They've Caught Us
"Ci sono pochi giorni di cui alla fine si ha memoria. Si ricordano piccoli frammenti che ci rammentano com'eravamo e cosa eravamo soliti fare. Riproduciamo quelle brevi scene nelle nostre menti per tutta la vita. Bisognerebbe prestare attenzione a ciò che si vuole ricordare, perché più ci si pensa e più quel ricordo diventa indelebile. Il primo ricordo che ho, è di me stesso mentre vago nel palazzo alla ricerca di mio padre. Nessuno mi diceva dov'era, dicevano tutti che non mi poteva vedere in quel momento, che era altrove. Io però continuavo a fare i capricci. A quel tempo non lo sapevo, ma papà era in guerra. E quando tornò, proprio mentre lo cercavo fra i corridoi del palazzo lui mi sollevò da dietro... Era tornato da vincitore. Da quel momento in poi, la gente non faceva altro che paragonarmi a mio padre, raccomandandomi di essere come lui. Di anno in anno questo tipo di pressioni crescono, e ti fanno diventare pazzo e frustrato. Ho imparato ad apprezzare quei commenti, soppratutto quando sono diventati frasi simili a 'sei cresciuto proprio come lui'. Perché per me mio padre era rimasto sempre quello che mi teneva sulle spalle mentre gli altri intorno continuavano ad urlare che era il vincitore. Per me papà era un eroe, e cosa potrebbero dirmi di più bello, se non che sono come il mio eroe preferito?
Prima mi sosteneva sulle sue spalle, poi quando non poteva più a iniziato a sostenermi con delle pacche sulle spalle, e ora non c'è più. Ma lui rimane sempre in me con tutto ciò che mi ha insegnato: onestà, saggezza, forza e umiltà. Questo era Giulio Lepri."
Neanche mentre lo leggeva ne era convinto. Sembrava un discorso troppo concentrato su di sé. Ma ormai era lì, e non era riuscito a scrivere nulla di meglio. Quando finì le labbra si serrarono per non parlare più, mentre con lo sguardo cercava il giudizio del pubblico.
Il funerale, è come tutte le feste dell'anno: ha delle convenzioni sociali da rispettare, come quello di fare un ultimo saluto.
"Che tu possa riposare in pace, papà, nel più alto dei cieli."
Ha anche una caratteristica unica però, mentre per tutte le feste si è hanno una data ricorrente ogni anno, il funerale è inaspettato, preparato con fretta. La morte è l'unica cosa che non ci si spetta nella vita, nonostante sia l'unica cosa sicura che si sa avere quando si viene al mondo.
La memoria più recente del castano, era quella di quando era arrivato al cimitero. Quando scese dall'auto, seguito a ruota da Sascha e i familiari, vide subito una folla immensa.
La maggior parte dei volti neanche li conosceva, non li aveva mai visti. Ed era sicuro neanche il padre. Erano lì solo per dare le condoglianze e liberarsi del peso che si portavano dietro. Altre erano lì perché lo richiedeva il loro ruolo nella società, Stefano riusciva a riconoscere Duchesse, Lord e Marchesi.
Ma fra tutta quella gente, Stefano ancora si sentiva solo. Come se il suo dolore fosse suo e nessun altro potesse sentirlo. Era fieramente geloso del suo dolore e non l'avrebbe condiviso con nessun altro.
"Tutto bene?" Chiese Sascha, quando si accorse che il castano si era incantato a guardare il cimitero.
"Tutto bene. Solo che è una bella giornata." disse, portando lo sguardo al cielo.
Effettivamente, era una bella giornata. Il sole onorava la capitale inglese della sua presenza, illuminando i volti e il territori, facendo sentire il suo calore sulla pelle degli invitati. Nonostante ciò però, il gelo dell'inverno non era esattamente andato in vacanza. Si potevano ancora vedere i respiri delle persone prendere vita sottoforma di piccole nuvolette.
"Non è meglio?" Chiese Sascha, non capendo neanche cosa fosse meglio dire.
Da quando Giulio era morto, pesava ogni parola, cercando di dire solo il necessario. Ogni tanto si chiedeva cosa lui avrebbe voluto sentirsi dire se fosse stato al posto di Stefano, e la verità è che avrebbe preferito il silenzio a qualsiasi parola.
"Si, credo di sì." Rispose il castano, dirigendosi finalmente verso l'entrata.
La famiglia seguiva il nuovo Re, senza battere ciglio, osservando ogni singolo suo movimento. Avevano visto che era stato fortemente colpito dal lutto, e sapevano che probabilmente non si sarebbe ripreso subito. Una volta entrati, Stefano e gli altri si dedicarono a salutare - perlopiù con un cenno del capo - tutti i presenti.
Stefano cercò di sbarazzarsene velocemente, lasciando a Sascha il compito di salutare tutti. Si diresse piuttosto verso la tomba del padre.
Ancora non avevano finito di mettere tutta la terra, perciò si riusciva ancora a vedere il viso e lo smoking. Nel testamento c'era scritto che una volta morto doveva avere addosso il vestito di matrimonio, e come il resto dei suoi desideri, anche quello fu esaudito. Insieme al vestito, gli furono messi accanto il suo fucile, vari gioielli e una foto.
Il castano rimase in piedi, con le mani in tasca. Bisogna ammettere che chiunque l'avesse visto non avrebbe pensato stesse morendo dalla tristezza. Stefano manteneva la compostezza e la resistenza che facevano parte della sua persona. Non avrebbe ceduto, infondo aveva già espresso il suo dolore a lungo nei giorni precedenti.
Aprì la bocca svariate volte, pensando fosse la giusta occasione per salutare il padre per l'ultima volta. Ma ogni parola che gli veniva alle labbra era così fuori luogo, che si ritrovava a chiudere la bocca nuovamente.
"L'altro giorno ero preso dalla sorpresa, dalla velocità con cui le cose erano successe. Mi dispiace non esser riuscito ad arrivare in tempo, non averti detto che sei il miglior padre del mondo. Ma ora ti posso dire che sto male. Non ho mai avuto il coraggio di dirlo in tutta la mia vita ma si, sto male. Non averti qui mi fa sentire come se parte della mia vita non ci fosse più. È orribile sapere che non potrai rivedere mai più nessuno. Ma non sono venuto qui per dirti questo, sojo qua per prometterti che sarò esattamente ciò che tu ti aspettavi da me. Sarò Re, sarò un Lepri. Ti renderò fiero di me."
Una volta dette queste parole, Stefano fu invitato a tenere il discorso.
Poi si ritrovò lì, a discorso finito, con tutti gli sguardi puntati sul suo volto che cercavano di trasmetterli compassione, ma che invece trasmettevano solo pietà. Si poteva vedere nel modo in cui i loro occhi si nascondevano quando Stefano li cercava con i suoi.
"Andiamo a casa Stefano." Gli suggerì Sascha, una volta che il funerale finito.
"Andiamo." Disse il castano, lasciandosi trasportare dal corvino.
La famiglia reale tornò a palazzo con la stessa auto che li aveva portati in cimitero, solo che avevano una certezza in più: la morte esisteva davvero. Può sembrare banale, ma non si riesce a capirla finché non se ne prova l'impatto nella propria vita.
Per questo tanti desiderano non incontrarla mai. E non solo per sé stessi. Perché quando qualcuno muore, e chi rimane vivo a risentirne.
Arrivati a palazzo, gli unici piani della giornata erano quelli di trovare una buona bottiglia di whiskey e scolarsela per poi trovarne un'altra.
I piani però cambiarono quando, arrivati a palazzo, davanti alla porta il corvino scorse un dibattito tra dei militari e le guardie.
"Non potete entrare." Continuava a ribadire una di esse.
"Entreremo con o senza il vostro permesso." Affermò con chiarezza il militare.
"Che succede?" Chiese Sascha, una volt arrivato di fianco al militare.
Stefano era di fianco a lui, solo che era assorto in altri pensieri per prestare attenzione alla conversazione. O almeno lo era stato fino a quando il militare non si presentò.
"Thomas Muller, proveniamo dalla Germania e siamo qui per prelevare Stefano Lepri." Disse con un inglese scadente.
Solo a quel punto il capo di Stefano si alzò per incontrare gli occhi del comandante. Sascha spalancò gli occhi, incredulo.
"Ora si che ci vuole veramente una bottiglia di whiskey!" Commentò ironico il castano.
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