CAPITOLO 45
ALISSA
Il risultato del test di paternità è arrivato una settimana fa. Ovviamente il figlio non è di Matt. Appena ho letto l'incompatibilità del suo DNA con quello del bambino, il sollievo mi ha invaso fin dentro le ossa. Mi sono sentita più leggera, senza quel peso costante sul petto e quel cappio attorno al collo che mi impediva di respirare come avrei voluto. Mi è sembrata come la fine di un incubo durato mesi. Ma la sensazione è durata solo qualche minuto, poi la consapevolezza si è fatta strada dentro di me, mettendomi di fronte la dura realtà. Il figlio non è solo di Alex, ma anche di Logan. Un idiota intenzionato a rovinare la vita di quel bambino.
Ricordo ancora la faccia di Alex che ha suonato il campanello di casa mia, quando ha trovato suo padre morto in casa. Era piccola, appena quindicenne ed era completamente sconvolta. Da allora, non ha fatto altro che passare da una storia tossica all'altra. Non so per quale strano giochetto mentale, ma è sempre stata attratta dal cattivo, da ciò da cui doveva stare alla larga, come se credesse di non meritare altro nella sua vita. E io non permetterò che la droga rovini l'adolescenza di un altro bambino.
«Come stai, tesoro?» Mi domanda Ben, appena mettiamo piede nella sala prelievi del St. Andrews. Una volta l'anno, tutti i dipendenti sono obbligati a fare dei controlli e una visita dal medico del lavoro. Per cui, eccoci qui, pronti a immedesimarci nella figura del paziente, almeno per qualche ora, e a farci bucare le vene per il divertimento dei nostri colleghi e amici.
«Bene. Sono preoccupata per Alex, ma sto bene. Matt sembra essersi ripreso dalla notizia, sai. Sta... bene anche lui.» La mia voce risulta poco convincente anche alle mie stesse orecchie, ma la verità è che non so come mi sento. E a dirla tutta non so nemmeno come si sente Matt. Non voglio focalizzarmi troppo sulla conversazione che ho casualmente origliato tra lui e Steve in cucina. Matt ha detto di non volere figli, ma nemmeno io ne voglio ora. E quando sarà il momento e saremo pronti, tutto verrà da sé. Ne sono sicura. Però, non mi parla. O meglio, mi parla, e tanto. E ci coccoliamo e ci baciamo e facciamo l'amore parecchie volte per la gioia di Steve che, anche se è stato assunto da Robert Scott, ancora è piantato dentro casa nostra. Ma Matt non mi parla di come si sente, di come ha preso veramente la notizia di non diventare padre e ogni volta che cerco di affrontare l'argomento, lui mi distrae in qualche modo o cerca di sviare l'argomento. Sembra felice, e forse dovrei credergli perché è la verità. Ma allora perché non riesco a stare comunque tranquilla?
Smetto di pensare e focalizzo la mia attenzione sulle mani di Monica, l'infermiera impegnata nel mio prelievo. I suoi movimenti sono delicati, mentre di volta in volta sostituisce la provetta piena con una vuota. Quella viola, quella gialla e infine quella azzurra, per poi terminare con quelle per il Quantiferon che ci mettono sempre un'eternità per riempirsi.
«Okay, abbiamo fatto!» Trilla Monica entusiasta, dopo aver tolto il laccio emostatico dal mio braccio, sfilato l'ago e avermi messo una garza con un cerotto sopra al piccolo buchino sul mio braccio. «Le risposte saranno pronte già oggi pomeriggio. Tranne per il Quantiferon, per quello ci vogliono almeno una decina di giorni.»
«Grazie, Monica. Sei stata fantastica.» La saluto e aspetto che Ben mi raggiunga fuori dalla sala prelievi.
«A te è capitata ovviamente Monica "l'angelo sceso dal cielo", a me è capitata Carla, che non conosce la parola delicatezza. Sei la solita fortunata.» Si lamenta subito e io ridacchio di fronte alla sua espressione scocciata.
«La verità è che sei un infermiere che ha paura degli aghi, quando questi si avvicinano troppo alla tua pelle!» Lo prendo in giro e lui si imbroncia. Sì, Ben ha paura di fare le analisi, lo dimostra il fatto che sia ancora sudato come se avesse corso per un chilometro e sia più bianco di un fantasma. Il che è piuttosto paradossale, a pensarci bene.
«Non ho paura, è che ho la pelle molto sensibile.» Ribatte acido, facendomi scoppiare a ridere.
«Sì, sì, come vuoi. Fifone!» Mi dà una spintarella sulla spalla, mentre ci dirigiamo all'ambulatorio di cardiologia per un elettrocardiogramma. Sbadiglio, come la cento quattordicesima volta da quando ho messo piede all'interno dell'ospedale. Oggi sono particolarmente stanca, e tornerei volentieri a dormire il prima possibile. Ma sono solo le sette del mattino e la mia giornata lavorativa non è nemmeno ancora iniziata. Per cui, sospiro e mi preparo ad affrontarla al massimo delle mie forze.
E dopo otto ore, non posso dire di essere soddisfatta del mio operato. Ho la schiena a pezzi, i piedi che mi fanno male, gli occhi che vorrebbero solo chiudersi e la bocca che continua ad aprirsi in pessimi sbadigli.
«Dio, ho veramente bisogno di una dormita. Credo che potrei svenire ancora prima di mettermi al volante della mia auto.»
«Ma sei hai fatto fare tutto a me!» Borbotta Ben, mentre ci dirigiamo verso gli spogliatoi.
«Non dire idiozie, come se fosse possibile farti lavorare per più di cinque minuti di seguito.» Ribatto, ma so benissimo che ha ragione, perché ho passato gran parte della giornata in medicheria stravaccata sulla scrivania. E questo non è assolutamente da me. Amo il mio lavoro e l'adrenalina che sento nelle vene quando sono in ospedale mi fa fare mille cose contemporaneamente senza accusare mai la stanchezza. Ma oggi è decisamente una giornata NO!
Appena arriviamo di fronte alla porta del nostro spogliatoio, il mio cercapersone suona. È Charity che mi chiama dalla segreteria e con un messaggio di urgenza. Immagino, probabilmente avrà qualche messaggio da recapitarmi, ma per lei è troppo impegnativo alzare il suo bel sedere e venirmi a cercare.
«E ora cosa vuole?» Mi lamento, con un verso strozzato e tragico.
«Non dirmi che è Charity.» Con la mano sulla maniglia, Ben mi guarda, anche lui piuttosto provato dalla giornata lavorativa.
«Sì. Quella scansafatiche, la pagherà per aver ritardato il mio rientro a casa. Intanto vai, ci vediamo domani. Ti voglio bene.» Bacio il mio amico sulla guancia e mi precipito verso gli ascensori per raggiungere il piano terra.
Charity alza la sua testa, appena mi avvicino al suo bancone e mi accoglie con il suo solito sguardo freddo. È odiosa anche di più di quando l'ho conosciuta quasi un anno fa.
«Ciao, Charity. Mi cercavi?»
«Sì. Ti voglio a medicina del lavoro. Hanno i risultati delle tue analisi e vogliono parlarti subito.» I peli sulla mia nuca si raddrizzano e un brivido mi attraversa la schiena. La mia visita è tra più di una settimana, non capisco perché vogliano vedermi subito.
«P-perché?» Balbetto, mentre sento salire il panico. Mi asciugo i palmi delle mani sudate sui pantaloni bianchi della mia divisa e deglutisco lentamente.
«E cosa vuoi che ne sappia io?» Ribatte bruscamente la stronza davanti a me. Ma non ho voglia nemmeno di soffermarmi sulla sua maleducazione. Il sudore freddo mi imperla la fronte e l'ansia mi attanaglia lo stomaco. L'elettrocardiogramma era a posto, l'ho visto io stessa, per cui lo escludo. Il risultato del Quantiferon arriverà tra dieci giorni, per cui via anche la tubercolosi latente. Non credo che nei prelievi di routine siano inseriti i markers tumorali, quindi escludiamo anche quelli. Rimangono solo le maledette analisi del sangue. Epatite B? Ho il vaccino, quindi immagino di no. C? HIV? Da chi diavolo dovrei averla presa l'HIV? Una semplice anemia del cazzo? Dio, cerca di calmarti Alissa. Magari hanno solo avuto qualche problema burocratico. Sì, dev'essere così.
E continuo a ripetermelo fino a quando non mi ritrovo di fronte all'ambulatorio di medicina del lavoro.
«Alissa, giusto? Sono la dottoressa King, prego accomodati.» Mi accoglie con un sorriso caloroso, che almeno attenua un po' le mie assurde preoccupazioni. Non sorriderebbe così, se dovesse darmi l'incresciosa notizia che sto per morire, no?
«S-sa-salve...» Sono così confusa, che la mia voce fa anche fatica a uscire fuori. «C'è qualcosa che non va nelle mie analisi, dottoressa?» Vado dritta al punto, attirando i suoi occhi su di me.
«Oh... no! No, nulla di preoccupante. Si rilassi. Lei sta decisamente bene, tutti i valori sono nella norma.» Mi sorride e le mie spalle si rilassano, mentre butto fuori tutta l'aria che avevo trattenuto.
«Oh, Dio... grazie al cielo. Ero già pronta a organizzare il mio funerale.» Ridacchio nervosamente, ma la dottoressa a stento accenna un sorriso. Va bene, niente battute sulla morte. Ricevuto.
«Non so se ne era a conoscenza, ma per le donne dipendi dell'ospedale, negli esami sono presenti anche le Beta-HCG.»
Sbatto le palpebre. «Ehm... okay.»
«Non dovrà organizzare nessun funerale, Alissa. Al massimo dovrà festeggiare un baby shower...» La mia saliva si inceppa all'altezza della gola. Sento tutto il sangue defluirmi via dalla faccia, la stanza inizia a girare e mi aggrappo ai manubri della sedia. «Lei è incinta, Alissa.»
«Cosa? Sta scherzando, vero?» Scoppio a ridere, cominciando a fare il calcolo del mio ciclo. L'ho avuto, prima di fare sesso con Matt e non è passato nemmeno un mese da allora. «Io prendo la pillola. E, prima che lo dica, no, non l'ho mai saltata. Nemmeno un dannato giorno. Per cui, ci dev'essere un errore.»
«Le analisi del sangue non mentono, Alissa. I test a volte sì, ma non le analisi.» Lo so, cazzo, lo so che le analisi non mentono mai. Sono una maledetta infermiera, dannazione. «I valori non sono altissimi, come è normale in questa primissima fase della gravidanza, ma sono decisamente superiori alla norma. Non ci sono dubbi, Alissa, lei è incinta. Congratulazioni.» La dottoressa King mi sorride dolcemente, si alza dalla scrivania e viene verso di me. Mi porge la cartellina bianca con il logo del St. Andrews dove dentro ci sono le mie analisi e mi mette una mano sulla spalla. Dovrebbe essere un gesto consolatorio, ma non lo è. Affatto. «Alissa...» La dottoressa richiama la mia attenzione e io sollevo gli occhi per incrociare i suoi. E quello che leggo non mi piace per niente. «Non ho bisogno di sapere i motivi per cui è così sconvolta e non sta saltando sul pavimento dalla gioia... ma una mia collega ginecologa può illustrarle tutte le soluzioni, in caso decidesse di...» Fa una pausa e io mi acciglio. «... non tenerlo.» Salto su dalla sedia, sentendomi profondamente offesa. So che l'aborto è un diritto di tutte le donne e un'opzione spesso presa in considerazione. Ma non per me. Sono un'infermiera. Scelgo la vita, sempre. E anche se in questo momento nella mia pancia non c'è quasi nulla, è pur sempre il mio bambino e di Matt. Il nostro bambino...
Mi passo una mano sulla pancia completamente piatta e una lacrima abbandona il mio occhio per scorrere lentamente lungo tutta la mia guancia.
«Non è assolutamente un'opzione per me. Non ho bisogno nemmeno di pensarci. Sono sconvolta solo perché non me lo aspettavo, perché prendo la pillola. Ma è chiaro che qualcosa è andato storto.» E vorrei tanto sapere cosa. «Ma io e il mio fidanzato lo o la ameremo più di qualsiasi altra cosa.»
La dottoressa King sorride, e sembra quasi sollevata dalle mie parole e probabilmente anche dalla sincerità che ne traspare. «Bene! Sono contenta di sentirglielo dire, Alissa. Allora ci rivedremo tra qualche mese per valutare le sue condizioni e la sua idoneità al lavoro durante la gravidanza. È stato un piacere conoscerla. E faccio ancora i miei migliori auguri a lei e al suo compagno.»
«Grazie!» Cerco di mostrarmi il più euforica possibile, almeno finché non mi ritrovo da sola nello spogliatoio. Chiudo la porta dietro di me e mi ci appoggio con la schiena, lasciandomi scivolare fino a toccare il pavimento con il sedere. Le ginocchia contro il petto e la faccia nascosta tra le mani, mi lascio andare a un pianto liberatorio con tanto di singhiozzi e moccio al naso. Sono un disastro, mi fa male la testa per il pianto e gli occhi mi bruciano. Eppure non riesco a smettere. Dovrei essere felice, dannazione, perché questo è quello che ho sempre voluto. Un figlio. E con Matt per giunta. L'inizio della nostra famiglia. Peccato che lui abbia detto di non volerne e che se secondo suo padre io sia un'arrampicatrice sociale che vuole solo accaparrarsi i suoi soldi. E se, una volta confessata la gravidanza, lui cominciasse a pensarla esattamente come Robert? Lui voleva usare le giuste precauzioni e io l'ho rassicurato dicendogli che prendevo la mia stupida pillola. Che doveva fidarsi di me. Che io non ero come Alex. Ma lo sono, giusto? È questo che potrebbe tranquillamente pensare. Che io voglia incastrarlo. Maledizione. La paura del suo rifiuto mi attanaglia, si stringe attorno ai miei visceri, alle mie vene, alla mia gola.
Respira, Alissa.
Improvvisamente, la porta dietro di me cerca di aprirsi ma il mio peso glielo impedisce. Sussulto e mi alzo di scatto, allontanandomi per far entrare chiunque stesse cercando di farlo.
«Alissa?» La figura di Liam appare di fronte a me, un po' sfocata ai miei occhi ancora appannati dalle lacrime. «Che succede?» Viene verso di me e aggrotta le sopracciglia.
«Niente!» Sorrido e mi asciugo velocemente le lacrime, per poi voltarmi verso il mio armadietto.
«Alissa, stai piangendo.» Non è una domanda, ma rispondo comunque.
«No, no. Mi bruciano gli occhi, credo di essere leggermente stanca.»
«Alissa...» Il respiro di Liam mi accarezza i capelli e il suo calore mi avvolge, quindi capisco che è appena dietro di me. «... perché stai piangendo? Cos'è successo? Sembri completamente sconvolta.»
Mi volto verso di lui, rendendomi conto che non ha più senso mentire. E pronuncio solo due parole in un piccolo sussurro spezzato. «Non qui.»
Liam annuisce e, senza dire un'ulteriore parola, si dirige al suo armadietto e inizia a cambiarsi. Faccio lo stesso, muovendomi come un automa. Quando entrambi siamo completamente vestiti e con i cappotti pesanti addosso, usciamo dall'ospedale e con la macchina di Liam raggiungiamo un piccolo bar non molto distante. Liam ordina un caffè e io una cioccolata calda perché, fanculo, tanto ingrasserò comunque. Che io lo voglia o no.
«Allora, vuoi dirmi cosa succede, Ali? Non riesco a vederti così.» Allunga una mano sopra il tavolino che ci separa e afferra la mia, attirando i miei occhi sui suoi, così chiari e limpidi. Deglutisco, domandandomi perché abbia acconsentito di venire qui con il mio ex per fargli l'onore di sapere per primo che sono incinta. Non ne azzecco una.
«Io...» Prendo un respiro profondo. «Ho fatto le analisi stamattina...» Liam sussulta, preoccupato. «È tutto okay!» Mi affretto a rassicurarlo, perché dopo la sua esperienza con il padre, sono convinta che certi argomenti lo tocchino abbastanza profondamente.
«E allora, qual è il problema con le tue analisi?»
«Che sono incinta, Liam...» Sputo il rospo, abbassando gli occhi sul tavolo in legno bianco a cui siamo seduti.
«I-incinta?» Balbetta e, invece di lasciarmela, stringe la presa sulla mia mano.
«Incinta.» Confermo, con un sospiro e un nodo enorme che mi ostruisce la gola.
«Ed è... insomma, è una bella notizia, no?» Alzo gli occhi su di lui e i suoi, del colore dell'oceano, sembrano confusi, oltre che intrisi di una tristezza che cerca disperatamente di nascondere. Dio, cosa mi è saltato in mente? Non voglio che stia male per me.
«Ascolta Liam, non credo sia giusto parlare proprio con te di questo. Mi dispiace, io...»
«Siamo amici, no?» Mi interrompe, sorridendo dolcemente.
«Sì... sì, lo siamo.»
«Bene, allora dimmi cosa ti passa per quella testolina.» Con il pollice, accarezza il dorso della mia mano e pian piano io riesco a rilassarmi. Il cameriere ci consegna i nostri ordini e Liam non mi lascia nemmeno per bere il suo caffè. E nemmeno io. A dire la verità, in questo momento ho bisogno di questo contatto confortevole.
«Il figlio di Alex non è di Matt...» Liam spalanca gli occhi, incredulo. «È una lunga storia, ma Matt ne è rimasto contento. Voglio dire, era pronto a prendersi le sue responsabilità, ma non lo voleva. Non adesso, almeno. E l'ho sentito parlare qualche sera fa. Non vuole avere un figlio adesso, nemmeno con me. E io prendo la pillola, diavolo, come è potuto succedere?» Mi passo la mano libera sulla faccia.
«Hai preso antibiotici o cortisone?» Domanda, da bravo medico qual è. Scuoto la testa in segno di negazione. «L'hai sempre presa regolarmente?»
«Sì.» Sussurro, pensierosa. Sono sempre stata regolare, sempre.
«Vomito o diarrea dopo averla assunta?» Faccio una smorfia schifata guardando la mia tazza di cioccolata, mentre la mia mentre mente recepisce la parola "diarrea". «Scusa.» Liam ridacchia, accorgendosi della mia espressione.
«Sì, non è stato bello.» Per la prima volta da ore, sorrido anche io. «Comunque, no, niente del...» Sbatto le palpebre, bloccandomi di colpo. Una bruttissima visione di me piegata sul water durante la mia maledetta influenza intestinale mi si proietta nella testa. Cazzo, no. «Maledizione. Ho avuto una dannata influenza intestinale, qualche giorno prima di... insomma di... beh, hai capito.»
«Direi di sì.» Si schiarisce la voce, a disagio. E io mi intimo di chiudere la mia cavolo di boccaccia.
«Diavolo, Liam! Sono una maledetta infermiera! Spiegami perché non ci ho pensato? Oddio, sono pessima. Una pessima infermiera, una pessima fidanzata e probabilmente sarò anche una pessima madre.» Alzo la voce, attirando qualche sguardo verso di noi, mentre le lacrime ricominciano a scorrermi sulle guance. Liam mi guarda con le sopracciglia corrugate.
«Ehi, ehi! Che stai dicendo? Vieni qui.» Mi tira per la mano, facendomi alzare per sedermi sopra le sue gambe. «Tu sei una fantastica infermiera e una meravigliosa fidanzata. E sarai la mamma più straordinaria che possa esistere.»
«E tu che ne sai?» Gli domando, tirando con il naso. Mi alza il mento con la mano e i nostri sguardi si incontrano.
«Perché ti conosco, Ali. Tu sei straordinaria.» i suoi occhi mi scrutano attentamente, come se volessero leggere i miei. Poi, lentamente, si abbassano sulle mie labbra, mentre la sua mano si posa dolcemente sulla mia guancia. Mi mordo il labbro inferiore, sentendomi improvvisamente a disagio. E Liam continua a osservare la mia bocca, come incantato, attraversato da chissà quale pensiero.
«Liam.» Lo richiamo dolcemente e i suoi occhi si alzano di nuovo a cercare i miei. Si sofferma con lo sguardo sulla sua mano e la allontana velocemente dalla mia guancia, come se non si fosse reso conto del suo gesto fino a questo momento.
«Scusa...» Si passa le dita tra i capelli e poi sospira pesantemente. «Ascolta, Matt è uno stronzo, ma, anche se mi brucia lo stomaco solo a pensarci, è innamorato perso di te. E non ci vuole un genio per capire che non hai assolutamente motivo di temere la sua reazione a questa cosa.»
«Hai ragione.»
«Lo so.» Sorride e mi fa un occhiolino, superando definitivamente il momento ambiguo che abbiamo avuto. «Ora andiamo, ti porto a casa. Non sei in grado di guidare in queste condizioni.» Mi alzo da sopra di lui e usciamo dal bar, dopo che Liam ha pagato le nostre consumazioni.
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