togliersi le cuffiette, mi risolse uno sguardo stanco per poi tornare a concentrarsi sul suo videogioco.
La sua espressione cambiò quando posò i suoi occhi felini, una seconda volta su di me.
-Sembri appena uscito da una discarica.- disse, trasalendo.
-Penso di essere davvero una discarica ultimamente.- rispondo.
Lui alza le spalle e mi fa cenno di seguirlo.
Casa sua era a circa 15 minuti di camminata, in un residence dal giardino interno, molto curato.
Durante il tragitto Kenma mi chiese solo se avessi già cenato, senza proferire altra parola, mi accompagnò in silenzio alla sua abitazione.
All'ingresso, venne ad accoglierci anche Kuroo Testurō: migliore amico di Kenma nonché capitano della squadra di pallavolo del liceo Nekoma.
-Oya Chibi-Chan, hai un aspetto pessimo.- mi disse appena posò i suoi occhi su di me.
-Grazie.- risposi.
Non mi aspettavo di trovare anche Kuroo, lo sospettavo, ma speravo di restare da solo con Kenma.
Per quanto Kuroo sia una brava persona, non ho la confidenza necessaria per discutere con lui del perché io mi trovassi a Tokyo, così all'improvviso.
Avrei preferito di gran lunga parlare da solo con Kenma.
-Vai a farti una doccia, ti presto qualcosa. Nel mentre Kuroo prepara la cena.- dice Kenma, con voce assente.
-Ohi ma chi ha detto che io mi metta a preparare la cena?! Sei uscito senza dirmi niente mezz'ora fa... torni con Chibi-Chan e adesso devo anche preparare la cena?!?- lo rimbecca il corvino, seguendo Kenma nella sua camera, mentre mi prendeva qualcosa di pulito da mettere.
-Si Kuroo, sbrigati, ho fame.-
Resto un momento interdetto, mi sembra di assistere ai litigi di una vecchia coppia di sposini.
Accetto la possibilità di farmi un bagno e senza perdere ulteriore tempo mi chiudo dentro.
Sprofondo nella vasca, sentendo come l'acqua tiepida mi rinvigorisca, seppur di poco.
Finalmente ho un momento di calma dove riesco a star da solo con me stesso, senza la voglia di uccidermi con le mie mani.
Il ginocchio continua a farmi male, al contatto con l'acqua e successivamente con il bagnoschiuma.
Ne avevo bisogno, per trovare ristoro dopo che i vestiti mi si erano asciugati addosso, facendomi dolere ogni singola giuntura del mio corpo.
Lavo il mio viso con acqua fredda, mi sento scottare ed i miei chiedono pietà ogni qual volta una goccia fredda mi finisce dentro.
Gli abiti di Kenma sono esattamente della mia taglia, hanno il suo stesso profumo e sono immancabilmente brandizzati Kingdom Hearts: uno dei suoi videogiochi preferiti
Dopo 40 minuti mi ritrovo a tavola con loro.
Kuroo abbastanza infastidito non fa altro che sbuffare e lanciare occhiatacce a Kenma, il quale impassibile, continua a giocare, sedendosi con anche i piedi sulla sedia.
-Abbassa quelle gambe Kenma.- lo riprende Kuroo.
-Va bene, mammina.- risponde, sedendosi più compostamente.
Kuroo aveva preparato del riso e tonkatsu, assieme a diverse verdure marinate e grigliate.
Non credevo sapesse cucinare, per di più la sua cotoletta aveva un sapore delizioso.
Sarà anche perché ero affamato, ma chiesi il bis di entrambe le portate, mangiando avidamente il suo piatto saporito.
-Almeno qualcuno gradisce...- dice mentre mi serve ancora del riso, osservando come Kenma stesse mangiando molto lentamente.
Lui non rispose, ma si volse a guardare me.
-Che cosa ci fai qui, Shoyo?-
-Ecco... io... scusami se ti ho chiamato all'improvviso...- dissi, nel più completo imbarazzo.
-Puoi parlare tranquillamente, ti puoi fidare di Kuroo. Non me lo porterei in giro dovunque se così non fosse.- mi interrompe Kenma, ignorando la faccia arrabbiata che Kuroo sta facendo dietro di lui.
-Io... ho saputo che Kageyama si trovava qui a Tokyo, così sono venuto.-
-OYA! Kageyama è qui?! Perché non l'hai inviato...-
Kenma gli lancia un'occhiata storta, facendolo zittire.
-Mi sarebbe... piaciuto se anche lui fosse stato qui con noi...- abbasso lo sguardo, imponendomi di non piangere davanti a loro.
-Vi siete lasciati?- mi chiede Kenma, in modo diretto e improvviso.
Vedo Kuroo stranirsi, iniziando a spostare lo sguardo da me a Kenma e viceversa.
-La...lasciati?!? Che cosa?!? STAVATE INSIEME?!? CHE COSA SUCCEDE?!?- inizia ad urlare, portandosi le mani alla testa.
-Kuroo, neanche se te lo spiegassi lo capiresti. Non urlare e lascia parlare Shoyo.- conclude Kenma.
Io arrossisco, cercando di non incrociare più lo sguardo del capitano del Nekoma.
Non avrei mai immaginato che il mio coming out con lui, prendesse questa piega.
-Bhe... no. Lui non sta molto... bene.- dico, guardando il biondino negli occhi.
Lui annuisce, senza aggiungere altro.
-Puoi andare a riposare, si vede che sei sfinito, ti ho preparato il divano, se per te va bene. Nella mia stanza non ho spazio, essendo che c'è un futon perennemente occupato abusivamente.- dice, lanciando un'occhiata a Kuroo.
-Andrà benissimo... grazie... scusami io... non so come ringraziarti.- dico, aiutando a sparecchiare.
Kuroo era ancora più confuso di prima, ma sono sicuro che una volta io mi fossi congedato da loro, Kenma gli avrebbe spiegato la situazione.
Li saluto, mentre si chiudevano nella stanza di Kenma per continuare la loro partita ai videogiochi.
Kenma mi aveva inviato a fargli compagnia per un po', ma sono così esausto da reggermi in piedi a malapena.
Mi diede anche un caricatore per far tornare in vita il mio cellulare.
Mi sistemai sul suo divano, spegnando la luce.
La luminosità dello schermo che si accendeva, mi fece lacrimare gli occhi.
M:" Shoyo? Pronto?"
"Mamma..."
M:"Dove sei, Shoyo?"
Silenzio per qualche minuto.
M:" Shoyo... stai piangendo?"
"Sono a Tokyo, mamma..."
M:" Come dici?"
"Ti chiedo scusa se non te l'ho detto prima. Non volevo farti preoccupare. Non ero nelle condizioni di poter parlare per telefono.
Si tratta di... Kageyama."
Sento mia madre trattenere il respiro.
M:"Tutto bene?"
"No... mamma... se tu... vedessi... quanto ha... dovuto soffrire..."
Le parole mi escono a singhiozzo dalla bocca, poiché nuovamente un pianto disperato mi scuote, impedendomi di parlare normalmente.
Lei resta in silenzio, posso sentire da come trema la sua voce che anche lei sia in pensiero.
M:"Shoyo, tu dove sei adesso?"
"A casa di un amico. Domani torno da lui e poi tornerò a casa, credo."
M:" Dovevi avvisarmi, ti avrei sostenuto. Ti avrei accompagnato Shoyo..."
Mi mordo il labbro inferiore.
Avrei dovuto mamma, ma non ne ho avuto la forza.
M:" Non ti preoccupare, capito tesoro? Andrà tutto bene. Ricaricherò la tua carta per permetterti di tornare con lo Shinkansen, va bene? "
"Grazie mamma. Ti voglio bene."
M:" Ti voglio bene anch'io tesoro."
Riattacco la telefonata e senza neanche rendermene conto sono mezzo addormentato, mentre osservo il soffitto bianco.
La stanchezza ha la meglio sul mio corpo e mi risucchia nel suo vortice oscuro.
Piano, perdo percezione del mio corpo, dei miei pensieri e dei miei dolori.
Scivolo in un sonno pesante che però rende leggero il mio cuore afflitto e sanguinante.
" Tornerai ... domani?"
Sento nuovamente e il sussurro della tua voce, come un dolce canto dentro la mia testa.
"Certo, tornerò domani, Kageyama."
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