Parte 34.3
TOKYO
Hinata's POV
La facciata principale del Tokyo Metropolitan Hospital si presentava abbastanza spoglia e austera, trasmettendo un senso di angoscia profondo.
Era di un bianco sporco, con grandi finestroni appannati.
Era suddiviso in blocchi, due bianchi e due rossastri più grandi, anche se la struttura si estendeva molto di più sullo sfondo, oltre quello che il mio sguardo poteva catturare.
Un viale alberato e verde, portava alle porte scorrevoli, sorvegliate da due guardie, presumibilmente armate.
Nel giardino esterno c'era già un po' di gente, tra pazienti e personale interno.
Sono le 8:16 del mattino e questo posto sembra una piccola città a se stante, ben organizzata e indipendente.
Il Tokyo Metropolitan Hospital non sapevo che tipo di struttura fosse, se a lunga degenza o meno.
Ma a giudicare dal via vai di gente, potevo immaginare fosse per lunghe permanenze.
La cosa che mi saltava subito agli occhi era che si trovasse molto vicino all'obitorio e ad un vasto cimitero.
Non presagiva nulla di buono.
Un brivido mi scosse da capo a piede, l'aria pesante che si respirava poteva prendere forma da un momento all'altro, e se lo avesse fatto, sono sicuro avrebbe preso il mio volto.
Risalgo lentamente il viale, fino ad arrivare alle porte centrali.
Le guardie all'esterno mi lanciarono un'occhiata, senza soffermarsi più di tanto sulla mia persona.
Del resto sembro davvero bisognoso di un estremo ed urgente aiuto.
I miei dolori fisici sembravano essersi spenti tutto ad un tratto.
Trattenevo il respiro mentre muovevo un passo dopo l'altro all'interno di quel luogo angusto.
Le porte si aprirono con uno scatto.
L'odore di disinfettante mi bruciò le narici e mi fece lacrimare gli occhi, non appena varcata la soglia.
La reception era un luogo bianco asettico, con delle infermiere munite di mascherina al di là del bancone centrale.
Due corridoi che sembravano infiniti si snodavano sia alla mia destra che alla mia sinistra.
Dietro il bancone si trovava la mensa dell'ospedale.
Scomode sedie di plastica erano distribuite davanti a quel bancone, sul quale svettavano dei schermi dove si poteva leggere il numero da prendere per chiedere un preciso servizio.
Alcune persone attendevano in silenzio il loro turno.
Mi trascino fino quel bancone, richiamando l'attenzione di una delle infermiere trincerate lì dietro.
-Prenda il numero.- mi disse senza neanche alzare gli occhi su di me, dalle sue scartoffie.
-Io... non so che numero prendere.- dissi in un sussurro.
Quel luogo mi incuteva più terrore del previsto.
Difficilmente mi reggevo in piedi, respiravo a fatica e non riuscivo a tenere ferme le mie mani.
"Non sarà facile accettare... le condizioni in cui lo troverai."
Le parole di Hirose mi martellavano in testa, facendo sanguinare le mie orecchie.
Mi sentivo davvero al limite.
Trovarmi adesso, il quel posto così cupo non faceva altro che farmi gravare addosso un peso ancora più grande.
Cercavo invano di distrarre la mia mente, ma la maledetta mi riportava sempre lì:
"Che cosa farai quando lo avrai trovato?
Che cosa farai quando vedrai con i tuoi occhi quel che è successo?"
Non avevo una risposta, ma una cosa era certa, non ti avrei più lasciato andare.
L'infermiera alzò, dopo un imprecisato lasso di tempo, i suoi occhi giallastri su di me.
Era mattina presto eppure sembrava già stanca ed esausta.
Alcune rughe d'espressione rendevano i suoi occhi molto più cupi e chiusi.
-Prendi un numero ragazzino.- disse infine.
Mi allontanai dal bancone e mi diressi verso la macchina messa lì di fianco.
Schiacciando tasti a caso, alla fine confermai la mia selezione.
Quando il piccolo affare automatico, stampò il bigliettino con il mio numero, io ebbi un capogiro.
Lo tenni stretto in mano fino a stropicciarlo.
9
Trattenni a stento le lacrime, mentre prendevo posto in una fila imprecisata tra quelle sedie malandate.
Riguardai quel foglietto per tutto il tempo.
Poteva essere qualsiasi numero, poteva davvero trattarsi di una crudele coincidenza, ma io non potevo fare a meno di stringere a me quel pezzetto di carta.
"Poteva essere un numero qualsiasi..."
Il mio respiro si calmò, seppur di poco, grazie a quella fortuita coincidenza.
Ancora una volta il destino aveva serbato per me l'ennesimo tiro mancino.
La mia vita, da un generico momento in poi era diventata una serie di eventi tragicomici e dannatamente sventurati.
Non ho idea di come sia successo, ma eccomi qui, a trattenere la gioia e la disperazione che un singolo numero riesce ad infondermi.
Una signora di mezza età, seduta qualche posto più in là rispetto a me, nel vedermi strinse la sua borsa.
Continua a passarsi un fazzoletto sulla fronte, e cambia posizione ogni poco.
Sembra davvero molto agitata.
Io, nonostante il tormento che ho dentro, riesco ad apparire molto calmo; o forse rassegnato, non saprei.
Lo schermo dopo 48 minuti fa comparire finalmente il mio numero.
L'infermiera di prima finalmente mi rivolge la parola, senza esortarmi a prendere nuovamente un numero.
-Servizio?- chiede.
-Io vorrei sapere se...-
Un nodo mi stringe la gola, impedendomi di continuare a parlare.
Lei mi guarda, scettica.
Vedendo lo stato del mio volto, ha un sussulto.
-Ragazzino abbiamo una fila da far scorrere. Vuoi sapere se tuo nonno è morto?- sbotta alla fine.
-No, io... vorrei sapere se qui è ricoverato un paziente.-
Mi aggrappo più saldamente a quel bancone per contrastare la paura di precipitare.
-Ci sono molti pazienti, chi stai cercando?-
Prendo un respiro.
"Posso farcela, l'ho detto un'infinità di volta... posso dirlo ancora.
Sono ancora in grado di dire il tuo nome senza collassare su me stesso."
-Ka...Kageyama Tobio.-
Come veleno, le lettere del tuo nome mi bruciarono la lingua.
Potevo sentire il cuore balzarmi in gola e poi ripiombare giù fino ai miei, rapidissimo.
Un brivido gelido mi corse lungo la schiena, facendomi mancare il respiro.
Dentro di me speravo di no, speravo che l'infermiera dicesse:
"Non c'è nessuno qui con questo nome."
Avrei accettato di buon grande di aver fatto tutta quella strada per nulla, perché questo significava che tu stavi bene.
Che non eri qui, in questo luogo affliggente.
-Si, è ricoverato qui.- disse lei, mandando in frantumi le mie deboli speranze.
Una parte della mia anima si dissolse, assieme a quelle parole.
Ebbi un fremito a tutto il corpo, che mi fece mancare per un attimo.
-Dove... dove posso...-
-Terapia intensiva, 5 piano.-
La mia bocca si aprì senza avere la possibilità di far uscire alcun suono.
-Non puoi andare a visitarlo. Non sono ammesse visite nella terapia intensiva, oltre che questo non è neanche l'orario.- riprese.
-La prego... la prego io... sono in viaggio da questa notte, solo per questo motivo...- i miei occhi iniziarono a piangere, sospinti da una forza invisibile, mentre la mia voce usciva come una supplica dolente.
Lei strinse le spalle, mentre i suoi occhi si umidivano dalla pena e dalla compassione che gli stavo suscitando.
-La terapia intensiva non è accessibile ai visitatori... ma essendo che questo paziente domani verrà trasferito in un altro reparto... dovrai aspettare domani e potrai vederlo.- concluse.
"Domani?"
Come faccio ad attendere domani?
Come posso attendere un'altro giorno nelle condizioni precarie in cui mi trovo?
Potrei essere già impazzito domani, potrei essere già morto.
Dopo tutta la strada che ho fatto, non posso attendere oltre, non posso star qui, nel mezzo del nulla aspettando l'ennesimo e crudele domani.
-Io non posso attendere domani... non so dove andare fino a domani... per favore... per favore.-
-Devi firmare una deliberatoria. Quanti anni hai? Che grado di parentela hai con il paziente?- chiese, dopo aver sospirato per due volte.
-Io sono... maggiorenne, anche se non sembra.- dico in un sussurro, abbassando lo sguardo.
Lei scuote la testa, alzando le sopracciglia.
-Grado di parentela?-
Mi porge da sotto il vetro dei fogli da dover compilare.
-Siamo... cugini.-
Concludo, prendendo quei fogli con mani insicure.
-Cugini, ed hai fatto un viaggio da solo per venire da tuo cugino, corretto?- chiese ancora.
Io annuii, iniziando a scrivere le informazioni necessarie.
-Serve un grado di parentela più alto, per compilare questo modulo.- suggerì lei.
Tremante scrissi nel riquadro che eravamo fratellastri.
Lei si sporse per parlarmi più piano, avvicinandosi al vetro.
-In questi moduli figura che il paziente si trova già nella sua nuova sistemazione. Se qualcuno ti chiede che cosa fai lì, di che stavi cercando la sala delle lunghe degenze.-
Annuii nuovamente, benedicendo in silenzio la sua compassione nei miei confronti.
-Torna qui alle 17:00. La stanza è la numero 34.- disse ritirando velocemente i fogli che avevo appena finito di firmare.
-Io non so come ... grazie.- le dissi, tirando su con il naso.
Lei accennò ad un sorriso, o almeno quello che mi sembrava un sorriso dai suoi occhi, essendo che non potevo vederle la bocca.
Erano le 9:20 del mattino.
Altre 7h di interminabile e sciagurata attesa.
Rimasi per qualche secondo imbambolato li davanti, poi il suono del numero che avanzava sullo schermo mi fece muovere.
Altre 7h, ancora, nonostante sia in viaggio da ieri senza chiudere occhio, devo attendere altre 7h.
Torno a buttarmi su una di quelle sedute, sconfortato.
Non so dove andare e cosa fare per ingannare questa tremenda attesa.
La carica del mio telefono segna il 14%
Decido di spegnerlo e di conservare la batteria restante per quello che succederà dopo le 17:00.
"Stanza 34."
Sospiro.
Devo solo tenere la mia mente occupata per un altro po' dopodiché potrò finalmente vederti.
Il pensiero di posare i miei occhi su di te, mi infonde coraggio.
Un coraggio più grande della paura che ho provato fino a questo momento.
Sapere che domani verrai trasferito in un nuovo reparto mi infonde sicurezza, mi infonde un calore che avevo dimenticato.
Ripenso ancora alle parole di Hirose:
"Sua sorella Miwa, mi chiamò due giorni fa, Hinata.
Scossa dai sensi di colpa mi disse quello che era successo...
Credeva che suo fratello sarebbe morto."
Ma tu sei troppo orgoglioso per morire, non è vero?
Sei troppo testardo ed arrogante per lasciarti andare, non l'avresti mai fatto... non è così ?
Mi porto le mani alla testa, ancora una volta.
Che cosa è successo, Kageyama?
Che cosa è successo per farti finire qui, nel più tacito segreto?
Perché nessuno ha detto nulla?
Mi soffermo a pensare a Daichi, chissà se il capitano sapesse che tu fossi qui, quando ci disse:
"Sta bene, non preoccupatevi."
L'attesa è snervante ed i miei nervi sono già abbastanza deboli.
Decido di prendere qualcosa da mangiare ai distributori all'interno della sala d'aspetto e successivamente di incamminarmi all'esterno della struttura.
Il prato era verde e curato maniacalmente.
Non si vedeva l'ombra della minima imperfezione, su quella distesa di erba.
Mi sembrava abbastanza in contrasto con il resto della struttura: muri bianchi e opprimenti, contro un rilassante e delicato giardino.
Diverse persone, tra cui alcune sospinte da un infermiere, nella loro carrozzina, godevano di quella giornata di sole.
Il posto è molto più grande di quel che sembrava a prima vista, comprendeva anche un immenso giardino sulla parte posteriore, dove potevo vedere il bagliore delle acque di un laghetto o forse una fontana.
Tutto aveva un aspetto impeccabile, quasi finto.
Mi siedo sull'erba soffice, sotto un albero, lasciando che alcuni raggi solari mi riscaldino, filtrando tra le foglie.
Rimango in attesa, immobile, incapace di chiudere occhio ed incapace di distogliere l'attenzione.
"Quinto piano, stanza 34."
Ripassavo mentalmente, temendo di dimenticarlo.
Non avrei mai potuto, ma era comunque un esercizio che facevo per cercare di sopprimere il panico.
Sento che ho bisogno di distrarmi, così inizio a pensare alla pallavolo.
Inizio a pensare al campo, meditando su tutte le formazioni e gli attacchi che avevamo provato.
Rivedo davanti i miei occhi le variazioni, le idee e le correzioni che mi hai sempre fatto notare in questo tempo.
Come una proiezione che esce direttamente dal mio cervello, ci vedo in campo a battere, servire, alzare, schiacciare.
"Deve mancarti molto stare sul campo, dopotutto sono 20 giorni che sei qui."
Arriva l'ora di pranzo quando vedo il sole picchiare insistente sopra la mia testa.
Rientro nella struttura e, ancora una volta su quelle sedie logore, consumo il pasto che avevo precedentemente acquistato.
L'orologio all'interno segna le 14:03
L'agitazione torna a farsi sentire: mancano solo 3h.
L'infermiera è ancora lì, dietro il bancone.
Ogni tanto si sofferma a lanciarmi qualche occhiata attraverso il vetro.
I nostri sguardi si incontrano, delle volte, e lei ha sempre una nota di preoccupazione nelle sue iridi.
Sospiro, riprendendo il cellulare e riaprendolo.
Vedo che ci sono diversi messaggi:
Kōshi Sugawara, Mamma, Miyako Hirose.
Ignoro tutte e 3 le persone che attendono, inquiete, mie notizie.
"Non so cosa rispondervi, non ho la forza di pensare a cosa dirvi.
Non riesco a pensare a nient'altro che la stanza 34 e quello che troverò al suo interno."
Lo richiudo e torno a fissare il vuoto.
Non stacco gli occhi, dimenticando anche di respirare, dall'orologio quando inizia la lenta discesa dalle ore 16:00 in poi.
Ogni minuto, scandito dalle lancette tremanti, sembra durare un'infinità.
Ogni scocco coincide con un battito del mio cuore.
Il graduale scorrere del tempo mi sembra schiacciarmi con il suo peso.
Non mi ero mai accorto di quanto potesse essere crudele l'attesa di un attimo.
Non mi ero mai soffermato a pensare quanto fosse doloroso, amaro ed infelice, lo scorrere del tempo.
Credevo che non dovessi preoccuparmene, in particolar modo quando ero con te, del tempo.
Adesso ogni minuto e secondo che passa, sembra incidersi indelebilmente nella mia carne.
Ogni attimo che mi separa da te è insopportabilmente spietato e brutale.
Scatto in piedi non appena segna le 17:00.
L'infermiera mi fa un cenno di passare sulla sinistra, prendendo l'ascensore.
Mi passa un bardamento in plastica da dover indossare: camice, copri scarpe, guanti e una mascherina.
Mi permette anche di lasciare la mia borsa dietro al bancone.
La terapia intensiva è un luogo chiuso al pubblico, proprio per la fragilità delle persone a cui è riservata.
Persone a rischio, persone di cui è importante monitorare i parametri vitali.
Non riesco a togliermi dalla testa il perché, anche tu sia li dentro.
L'ascensore mi da un senso di costrizione.
Nonostante sia abbastanza largo, per permettere ad un lettino di entrarvi, mi fa mancare l'aria.
Esitante, impongo alle mie mani di premere il tasto 5.
La salita è lenta, sento solo il pulsare del mio cuore in ogni angolo del mio corpo.
Sento fremiti incontrollati, scuotermi le gambe e le mani.
Le porte si aprono ed un lungo corridoio giallastro si apre davanti ai miei occhi.
È stranamente vuoto e silenzioso.
I miei passi riecheggiano, seppur ovattati, per tutto il pavimento.
Le camere scorrono ai lati del corridoio, numerate da placchette metalliche.
Mi soffermo ad osservarle, assicurandomi di non perdere di vista il tuo numero.
Cerco di controllare il mio respiro.
Inutilmente, mi ripeto di calmarmi.
"Sono qui."
"Stanza 34"
Tengo gli occhi chiusi, già inondati di lacrime, mentre abbasso la maniglia della porta.
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