ℛℯ𝓉𝓇ℴ𝓈𝒸ℯ𝓃𝒶 - 𝒱𝒾𝓉𝓉ℴ𝓇𝒾𝒶
𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐞' 𝐮𝐧 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐝𝐚𝐥 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐕𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚.
La settimana di ferragosto è invivibile qui a Milano Marittima. Il caldo appiccicaticcio a tratti sembra quello di Milano, con le dovute proporzioni.
Non capisco come mio fratello Giamma possa amare tutto questo. Eppure ogni anno non vede l'ora di scendere qua e stare tutte le sere in giro. Spesso mi dico che vorrei essere altrove, andrebbe bene anche la Sardegna pur di non stare in questi posti così cafoni, con gente che si spacca di alcol preso al discount, per spendere meno.
Non voglio fare la snob, ma sono realista. Non è certo colpa mia se posso permettermi di andare a far vacanza in posti migliori di questo. Anzi, proprio perchè potrei andare altrove, sarebbe corretto farlo. Anche in biologia lo spiegano: ogni specie ha il suo ambiente.
Ma Gianmarco preferisce Milano Marittima, con questa interminabile fila di stabilimenti e localini in bilico tra il finto sciatto e il finto glamour, con camerieri incapaci e baristi che come pezzo forte del repertorio hanno flettere i bicipiti tatuati.
Delle bariste non ne parliamo proprio. Sono assunte in base alla Scala M, che non è Mercalli ma Mammella. Ti guardano con occhio bovino se chiedi qualcosa di diverso dal Cubalibre, che per inciso mi fa schifo.
«Vitto! Non sai quanto sono contenta! Finalmente mamma e papà mi hanno dato il permesso di andare alla festa di Ferragosto giù al bagno! È una settimana che ci penso.» cinguetta mia cugina Diletta, appena uscita da un summit con i genitori e miei zii.
Purtroppo è cresciuta un po' zarra. Ma è cresciuta. Faccio sempre più fatica a rapportarmi con lei, perchè siamo sempre più diverse. Lei va in giro con delle orride canotte da Ibiza last minute e litiga con i miei zii per un paio di Nike più colorate di un Gay Pride. E io certe cose non riesco a non fargliele notare. E lei al posto di ringraziare per i consigli, il più delle volte se la prende.
«Oh, ma sono felice per te, Diletta!» le sorrido accondiscendente, dicendole le solite cose e abbracciandola. Per lo meno qui non si nota molto il suo stile da Corso Buenos Aires.
«Ma tu dove andrai a festeggiare?» mi domanda, sinceramente interessata.
«Al solito. Io e Gianmarco andremo alla festa del Papete. Praticamente lui viene qui a Milano Marittima per queste cose. A volte non lo capisco: è una località piena di zarri.»
Diletta invece sembra attirata dagli zarri, forse perché è costretta a viverci spalla a spalla e non conosce altre realtà. Faccio un altro paio di considerazioni banali sulla festa che ci aspetta e concludo con: «Comunque, anche la tua festa in spiaggia sarà divertente, non preoccuparti. Sarà un'ottima occasione per fare nuove amicizie. Ma non dare troppa confidenza agli zarri.»
Diletta a volte pare che non sappia fare un discorso di senso compiuto nonostante zia dica che a scuola se la cava più che bene. Mah, sarà. Intanto anche stavolta finisce per incespicare nelle parole, mettendosi in imbarazzo da sola, parlando dei ragazzi che frequenta. Mi fa quasi tenerezza il suo essere così ingenua. Come potevo non stuzzicarla chiedendole dei bagnini? Chiedendole se fossero all'altezza lei in tutta risposta mi dice, gesticolando con le mani in maniera nervosa:
«No, cioè, sì. Cioè no dai, nel senso che sì, sono all'altezza.» mi risponde finalmente in evidente difficoltà.
«Questa cosa è importante. Ma sono boccini della tua età o qualcosa di un po' più sviluppato?» continuo a stuzzicarla, guardandola come se fossi una gatta in calore.
Da qualche anno non frequento più lo stabilimento dove vanno gli zii, ma alla sua età mi era venuta una mezza cotta per un bagnino moro e silenzioso. Lo ricordo ancora, Massimiliano. L'unico problema era che ero una ragazzina abbastanza complessata, con l'apparecchio ai denti e il naso che certe sere mi faceva piangere da quanto me lo vedevo deforme.
Aspetto una sua risposta ma alla fine lascio perdere, anche se a volte mi infastidisce con la sua esuberanza, non mi va di metterla più in difficoltà di quanto già non sia. E poi, a dirla tutta, rivangare i miei ricordi sui bagnini un po' mi intristisce.
«Stai con gli occhi aperti che le feste in spiaggia sono posti peccaminosi eh! Come direbbe la nonna: peccaminosi!»
All'imitazione di Nonna Barbieri, estremamente devota, ridiamo di gusto, facendoci un segno della croce fintissimo. Diletta rimane comunque molto tesa all'idea della serata che deve affrontare, un'esperienza così nuova che le sta provocando un vistoso mix di ansia ed eccitazione. Così da buona cugina, metto assieme tutta la saggezza di cui dispongo dicendole di lasciarsi trasportare dall'atmosfera, ma non troppo.
«Non caricarti di troppe aspettative però» concludo anche se con una punta di mestizia pensando alla festa a cui sto per andare, di cui non mi frega nulla «Altrimenti finisce tutto in delusione.»
Giamma spunta dalla sua camera, e sfiora la spalla della cuginetta.
«Diletta, stasera vieni con noi al Papete?» le chiede, sapendo perfettamente che è una domanda idiota.
«Sì, certo, io al Papete.» mormora Diletta, forse addirittura con una punta di delusione.
Giamma è così, adora sentirsi il deus ex machina.
«Mica sfigureresti così tanto» continua lui, imperterrito, nella parte del pifferaio magico «magari ti presta un abitino Vittoria, che si porta sempre sei valigie e ne usa una.»
Lo fulmino immediatamente con lo sguardo. Già sopporto di essere in un posto che non mi fa impazzire, e di essere in procinto di andare a una festa in cui mi annoierò. Non tollero che mi prenda anche in giro per una cosa assolutamente non vera. Non ho certo portato molti bagagli, e lui lo sa perfettamente. Ma per mettermi in cattiva luce, lui è campione del mondo.
Diletta alla fine lascia perdere quel discorso inconcludente, ma non sono totalmente convinta che abbia capito quanto lui la porti a spasso con questi inviti improbabili.
Con uno sguardo innocente alla fine ci saluta e corre a chiamare le sue amiche. Non posso non notare come Giamma la segua con lo sguardo, ma mi metto l'animo in pace e non volendo altre battute sui miei abiti, urlo:
«Giamma! Seta o sbrilluccicante?»
****
La festa vip in spiaggia non è sgradevolissima anche se sono troppe le persone che non c'entrano nulla. Troppi quelli che esplodono in grida inutili, additando persone famose fino a un certo punto.
Gianmarco mi aveva guardata, di sbieco, scegliere il vestito per la serata e la mia scelta era ricaduta su un abitino corto Versace color malva, le sue paillettes riflettono le mille luci del locale e questo rafforza la mia idea di essere estremamente bella e curata, nonostante il paio di commenti grossolani che Giamma ha dovuto fare d'obbligo prima di entrare. Ormai è diventata una routine per lui.
«Giamma dai, ma non puoi dire che sia un brutto abito! È bellissimo, ed in più l'ho pagato tremila euro!»
«Bhe, quel coso di certo non li vale, l'alta moda ormai vi vende qualsiasi cosa, e voi abboccate sempre!» dice, indicando poi con il mento una ragazza con un abito dozzinale probabilmente di Stradivarius.
Fisicamente è diversa da me, spicca per il trucco marcato sugli occhi e il gran seno che ha, che quasi minaccia di uscire dalla scollatura.
«Lei si porta in giro meglio quella roba da dieci euro, Vitto. Tu per carità ti sei rifatta con il naso e i denti, e ti sei rifatta pure sul fisico. Ma le ragazze fighe sono altre.»
Gianmarco non molla. Continua a manifestare il suo atteggiamento arrogante e insensibile nei miei confronti, cercando di mettermi a disagio, soprattutto in presenza di amici o di ragazze, che puntualmente ridacchiano spiaccicandosi addosso a mio fratello.
Causa radici familiari, il mio punto di riferimento è sempre stato lui. Per anni ho pensato fossimo molto legati e nel periodo in cui ero veramente da buttare, mi ha difesa e mi ha consolata, mi ha spronata senza risparmiarmi battute taglienti. Sono cresciuta, sono diventata più serena, più consapevole, ma appena sono arrivata al liceo, ha iniziato a staccarsi, preferendo quello sport che ancora pratica, a livello agonistico: lanciarmi frecciatine. Più i suoi amici mi davano corda, più lui li smorzava con battute che ho sentito sempre più fuori posto.
Vorrei un piccolo riconoscimento da lui. Sentirmi dire:
"Sorellina, sei diventata proprio bella." ma lui mi da meno di zero, è insensibile. All'inizio pensavo fosse per tenere i suoi amici lontano da me, ma poi l'ho visto in azione con le altre ragazze, e ho capito che lui semplicemente non tiene considerazione di noi.
Affascina le ragazze con i suoi soldi, perché è convinto che siano i soldi a muovere le ragazze verso di lui. Anzi, che siano i soldi a muovere le persone verso chi li ha.
«Vitto, i ragazzi ti ronzano intorno per i soldi. Non per il tuo fisico.» mi ha detto più di una volta, come a spezzare le mie speranze.
E ancora, mentre mi presenta a tipi che sembrano la sua fotocopia, ma senza accessori di marca come i suoi, non perde occasione per fare dei commenti sottolineando la bellezza e l'attenzione che altre ragazze ricevono, mettendo in competizione me con loro.
«Voi si che fate una bella coppia.» si spertica nei confronti di uno che avrà un paio di anni più di lui, assieme a una ragazza più o meno della mia età, stretta in un abitino striminzito e chiaro, che le mette in evidenza le forme fin quasi troppo abbondanti per la figura esile.
«Vedi io, che invece giro con la mia sorellina. Avete qualcuno a cui piacciono le ragazze toniche ma senza troppi attributi se non essere facoltosa?»
Gli mollo una gomitata non del tutto amichevole. Lui incassa e ride di un sorriso leggermente tirato.
«Si arrabbia sempre su questo argomento. Ehi, ricordati che le chiavi della BMW ce le ho io, tu ancora non puoi guidare. Sei piccola.» dice e ridacchia ancora, in un modo diverso, più aspro.
Cerco di ridacchiare ma non mi viene spontaneo. Questo suo atteggiamento mi fa sentire a disagio, fuori posto e... umiliata! Mi tratta con sufficienza e come se non fossi all'altezza di lui, ma io allo stesso tempo, dipendo da lui: mi posso spostare liberamente dai miei genitori grazie a lui, posso frequentare feste e locali grazie a lui. Quindi incasso.
Uno dei tizi esordisce, in mia difesa, con uno sguardo di compassione e divertimento:
«Dai Giamma, sei troppo rigido con lei, è pur sempre tua sorella. Quando sarai vecchio e tutte le tipe saranno scappate, lei spingerà la tua sedia a rotelle!»
«Mi prenderò una badante giovane e procace, non preoccuparti. Posso permettermelo.» risponde prontamente, proprio a sottolineare che io non sono provocante.
Cerco di resistere, stringere i denti, e comportarmi con dignità, ma la situazione diventa sempre più frustrante, più di molte altre volte. Il peso grava sempre di più sulle mie spalle.
La ragazza che sta col nostro gruppetto ad un tratto mi chiede di accompagnarla in bagno.
Quando ci troviamo davanti la porta della toilette, nemmeno il tempo di entrare, che si ferma allo specchio a ritoccarsi il trucco.
«Non farle passare a tuo fratello certe battute. Lo vedo che sei a disagio. Non è giusto» mi dice, spostando lo sguardo dal suo volto al mio, tramite lo specchio «Scusa se lo dico, ma penso che sia un coglione.»
Sbuffo e poi mi rendo conto di essere in una temporanea zona di comfort e rispondo «Mio fratello è ossessionato dai soldi e dal potere che esercitano sugli altri. Crede che questi siano gli unici motivi per cui le ragazze si avvicinino a lui. E che i ragazzi si avvicinino a me.»
«Questo non gli dà il diritto di trattarti come un cagnolino che fa la cacca fuori dalla cassettina. Sei un ragazza bellissima, quello che dice lui non conta nulla. Tienilo a mente.»
Appena finisce quella frase si stacca dallo specchio e si gira verso di me, avvicinandosi, sempre di più, fino ad annullare lo spazio che c'è tra i nostri volti, io non mi muovo, mi limito e guardarla e lei inclina leggermente il viso, sussurrando, ancora:
«Non conta nulla.» e così finisce per appoggiare le labbra sulle mie.
Non avverto alcun sentimento, vibrazione. Ma mi scuote e mi sprona a essere diversa. Quando si spinge completamente sulle mie labbra, il suo splendido seno va a toccare il mio, mi risveglio bruscamente e mi stacco. Lei ridacchia.
«Hai capito cosa intendo?» dice e mi fa l'occhiolino, mi limito ad annuire e torniamo dal gruppetto.
Diversi stanno ridendo ad una battuta, ovviamente di Giamma, sul fatto che mi serve sempre un sacco di tempo per rifarmi il trucco. Tutti sappiamo perché ridono. Eppure sento che mi guardano. Guardano il mio corpo. Lo vorrebbero. Guardo la ragazza e penso che non so nemmeno come si chiama, lei mi restituisce lo sguardo. Porto la cannuccia del cocktail alle labbra, guardando languida i maschietti. Voglio far finire quelle risate, voglio che si imbarazzino per aver riso.
E voglio accendere i loro desideri.
Scende un breve silenzio, mi godo un lieve imbarazzo proprio come avevo sperato, mentre ancora succhio e lecco la cannuccia osservandoli. Incrocio lo sguardo di Gianmarco, che rapidamente si congeda dal gruppetto, dicendo che deve andare a cercare un altro suo conoscente, con me al suo fianco. Dopo pochi metri mi attacca.
«Ma perchè non stai mai al gioco? Io non capisco, te lo giuro! Passate la vita, voi ragazze, a fare battute sui maschi, poi ne faccio un paio io e pianti il muso. Come se dicessi cose false. Non sei per nulla sportiva, fattelo dire!»
«Non puoi dire certe cose con me presente, e davanti ad altre ragazze! Mi fai sempre sentire la sfigata con l'apparecchio. Io non sono più la scema con l'apparecchio! E vedrai quando-»
«Vicky.» mi interrompe mentre parlo, guardandomi dall'alto e alzando un dito, poi continua:
«Delle tue tette non me ne frega niente. Sono problemi tuoi se vuoi gonfiartele pensando che sia la tua cazzo di soluzione. Se la metti tutta su un paio di tette, allora alla prossima festa mi porto Diletta, è meno snob, accetta in maniera più simpatica le battute, e di tette ne ha da vendere già alla sua età, contenta?»
Mi sale una rabbia sorda, mi guardo intorno e decido che ne ho avuto abbastanza. Non voglio restare a subire ulteriori umiliazioni e confronti da quell'insulso porco di mio fratello. E poi, confronti con mia cugina?! Una ragazzina che ha finito due mesi fa le medie e nemmeno sa come fa a ritrovarsi quel corpo!
Per un attimo mi passano davanti gli occhi le immagini di Diletta che pomicia con un bagnino come quello di cui mi ero invaghita io alla sua età.
Non è giusto.
Penso a tutto questo mentre mi allontano dalla festa, dal locale e soprattutto da quello stronzo che è mio fratello.
Voglio andare altrove, voglio un posto dove possa sentirmi a mio agio e apprezzata per ciò che sono. Lontano dalla negatività e dell'insensibilità di Gianmarco, che è riuscito a tirare in ballo Diletta, da quanto è maiale.
Dire che cammino casualmente per la strada non è del tutto vero. Sono andata in una direzione precisa. Da lontano riconosco l'insegna familiare ed il colore delle cabine.
Mi aspetto di trovare mia cugina su quei divanetti, a parlottare stretta stretta con qualcuno di quei ragazzi zarri che girano da queste parti. Ma non se ne vede traccia. Scendo al mare. Qualcuno è appoggiato ai lettini: quasi tutte coppiette di cui invidio profondamente l'intimità che non conosce il fango del denaro.
E io sono qui, con il mio maledetto Versace da tremila euro che non mi è servito a un bel nulla. Alcuni ragazzi mi guardano, vorrei di nuovo avere una cannuccia da succhiare per accoppiarla a uno sguardo languido, ma non ce l'ho.
C'è soltanto un chiringuito poco più su,dove vi gravita attorno un ragazzo con un vassoio in cui carica bicchieri vuoti.
«Hey ciao, lavori qui, giusto?» chiedo, andando con gli occhi al vassoio strapieno di vuoti.
«Si, piacere Tommaso.» mi risponde dopo avermi guardata.
Mi guarda come vorrei mi guardasse un ragazzo, libero da pensieri di chi sono, di quanto vale il mio abbigliamento, di quanto vale l'amicizia con mio fratello.
«Vittoria.»
Chiedo come funziona con la consumazione, scambiamo qualche parola. La sua disponibilità mi avvolge come un abbraccio. In quella penombra mi sembra di rivedere Massimiliano.
Improvvisamente ho voglia di averlo addosso, mi dà l'idea che potrebbe darmi la passione di cui ho bisogno, l'apprezzamento che mi serve.
Lo precedo verso il chiosco ancheggiando nella maniera più sensuale che posso. Lui poi mi sorpassa parlottando con una ragazza alla cassa che mi rifila un'occhiata che è come il lettore di codici a barre, poi mi sorride.
Tommaso lo fa a sua volta, e da dietro al bancone mi allunga un mojito.
Tra una chiacchiera e l'altra, senza mollarmi con lo sguardo, afferra uno strofinaccio e comincia a lucidare i bicchieri uno ad uno infilando le dita profondamente nel calice. Sono ipnotizzata da quelle dita che percorrono quella cavità, non posso fare a meno di sfregare assieme le caviglie e perdermi tra i pensieri erotici. Guardo le sue dita, guardo la sua bocca.
Le voglio addosso. Le voglio dentro.
«Cos'è quello, un messaggio subliminale?» chiedo guardando di nuovo le dita di Tommaso.
«Cazzo, no!» ribatte e scoppia a ridere.
Mi unisco alle risate, forse sono un po' ubriaca, lo ammetto. Ma l'incantesimo ben presto viene interrotto dalla barista dall'altra parte del bancone.
«Zanelli basta masturbare i bicchieri! Ad Alex servono le Beck's in spiaggia!» urla.
La guardo e vedo nei suoi occhi un'ombra di gelosia, e immediatamente dopo una gran soddisfazione per aver rotto quella situazione così ben impostata.
«Quindi la nostra serata finisce qui?» chiedo con un mezzo sorriso sulle labbra e un ombra di rassegnazione.
«Non se ti do il mio numero.» replica lui.
Non me lo faccio ripetere due volte che già lo sto salvando tra i contatti e lo squillo. Rimango a sedere qualche minuto su quello scomodo sgabello e poi scendo. Mi sembra di aver riannodato il filo tra la me di oggi e la me che a tredici anni sognava il ragazzo che ci apriva l'ombrellone.
Ripenso a quelle dita. Mi dirigo a casa in uno stato quasi onirico e scorgo gli zii, nonché i genitori di Diletta, a guardare la TV nel patio.
«Vittoria, tutto a posto?» mi chiede zia.
«Sì, tutto a posto, a postissimo!»
«Hai visto Dil... Ah no, scusa, tu eri a un'altra festa.» si corregge zio, lasciando in sospeso quel nome che solo a sentirlo mi accendeva un fuoco, d'invidia, dentro.
Vedo che suo padre ha lo sguardo un po' agitato, così senza pensarci, rispondo:
«In realtà ho fatto un salto anche lì. Non vi preoccupate, ho visto ed è tutto a posto.»
Avverto i loro respiri di sollievo e sorrido ad entrambi augurandogli la buonanotte, così finalmente, salgo in camera.
Quelle dita. Non escono dalla mia testa leggera per l'alcol.
Usi sempre così bene quelle dita?
Non ci penso molto prima di mandare il messaggio, ridacchiando subito dopo.
Mi lascio cadere sul letto. La mia mano inizia a sfiorare il mio seno coperto dal vestito e immagino che le dita siano le sue, lente e calde, delicate e leggere ma anche piene di desiderio, sul mio seno che è il mio campo di battaglia. La mia valle di lacrime. Sul mio seno che ogni giorno sogno di stravolgere.
Il respiro si fa sempre più profondo.
Le dita passano sull'attaccatura del seno appena accennata, non hanno fretta, sanno che più aspettano a toccarmi nel vivo, più sarò eccitata. Pian piano si fanno spazio nella scollatura dell'abitino che non ha più nessun valore. Iniziano a fare dei cerchi intorno al capezzolo ormai scoperto.
Ma senza toccarlo, vogliono farmi soffrire, cosicché il mio desiderio aumenti dentro il mio mondo in cui Tommaso e Massimiliano si fondono a diventare il Bagnino Ideale.
Il tocco si fa più pesante ed il respiro, di conseguenza, aumenta ancora. La schiena si incarica non appena la mano afferra il seno. Cerco con gli occhi lo specchio sull'armadio, voglio vedere, voglio guardare il mio corpo.
Il tocco aumenta, ancora, diventa sempre più pretenzioso e carico d'eccitazione, tanto da vincere la mia stessa resistenza, Tommaso non vuole più giocare.
Lo specchio rimanda l'immagine del mio corpo che si muove e si contorce. Guardo il petto gonfiarsi ad ogni respiro, la schiena inarcarsi, i capezzoli diventare duri e la pelle eccitata. Mi accarezzo, forte e con decisione, ormai ovunque, sempre più vicino la mia intimità, coperta però dagli slip.
Così chiudo gli occhi.
"Tommaso. Vorrei che fossi qui."
Penso, e lentamente la mano scende, alzo il vestito che luccica muovendosi. Sento le mutandine bagnarsi, mi accarezzo attraverso queste con le gambe ancora chiuse.
Basta, Tommaso non aspetterebbe, lo immagino così tanto da saperlo. La mano si fa spazio sotto la stoffa, le gambe si allargano. Sento la mia pelle calda e bagnata. Il dito si muove su e giù avvolto dalle mie labbra, fino a che non arriva al clitoride.
II desiderio di scattare una foto e mandarla a Tommaso mi assale, vorrei tanto fargli vedere cosa mi ha provocato, vorrei fargli sapere che mi stavo toccando per lui.
Però desisto, imprigionata dal tocco leggero, che dura solo qualche istante, ma basta per farmi sobbalzare il cuore. Il pensiero di lui sopra di me finisce per farmi scivolare in un orgasmo intenso.
Il telefono vibra, sul comodino, e si illumina.
Per un attimo penso al miracolo. La mano risale, scorre sulla mia pancia, sul mio seno, fino ad arrivare alla mia bocca. Assaggio il mio sapore e guardo la notifica.
Gianmarco: Dove cazzo sei?
Sposto la mano dalla bocca alla guancia, una lacrima salata la solca.
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